Ora

Dizionario delle Scienze Fisiche (1996)

ora


óra [Der. del lat. hora] (a) [MTR] Unità di misura di tempo, di simb. h (a esponente in misure numeriche, per es. 17h), pari a 60 minuti di 60 secondi ognuno (in tutto 3600 secondi) di tempo universale coordinato (per quest'ultimo, v. tempo, scale astronomiche e fisiche di: VI 115 b); (b) [ASF][GFS] l'istante del giorno (che si può anche chiamare o. del giorno) espresso ragguagliando la durata del giorno medesimo a 24 delle precedenti o. e contandole a partire dal mezzogiorno vero, cioè dall'istante del passaggio del Sole vero al meridiano del luogo (o. astronomica, uso che deriva dall'opportunità di attribuire una medesima data a tutte le osservazioni fatte durante una medesima notte), oppure, come si usa ordinariamente, a partire dalla mezzanotte media del fuso orario (passaggio del Sole medio all'antimeridiano del fuso orario del luogo), e questa è l'o. civile; questo signif. s'intende sottinteso per gran parte delle o. nominate nel seguito. ◆ [GFS] O. del fuso: l'o. civile relativa al meridiano centrale del fuso orario cui appartiene un luogo; è indicata semplic. con la differenza in o. tra il tempo universale e il tempo civile del fuso; per es., per l'Italia, che appartiene tutta al fuso orario centrato sul meridiano 15° E, l'o. del fuso è -1, in quanto il tempo universale ritarda di un'o. sul tempo del fuso (→ fuso: F. orario). ◆ [GFS] O. di porto: per una data località costiera, il ritardo con cui si manifesta il massimo della marea rispetto al passaggio della Luna al meridiano del luogo. ◆ [STF] O. di tempo civile: lo stesso che ora civile (v. sopra: [ASF][GFS]). ◆ [ASF][GFS] O. di tempo solare vero e di tempo solare medio: quella riferita, rispettiv., al Sole vero o al Sole medio, in partic. alla mezzanotte solare vera oppure media (v. oltre: Storia delle o. in Italia). ◆ [STF] O. equinoziali: v. oltre: Storia delle o. in Italia. ◆ [GFS] O. estiva: denomin. dell'o. legale che viene introdotta da vari paesi durante il periodo estivo, in anticipo di un'o. sul-l'o. del fuso, per realizzare un risparmio di energia elettrica, spec. per illuminazione; fu proposta dall'ingl. W. Willet nel 1915. In Italia tale scala di tempo è stata in vigore, per parte dell'anno, nel periodo della prima guerra mondiale (anni dal 1916 al 1920) e della seconda guerra mondiale (1940-48, ma per tutto l'anno dal giugno 1940 al novembre 1942), poi ininterrottamente dal 1966 (v. tab.). ◆ [STF] O. italiane: v. oltre: Storia delle o. in Italia. ◆ [GFS] O. legale: l'o. di una scala di tempo diversa da quella del fuso orario di appartenenza di un luogo, fissata per legge, com'è, tipic., l'o. estiva (v. sopra). ◆ [ASF][GFS] O. locale: l'istante del giorno contato, in o., a partire dalla culminazione inferiore del Sole medio, cioè dalla mezzanotte media; differisce dall'istante in o. civile per un ammontare pari alla differenza tra la longitudine (in o.) del luogo e quella del meridiano centrale del fuso di appartenenza. ◆ [ASF][GFS] O. media: lo stesso che o. di tempo solare medio (v. sopra). ◆ [ASF] O. siderale locale: locuz. per indicare il tempo siderale locale, cioè il tempo misurato dall'ampiezza dell'arco di equatore celeste compreso tra la porzione superiore del meridiano celeste locale e il circolo orario dell'equinozio vernale; è spesso indicato con la sigla LST (ingl. Local Sideral Time). ◆ [ASF] O. siderea, o siderale: di uso esclusivam. astronomico, è la 24a parte del giorno sidereo, pari a 59m 50.1704s di tempo medio, cioè quasi 10 secondi più breve dell'o. media. ◆ [ASF] [GFS] O. solare: (a) denomin. delle vecchie o. definite in base al mezzogiorno, o alla mezzanotte, locale, da distinguersi in o. solari vere e o. solari medie, a seconda che fossero riferite, come nel lontano passato, al giorno solare effettivo, oppure, a partire circa dal 1816, al giorno solare medio; (b) l'o. ordinaria del proprio fuso orario, cioè che non sia un'o. legale (v. sopra). ◆ [STF]2O. temporarie: v. oltre: Storia delle o. in Italia. ◆ [STF] [ASF] [GFS] Storia delle o. in Italia: il modo di contare e denominare le o. del giorno ha avuto in Italia varie vicissitudini; dal tempo dei Romani ai nostri giorni si sono succedute infatti nel nostro paese ben sette "scale di o.", alcune delle quali sono sensibilmente diverse dalla scala che si usa attualmente; si ricorda che, come accennato sopra, in quest'ultima la durata del giorno va da una mezzanotte (media) alla successiva ed è divisa in 24 o. di 60 minuti di 60 secondi l'una di tempo del fuso orario -1 (centrato sul meridiano geografico 15° E: un'o. in anticipo sul tempo universale coordinato di Greenwich, che è il tempo atomico internazionale, cioè basato su campioni di frequenza costituiti da oscillatori atomici, coordinato con il tempo medio solare, cioè con il periodo della rotazione terrestre: → tempo). Le dette vicissitudini hanno una notevole importanza per la corretta interpretazione di riferimenti orari presenti in documenti storici (principalmente cronache locali) riferentisi a rilevanti fenomeni astrofisici (per es., eclissi di Sole e di Luna) e soprattutto geofisici (per es., terremoti, per i quali gli istanti di inizio delle varie fasi giocano un ruolo fondamentale per l'interpretazione di ogni evento). (a) Le o. romane. Secondo un antichissimo uso introdotto dai Babilonesi e diffuso dai Fenici in tutto il Mediterraneo, i Romani usavano considerare il giorno (dies civilis o dies legitimus) come composto da due parti, chiamate la prima dies naturalis, dal sorgere del Sole al tramonto (quello che in astronomia si chiama arco diurno del Sole) e la seconda nox, dal tramonto al sorgere del Sole (arco notturno); ciascuna di queste due parti era divisa in 12 parti uguali (horae), raggruppate a gruppi di 3 che avevano denomin. particolari; per es., per quelle del giorno, che erano ovviamente le più importanti, il periodo tra il solis ortus (il levare del Sole) e la hora tertia si chiamava mane, mentre per la nox si avevano, generic., 4 vigiliae di tre horae (I, II, III, IV); tra la fine della II vigilia (la fine della VI hora della nox) e l'inizio della III vigilia (l'inizio della VII hora della nox) cadeva la media nox (mezzanotte), da cui si faceva iniziare il dies civilis, cioè si cambiava data. Dato che nel corso dell'anno la durata dell'arco sia diurno che notturno varia notevolmente (i due archi sono uguali soltanto intorno agli equinozi), la durata di ciascuna delle horae romane variava con la stagione (il tempus anni) e perciò erano dette anche horae temporariae (o. temporarie). Per certi usi particolari si usavano però horae aequales (o. uguali), cioè di durata costante e indipendente dalla stagione dell'anno, pari a quella delle o. temporarie in periodo equinoziale, e perciò dette anche horae aequinoctiales (o. equinoziali); per es., di o. di questo tipo (simili dunque alle o. attuali), segnate da apposite clessidre (o dispositivi simili), ci si serviva per scandire il tempo assegnato ai patrocinatori nella discussione delle cause nei tribunali. Il trascorrere del tempo del giorno era segnato, ma limitatamente alle città di una certa importanza, da orologi solari e, ma eccezionalmente, da rudimentali orologi meccanici, azionati da una corrente d'acqua o dalla caduta di pesi, regolarizzata, l'una e l'altra, con vari artifici. È da osservare che l'uso romano era diverso da quelli degli altri popoli del Mediterraneo e dei paesi finitimi; in partic., i Babilonesi e gli Ateniesi usavano far iniziare il giorno al sorgere del Sole, mentre per i Filistei (i futuri Arabi palestinesi) e gli Ebrei il giorno cominciava e finiva al tramonto (per gli Ebrei si parlava di uso di Mosè, o uso Mosaico). (b) Le o. paleocristiane. L'uso, appena ricordato, di fare iniziare il giorno al tramonto e non alla mezzanotte fu importato a Roma e in altre città dagli ebrei cristiani che costituirono le prime comunità della nuova religione nell'impero romano. Nei primi tre secoli d.C. si venne così a creare nelle sempre più numerose comunità cristiane un sistema orario misto, in cui sussisteva la partizione romana in o. temporarie diurne e vigilie notturne, ma con inizio del loro computo a partire dal tramonto. (c) Le o. canoniche. L'uso del detto sistema romano-Mosaico si consolidò grandemente quando fu sancita dall'imperatore Costantino, nel 303, la libertà di culto per i cristiani; esso permeò tutto l'ordinamento liturgico, in partic. associando determinate preghiere a precisi momenti della giornata e della notte, con modalità che furono presto precisate in appositi canoni della Chiesa, venendosi a parlare così di o. canoniche. Tale computo del tempo del giorno dilagò poi nel popolo quando, a partire all'incirca dal V sec. (inizialmente a opera dei monaci Benedettini) fu introdotto l'uso delle campane per segnalare il tempo delle varie o. canoniche: furono questi i primi "segnali orari" capillarmente diffusi tra le genti (indicazioni orarie pubbliche e di ampia portata erano sconosciute nel mondo romano, se si eccettuano gli annunci dei littori che, nel Foro di Roma, scandivano, di tre in tre, le o. dell'arco diurno, nonché i pochi orologi solari e i pochissimi orologi meccanici). Poiché il termine della preghiera da recitare al tramonto (il Vespro) era indicata anch'essa dalle campane, circa una mezz'ora dopo il tramonto stesso, il segnale a esso relativo, che poi si chiamò dell'Ave Maria della sera, veniva a indicare la fine di un giorno e l'inizio del giorno successivo, acquistando così una particolare rilevanza (osserviamo che esso veniva a cadere con buona approssimazione al termine del crepuscolo serale, cioè effettivamente all'inizio della notte astronomica); parallelamente, lo scampanìo della preghiera delle Laudes (Lodi), all'alba, indicava il passaggio dall'arco notturno a quello diurno (il popolo parlava di Ave Maria del mattino). (d) Le o. di giorno e di notte. Le o. temporarie romane vennero ridenominate o. di notte, le 12 dall'Ave Maria della sera all'alba, e o. del giorno, le 12 dal-l'alba all'Ave Maria delle sera, venendosi così a usare indicazioni del tipo "a un'o. di notte" (agli equinozi, circa le nostre 19h 30m), "a tre o. di giorno" (sempre agli equinozi, circa le nostre ore 09h 30m; osserviamo che l'uso di queste o., partic. di quelle "di notte" persisteva ancora pochi decenni fa nel nostro mondo rurale). (e) Le ore italiane. Agli inizi del 14° sec. si produsse un'importante modificazione del sistema orario in Italia; infatti, la comparsa dei grandi orologi meccanici "da torre", che funzionavano per discesa regolarizzata di pesi e, con semplici dispositivi a campana, "battevano" le o. e i quarti d'ora, fece rapidamente decadere le o. temporarie di origine romana e le derivanti ore canoniche in favore di o. uguali, quali erano quelle indicate da quegli orologi (il primo in Italia fu quello della chiesa di S. Eustorgio, a Milano, installato nel 1336); le o. canoniche, in partic., presero semplic. il carattere di momenti in cui recitare determinate preghiere lungo la giornata, che tuttora è loro proprio. Apparve presto superflua anche la distinzione tra arco diurno e arco notturno. Si venne così a instaurare un nuovo sistema orario, nel quale il giorno restava diviso in 24 ore di uguale durata nel corso dell'anno, a partire dall'Ave Maria della sera, indicate dagli orologi pubblici con soneria oraria che, in rapida sequenza, vennero installati in campanili di chiese e, molto più numerosi, nelle torri dei palazzi comunali; ciò avvenne con qualche resistenza da parte della Chiesa, che, ben conscia del suo ruolo di conservatrice dello spirito della romanità, già nel sec. 13°, con Tommaso d'Aquino, aveva riportato alla mezzanotte l'inizio del giorno. A quell'epoca l'Italia, pur inesistente come entità politica, esercitava una grandissima influenza sul mondo occidentale sia nel campo economico (con le banche toscane e con il commercio di specialità dell'Oriente, in mano a Venezia) che in quello artistico e culturale, per cui questo modo di contare le o. del giorno si estese a tutta l'Europa, con il nome di o. all'italiana, od o. italiane. Caratteristici di questo uso sono i quadranti dei detti orologi da torre, che a differenza di quelli, di poco successivi (identici agli attuali), "a 12 o." o "duodecimali", avevano una graduazione con 24 o. (ricordiamo, per es., l'orologio della Torre dei Mori a Venezia, 1497, e quello del Torrazzo di Cremona (1588) e, fuori d'Italia, l'orologio del Municipio di Praga, 1410-90, e quello di Hampton Court, fatto costruire da Enrico VIII intorno al 1530. (f) O. italiane di tempo solare medio. Le o. italiane sopravvissero per non più di un paio di secoli nell'Europa, i vari paesi tornando ai loro usi particolari; non così in Italia, dove esse sopravvissero (si badi bene, come uso ufficiale e non soltanto popolare) quasi fino alla fine dell'Ottocento. A dire il vero, stupisce tale longevità per un sistema orario che, ai nostri occhi, presenta notevoli complicazioni; basta pensare al fatto che, mentre nei sistemi praticati negli altri paesi l'istante iniziale del giorno, e cioè la mezzanotte locale, è immutabile nel corso dell'anno (come, del resto, anche il mezzogiorno: l'istante della culminazione superiore del Sole, mentre la mezzanotte si ha alla culminazione inferiore), per le o. italiane la fine del crepuscolo serale, istante iniziale del giorno, cambia di giorno in giorno, lentamente intorno ai solstizi e rapidamente intorno agli equinozi (fino a circa un minuto al giorno), per cui era necessario rimettere piuttosto frequentemente gli orologi, basandosi sulle indicazioni di una meridiana oppure su apposite tabelle compilate da un Osservatorio astronomico. Unica modificazione rilevante che si ebbe verso la fine del periodo delle o. italiane fu l'introduzione delle o. di tempo medio, basate cioè non sul moto reale del Sole sulla volta celeste, ma su quello del Sole fittizio, più regolare, detto in astronomia Sole medio (la differenza tra tali moti è sensibile e varia durante l'anno, toccando il quarto d'o. all'incirca a febbraio e tra ottobre e novembre: → tempo: T. solare). Ufficialmente l'introduzione delle o. di tempo medio iniziò a Parigi nel 1816 e s'estese poi anche in Italia, ma con grande lentez-za; ancora nel 1870 la maggior parte degli orologi pubblici italiani erano a "tempo vero". Per di più, accanto alle o. italiane erano entrate nell'uso, spec. commerciale e spec. nell'Italia settentrionale, o. antimeridiane e pomeridiane; si trattava di un uso, nato in Francia nel 15° sec., che faceva iniziare il giorno alla mezzanotte, all'uso romano e della Chiesa, ma lo divideva non nei due archi diurno e notturno, ma in una prima parte di 12 o. antimeridiane, dalla mezzanotte al mezzogiorno, e in una seconda parte di 12 o. pomeridiane, dal mezzogiorno alla mezzanotte; tale uso diventò rapidamente l'uso corrente in tutta l'Europa (Italia esclusa) e in buona parte del resto del mondo. (g) O. nazionali e regionali di tempo medio. Le o. di cui s'è parlato finora erano, non soltanto in Italia e anche se antimeridiane e pomeridiane, o. locali, cioè differenti in località che non si trovassero alla stessa longitudine. Ciò non costituì a lungo un serio inconveniente, dato che la vita si svolgeva effettivamente in ambito locale e le comunicazioni tra località relativ. distanti erano difficili e lente. Le cose cambiarono quando, nella seconda metà dell'Ottocento, apparve un mezzo di comunicazione veloce, cioè la ferrovia, per il funzionamento corretto della quale occorreva una medesima determinazione del tempo del giorno in tutta la regione servita; la prima soluzione adottata nelle varie regioni e nazioni fu di estendere a tutto il territorio interessato il tempo medio della città più importante, distribuito mediante l'appena introdotta telegrafia elettrica: così, per la Francia l'o. unica divenne quella media di Parigi, per la Prussia quella media di Berlino, e così via. In Italia la ferrovia venne introdotta, su base regionale, a partire dal 1830 (nel Napoletano, poi nel Lombardo Veneto, ecc.) e, su base nazionale, a partire dall'unificazione del 1861; un regio decreto del settembre 1866 estese a tutte le province continentali del Regno d'Italia il tempo medio di Roma (precis., dell'Osservatorio del Collegio Romano), mentre per le isole maggiori (per le quali ovviamente non si presentavano problemi di orari ferroviari unificati con il continente) valevano i tempi medi, rispettiv. di Palermo e di Cagliari. (h) Le o. del fuso orario -1. Sul finire del 19° sec. divenne operante, sulla base di una convenzione internazionale, la proposta di attribuire uno stesso tempo medio a intere fasce di longitudine ampie 15° (da un estremo all'altro delle quali il tempo medio varia esattamente di un'o.), dette fusi orari, salvo correzioni locali per seguire l'andamento delle frontiere nazionali, e attribuire lo stesso tempo a un intero stato, purché non troppo esteso (→ fuso: F. orari). Con un regio decreto dell'agosto 1893 fu adottato per l'intero territorio nazionale il tempo del fuso orario -1 (tale fuso è centrato sul meridiano 15° E), le cui o. furono dette inizialmente o. dell'Europa Centrale, ancora con la divisione in o. antimeridiane e pomeridiane; peraltro questa divisione, ancora viva nell'uso corrente, non è più nell'uso ufficiale. (i) Ulteriori varianti. Una prima variante è costituita dalla sostituzione del tempo solare medio con il tempo universale coordinato (→ tempo), la cui influenza sul computo delle o. è semplic. nel fatto che l'o. alla quale avviene l'inserzione dei secondi intercalari (generalm. la 24a o. del 31 dicembre) conta 3601 secondi anziché 3600. Una seconda variante è l'aggiunta di un'o. nel periodo in cui vige l'o. estiva (v. sopra).

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