Oppioidi

Universo del Corpo (2000)

Oppioidi

Vittorio Erspamer

Vengono definiti oppioidi i farmaci (naturali, semisintetici o sintetici) che presentano gli effetti dell'oppio e del suo costituente principale, la morfina. Lo stesso termine è impiegato anche per indicare i recettori biologici di tali farmaci e certi peptidi naturali che a questi si fissano. Fra i numerosi medicamenti dei quali l'uomo ha fruito, ben pochi hanno avuto un impatto più vasto, profondo e duraturo, dal punto di vista terapeutico, tossicologico e sociale, di quanto abbiano avuto e abbiano i medicamenti oppioidi, a causa della loro azione, estremamente benefica da un lato, ma distruttiva dall'altro, sul sistema nervoso. Le azioni benefiche sono da ascriversi al potente effetto antidolorifico, estrinsecantesi nell'innalzamento della soglia di percezione del dolore e nell'attenuazione degli stati di angoscia e panico che, nell'uomo, accompagnano la manipolazione psichica della sensazione dolorosa. Le azioni distruttive sono imputabili all'abuso voluttuario di queste sostanze, con conseguente grave dipendenza psichica e fisica da esse.

L'oppio e i suoi alcaloidi

L'oppio è il succo ottenuto per incisione delle capsule immature del papavero sonnifero, una pianta largamente coltivata nel Medio Oriente, in Cina e, soprattutto, in alcuni paesi dell'Asia sudorientale. La droga, che si presenta sotto forma di 'pani' brunastri, contiene un elevato numero di alcaloidi, appartenenti a due famiglie totalmente distinte, chimicamente e farmacologicamente: alcaloidi fenantrenici, quali morfina, codeina e tebaina, e alcaloidi benzilisochinolinici, quali papaverina e noscapina. Di questi alcaloidi quello di gran lunga più importante, anche quantitativamente, è la morfina, che può arrivare a costituire fino al 15-20% del peso dell'oppio.

a) Morfina. L'oppio in polvere e i suoi vecchi preparati (fra i quali il laudano), ora largamente obsoleti, devono le loro azioni centrali e periferiche essenzialmente alla morfina, dotata di potenti, peculiari effetti soprattutto a livello del sistema nervoso centrale e, subordinatamente, del tubo digerente. Sul sistema nervoso centrale la morfina svolge una complessa azione di tipo prevalentemente depressivo che tende, con l'aumentare della dose, a intensificarsi ed estendersi coinvolgendo, direttamente o indirettamente, corteccia, sistema limbico, talamo, asse cerebrale, bulbo e midollo spinale.

Piccole dosi di morfina deprimono soprattutto i centri superiori della vita psichica, vale a dire quelli dell'autocontrollo, della riflessione e della critica. Cominciano però nello stesso tempo a essere interessati anche i centri corticali psicosensori e il sistema limbico, deputati alla percezione cosciente e all'elaborazione affettiva della sensazione dolorosa. L'indebolimento del senso critico, da un lato, l'ottundimento e le modificazioni qualitative di tutte le sensazioni dolorose e comunque moleste (fame, stanchezza ecc.), dall'altro, portano a uno stato di ebbrezza euforica, caratterizzato da un intimo senso di benessere e di fiducia, da visione ottimistica della vita e, in talune persone con particolari caratteristiche psicointellettive, da vivace e incontrollabile flusso di idee e da vividezza di rappresentazioni mentali gradite. Non sempre peraltro si ha euforia. In individui normali, non abituati e privi di dolore, si può invece avere disforia, con leggera ansietà e senso di paura; non sono rari anche nausea e vomito.

Per dosi medie di morfina si hanno fenomeni più accentuati ed estesi: l'ebbrezza si accompagna a spiccato rilasciamento muscolare, a tendenza all'immobilità e all'apatia, a incapacità alla concentrazione e all'elaborazione mentale, a sonnolenza, favorita da una più completa analgesia. La depressione si è quindi estesa dalla corteccia ai centri sottocorticali. Depresso è anche il centro respiratorio bulbare (diminuita sensibilità alla CO₂), con conseguente riduzione dapprima della frequenza e successivamente della profondità del respiro. Per dosi terapeutiche sottocutanee, la depressione inizia nell'uomo dopo 30-90 min e persiste per 4-5 ore. Aumentando la dose di morfina, lo stato di sonnolenza trapassa in uno stato di sonno profondo, dal quale si può essere svegliati con difficoltà; anche i dolori più forti sono aboliti e il respiro risulta nettamente rallentato. Infine, per dosi tossiche, il sonno si trasforma in coma e la depressione respiratoria in paralisi minacciosa per la vita.

Misure di emergenza per salvare l'intossicato sono la ventilazione polmonare artificiale e la somministrazione di farmaci antagonisti della morfina, quali il naloxone e il naltrexone. Il meccanismo dell'azione analgesica della sostanza, non ancora del tutto chiarito, sembra imputabile a tre fattori principali: innalzamento della soglia di percezione del dolore (azione spinale e sopraspinale); modificazione qualitativa della percezione dolorosa (il dolore viene ancora avvertito, ma può essere più agevolmente sopportato, in quanto privo dei disturbi emotivi che lo accompagnano, quali ansietà, paura, panico); infine, induzione del sonno, che di per sé innalza la soglia della percezione dolorifica. Assai complessa e di notevole interesse, anche pratico, è l'azione della morfina sul tubo digerente: essa si esplica attraverso la riduzione della secrezione gastrica acida, il ritardo nello svuotamento dello stomaco e il rallentamento del transito intestinale, dovuto ad aumento del tono di riposo e riduzione dei movimenti peristaltici sia del tenue sia del colon. Ne consegue un'essiccazione delle feci e quindi costipazione, anche per ottundimento dello stimolo normale alla defecazione. Importante è l'azione costrittrice della morfina sullo sfintere di Oddi con innalzamento, fino a 10 volte, della pressione intracoledocale e con possibilità di scatenamento di una colica biliare.

L'azione della morfina sul sistema cardiovascolare è molto modesta (talvolta si può avere una certa ipotensione ortostatica da vasodilatazione periferica, forse imputabile a liberazione di istamina), mentre è rilevante quella sulla pupilla che assume un aspetto puntiforme, di significato patognomonico, imputabile a stimolazione colinergica. Importante è poi l'azione depressiva sul sistema immunitario conseguente all'uso prolungato della sostanza. La potente azione analgesica, narcotica ed euforizzante implica, ovviamente, la presenza nel sistema nervoso centrale di un diffuso sistema di recettori specifici, atti a legare l'alcaloide e a essere da esso attivati; lo stesso vale per l'intestino e gli altri tessuti periferici sui quali esso agisce. I siti di legame della morfina sono stati chiamati recettori μ. Attualmente si ritiene che nell'analgesia sia implicata soprattutto l'attivazione di un sottotipo recettoriale, il recettore μ₁, mentre un altro sottotipo, il μ₂, sarebbe coinvolto nella depressione respiratoria da morfina e con tutta probabilità anche nella costipazione da morfina e altri antidiarroici (tipo loperamide).

b) Composti morfinosimili di semisintesi e sintesi. Le azioni centrali e periferiche della morfina sono condivise, in misura maggiore o minore, oltre che dall'alcaloide naturale codeina, da una serie di suoi derivati semisintetici (fra i quali l'eroina, diacetilmorfina) e di molecole sintetiche aventi con la morfina più o meno remote analogie strutturali. Possono essere ricordati: la petidina, capostipite di queste molecole sintetiche; la pentazocina, molto usata; il potente fentanyl, largamente impiegato nella medicazione preanestetica o nel trattamento del dolore nell'infanzia; il metadone, utilizzato nel discusso trattamento temporaneo o programmato di individui dipendenti dall'eroina; il naxolone, un antagonista spesso considerato per definire l'attività oppioide di un agonista; la loperamide, oppioide attivo a livello periferico utilizzato nel trattamento sintomatico della diarrea. Considerando uguale a 100 il potere analgesico della morfina (10 mg somministrati sottocute o intramuscolo), il potere di alcuni fra i più usati morfinosimili naturali o di sintesi è il seguente: codeina 7-8, eroina 200, idrossimorfone e ossimorfone 750-1000, metadone 100, pentazocina 30-60. L'impiego in terapia della morfina e degli analgesici morfinosimili deve essere limitato a quelle gravi patologie dolorose, acute e croniche, in cui questi medicamenti siano perentoriamente richiesti e insostituibili. La morfina è l'analgesico per eccellenza, capace di controllare, sia pure con efficacia diversa, ogni tipo di dolore, superficiale e profondo, acuto e sordo, da spasmi della muscolatura liscia, occlusioni vasali, scottature e fratture, cardiopatie, neoplasie maligne. È anche un insuperabile ipnotico quando il sonno sia reso impossibile dal dolore.

Più limitato è attualmente l'impiego della morfina nell'ambito del trattamento di patologie intestinali, diarroiche soprattutto, essendo in tali casi preferiti analoghi della petidina, difficilmente assorbibili e incapaci di valicare la barriera ematoencefalica, di conseguenza privi di effetti centrali (per es. loperamide). È noto che morfina, eroina e droghe similari inducono, in modo insolitamente marcato e rapido, il fenomeno dell'assuefazione, chiaramente rilevabile non solo nell'uomo ma anche nell'animale da esperimento. In quest'ultimo si assiste a una rapida diminuzione, fino alla perdita, del potere analgesico della droga. Nell'uomo avviene altrettanto, obbligando malati affetti da sindromi dolorose croniche e tossicodipendenti ad aumentare progressivamente la dose del farmaco. È altresì noto che morfina e soprattutto eroina (della prima parecchie volte più potente) occupano il primo posto fra le droghe capaci di indurre nell'uomo gravi forme di dipendenza che tendono ad aggravarsi sempre più, anche perché la brusca interruzione nell'assunzione della droga (e questo avviene anche nell'animale) porta alla comparsa di intensi fenomeni di astinenza, in qualche caso persino pericolosi per la vita (v. dipendenza).

Peptidi oppioidi

La ricerca dei peptidi oppioidi ha avuto spunto dall'intuizione iniziale che la potente azione della morfina e delle sostanze similari fosse dovuta alla presenza di recettori specifici, e dalla dimostrazione della loro esistenza nel sistema nervoso centrale. Inoltre fu giustamente ritenuto che questi recettori morfinici ad alta affinità dovessero interagire non solo con alcaloidi 'alieni', ma anche, e soprattutto, con sostanze endogene. Nel 1975, J. Hughes e H. Kosterlitz isolarono e descrissero la struttura di due pentapeptidi strutturalmente simili, denominati encefaline, che possedevano i requisiti postulati. Nello stesso anno M. Smith descriveva la sequenza aminoacidica della β-endorfina, uno dei frammenti derivanti dalla scissione della β-lipotropina, peptide di 91 aminoacidi prodotto dall'ipofisi. Encefaline ed endorfine costituiscono i prototipi di quella vasta e multiforme categoria di molecole peptidiche dette oppioidi, denominazione forse non del tutto propria, in quanto queste molecole condividono solo in parte con la morfina azioni e siti di legame recettoriale. I peptidi oppioidi sono stati individuati nel sistema nervoso centrale dei Mammiferi e nella pelle di alcune specie di Anfibi. Nei Mammiferi essi vengono suddivisi in tre diverse famiglie, in base alla derivazione da precursori specifici individuati con la tecnica del DNA ricombinante: i derivati della pro-oppiomelanocortina, presenti nell'adenoipofisi (cellule corticotrofe), nel lobo intermedio dell'ipofisi e in vari gruppi di neuroni centrali e periferici; i derivati della proencefalina, presenti nella midollare del surrene e in altre localizzazioni cromaffini, in vari nuclei cerebrali e in neuroni periferici; infine i derivati della prodinorfina, particolarmente abbondanti nel lobo ipofisario posteriore, ma presenti in vari nuclei cerebrali e in neuroni periferici. Peptidi oppioidi minori non catalogabili sono le β-casomorfine a 7, 6, 5 e 4 residui di aminoacidi, che sono ottenute dalla digestione della caseina, e la kyotorfina. Alcuni peptidi oppioidi sono stati anche isolati dalla pelle di alcuni Anfibi sudamericani appartenenti alla sottofamiglia Phyllomedusinae. Si tratta di molecole totalmente diverse da quelle dei Mammiferi, caratterizzate tra l'altro dalla presenza di un radicale aminoacidico destrogiro, di importanza cruciale per la loro attività. Questi peptidi sono raggruppati in due famiglie: le dermorfine, rappresentate dalla dermorfina e da quattro suoi analoghi, sono peptidi dotati di elevata selettività e affinità di legame per i recettori μ, e quindi di formidabili azioni centrali (azione analgesica e catatonizzante; l'iniezione nei ventricoli cerebrali di dermorfina determina un'azione antidolorifica 500-1000 volte superiore a quella della morfina e più di 10.000 volte superiore a quella delle encefaline) e periferiche (azione costipante); le deltorfine, finora rappresentate solo da tre membri, sono dotate di una formidabile affinità selettiva per i recettori δ, superiore a quella di qualsiasi altro oppioide naturale o di sintesi. Avvalendosi di reattivi biologici, quali ileo di cavia, deferente di topo o coniglio, membrane isolate di cervello, di agonisti e antagonisti selettivi marcati o meno con isotopi radioattivi, si sono identificati nel sistema nervoso, centrale e periferico, diversi tipi di recettori oppioidi: i recettori μ (cosiddetti, come precedentemente accennato, perché capaci di legare selettivamente la morfina), che hanno come liganti ad alta affinità soprattutto le dermorfine e come antagonisti il naloxone e composti similari; i recettori δ, ad alta affinità di legame con le encefaline e, come già detto, ancor di più con le deltorfine, aventi come antagonista specifico il naltrindolo; i recettori κ, che mostrano elevata affinità di legame per le dinorfine. Meno certa è l'individuazione di altri recettori. La funzione dei peptidi oppioidi è ancora largamente oscura, fatta eccezione per i peptidi μ-agonisti. È infatti sicuro che questi ultimi, a livello centrale, sono coinvolti nella trasmissione e nell'elaborazione affettiva della sensazione dolorosa (azione analgesica), deprimono il respiro, inducono catalessia e movimenti stereotipi e facilitano infine la liberazione di prolattina. A livello periferico gli stessi peptidi causano la riduzione della secrezione gastrica acida, il prolungamento del tempo di svuotamento gastrico e del tempo di transito intestinale (costipazione). È stato suggerito che le azioni analgesica e catatonica dei peptidi μ-agonisti siano dovute all'attivazione di un sottotipo del recettore μ, il recettore μ₁, mentre l'azione depressiva sul respiro e forse l'azione costipante siano dovute all'attivazione di un altro sottotipo, il recettore μ₂. Si ritiene che i recettori δ siano coinvolti in modificazioni del comportamento affettivo e in certi movimenti stereotipi, oltre che nell'analgesia spinale. I recettori κ vengono chiamati in causa di nuovo nell'analgesia e nella sedazione. Si è ipotizzato che determinati trattamenti fisici antidolorifici, per es. l'agopuntura, possano agire attraverso la liberazione di peptidi oppioidi.

Bibliografia

G. Adelman, Encyclopedia of neuroscience, Boston-Basel-Stuttgart, Birkhäuser, 1987.

F. Clementi, G. Fumagalli, Farmacologia generale e molecolare, Torino, UTET, 1996.

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Goodman & Gilman's The pharmacological basis of therapeutics, ed. J.G. Hardman, L.E. Limbird, New York, McGraw-Hill, 19969.

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