ONOMASTICA

Enciclopedia Italiana (1935)

ONOMASTICA (dal gr. ὀνομαστικὴ [τέχνη]; fr. onomastique, anthroponymie; sp. onomástica; ted. Namenkunde; ingl. onomatology)

Bruno MIGLIORINI

Il nome di onomastica è stato talora adoperato per indicare lo studio di tutti i nomi proprî, sia personali, sia locali, sia etnici; ma di solito il termine designa soltanto lo studio dei nomi proprî di persona (o antroponimi) e così s'intenderà nel presente articolo (per i nomi locali ed etnici, v. toponomastica). Grande è l'importanza degli studî onomastici, sia per la linguistica, sia per la storia in generale. È certo che le comparazioni linguistiche fondate su nomi proprî sono molto meno salde che quelle fondate su altri elementi del lessico, perché nel primo caso poggiano solo sulla forma, nel secondo invece sul rapporto tra forma e significato; tuttavia, fatte con prudenza, esse riescono molto importanti. Sui nomi proprî di persona e di luogo si fonda principalmente quel che si sa dell'iberico, del ligure e anche dell'etrusco. E anche problemi filologico-letterarî, come p. es. quello delle origini celtiche dell'epopea bretone, devono anzitutto fondarsi su ricerche onomastiche.

Caratteri del nome proprio di persona. - Il nome proprio si distingue dal nome comune o appellativo anzitutto perché si riferisce a un individuo determinato (ed è questo il vero "significato" del nome proprio), poi perché ha il carattere quasi d'un cartellino, per lo più etimologicamente non intelligibile, il quale aderisce strettissimamente per motivi religiosi e giuridici all'individuo da esso designato. "Il nome d'un uomo" - scriveva W. Goethe, malcontento per uno scherzo di G. Herder sul suo cognome - "non è come un mantello che gli sta su penzolante e gli si può strappare e stracciare di dosso, ma una veste perfettamente adatta, o come la pelle concresciutagli, che non si può grattare e graffiare senza far male anche a lui".

Il valore del nome è molto diverso nelle società primitive e nelle società civili. Presso i primitivi, il nome è un elemento indissolubile dalla personalità dell'individuo, il suo alter ego. L'imposizione del nome, sia al neonato, sia all'adulto, quando il nome venga mutato, si effettua con cerimonie solenni, secondo riti determinati. Ma siccome il nome è in certo modo l'anima dell'individuo, c'è il pericolo che uomini o spiriti malefici se ne avvalgano: chi sappia declamare convenientemente il nome ha in sua mano l'individuo. Di qui nasce la proibizione di pronunziarlo: esso va tenuto segreto e sostituito per gli usi comuni con una designazione che non sia il nome vero. In circostanze importanti (l'iniziazione, la nascita del primo figlio, la morte d'un figlio) un nuovo nome viene imposto. Tracce di questi usi appaiono qua e là anche in stadî avanzati di civiltà (p. es., in Erec et Enide di Chrestiende Troyes, Erec apprende soltanto al momento del matrimonio il vero nome che la moglie aveva ricevuto al battesimo, cioè Enide). Nella società moderna, la cerimonia dell'imposizione del nome, benché posta per lo più sotto auspici religiosi, ha perduto d'importanza, e il nome ha invece un sempre più preciso valore giuridico-burocratico.

Anche la forma del nome si presenta in modo diverso secondo i popoli: la formula onomastica romana (prenome + gentilizio + cognome) è diversa dalla formula odierna europea (nome + cognome): e come quella mutò secondo i tempi, i luoghi e le circostanze, così anche questa presenta notevoli particolarità (p. es., l'uso dell'articolo) e varietà (p. es., la formula della donna maritata).

Onomastica moderna. - I due elementi del sistema onomastico comune a tutta l'Europa sono il nome e il cognome. Solo alla periferia (nell'Islanda da un lato, in alcuni paesi slavi dall'altro) si conserva abbastanza saldo un terzo elemento, il patronimico, usato col nome nell'ambiente familiare e unito al cognome ai fini burocratici. Benché ora il cognome venga prendendo sempre maggiore importanza a paragone del nome, non occorre dimenticare che esso è più recente, e probabilmente non presenta continuità storica col cognome romano. L'uso del cognome comincia ad apparire poco prima del Mille, e solo col Rinascimento si fissa in gran parte d'Europa. Per la storia del nome, bisogna invece risalire all'onomastica dell'età imperiale; e seguire gli strati che a questa man mano si sovrapposero.

L'antico sistema onomastico romano (v. sotto) durante l'età imperiale si viene modificando; il prenome tende a sparire, il gentilizio diminuisce d'importanza, e invece si allarga l'uso del cognome e si divulgano nuovi nomi (i sigma o supernomina), format in -ius come gli antichi gentilizî e in genere intelligibili (derivati da sostantivi: Augurius, Desiderius, Honorius, ecc.; da participî: Constantius, Fulgentius, Innocentius, ecc.). Lo stesso tipo onomastico si ha nei territorî orientali dell'impero (Εὺγένιος, Εὺσέβιος, Γρηγόριος, ‛Ιλάριος, ecc.), e questi nomi greci abbondano anche in Occidente. Verso il sec. V d. C., basta ormai, nell'uso comune, un solo nome (che per lo più è formalmente un cognome o un soprannome), a indicare l'individuo.

Il cristianesimo contribuisce al divulgarsi di questi nomi, trasparenti e perciò più adatti degli antichi a esprimere le aspirazioni della nuova fede. Nell'età delle persecuzioni, non si ha una vera "onomastica cristiana": è ovvio che era troppo imprudente dare col nome un indizio e una prova immediata della propria religione. La conformità con l'onomastica pagana va tanto oltre che troviamo presso i cristiani nomi che ricordano gli dei pagani: Apollonio, Afrodisio, Ermete, Nereo sono nomi di cristiani, anzi addirittura di martiri, e nomi simili erano applicati senza scrupolo anche da genitori cristiani: ne dobbiamo dedurre che nomi il cui valore etimologico sembra a noi ovvio erano invece considerati semplici cartellini. L'uso d'imporre nomi biblici (Daniele, Geremia, Isaia, Susanna) è abbastanza praticato in Oriente, pochissimo in Occidente. Invece si viene lentamente affermando l'abitudine di dare nomi di apostoli o di santi: nel sec. III troviamo qua e là in comunità cristiane i nomi di Pietro e di Paolo: abitudine che si verrà più tardi consolidando con il vigoreggiare del culto dei santi: Caratteristicamente cristiani sono nomi tratti da feste (come Paschasius), nomi teofori come Deogratias, Deusdedit, Quodvultdeus, e nomi in cui l'umiltà scende molto in basso (Stercorius). Quando il battesimo è impartito ad adulti, dà per lo più luogo al mutamento del vecchio nome.

Ma ecco, già verso la fine dell'impero, sopravvenire una nuova ondata di nomi, quelli germanici, scarsi di numero e di prestigio finché si trattava delle prime infiltrazioni e dei primi stanziamenti, copiosi e potenti dopo le invasioni. Fra il sec. V e il IX l'onomastica germanica in tutti i paesi romanici viene lentamente acquistando terreno. Per non più di due o tre generazioni il nome corrisponde alla stirpe: poi la moda rimescola tutto, e genitori di legge romana dànno ai figli nomi germanici, o viceversa. (Nessun fondamento, perciò, hanno le deduzioni che si sono arbitrariamente tratte dal fatto che i nomi di Alighieri o di Garibaldi hanno etimo germanico). In Italia si sovrappongono, a un tenue strato gotico, gli strati longobardo e franco, molto più potenti: fino a un certo punto i nomi longobardi si possono distinguere da quelli franchi per mezzo delle caratteristiche fonetiche: p. es., i nomi in -paldo, -perto, -prando, che presentano l'antica b trasformata in p in seguito alla seconda mutazione consonantica, sono longobardi, mentre il franco mantiene b (-baldo, -berto, -brando). Nella Francia (specie in quella settentrionale) i nomi franchi predominano, e più facilmente che in Italia soverchiano lo strato romanico. Nella Penisola iberica si hanno nomi visigoti. Sfuggono alla predominanza dei nomi germanici i territorî che meno hanno risentito delle invasioni: Venezia, p. es., presenta pochi elementi germanici, mentre gli elementi bizantini abbondano. Nei primi secoli l'onomastica germanica ha una libertà abbastanza grande di combinazioni, cosicché è possibile formare nomi nuovi a migliaia; ogni individuo ha un nome nuovo, o poco meno. Ma poi man mano questa fonte si viene disseccando; nomi già adoperati si ripetono sempre più frequenti; la moda ne favorisce alcuni enormemente; e accanto ai nomi germanici riprendono vigore i nomi dei santi, ma anch'essi adoperati con molta uniformità. Nel sec. XI, in tutta l'Europa cristiana, l'onomastica è sfinita: i nomi adempiono ormai male alla loro funzione di distinguere gl'individui, giacché troppi di essi si ripetono.

Ecco allora al nome unico sottentrare lentamente un nuovo sistema: nome + cognome (o, se si vuole sottolineare che il nome ora adempie a una funzione diversa da quella del nome individuale unico, prenome + cognome). Benché il fenomeno si presenti ora più ora meno precocemente, e con numerose varianti conforme alle diverse condizioni linguistiche e sociali dei diversi paesi, si può dire che in tutta l'Europa continentale, romanza e germanica, il cognome si va consolidando di generazione in generazione; fra il sec. IX e il sec. XVI vediamo nei varî paesi varî tipi di aggiunti farsi ereditarî: quelli che avevano in origine solo una funzione distintiva, per impedire le ambiguità derivanti dalla troppa frequenza dei medesimi nomi di battesimo, divengono il nome della famiglia e vanno crescendo continuamente d'importanza; durante il Rinascimento si fissano definitivamente, e dopo la rivoluzione francesc acquistano, ai fini statali, la preminenza sul prenome.

Varî sono i tipi di aggiunti che cristallizzandosi hanno dato origine ai cognomi. Talora si tratta di un secondo prenome aggiunto al primo (Dominico Pantaleo). Non sempre s'arriva a distinguere questo tipo dall'aggiunto patronimico (Giovanni di Pietro), aggiunto configurato variamente secondo le regioni (e il carattere dei documenti): Iohannes Petri, Iohannes de Petro o magari Iohanne Petro. Un altro tipo d'aggiunti è quello che indica la provenienza: la nazione o la regione (Petrus Catalanus; Petrus de Alvernia), la città o il villaggio (Georgius de Bononia; Marcus de Tradate), il casale o l'accidente geografico (Mattheus de Rivo): fuorché per questi ultimi, bisogna supporre che l'aggiunto sia stato dato primamente a un individuo proveniente da altra località. A torto si crede comunemente che tali cognomi siano proprî degli ebrei, mentre ciò è vero solo per certe regioni e per un certo numero di cognomi relativamente recenti. Altro tipo è quello indicante la professione o il mestiere (Simon Caligarius, cioè Callegari). Infine, fonte inesausta di aggiunti poi diventati cognomi sono i soprannomi, creazioni in cui non ha mai cessato d'esercitarsi lo spirito popolare sottolineando qualità, più spesso difetti, fisici o morali. Il colore dei capelli (Rufus, Russo, Rossi), l'andatura (Zoppi, Cianchettini), uno strumento (Trombetta, -i), una frase caratteristica o altre note tipiche hanno servito di spunto al soprannome. A moltiplicare la varietà dei cognomi sono valsi i suffissi diminutivi, aumentativi, spregiativi.

La cristallizzazione di questi varî aggiunti in cognomi è avvenuta in tempi diversi secondo le varie regioni: prime sembra siano state, e la ricerca aspetta ancora d'essere approfondita, le città dell'Italia settentrionale. Certo è molto difficile sapere fino a che punto gli aggiunti che appaiono nei documenti fossero usati nella vita comune. Quando, p. es., in una carta veneziana del 1056, i testi sottoscrivono Tobia, Marinus, Iohannes e poi il notaio aggiunge di suo la notitia testium: Tobia filius Iohani de Aequilo, Marinus filius Iohanni Michaeli, Iohannes Gradonicus, vien fatto di pensare che anche il Iohannes Ferarius che è nominato nel testo del documento si chiamasse Ferarius solo quando proprio era necessario. Quanto alla forma, si è creduto dapprima che i cognomi in -i (già anticamente prevalenti nella Lombardia, nel Trentino, nell'Emilia, nell'Italia centrale, e ultimamente estesisi molto per assimilazione al tipo prevalente nell'italiano normale) fossero genitivi notarili (Iohannes. Petri "Giovanni di Pietro"), ma ricerche più recenti hanno provato che si tratta prevalentemente di plurali. I familiari di uno che abbia l'aggiunto di Fabbro si chiamavano (e si chiamano tuttora in parecchi dialetti) i Fabbri: Pietro Fabbri è dunque non Pietro del Fabbro, ma Pietro dei Fabbri (cfr. il tipo De Amicis, De Lollis). S'intende che tale tipo prevalente ha anche potuto assorbire -i d'altra origine.

Solo col Rinascimento la formula nome + cognome prevale decisamente. Contribuisce alla cristallizzazione anche la norma, data dal concilio di Trento (1563), di tenere regolarmente dei registri di battesimo: uso che si aveva qua e là sin dalla fine del Trecento per evitare i matrimonî fra consanguinei.

Più tardi si fissano i cognomi degli ebrei: il bisogno era meno sentito nella ristretta cerchia dei correligionarî, e nei rapporti con i cristiani bastava di solito l'epiteto di Ebreo o Giudeo aggiunto al nome (Jehud?āh Abravanel era conosciuto come Leone Ebreo). Con l'incipiente emancipazione del periodo giuseppino i varî paesi s'inducono a far scegliere un cognome anche agli ebrei (Austria, patenti del 1784 e del 1787; Francia, 1803 e 1808; Prussia, 1812; ecc.). In molti casi non si fece che fissare gli aggiunti che già si usavano saltuariamente nei ghetti (gli aggiunti di Ravà e di Passigli risalgono già ai secoli XV e XVI). Si ebbero così cognomi indicanti la professione: Cantor, Canterini, Kantorowicz, Coen "sacerdote", Sacerdoti, Priester (e anche Levi, Halévy, nome della tribù che serviva nel tempio di Gerusalemme); altri alludono alla provenienza: Sarfatti "francese", Ravenna, Ancona, Momigliano "di Montmélian", Treves "di Treviri", Morpurgo "di Marburgo), ecc., in Francia Worms, Landau, ecc. In altri casi si prese come cognome il nome personale di chi faceva la dichiarazione. (talvolta con qualche mutamento: il cognome Hitzig è un travestimento di Isaac). Talora si diedero nomi a capriccio (il cognome Bréal fu dato estraendo a sorte cinque lettere e mescolandole fino a renderle pronunciabili). Abbondano, fra i cognomi degli ebrei tedeschi, quelli tratti dai regni della natura: Bernstein "ambra", Rubinstein "rubino" Mandelbaum "mandorlo" Wasserstrom "corso d'acqua", ecc.

Il cognome ormai è stabilizzato, ed è abbastanza difficile mutarlo (l'ottennero parenti od omonimi di Guillotin e di Bresci, cognomi notati d'infamia); nelh stile hurocratico esso perde anche la flessione (cioè la possimlità d'un femminile e d'un plurale: Dolfin, la Dolfina, i Dolfini) che la lingua popolare aveva e ha uncora largamente. Nell'uso popolare si hanno anche subcognomi, cioè aggiunti cristallizzatisi a indicare il ramo d'una famiglia: in un villaggio dove molti degli abitanti hanno lo stesso cngnome ufficiale, un subcognome diventa presto necessurio.

Resta libera la scelta del nome, ed è interessxnte seguire i varî motivi che indirizzano questa scelta. Ha il primo lungo la tradizione, per cui volentieri si rinnovano in famiglia i nomi aviti: talora quello del nonno (specie se è morto, perché in alcune località è ritenuto di malaugurio per il nonno vivente dare il suo nome a un nipote), talora, malgrado gl'inconvenienti dell'omonimia quello del padre, talora quello del padrino. Motivi religosi: un santo cui la città o la famiglia abbia particolare devozione (donde i molti Petronî che aveva un tempo Bologna), il santo del giorno, ecc. Motivi politici: il nome di un eroe nazionale (Menotti, Ricciotti, Anita, Galliano, Balilla), il nome del sovrano o d'un membro della famiglia reale (Umberto, Margherita, Vittorio, Elena, Maria Pia; Guglielmo in Germania; Francesco Giuseppe, Leopoldo in Austria, ecc.). Motivi letterarî: l'onomastica carolingia e brettone fra il Duecento e il Quattrocento si diffonde in Italia, parallelamente con la fortuna della poesia cavalleresca (Orlando, Lancillotto, ecL.); Fanny passa dall'Inghilterra in Francia col rtimanzo Joseph Andrews di Fielding (1742), Oscar e Malvina trionfano quando Ossian furoreggia. V'è chi ama i nomi eccentrici, originali, e chi preferisce i nomi semplici. Il suono costituisce nella scelta un coefficiente che è difficile ponderare esattamente, ma che è certo fortissimo. Infine il fatto che il nome sia trasparente, coincida cioè o si connetta con un termine significativo, è un altro motivo importante: Felice o Benedetto possono parere nomi augurali, ed essere scelti per questo. Le mode onomastiche durano talvolta per secoli, talaltra si esauriscono in una breve ondata, ovvero passano dalle classi più elevate alla plebe e ivi si trivializzano. Berta e Martino sono piaciuti per secoli, prima di sembrare volgari. Maria ha avuto molto varie vicende, ora scelto in omaggio a Maria Vergine, ora evitato per rispetto (come in Spagna, dove si usano i nomi delle feste della Madonna, Asunción, Concepción, Mercedes, Rosario, ecc., ma non si dà di solito il nome di María); ora lodato come il più bello dei nomi, ora trascurato perché troppo accetto alla plebe. I nomi classici cominciano a furoreggiare nel Rinascimento, e qualcuno (Giulio, Cesare, Augusto) non ha più perduto terreno. La Riforma protestante, proponendosi d'evitare i nomi che ricordassero il culto cattolico, torna ai nomi dell'Antico Testamento (Abraham, Daniel, David, Isaac, ecc.). Tale pratica divenne addirittura una norma presso i puritani, che, non contenti dei nomi dei patriarchi e dei guerrieri dell'Antico Testamento, ripresero a coniare nomi più, allusivi alle virtù cristiane (Perseverance, ecc.) e addirittura nomi-frasi (Be Faithful "Sii-Fedele", Kill Sin "Uccidi-il-Peccato") Hope-For "Abbi-Speranza", ecc.).

La formula onomastica usuale (nome + cognome), con le varianti ammesse dall'uso, ha ristretto l'uso del soprannome, che tuttavia è sempre molto vivo negli strati inferiori come espressione dello spirito popolare, in creazioni momentanee, per lo più scherzose, che talora piacciono all'interessato stesso e talora sono adoperate alle sue spalle: esse arrivano talvolta ad appiccicarsi per tutta la vita a un individuo, talvolta persino a diventare subcognomi. Fisionomia a sé ha lo pseudonimo (v.). Paralleli ai nomi individuali, ma riserbati di solito all'uso infantile o all'uso affettivo, sono i vezzeggiativi: il nome è alterato, con suffissi diminutivi (Pierino, Mariuccia), con raccorciamenti, congiunti talora ad assimilazioni, se è un polisillabo (aferesi: Cesco, Pippo; sincope: Bice; aferesi e sincope: Lisa; apocope: Bartolo), con assimilazioni se è un bisillabo (Fuffo da Fulvio). Tendenze analoghe si hanno nelle altre lingue.

Siamo venuti fin qui esaminando, nella loro consistenza e nella loro storia, gli elementi del sistema onomastico moderno: già abbiamo avvertito che varianti notevoli non mancano. Così, per nome e non per cognome sono conosciuti i sovrani, i papi (che di solito assumono un nuovo nome ascendendo al trono), i religiosi di alcuni ordini (Agostino da Montefeltro). Così, la formula normale dell'ungherese non è nome + cognome, ma cognome + nome; negli Stati Uniti d'America, e in parte in Inghilterra, si ha una formula trimembre, di cui il primo elemento è il nome (scelto con molto maggiore libertà che in Europa), il secondo un semicognome (per le donne di solito il loro cognome di nubili, come in Europa), il terzo il vero cognome.

Onomastica antica. - Ci limiteremo ad esaminare l'antica onomastica degl'Indoeuropei e dei Semiti.

Indoeuropei. - I diversi popoli indoeuropei, agli albori della loro storia rispettiva, presentano un modo di designazione simile: presso gl'Indiani e gl'Irani, i Greci e gli Slavi, i Germani e i Celti v'è l'uso d'imporre un nome individuale, per lo più composto, di carattere augurale. Si distaccano notevolmente da questo tipo solo i Latini e gli Osco-umbri.

Assumeremo come rappresentanti tipici dell'onomastica indoeuropea i nomi greci, accontentandoci per gli altri popoli di segnalare alcune differenze. Presso i Greci il numero dei nomi individuali era in pratica illimitato: numerosissimi erano quelli in circolazione e che si potevano riadoperare (p. es., dando a un bambino il nome del nonno paterno), ma continuamente se ne foggiavano di nuovi. Le omonimie erano perciò meno numerose che nel tardo Medioevo o presentemente; per ovviarvi, specie negli atti ufficiali, si ricorreva a un aggiunto, che variava secondo i luoghi e le età, ma per lo più era il patronimico (Δημοσϑένης Δημοσϑένους). Ma, in sostanza, il vero nome è sempre un nome individuale. Formalmente, si hanno per lo più nomi composti di due elementi; meno frequenti sono quelli d'un solo elemento, parte raccorciamenti di nomi composti, parte foggiati direttamente così.

Se il modo di formazione è lo stesso nei varî popoli indoeuropei, i concetti che più spesso trovano espressione nei nomi rispecchiano più davvicino i costumi e gl'ideali dei popoli. Presso i Greci i concetti che più spesso appaiono sono virtù morali, come il valore, il coraggio, la giustizia (᾿Αλκίμαχος "forte in battaglia", Θρασύβουλος "ardito consiglio", Πολυκράτης "molto forte", Καλλίδικος "bellamente giusto"), la guerra e gli sport (Νικόμαχος "vincitore in battaglia", "Ιππαρχος e gl'innumerevoli composti con ἵππος "cavallo"), la signoria sul popolo in pace e in guerra ('Αγεσίλαος "guidapopolo", 'Αστυάναξ "signore della città"), e soprattutto l'onore e la gloria (non meno di 250 nomi formati con κλέος); abbastanza numerosi anche i nomi teofori (Θεόδωρος "dono degli dei", più tardi inteso come "dono di Dio", 'Ηρόδοτος "dono di Era", ecc.).

Se prendiamo a esaminare i nomi indiani e iranici, vi troviamo anche più abbondanti i nomi teofori: Devarāja "il dio è re", Devadatta "dato dal dio", Agnidatta "dato da Agni", Viṣṇuputra ["figlio di Viṣṇu", ecc., Hōrmizāfrīd "benedizione di Ahura Mazda", Σπιϑραδάτης, "dato dal Cielo (persiano mod. sipihr)", ecc.

Fra i nomi germanici, predominano decisamente quelli che si riferiscono alla guerra, alla forza, all'ardimento; indicano "guerra, battaglia" i nomi con hild, gund, wig, had (Hildebrand "brando di battaglia", Gundebald "baldo in battaglia", Radagundis "saggia in battaglia"); hari, heri è l'"esercito" (Herbert "splendido nell'esercito, per l'esercito"); gis(al), gêr è lo "spiedo", la "lancia" (Gisalbreht "lancia splendente"), ecc.; si hanno frequenti allusioni alla forza e alla saggezza (Konrad "ardito consiglio", Hugubrecht, Hubert "splendente di pensiero") o ai beni familiari (Haganrich, Heinrich "possessore dei beni cintati", Uodalrich, Ulrich "possessore dei beni ereditarî").

L'onomastica latina ha una fisionomia a sé: sia la formula onomastica, sia i singoli nomi si possono chiarire soltanto mettendoli in relazione con i tipi affini dell'etrusco. Non è lecito dedurre da questa affinità nessuna parentela: solo intensissimi scambî nell'uno e nell'altro senso.

L'uso romano più antico sembra comportasse un solo nome. Varrone citava come esempî Romulus, Remus, Faustulus, ciò che bastò al Mommsen per giudicare sospetta la sua testimonianza, respingendo a tempi preitalici l'uso del nome unico. Vennero invece a confermarla la fibula di Manios e, forse, il vaso di Duenos.

In età repubblicana i liberi si attengono alla formula praenomen + nomen + cognomen (p. es., C. Julius Caesar), talora completata nelle iscrizioni da altri dati (filiazione, tribù, patria, domicilio). Il prenome era il vero nome personale, usato però soltanto da persone di confidenza; era dato al bambino al suo nono giorno e diventava ufficiale solo quando il giovinetto prendeva la toga virile. Nelle iscrizioni il prenome si trova sempre abbreviato, forse per paura del malocchio. Solo 16 o 17 prenomi erano in uso; alcuni altri si trovano molto raramente. Il nome indicava la gente, e terminava quasi costantemente in -ius. Parecchi nomi passarono, specie per via d'adozioni, da una famiglia all'altra. Il cognome si fissa soltanto con l'età sillana; per lungo tempo esso rimase privilegio dei patrizî e poi delle più distinte famiglie plebee (raro è che manchi alla fine della repubblica: p. es., M. Antonius).

Comincia più tardi ad apparire nelle provincie orientali dell'impero l'uso di un nomignolo significativo, alternativo col nome ufficiale, il signum o supernomen. Esso si divulga largamente a spese del gentilizio e del cognome, e vedemmo come a nomi di questo tipo risalga il più antico strato dell'onomastica moderna.

Semiti. - Nei nomi babilonesi posteriori al prevalere dei Semiti si notano tuttavia influenze sumeriche. I nomi dell'età sumerica erano per lo più formati di locuzioni intere, spesso teofore ("Egli ama la Madre [Terra]", "Il mio Re è sorto dall'Oceano"): formule come queste si ritrovano anche nell'età semitica; si hanno affermazioni o invocazioni come nei nomi di Sardanapalo (Ashur-bani-apal "Ashur crea un figlio"), Sennacheribbo (Sin-akhê-eriba "Sin ha accresciuto i fratelli"), Nabucodonosor (Nabûm-kudurri-usur [Nebuchadrezzar] "Nebo, proteggi i confini"). Il tipo Mannu-kima-Shamash "chi è come Shamash?" si ritroverà anche in ebraico. Si hanno anche nomi più semplici, come Nappakhu "Fabbro", Nimrum "Pantera".

I nomi fenici sono anch'essi per lo più teofori: valgano come esempî Annibale "grazia di Baal", Amilcare "vita di Melkart".

I nomi ebraici alludono nella stragrande maggioranza alla divinità, sia con riferimento alla nascita del fanciullo, come Gionata (Yehōnātān, Yonātān "Dio ha dato"), Zaccaria (Zekaryā "Dio si è ricordato"), Raffaele (Refā'ēl "Dio ha guarito"), sia per esaltare qualche qualità divina, come Tobia (Ṭōbīyāh "Dio è buono"), Emanuele ("Dio è con noi"). I nomi di Dio che appaiono più frequentemente sono Jah e El: è stato calcolato che circa un quinto dei nomi ebraici nell'età davidica, e ben due terzi alla fine del sec. VII a. C., contengono l'uno o l'altro di questi nomi. Ma parecchi altri nomi semplicemente si riferiscono a circostanze della nascita (Shabbetāi "sabbatico, nato di sabato") o a caratteristiche fisiche del neonato (Lābān "bianco"). Si è già accennato eome attraverso il cristianesimo numerosi nomi ebraici siano entrati nell'onomastica europea.

Dopo la dispersione, i Giudei continuano ad attenersi all'onomastica antica, ma non esclusivamente: benché la tradizione rabbinica lodasse i figli di Giacobbe di non aver mutato nomi in Egitto, si trova fin dall'età ellenistica chi si chiama Alessandro o Giuliano. Non di rado (dall'antichità fino ai nostri giorni) gli ebrei portano un doppio nome, usato alternativamente: uno dei due scelto nell'onomastica tradizionale, e usato fra i correligionarî, l'altro invece adoperato fra i cristiani. Si hanno fra l'uno e l'altro nome corrispondenze costanti, dovute a traduzione (Baruk = Benedetto) o ad altri motivi (Binjamin = Guglielmo), ecc. Dei cognomi s'è detto sopra.

I nomi aramaici sono tipologicamente molto simili a quelli ebraici. Nel Nuovo Testamento troviamo i nomi aramaici di Mārthā ("signora") di Tabithā ("gazzella"), Tommaso ("gemello"), i quasi-patronimici Barabba (Bar Abbā "figlio del padre") e Barnaba ("figlio di Nebo") e l'epiteto di Cefa (Kephā "pietra") portato da Simone (San Pietro). Nell'onomastica aramaica più tarda (siriaca) come in quella ebraica troviamo in maggioranza nomi teofori, sia riferiti all'individuo (Yaballāha "Dio ha dato"), sia generici (Qāmyeshū‛ "Gesù è risorto"); ma non mancano nomi di altri tipi (Ḥabīb "amato"; Bar Ṣaumā "figlio del digiuno", ecc.).

L'onomastica araba distingue il vero "nome proprio" (ism) da altri elementi: il "nome di parentela" (kunyah), il "nome di relazione" (nisbah), il soprannome (laqab), oltre a varietà minori. Questi elementi ora s'aggiungono all'ism per evitare confusioni, ora arrivano a sostituirlo. L'ism allude a caratteristiche molto varie: troviamo aggettivi ovvero astratti (Kāmil "perfetto", Manṣŭr "reso vittorioso [da Dio]", Muḥammad "lodato", ‛Alī "alto", ecc.; Zaid "accrescimento", ecc.), nomi d'animali, piante, astri, ecc. (Asad "leone", Kalb "cane", Hilāl "luna nuova"); molti sono composti con ‛abd "servo" e Allāh o uno dei suoi epiteti (‛Abd Allāh, ‛Abd ar-Raḥmān "servo del Misericordioso"). Fra le adozioni da altre lingue, predominano i nomi ebraici, specie i nomi di profeti; ma non mancano altri (al-Iskandar da ‛Αλέξανδρος). Nella scelta del nome si manifestano motivi varî, principalmente religiosi. "Se avete cento figli - dice una massima pia - chiamateli tutti Muḥammad". La scelta cade anche volentieri sui nomi dei profeti (Ibrāhīm "Abramo"), degli eroi dell'Islām, di personaggi influenti. La kunyah è talora un patronimico (Ibn Abbās "figlio di ‛Abbās"), talora un matronimico (Ibn al-Ḥanafiyyah "figlio della donna hanafita"), più spesso un tecnonimico (Abū'l-Ḥasan "padre di Hasan", kunyah di ‛Alī). La nisbah è un epiteto d'origine (al-Baghdādī "il Bagdadese"), di mestiere (al-Ghazzālī "il filatore"), di partito (Sunnī "sunnita"). La stessa persona poteva avere più d'una nisbah. Il laqab è preso da qualche qualità (p. es., un difetto fisico: al-aṭraš "il sordo"), rassomiglia cioè ai nostri soprannomi. A partire dal sec. X s'introducono e si diffondono epiteti onorifici (p. es., Ṣalāḥ ad-dīn, cioè Saladino, è veramente un titolo, "integrità della religione", che sostituì Yūsuf b. Ayyūb, cioè ism + kunyah): essi rientrano nella categoria del laqab.

Onomastica dell'Estremo Oriente. - Cina. - Si distinguono nomi individuali e nomi di famiglia; il nome di famiglia (che precede l'altro) si ha fin dal sec. IV a. C. I nomi individuali sono chiaramente intelligibili e perciò dànno spesso immediata ragione della loro scelta. Il vero nome individuale può essere pronunziato e scritto solo dai genitori o dai superiori; dagli altri esso viene, per riguardo, in qualche mod0 alterato. Il "nome di latte", dato al neonato in occasione della festa che si celebra quando compie un mese, indica ora circostanze personali (p. es., l'ordine di nascita: Quinto, Sesto), ora circostanze familiari (Settantadue, al figlio d'un padre di settantadue anni), ora qualità astratte (Pace, Splendore). Talora il nome è spregiativo (Cane, Stupido) per allontanare gli spiriti maligni. Quando il fanciullo va a scuola, il "nome di latte" va cambiato col "nome di scuola". All'età del matrimonio, ovvero a 16 anni, si prende un altro nome, il "nome di matrimonio". Il "nome ufficiale" si assume nel passare un pubblico esame. Nella scelta del nome, spesso si nota che, quand'esso è bisillabo, i nomi dei fratelli hanno una delle sillabe in comune. I nomi personali spesso si ripetono dopo alcune generazioni. Dopo morte, i nomi s'adoperano con particolari riguardi (certi segni, che figuravano in nomi personali d'imperatori, sono stati alterati o sostituiti). Non mancano soprannomi indicanti caratteri peculiari, fisici o morali.

Quanto ai nomi di famiglia, essi sono poco più di duemila in tutto, e fra questi non più di duecento d'uso comune. S'intende perciò che lo stesso "nome di famiglia" sia applicato a persone che non hanno che una parentela remotissima, o forse nessuna. Tuttavia di regola lo stesso nome di famiglia autorizza una certa familiarità, e il matrimonio fra persone con lo stesso nome è vietato.

Giappone. - Anche qui si distinguono nomi individuali e nomi di famiglia; come in Cina, il nome di famiglia precede. L'uso di dare un nome infantile e di mutarlo al quindicesimo anno è stato in uso presso le famiglie di samurai fino all'inizio dell'era attuale. Caratteristiche speciali rimangono ai nomi della famiglia imperiale (la terminazione in hito "benevolenza", p. es. Mutsuhito, Hirohito), mentre la distinzione fra nomi di classi superiori e inferiori è ora sparita. I nomi di maschi sono spesso formati da un numerale seguito da un suffisso, p. es. Saburo "terzo maschio"; per lo più si prefigge un altro carattere, indicante una buona qualità, un oggetto o altro, p. es. toku "virtù": Tokusaburo. Nei nomi di femmine si ha per lo più il prefisso o il suffisso ko: Otsuru o Tsuruko da tsuru "cicogna", ecc. Numerosi nomi occidentali adattati alla grafia cinese e alla pronunzia giapponese sono entrati negli ultimi tempi: p. es., Joji "Giorgio", Samuru "Samuele", ecc.

L'uso dei nomi di famiglia era riservato fino all'era Meiji alle persone di più alto rango (si distinguevano i kabane che sarebbero esistiti fino dall'"età divina" e gli uji); con l'inizio di quell'era tutti furono obbligati a scegliersi un cognome, che fu spesso un nome di località. I cognomi giapponesi attuali si valutano a circa 10.000.

Bibl.: Manca un'opera complessiva; una buona serie di articoli dà la Encyclopedia of Religion and Ethics, IX, s. v. Names; divulgativi: F. Zambaldi, I nomi di persona, in Atti R. Ist. veneto sc. e lett., LXI, II, pp. 247-272; A. Dauzat, Les noms de personnes, Parigi 1924; importanti: R. Hirzel, Der Name: ein Beitrag zu seiner Geschichte im Altertum, in Abh. der phil.-hist. Kl. der sächs. Ges. der Wissensch., XXXVI (1918), 2, e F. Solmsen-E. Fraenkel, Indogerm. Eigennamen als Spiegel der Kulturgesch., Heidelberg 1922. Ampî repertorî si hanno per molte lingue: latino (De Vit), greco (Pape-Benseler), celtico (Holder), germanico (Förstemann), iranico (Justi), illirico (Krahe), ecc.

Sul carattere del nome proprio, v. H. Bertelsen, Føllesnavne og Egennavne, Copenaghen 1911; O. Funke, Zur Definition des Begriffs "Eigennamen", in Festschrift Hoops, Heidelberg 1925; B. Migliorini, Dal nome proprio al nome comune, Ginevra 1927 (capitolo preliminare).

Sul nome proprio presso i popoli primitivi, v. L. Lévy-Bruhl, Les fonctions mentales dans les sociétés infèrieures, parigi 1910, pp. 45-49; W. Schmidt, Die Bedeutung des Namens im Kult und Aberglauben, Darmstadt 1912; J. G. Frazer, The Golden Bouch (ed. minore), Londra 1923, pp. 244-262; V. Larock, Essai sur la valeur sacrée et la valeur sociale des noms de personnes dans les sociétés inférieures, in Revue d'hist. des religions, CI (1930); I. Zoller, Il rito del cambiamento del nome, in Studi e mat. di st. delle religioni, VI (1930).

Sull'onomastica moderna dei paesi romanzi, v. E. Salverte, Essai historique et philosophique sur les noms, Parigi 1824; A. Giry, Manuel de diplomatique, parigi 1894, cap. 2°; H. Duffaut, Recherches hist. sur les prénoms en Languedoc, in Annales du Midi, XI (1900); Ch.-J. Cipriani, Étude sur quelques noms propres d'origine germ. en fr. et en italien, Angers 1901; W. Meyer-Lübke, Roman. Namenstudien, in Sitzungsber. Ak. W. Wien, Ph.-hist. Kl., CIL (1904), 2, e CLXXXIV (1917), 4; A. Trauzzi, Attraverso l'onom. del Medioevo in Italia, I-II, Rocca S. Casciano 1911-1915; E. Lévy, Le manuel des prénoms, Parigi 1922; P. Aebischer, L'anthroponymi wallonne, in Bull. Dict. L. Wall., XIII (1924); id., Essai sur l'onomastisque catalane du IXe au XIIe siècle, in Anuari de l'Oficina Romànica, Barcellona, I (1928); K. Michaëlsson, Études sur les noms de personne français d'après les rôles de taille parisiens, in Uppsala Univers. Arsskrift, 1927, 4; J. Leite de Vasconcellos, Antroponimia portoguesa, Lisbona 1928; A. Bongioanni, Nomi e cognomi, Torino 1928; M. Orlando, Raccorc. di nomi e cognomi, in Italia dial., VIII, pp. 1-54; IX, pp. 65-135. In particolare sui cognomi: L. A. Muratori, De cognominum origine, in Antiq. Ital. Medii Aevi, diss. XLII; G. Grande, Origine de' cognomi gentilizj del Regno di Napoli, Napoli 1756; L. Cibrario, Saggio sull'origine dei cognomi; in Operette varie, Torino 1860, pp. 205-250; G. Flechia, Di alcuni criterî per l'originazione de' cognomi, in Mem. R. Acc. Lincei, Cl. sc. stor. fil., s. 3ª, II (1878), pp. 609-621; A. Gaudenzi, Sulla storia del cognome a Bologna nel sec. XIII, in Bull. Ist. stor. it., XIX (1898), pp. 1-163; J. Godoy, Ensayo... sobre los apellidos castellanos, Madrid 1871; P. Aebischer, Sur l'origine et la formation des noms de famille dans le canton de Fribourg, in Onomastica, Ginevra 1924; D. Olivieri, I cognomi della Venezia Euganea, ivi; G. D. Serra, Per la storia del cognome italiano, in Dacoromania, III, IV; S. Schaerf, I cognomi degli Ebrei d'Italia, Firenze 1925; per i cognomi tedeschi, v. A. Heintze e P. Cascorbi, Deutsche Fam.-Namen, 7ª ed., Halle-Berlino 1933; per gl'inglesi, E. Weekley, Surnames, Londra 1916; L'Estrange Ewen, A History of Surnames in the British Isles, Londra 1931; W. D. Bowman, The Story of Surnames, Londra 1931.

Onomastica indoeuropea. - Nomi greci: A. Fick-F. Bechtel, Die griech. Personennamen, 2ª ed., Gottinga 1894; M. Lambertz, Die griech. Sklavennamen, Vienna 1906-1907; F. Bechtel, Die histor. Personennamen des Griechischen bis zur Kaiserzeit, Halle 1917; id., Namenstudien, Halle 1917; C. Autran, Introduction à l'étude critique du nom propre grec, parigi 1924 segg. - Nomi indiani: A. Hilka, Beitr. zur Kenntnis der indischen Namengebung: Die altind. Personennamen, Breslavia 1910. - Nomi germanici: E. Förstemann, Altdeutsches Namenbuch, I, 2ª ed., Bonn 1900; K. G. Andresen, Die altdeutschen Personennamen, 2ª ed., Magonza 1876; R. F. Arnold, Die deutschen Vornamen, 2ª ed., Vienna 1901; A Socin, Mittelhochdeutsches Namenbuch, Basilea 1903; K. Heinrichs, Studien über die Namengebung im Deutschen, Strasburgo 1908; G. Werle, Die ältesten germ. Personennamen, Strasburgo 1910; H. Naumann, Altnord. Namenstudien, Berlino 1911; M. Schönfeld, Wörterbuch der altgerm. Personen- und Völkernamen, Strasburgo 1910; K. Kessel, Altdeutsche Frauennamen, Bonn 1917; E. Wessén, Nordiska Namnstudier, Upsala 1927; M. Boehler, Die altenglischen Frauennamen, Berlino 1931; M. Gottschald, Deutsche Namenkunde, Monaco 1932; Germanska Namnstudier (miscell.), Upsala 1932. - Nomi slavi: F. Miklosich, Die Bildung der slav. Personennamen, in Denkschr. Akad. Wien, X (1860), rist., Heidelberg 1927; T. Maretić Narodna imena i prezimena, in Rda. LXXXI-LXXXII; G. Weigand, Die bulgar. Rufnamen, in Jahresb. des Inst. f. rum. Sprache, XXVI-XXIX; J. Bystroń, Nazwiska polskie, Leopoli 1929. - Nomi latini: Th. Mommsen, Die röm. Eigennamen der republ. u. augusteischen Zeit, in Römische Forsch., I, Berlino 1864, pp. 1-68; R. Cagnat, Cours d'épigraphie latine, 4ª ed., Parigi 1914, pp. 37-87; W. Schultze, Zur Geschichte lat. Eigennamen, Berlino 1904 (fondamentale per i rapporti etrusco-romani); Chase, The Origin of Roman Praenomina, in Harvard Studies Class. Philol., VIII; A. Oxé, Zur älter. Nomenklatur der röm. Skiaven, in Rh. Museum, LIX; K. Meister, Lat.-griech. Eigennamen, I, Lipsia 1916.

Onomastica semitica. - Nomi assiro-babil.: H. Holma, Die assyrisch-babyl. Personennamen, Helsinki 1914; K. L. Tallqvist, Assyrian Personal Names, Lipsia 1914. - Nomi ebraici: E. Nestle, Die israel. Eigennamen, Haarlem 1876; G. B. Gray, Studies in Hebrew Proper Names, Londra 1896; Th. Nöldeke, Names, in Enc. Biblica, III; F. Ulmer, Die semitischen Eigennamen im Alten Test., Lipsia 1901; M. Noth, Die israel. Personennamen im Rahmen der gemeinsemitischen Namengebung, Stoccarda 1928; per le età più recenti, L. Zunz, Die Namen der Juden, in Gesammelte Schriften, II, Berlino 1875, U. Cassuto, Gli Ebrei a Firenze nell'età del Rinascimento, Firenze 1918, C. Bernheimer, Paleografia ebraica, Firenze 1924, pp. 181-190. - Nomi arabi: G. Gabrieli, Il nome proprio arabo-musulmano, in L. Caetani-G. Gabrieli, Onomasticon Arabicum, I, Roma 1915.

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