PETEANI, Ondina

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PETEANI, Ondina

Elisabetta Lecco
Lauro Rossi

PETEANI, Ondina. – Nacque a Trieste il 24 aprile 1925 da una relazione extraconiugale tra un ufficiale austriaco e Valentina Masini. Riconosciuta dal marito di quest’ultima, Antonio Petean (poi italianizzato in Peteani), agricoltore, che aveva combattuto per l’Impero asburgico nella prima guerra mondiale, crebbe a Vermegliano, frazione di Ronchi dei Legionari, con altri sette fratelli, in un ambiente di modeste condizioni economiche. Ancora giovanissima iniziò a lavorare nei Cantieri riuniti dell’Adriatico (oggi Fincantieri), dove conobbe e prese a frequentare diversi esponenti dell’antifascismo, tra i quali i Fontanot, amici della madre, militanti comunisti rientrati in Italia con l’amnistia del 1935, che molto la influenzarono. Entrò anche in contatto con il gruppo di Eugenio Curiel, a Padova, immergendosi nel contempo nella lettura di saggi e romanzi, tra i quali le opere di Maksim Gorkij, Victor Hugo e Jack London.

Alla fine degli anni Trenta collaborò con l’organizzazione Soccorso rosso che diede supporto a molti antifascisti della zona costretti alla clandestinità. Il suo impegno si intensificò dopo l’aprile 1941, in seguito all’invasione italo-tedesca della Jugoslavia e alla creazione del governatorato di Dalmazia, allorché si assistette a un crescendo di scontri che vide protagonisti gli ustascia di Ante Pavelić (dal 1941 a capo dello Stato indipendente di Croazia sotto il controllo italiano), in particolare contro serbi ed ebrei. Nel luglio 1943 Peteani fu arrestata, insieme a un numeroso gruppo di altri partigiani di Ronchi dei Legionari. A tradire era stata sua sorella Santina che, per questo, fu giustiziata da un commando di partigiani.

Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 gli arrestati furono liberati e costituirono, con molti altri operai dei cantieri di Monfalcone, tra i cui i Fontanot, la Brigata proletaria, cui si unirono anche soldati dell’esercito italiano. Peteani assunse il ruolo di staffetta. Tra l’11 e il 26 settembre la nuova formazione si batté contro le sovrastanti forze tedesche che puntavano su Gorizia. Ne risultò quasi annientata e alcuni superstiti, tra cui Peteani, confluirono nelle Brigate Garibaldi.

Nei mesi successivi, grazie alla sua abilità, riuscì a sottrarsi all’arresto, ma nel febbraio 1944 venne fermata dalle SS e trasferita nel carcere del Coroneo di Trieste. Il 31 maggio lasciò la città con un convoglio di reclusi che trasportò gli uomini a Dachau e le donne ad Auschwitz, dove giunsero il 4 giugno. A Ondina Peteani fu tatuato sul braccio il numero 81672. In ottobre fu spostata prima a Ravensbrück, poi nel sottocampo di Eberswalde, presso Berlino, dove fu addetta a una fabbrica di materiale bellico. Qui, da operaia specializzata, con grande abilità e coraggio, si dette a sabotare o quanto meno a rallentare il ritmo della produzione.

Lasciò Eberswalde il 24 aprile con destinazione Ravensbrück, utilizzata nel corso della marcia come scudo umano dai soldati tedeschi, che intendevano proteggersi dagli attacchi russi e americani. Riuscita a fuggire con alcune compagne, si unì a un gruppo di militari italiani che dettero loro «un po’ di cibo abiti civili» (C. Rossi, Diario, ms. inedito). Erano insieme a lei Livia Portolan, istriana, Luciana Lupi, triestina, e Rosa Boscarol, sua concittadina. Nel luglio successivo, dopo un lungo viaggio attraverso Cecoslovacchia, Ungheria e Jugoslavia, Peteani riuscì a tornare a Ronchi dei Legionari, seppure in condizioni tali che più di uno nel suo paese stentò a riconoscerla.

Nel dopoguerra si stabilì a Trieste, dove svolse la professione di ostetrica. Fortemente impegnata nel Partito comunista italiano e in diverse associazioni femminili, si adoperò molto anche a favore degli ex deportati. Dopo un primo matrimonio con Salvatore De Rosa, si unì nel 1955 a Gian Luigi Brusadin, un operaio e militante comunista di Belluno, con il quale, nel 1962, aprì a Trieste una libreria, presto punto di riferimento di artisti e intellettuali. Con Brusadin adottò il figlio Gianni, cui dette il proprio cognome.

Gli ultimi anni della vita di Peteani furono piuttosto travagliati, sia per la morte del compagno sia per una grave malattia polmonare che la colpì, probabilmente dovuta ai disagi sofferti nei campi di concentramento. In lei riemersero allora, assai acuti, i ricordi delle sofferenze subite dai nazisti, che le procurarono uno stato di forte depressione.

Morì a Trieste il 2 gennaio 2003. Alla sua memoria il figlio ha costituito il Comitato permanente Ondina Peteani prima staffetta partigiana d’Italia.

Fonti e Bibl.: C. Rossi, Diario, ms. inedito conservato presso l’archivio privato della famiglia a Roma; R. Giacuzzo - G. Scotti, Quelli della montagna: storia del Battaglione triestino d’assalto, Rovigno 1972; G. Fogar, Dalla cospirazione antifascista alla Brigata proletaria, Ronchi dei Legionari 1973; Eravamo invece la brigata proletaria, Monfalcone 1973; G. Fogar, L’antifascismo operaio monfalconese fra le due guerre, Milano 1982; G. Padoan, Un’epopea partigiana alla frontiera fra due mondi, Udine 1984; O. P. prima staffetta d’Italia, 2 CD rom, 1993; M. Coslovich, I percorsi della sopravvivenza: storia e memoria della deportazione dall’Adriatisches Kusterlan, Milano 1994; Id., I racconti dal lager: testimonianze di sopravvissuti ai campi di concentramento tedeschi, Milano 1997; A. Di Giannantoni, È bello vivere liberi: O. P.: una vita tra lotta partigiana, deportazione e impegno sociale, Trieste 2007; A. Di Giannantonio - G. Peteani, O. P.: la lotta partigiana, la deportazione ad Auschwitz, Milano 2011.

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