Olimpiadi invernali: Innsbruck 1964

Enciclopedia dello Sport (2004)

Olimpiadi invernali: Innsbruck 1964

Gian Paolo Ormezzano

Numero Olimpiade: IX

Data: 29 gennaio-9 febbraio

Nazioni partecipanti: 36

Numero atleti: 1091 (892 uomini, 199 donne)

Numero atleti italiani: 61 (53 uomini, 8 donne)

Discipline: Biathlon, Bob, Hockey, Pattinaggio, Pattinaggio artistico, Sci alpino, Sci nordico,

Slittino

Numero gare: 34

Ultimo tedoforo: Joseph Rieder

Giuramento olimpico: Paul Aste

Ai Giochi invernali di Innsbruck 1964 crebbe ancora il numero dei partecipanti: 1091 dei quali 199 donne, per 36 paesi. Rispetto all'edizione del 1960 furono assenti Nuova Zelanda e Sudafrica, presenti Belgio, Iran, Iugoslavia, Perù e, per la prima volta, Mongolia. Innsbruck ebbe forti problemi per la mancanza di neve. Le cifre ufficiali misero in risalto l'impegno degli organizzatori per trasportare una notevole quantità di neve da una regione vicina fino alle piste dello sci alpino. La sola discesa maschile richiese 9000 m3 di neve, altri 8650 m3 furono utilizzati per le piste degli slalom maschili e di tutte e tre le prove femminili. Ci vollero 1250 m3 di neve per il trampolino e la zona tutta del salto, 1000 m3 per le piste di fondo. La pista di bob richiese 634 m3 di neve naturale, 400 m3 di neve artificiale e 25.900 blocchi di ghiaccio. La pista per lo slittino, diversa da quella per il bob, si accontentò di 247 m3 di neve naturale, 180 m3 di neve artificiale e 6380 blocchi di ghiaccio. I Giochi dovevano essere l'occasione per uno strepitoso lancio turistico della zona, ma finirono per premiare la città, molto bella e molto accogliente, e invece per penalizzare la pubblicità delle piste, troppo poco innevate. Si trattò comunque di una manifestazione nel complesso ben riuscita, con un'ottima organizzazione, nonostante le difficoltà ambientali.

In Italia quei Giochi sono ricordati principalmente per il gesto del bobista Eugenio Monti, cui fu attribuito il premio fair play per aver fornito un pezzo di ricambio all'equipaggio inglese rivale, consentendogli così la vittoria. Tuttavia nel rapporto ufficiale del CONI sui Giochi invernali di Innsbruck 1964 alla performance extra-gara di Monti furono dedicate appena sei righe come didascalia di una foto di due altri bobisti, Sergio Zardini e Romano Bonagura di Italia 2, secondi nella prova olimpica. Il gesto, quando venne compiuto, non venne ovviamente percepito in tutta la sua importanza simbolica. Va però anche riconosciuto che da Innsbruck sino ai giorni nostri, o almeno sino a quando Eugenio Monti, devastato dal morbo di Parkinson, si sparò un colpo di pistola (morì il giorno successivo, 1° dicembre 2003) ed ebbe biografie dolenti ma precise, l'atleta fu mitizzato come colui che si era privato di una vittoria olimpica sicura per eccesso di sportività e di magnanimità nei confronti di un avversario, l'inglese Antony Nash, uomo guida del bob a due (con Robin Dixon), che giunse primo. All'epoca Monti aveva già 36 anni, era stato più volte campione del mondo, sia nel bob a due sia in quello a quattro, ed era il favorito; ma il campione non ottenne risultati migliori di due terzi posti. Nessuna giustificazione particolare, emozione a parte, ma invece una certa confusione: perché se è vero che Monti è stato un nobilissimo sportivo, non è vero che abbia in pratica offerto la propria vittoria a Nash. Il bobista azzurro in quella prova di bob a due, disputata con Sergio Siorpaes, anche lui cortinese, non arrivò infatti secondo, ma terzo, preceduto da un altro equipaggio italiano, quello di Zardini e Bonagura, che persero per appena 12 centesimi di secondo la medaglia d'oro. Tutto ciò fu semplicemente 'bypassato' nei commenti, nelle considerazioni e nelle valutazioni di quella prova, in cui Monti, semmai, favorì la vittoria dell'equipaggio inglese a spese dell'altro equipaggio italiano. Due bronzi dunque per l'atleta detentore già di titoli mondiali. Il terzo posto nel bob a quattro, dove vinse l'equipaggio di Canada 1, fu conquistato su Italia 2 con Benito Rigoni, Sergio e Gildo Siorpaes. Il bob diede all'Italia complessivamente tre posti sul podio, importanti nel nostro magro bilancio di quell'edizione.

Innsbruck infatti non fu sicuramente un successo per quel che concerne la partecipazione italiana. I 61 atleti che gareggiarono, sui 71 della rappresentativa azzurra, conseguirono in tutto una medaglia d'argento e tre di bronzo, più un quarto e due quinti posti: merito soprattutto di bob e slittino, disciplina introdotta in questa edizione (un bronzo maschile). La delusione più amara fu quella dello sci alpino, dove continuò la difficile gestione del 'dopo Colò', con la presenza di un solo discesista di valore, il cortinese Bruno Alberti, comunque sempre lontano dai grandi successi mondiali o olimpici. Nelle prove alpine maschili nessun italiano arrivò fra i primi dieci (miglior piazzamento l'undicesimo posto di Italo Pedroncelli nello slalom speciale), mentre fra le donne almeno ci furono due noni posti, a opera di Pia Riva, nei due slalom. Promettente l'undicesimo posto di Giustina Demetz nella discesa: dopo Innsbruck, la sciatrice altoatesina mise insieme quella che si può definire una gran bella carriera.

A leggere bene le classifiche del fondo si trova un elemento di novità, che avrebbe dato frutto quattro anni dopo, ai Giochi di Grenoble 1968. La staffetta 4 x 10 km l'Italia di Giuseppe Steiner, Marcello De Dorigo, Giulio De Florian e Franco Nones fu quinta, dietro alle squadre del blocco scandinavo e dell'Unione Sovietica: prima la Svezia, seconda la Finlandia, terza l'URSS, quarta la Norvegia. Lo stesso Nones si era classificato decimo nella 15 km: era il più giovane, gli altri appartenevano alla vecchia generazione pionieristica di fondisti. A De Florian si devono buone affermazioni internazionali, a De Dorigo addirittura un successo proprio sulle nevi preolimpiche davanti a tutto il resto del mondo, prima volta per il fondismo azzurro. De Dorigo era uno straordinario atleta, dalla bradicardia che stupiva i medici (si parlava di 27 battiti del cuore al minuto). La sua carriera fu interrotta da un incidente occorsogli in Svezia nei pressi del centro sportivo di Volodalen, gestito dal grande allenatore di sci nordico e di podismo Gosta Ollander: dopo una seduta di preparazione solitaria protratta troppo a lungo, De Dorigo perse l'orientamento nell'immenso bosco di betulle e restò all'addiaccio per tutta la notte, coperto appena da una tuta di seta; riuscì a non cadere in preda alla stanchezza, al sonno, all'assideramento, che per chiunque altro sarebbe probabilmente stato mortale, e non smise mai di sciare in circolo, ma le dita dei piedi gli si congelarono e dovettero essere amputate.

A Innsbruck il protagonista dello sci nordico fu un severo finlandese il cui cognome, secondo lo scrittore Dino Buzzati, amico e reporter degli sport invernali, evocava quello di un insetto: Mäntyranta (Eero di nome). L'atleta vinse sia la 15 sia la 30 km. Nella maratona sui 50 km si affermò ancora lo svedese Sixten Jernberg, già vincitore a Cortina 1956, fra l'altro decisivo in ultima frazione della staffetta proprio contro Mäntyranta. In tutte le classifiche delle gare individuali vi sono atleti italiani nel gruppo dei secondi dieci: segno di una partecipazione dignitosa, che però nessuno osava interpretare come ipotesi fondata di affermazioni prossime venture. Il mondo scandinavo e quello sovietico sembravano fuori portata, sebbene allenatori svedesi si avvicendassero nella preparazione della squadra italiana. Deve essere sottolineato che di questa squadra facevano parte altoatesini, trentini, cadorini, valdostani e anche alcuni atleti provenienti dalle zone appenniniche, con una collaborazione fra i rappresentanti di tutte le province di montagna: importante in anni in cui lo sci alpino pativa una forte rivalità, all'interno delle varie formazioni azzurre, fra il gruppo altoatesino, di lingua madre tedesca o ladina, e il gruppo occidentale, di lingua madre italiana o, nel caso della Valle d'Aosta, persino francese.

Le gare nordiche vennero completate dal salto speciale, con affermazione di un altro finlandese Veikko Kankkonen, primo nel trampolino da 70 m e secondo, dietro al norvegese Thoralf Engan in quello da 90 m: perché da quei Giochi ai assegnarono nel salto due medaglie d'oro, prediligendo con una i tecnici, con l'altra i volatori. Il biathlon vide il successo quasi scontato di un sovietico, Vladimir Melanin, per via della forte militarizzazione degli sport invernali nell'URSS. La Norvegia si aggiudicò con Tormod Knutsen il titolo della combinata, fondo più salto.

Nelle prove alpine gli austriaci riuscirono a vincere nella difficile e pericolosa discesa, con Egon Zimmermann, e nello slalom speciale con Josef Stiegler, detto 'Pepi'. Ma si profilava una dominazione francese: fra gli uomini con appena un oro, quello di François Bonlieu nello slalom gigante, davanti a Karl Schranz, austriaco che sarebbe diventato grandissimo e che però, per un seguito di circostanze penalizzanti, non sarebbe riuscito mai a vincere l'oro olimpico; fra le donne con le due sorelle alsaziane, dunque un po' germaniche, Christine e Marielle Goitschel, che dominarono gli slalom (Christine prima e Marielle seconda nello speciale, Marielle prima e Christine seconda nel gigante, a pari merito con la statunitense Jean Saubert). Delle due Marielle era la più forte e fece una carriera più brillante. All'Austria rimase l'oro della discesa libera con Christl Haas, seguita dalle connazionali Edith Zimmermann e Traudl Hecher.

Nella classifica generale per medaglie fu prima l'Unione Sovietica con 11 ori, seguita da Austria, Norvegia, Finlandia e Francia, tenuta alta dallo sci alpino. L'Italia fu soltanto dodicesima, fra Gran Bretagna e Corea del Nord (impegnata con una squadra sua, come la Corea del Sud): un argento, quello del bob, e tre bronzi, compreso quello dello slittino biposto con gli altoatesini Walter Aussendorfer e Siegfried Mair. Nella categoria femminile dello slittino l'italiana Erika Prugger si classificò tredicesima, cioè ultima, ma importante - lo si sarebbe avvertito quattro anno dopo - fu smuovere qualcosa anche in quella disciplina.

Come d'abitudine il pattinaggio di velocità, quello artistico e l'hockey ci videro soltanto spettatori o poco più. È abbastanza strano che blocchi completi di sport siano stati ignorati in Italia, pur essendo in genere l'organizzazione del CONI attenta a individuare posti di buona raccolta di medaglie. L'avvento delle gare femminili fra l'altro aveva aperto, nel pattinaggio come altrove, nuovi campi di conquista, ma la carenza quasi assoluta in Italia di impianti per il pattinaggio che non fossero quelli naturali e pertanto sempre precari, perché soggetti alle bizzarrie del clima, impediva un vero sviluppo della disciplina. Una identica situazione nello slittino era stata invece risolta con migrazioni altoatesine nella confinante Austria, grazie alle quali si era avuta una quasi immediata produzione di concorrenti validi e anche di campioni veri e propri.

Il pattinaggio di velocità registrò a Innsbruck 1964 l'avvento di una campionessa prodigiosa, la sovietica Lidiya Skoblikova, dominatrice nei 500, nei 1000, nei 1500 e nei 3000 m, battendo primati e lasciando molto indietro tutte le avversarie, spesso della sua stessa nazionalità. Una coppia sovietica vinse anche il pattinaggio artistico, mentre le prove individuali andarono a un tedesco e a una olandese. Infine l'hockey: di nuovo l'Unione Sovietica, ma stavolta davanti a Svezia e Cecoslovacchia, con soltanto il quarto e il quinto posto per canadesi e statunitensi, sorprendentemente esclusi dal podio.

Sul piano organizzativo Innsbruck ridiede dignità piena ai Giochi invernali, dopo il troppo provvisorio di Squaw Valley 1960. L'edizione successiva, mentre lo sci francese alpino stava crescendo straordinariamente, era annunciata a Grenoble.

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