Olimpiadi estive: Los Angeles 1932

Enciclopedia dello Sport (2004)

Olimpiadi estive: Los Angeles 1932

Elio Trifari

Numero Olimpiade: X

Data: 30 luglio-14 agosto

Nazioni partecipanti: 37

Numero atleti: 1332 (1206 uomini, 126 donne)

Numero atleti italiani: 101 (101 uomini)

Discipline: Atletica, Canottaggio, Ciclismo, Equitazione, Ginnastica, Hockey su prato, Lotta greco-romana, Lotta libera, Nuoto, Pallanuoto, Pentathlon moderno, Pugilato, Scherma, Sollevamento pesi, Tiro, Tuffi, Vela

Numero di gare: 117

Giuramento olimpico: George Calnan

Poco dopo la creazione, nel 1919, della California Fiestas Association, un gruppo che puntava a organizzare festival sportivi e di intrattenimento nell'area di Los Angeles, uno dei direttori, Maximilian F. Ihmsen, suggerì di chiedere al CIO l'organizzazione dell'Olimpiade. L'anno dopo, l'associazione chiuse, ma lo staff aprì la Community development association, che fra le prime iniziative progettò la costruzione di uno stadio nel Parco dell'Esposizione, denominato Los Angeles Memorial Colosseum (poi diventato Coliseum), a ricordo dei caduti del Primo conflitto mondiale. Presidente dell'associazione era il cinquantaquattreenne William May Garland, che assistette nel 1920 ai Giochi di Anversa e presentò alla XIX sessione del CIO la candidatura di Los Angeles per il 1928. L'anno dopo de Coubertin fece approvare la doppia designazione Parigi 1924-Amsterdam 1928, ma Gustavus T. Kirby, presidente del Comitato olimpico statunitense, e il segretario Fredrick W. Rubien illustrarono ugualmente ai membri del CIO il progetto della città californiana, la quale il 12 dicembre 1921 avviò i lavori per lo stadio, che furono completati il 1° maggio 1923, con una spesa di 800.000 dollari.

Nel 1923 alla sessione romana del Comitato Olim- pico Garland, che l'anno precedente era stato cooptato fra i membri del CIO, espose i piani e l'avanzato stadio di costruzione del Coliseum. L'impatto fu così favorevole che la candidatura di Los Angeles nacque spontaneamente, senza avere al momento avversa- rie: l'8 aprile 1923 i Giochi, con 9 anni di anticipo, furono assegnati a Los Angeles. Nel 1927 tuttavia si diffuse il timore che i Giochi potessero essere spostati a Washington, su impulso dei membri statunitensi del CIO, tutti della East Coast, che ritenevano la California immatura per i Giochi sul piano culturale e sportivo. La risposta fu il California Olympiad Bond Act del 1927, una legge che divenne operativa il 6 novembre 1928, garantendo un fondo di un milione di dollari e promuovendo la creazione di un comitato di sei membri, presieduto da Garland, definito Corporazione olimpica. Parallelamente, il 10 febbraio 1928, si costituì il Comitato per i Giochi della X Olimpiade di Los Angeles 1932, la cui presidenza onoraria fu poi affidata al presidente degli Stati Uniti Herbert Hoover e a de Coubertin. Il segretario di quest'ultimo organismo, Zack Farmer, studiò i rapporti di Amsterdam e ospitò per diversi mesi a Los Angeles il membro olandese del CIO George van Rossem.

Il CIO, per coordinare gli sforzi e affrontare il serio problema dei trasporti delle squadre, fece aprire a Losanna un ufficio del Comitato, e nella sessione del 1929, dopo aver respinto il suggerimento di Henri de Baillet-Latour di cancellare le prove femminili, accettò la proposta tedesca di ridurre a 15 giorni la durata dei Giochi, di abbassare la partecipazione alle gare individuali da 4 a 3 per prova, e di cancellare tutti gli sport di squadra, esclusa la pallanuoto. Nel IX congresso olimpico di Berlino fu approvato questo piano, ma l'ultimo punto non passò. Quando si decise la struttura del programma di gare, fu accettata la raccomandazione che alcune discipline disputassero la fase finale nei 15 giorni fissati, ma quali sport di squadra sopravvissero anche il calcio, il rugby, il polo, l'hockey, la pallamano, il basket e la pelota. Dal momento che nel congresso passò una nuova, ancor più restrittiva formulazione della regola sul dilettantismo, il calcio, che aveva aperto il suo primo Mondiale ai professionisti, fu escluso. Degli sport di squadra, alla fine, anche per via delle pessime notizie economiche che arrivavano dagli USA, restò soltanto l'hockey su prato, grazie all'influenza di Frantz-Reichel, ma con solo tre paesi partecipanti.

Si decise anche la costruzione di un villaggio, a Baldwin Hills, strutturato in 500 bungalow, ciascuno con due camere doppie. Le 126 atlete e le loro accompagnatrici sarebbero state invece ospitate in centro, al Chapman's Park Hotel. La capacità prevista del Coliseum fu ampliata da 75.000 a 101.574 posti, con lavori di rifinitura diretti dai fratelli John e Donald Parkinson (John era l'autore del progetto originario), che diedero allo stadio la forma finale della boccia (bowl). La porta orientale in bronzo, in ricordo dei caduti, presentava all'altezza di 32 m un vano con la fiamma olimpica. Fu anche eretta una lapide per incidervi i nomi dei vincitori dei Giochi. Apparve il primo podio per i primi tre classificati e le cerimonie di premiazione furono programmate il giorno dopo la fine di ciascuna gara. Un impianto di illuminazione artificiale consentì la disputa di eventi serali.

Nei pressi del Coliseum, sempre in Figueroa Street, sorse lo stadio del nuoto, con tribune in legno. La State Armory del 160° reggimento di fanteria accolse le gare di scherma. Fra la Diciottesima strada e Grand Avenue un impianto coperto costruito ad hoc ospitò lotta, pesi e boxe. Le altre gare trovarono posto lontano dal centro: il ciclismo al Rose Bowl di Pasadena, capace di 85.000 posti, con pista in legno; la vela nel porto di Los Angeles; il canottaggio a Long Beach, dove la laguna di Alamitos fu allargata di 500 m. A Santa Monica finì l'equitazione, tiro e pentathlon moderno furono ospitati nel poligono della polizia a Elyson Park. Il governo centrale conferì un milione di dollari a Los Angeles, che si era pagata il Coliseum e con gli incassi dei biglietti si raggiunse un discreto attivo, nonostante l'ombra della 'grande depressione' aleggiasse sui Giochi.

Il 29 ottobre 1929, il 'venerdì nero', crollò la borsa di New York. In un solo giorno si registrò la corsa alla vendita per 16 milioni di azioni e il valore dell'intero comparto azionario americano precipitò da 87 a 19 miliardi di dollari, i titoli finirono in caduta libera, perdendo nei tre anni successivi i tre quarti del loro valore. Gli effetti sull'occupazione furono devastanti: un milione e mezzo di posti di lavoro persi in due mesi, in un triennio circa 9 milioni di persone rimasero senza stipendio; gli effetti indotti penalizzarono anche l'agricoltura, con il 75% dei contadini costretti alla fame. I fallimenti a catena delle banche di provincia, impossibilitate a restituire il liquido che gli azionisti terrorizzati cercavano di realizzare, si ripercossero sulle piccole industrie, che chiusero a raffica. Altre banche bloccarono il credito, strozzando ulteriormente la produzione. All'estero vennero tagliati i prestiti in dollari che avevano avviato la ricostruzione postbellica. Diverse banche europee, esposte verso gli USA, dichiararono bancarotta. La situazione diventò disperata: i veterani marciarono sulla Casa Bianca nella primavera del 1932, per chiedere un assegno mensile, l'amministrazione lo concesse, il Senato lo bloccò, i veterani manifestarono, la polizia caricò. Intanto si profilavano le elezioni, con il candidato democratico Franklin Delano Roosevelt favorito. Herbert Hoover, che aveva adottato interventi di protezione sociale e aveva bloccato per un anno i pagamenti all'estero, fu sconfitto. Roosevelt vinse le elezioni il 7 novembre 1932, promettendo il New deal, un piano di rilancio economico globale del paese. I riflessi sul resto del mondo accelerarono la salita al potere di Adolf Hitler in Germania, il rafforzamento della posizione di Benito Mussolini in Italia, mentre la Francia cambiò quattro governi in un anno. La sola Gran Bretagna, la cui banca centrale adottava l'oro per la parità con la sterlina, sembrò restare indenne.

I Giochi traballarono. La gente faceva i conti con gli stipendi che non c'erano, era disposta a commuoversi per il rapimento del figlio dell'eroe nazionale, il trasvolatore dell'Atlantico Charles Lindberg, e a interessarsi all'arresto di Al Capone per reati finanziari, ma era poco propensa a esaltarsi per l'Olimpiade. Garland non si arrese, anche se ogni giorno la California era invasa da profughi degli altri Stati in bancarotta. All'ombra del Coliseum vennero serviti i pasti caldi per i poveri. Hoover ritirò il suo appoggio e annunciò che non avrebbe aperto i Giochi: lo fece il vicepresidente Charles Curtis. Dall'estero, giunse notizia che molti paesi non avevano soldi per mandare le squadre; il segretario Zack Farmer ridusse a due dollari al giorno la pensione completa al villaggio. Intanto il Giappone aveva invaso la Manciuria, territorio cinese, e voleva inviare atleti da questo Stato-fantoccio appena creato, il Manchukuo; il CIO si oppose, ma la Cina decise ugualmente una partecipazione simbolica ai Giochi, un solo atleta nei 200 m.

Un elemento di richiamo che gli organizzatori sfruttarono appieno fu la vicinanza di Hollywood. La Mecca del cinema fu mobilitata per i Giochi, i cui testimonial furono attori famosissimi come Douglas Fairbanks e Mary Pickford, al lavoro già dal 1924 per promuovere l'Olimpiade con spot e interventi pubblici; furono assoldati persino grandi scrittori: nella giuria dei concorsi d'arte, per la letteratura figurò anche Thornton Wilder, che regalò una 'menzione onorevole' a un saggio del presidente dell'AAU (Amateur athletic union), Avery Brundage, sul dilettantismo.

Ma non tutti raggiunsero Los Angeles come avrebbero voluto. I brasiliani si imbarcarono su una nave che trasportava sacchi di caffè, venduti a ogni scalo per pagarsi le spese. All'arrivo, solo 58 avevano un dollaro per pagare la tassa di sbarco, altri 49 restarono a bordo; furono raggiunti dai pallanuotisti che, sconfitti 7-3 dai tedeschi, aggredirono l'arbitro, che era Béla Komjadi, giornalista e commissario tecnico degli ungheresi, finché la polizia non intervenne e i sudamericani furono cancellati dal torneo.

L'atletica introdusse la novità del cronometrggio elettrico finalmente automatico: partenza e arrivo registrati senza intervento umano, con un apparato detto Kirby two-eyed camera, che derivava dal primo sistema di rilevamento dell'arrivo introdotto nell'ippica da una macchina costruita dal fotografo italiano Lorenzo Del Riccio e forniva i tempi al centesimo di secondo. Tuttavia nemmeno la Kirby riuscì a separare all'arrivo dei 100 m Eddie Tolan e Ralph Metcalfe, entrambi accreditati di 10,38″: per decidere l'oro valse il parere dei giudici di linea, che videro Tolan avanti di 2 pollici (5 cm). I tempi erano raccolti dall'ungherese Otto Misangyi, che guidava l'équipe dei cronometristi: purtroppo Misangyi si portò a Budapest tutti i dati, poi distrutti e persi per sempre in un incendio.

Nei 3000 m siepi i giudici sbagliarono il computo dei giri, imponendone a tutti uno in più: 450 m di troppo, che rimescolarono le carte, dal momento che alla campana (sbagliata) di segnalazione dell'ultimo giro era in testa l'americano Joseph Paul McCluskey, che poi vinse il bronzo dietro l'inglese Thomas Evenson, entrambi lontani dal finnico Volmari Iso-Hollo, che concluse indisturbato; i concorrenti erano così stremati da rifiutare la ripetizione della gara. Non andò meglio nei 200 m a Ralph Metcalfe che, per un errore di misurazione del décalage, si ritrovò un metro di handicap rispetto agli altri, e fu solo la tripletta USA a convincere Metcalfe, finito terzo, a non presentare reclamo. Il francese Jules Noël, che nel disco aveva superato i 48 m, si ritrovò derubato del risultato dai giudici che persero ogni traccia del suo lancio: ripeté la prova, ma con 47,78 m rimase al di sotto del risultato che aveva raggiunto e finì fuori dalla zona medaglia, quando probabilmente avrebbe potuto anche vincere l'argento.

Riservarono splendide gare i 400 m e gli 800 m: sul giro di pista lo statunitense Bill Carr si impose in 46,28″, nuovo record del mondo, sul connazionale Ben Eastman; sulla doppia distanza il britannico Thomas Hampson vinse dopo una bella rimonta sul rettilineo finale in 1′49,8″, primato mondiale e primo tempo inferiore a 1′50″.

Fece sensazione l'Irlanda, che, pur presentando soltanto tre atleti, riuscì a centrare due ori, con l'inatteso 51,7″ di Robert Tisdall sui 400 m ostacoli (tempo che non fu primato mondiale causa l'abbattimento di una barriera), e nel lancio del martello con Patrick O'Callaghan; inoltre sfiorò il bronzo nel salto triplo Eamon Fitzgerald, gara ancora vinta da un giapponese.

Ma l'attenzione fu richiamata, soprattutto, da due donne. Delle sei prove femminili del programma atletico, tre gare (il numero massimo di competizioni a cui un partecipante olimpico potesse all'epoca iscriversi) rischiarono di finire a una sola atleta, Mildred Didrikson, figlia di Hanna Marie Olson, provetta sciatrice di fondo ed eccellente pattinatrice norvegese. Nata a Port Arthur nel Texas, il 26 giugno 1914, e cresciuta a Beaumont, Kansas, Didrikson prediligeva il baseball, tanto che in omaggio al grande Ruth venne chiamata 'Babe'. Inoltre era così brava nel basket che il suo principale fondò apposta per lei una squadra aziendale, la Employers Casualty di Dallas: era un pivot e fu tre volte 'All-American'. Ma fu in atletica che ottenne quattro titoli nazionali in diverse specialità fra il 1930 e il 1931: giavellotto e lancio della palla di baseball a Dallas (il suo 90,22 m è ancora miglior prestazione mondiale, oggi che la specialità è caduta in disuso), lungo e 80 m ostacoli a Jersey City.

Era dunque fra le favorite quando il 4 luglio 1932 Evanston, Illinois, ospitò al Dyche Stadium i campionati AAU che valevano anche come Trials olimpici. L'inizio fu complicato: il treno arrivò in ritardo, il taxi rimase imbottigliato nel traffico, le toccò cambiarsi in auto per le gare. Entrò trafelata e si diede subito da fare: l'Illinois AC aveva iscritto 22 ragazze, ma totalizzò solo 22 punti nella classifica a squadre; Babe da sola ne ottenne 30. In due ore e mezzo affrontò 8 gare su 10, rinunciando soltanto a 50 e 220 yards. Eliminata in semifinale nei 100 m, fu quarta nel disco a pochi centimetri da Lillian Copeland che poi vinse l'oro ai Giochi, prevalse in lancio del peso, del giavellotto, della palla da baseball, nel lungo e negli 80 m ostacoli. Nell'alto fu prima ex aequo, a 1,607 m, con Jean Shiley di Meadowbrook. Quelle gare la fecero diventare la donna simbolo dell'atletica USA.

Ai Giochi si iscrisse nel lancio del giavellotto, negli 80 m ostacoli e nel salto in alto. Si partì con il giavellotto. Al primo lancio, Babe si procurò una lesione alla cartilagine della spalla, il che non le impedì di migliorare il record olimpico e di prevalere sulle due favorite tedesche. Anche gli 80 m ostacoli ebbero, in finale, un avvio sofferto: Babe incappò in una falsa partenza, al nuovo segnale si mosse con cautela e a metà gara aveva un metro di ritardo da Evelyne Hall, di Chicago, appaiata alla sudafricana Marjorie Clark. Allora Babe, in prima corsia, cambiò marcia e vinse in 11,7″. Hall finì a spalla, Clark a un metro. Nel salto in alto, che la vide impegnata in un lungo duello con Shiley, entrambe superarono 1,65 m, migliorando di 3 cm il record del mondo; il salto-spareggio fu fissato a quota 1,675 m, una misura che serviva solo per decidere sull'assegnazione dell'oro. Passò prima Shiley, poi Didrikson, ma un giudice la squalificò per tuffo irregolare: aveva superato l'asticella con il capo più avanti dei piedi, cosa che la norma di allora vietava. Didrikson non riuscì a ripetersi e dovette accontentarsi dell'argento: per quanto la regola fosse discutibile, era effettivamente stata violata, come dimostrò anche il filmato della gara.

Da allora smise con l'atletica leggera, diventò professionista, girò spot; per il suo status fu messa fuori anche dai tornei di tennis, quando aveva già ottenuto il nullaosta per i campionati nazionali. Si consolò con nuoto e tuffi, equitazione e tiro, canottaggio e calcio, hockey e polo, baseball (fu l'unica donna nella sua squadra) e biliardo, poi si diede con determinazione al golf. Dal 1934 in avanti, vinse 17 tornei, tre volte l'US Open. Le faceva da manager il marito, un professionista di catch, George Zaharias, detto 'il greco piangente' per le urla che lanciava sul ring e la sua discendenza. I due non ebbero figli; sulla femminilità di Babe, che fumava sigari e beveva whisky, si scrissero fiumi di parole, ma la coppia restò unita, fino alla morte di Babe che avvenne nel 1956 per un tumore. Nel 1984 sul francobollo commemorativo emesso per lei dalle Poste statunitensi, non c'è scritto Mildred Didrikson, ma Babe Zaharias, il nome che l'aveva resa famosa come golfista e che compare anche sulla sua tomba a Beaumont.

Se sulla Didrikson era aperto il dibattito, molti erano invece disposti a giurare sulla mascolinità di un'altra protagonista dell'atletica a Los Angeles, la polacca Stella Walsh: una disputa durata quasi 60 anni finché, il 4 dicembre 1980, durante una rapina in un supermercato di Cleveland, l'atleta fu uccisa da una pallottola vagante e l'autopsia appurò che presentava una rara anomalia, detta mosaicismo, che causa la presenza di caratteri sessuali di entrambi i generi. Stanislawa Walasiewicz era nata a Rypin, in Polonia, nel 1911, in un villaggio a 150 km da Varsavia. La famiglia emigrò a Cleveland, dove 'Stasia' crebbe. Iscritta al sokol polacco, nel 1928 realizzò un 6″ sulle 50 yards che le procurò un invito a gareggiare per la Polonia. I polacchi le offrirono una borsa di studio all'Istituto di educazione fisica di Varsavia: per 11 anni Stella visse d'estate come Walasiewicz in Polonia, d'inverno come Walsh negli Stati Uniti. La sua fu una straordinaria carriera di velocista e lanciatrice: alta, molto veloce, ottenne un totale di 57 titoli in due paesi (41 negli USA), e all'atletica aggiunse golf, baseball, tennis, basket, ma anche ciclismo, pattinaggio, sci di fondo, hockey, tiro, nuoto e canottaggio. Quando nel 1930 fu la prima donna a correre le 100 yards in meno di 11″, gli americani cercarono di naturalizzarla, offrendole un lavoro al Comune di Cleveland, visto che aveva perso il suo alla Central Station di New York. Ma il fatto che fosse retribuita come funzionaria del dipartimento ricreazione di Cleveland e che quindi traesse soldi dallo sport, la rese passibile di squalifica negli USA. Per questo, 24 ore prima dell'inizio dei Giochi di Los Angeles, Stella ritirò la sua richiesta di naturalizzazione e accettò un impiego al consolato polacco di New York. A Los Angeles gareggiò quindi per la Polonia: vinse i 100 m in 11,9″ e fu anche sesta nel disco. Quattro anni dopo, si arrese a Helen Stephens, ottenendo l'argento, e in carriera guadagnò anche due ori ai Giochi Mondiali, due ori e due argenti agli Europei, e quasi tre dozzine di migliori prestazioni mondiali. Tra i suoi risultati anche il 23,6″ sui 200 m che durò come record ben 17 anni. Sposatasi nel 1947 con Harry Olson, divenne finalmente cittadina USA, ma non poté gareggiare per gli Stati Uniti ai Giochi, avendo già disputato due edizioni per i polacchi. Sfiorò comunque, quando la norma cambiò, la qualificazione per Melbourne 1956 a 45 anni, continuò fino a 53, quando in Polonia si arrese, battuta da una quindicenne.

L'Italia fu protagonista in questa Olimpiade: mai più sarebbe stata seconda nel medagliere (qui dietro gli USA) e mai più, a parte Roma 1960, avrebbe vinto così tante medaglie (36, fra cui 12 ori). La spedizione italiana era composta da 101 atleti, quasi un terzo dei quali andò sul podio. Erano partiti sul Conte Biancamano da Napoli, dopo dieci giorni erano stati accolti dal sindaco di New York, Fiorello La Guardia, dopo quattro notti di treno erano arrivati a Los Angeles su un convoglio che si era fermato quasi a ogni stazione per ricevere il saluto degli emigrati italiani. Portabandiera era Ugo Frigerio, ancora capace di ottenere un bronzo nella 50 km di marcia, otto anni dopo l'ultimo oro di Parigi. L'atletica offrì anche un bronzo nella staffetta 4 x 100 m, con Ruggero Maregatti, Giuseppe Castelli, Gabriele Salviati ed Edgardo Toetti: alle spalle di USA e Germania lo spunto di Toetti salvò il terzo posto da una muta di inseguitori.

Fra i 31 dell'atletica spiccò Luigi Beccali, da tutti detto 'Nini'. Il 4 agosto 11 atleti partirono per la finale dei 1500 m, mancava solo il francese Jules Ladoumègue, in tribuna, primatista mondiale sul miglio in 4′09,2″, escluso in marzo per professionismo. Beccali vi giunse dopo aver preceduto nettamente in batteria, il giorno prima, il finnico Eino Purje, che non concluse la gara. Dopo una falsa partenza di Beccali, partì velocissimo lo svedese Eric Ny, che dovette però cedere il passo all'americano Glenn Cunningham e al nero canadese Philip Edwards. Beccali si tenne dietro, incollato al finlandese Harry Larva, oro nel 1928, che poi finì decimo. Uno scatto dell'inglese John Cornes alla campana scosse Nini, che era a 20 metri dai leader della corsa: Beccali rispose ed entrambi andarono a prendere i due battistrada, mentre Edwards all'imbocco dell'ultima curva scavalcava Cunningham, in crisi. A metà curva Beccali all'esterno affiancò Cornes, lo superò, sullo slancio passò avanti anche a Cunningham e andò all'assalto di Edwards, trascinandosi Cornes, che però gli finì dietro, molto staccato. Fu il nuovo record olimpico per l'italiano: 3′51,2″; Cornes era a quasi un secondo e mezzo, gli ultimi 300 m furono percorsi in 41″. Beccali corse ad abbracciare Dino Nai, il suo tecnico, che balzò in pista.

Nai era un professore di veterinaria a New York; sette anni prima aveva letto sul bollettino della Pro Patria, di cui era vicepresidente, che il socio Beccali aveva migliorato il record di club dei 100 m. Gli scrisse congratulandosi e Beccali rispose sorpreso: un errore di stampa, i metri erano 1000. Aveva sbagliato la tipografia, dove lavorava Ugo Frigerio. All'epoca, Beccali non aveva ancora 18 anni, essendo nato il 19 novembre 1907 a Milano, quartiere di Porta Nuova, quarto figlio di un impiegato delle ferrovie. Giocava con gli amici in una piazzetta nei pressi della sede della Pro Patria, sognava di entrare nel club. Quando debuttò, il 2 luglio 1921, in una gara organizzata da Ferdinando Altimani, fu spintonato dagli altri, cadde e si ritirò; ma il 22 ottobre dell'anno dopo finì il Giro di Milano, 12 km, con le scarpette nuove donategli dal fratello, al trentaduesimo posto. Studiava da perito edile, gli piacevano pittura e violino, ma trovò lavoro come disegnatore e guadagnava abbastanza per comprarsi una bicicletta. Due gare, due cadute, e la madre lo iscrisse alla Pro Patria: meglio che corresse a piedi. Era il 1924: la prima vittoria da allievo avvenne il 19 luglio 1925 sui 3500 m. Il bollettino della Pro Patria riportò correttamente la notizia e Beccali passò sotto le cure di Nai, tornato dagli USA. Nai gli vietò le corse su strada, gli impose allenamenti quotidiani, gli allungò il passo. Arrivarono due titoli italiani già nel 1926, sugli 800 m e sui 1500 m. In azzurro l'inverno successivo per una campestre, ad agosto fu a Budapest dove si arrese a un altro italiano, Giovanni Garaventa, futuro primatista nazionale dei 1500 m. Ma il 10 giugno 1928 era pronto per un battesimo speciale, il confronto con il grande francese Ladoumègue, che Nini riuscì a seguire fino ai 400 m conclusivi e ne trasse il record italiano dei 1500 m, il primo, in 3′59,6″. Qualcosa si inceppò nella sua macchina: prima di Amsterdam fu mandato con Luigi Facelli in collina, entrambi sorvegliati dai carabinieri perché non andassero in superallenamento. Il risultato fu per Beccali l'eliminazione nella prima batteria, la più lenta, con il quarto posto. Un mese dopo, quasi batté il primatista del mondo dei 1500 m, Otto Peltzer, a Budapest. Nini ripartì, migliorò lentamente ma costantemente, nel 1930 scese a 3′57,2″, due anni dopo limò il suo record di 5″ e fu pronto per i Giochi di Los Angeles.

Dopo il trionfo al Coliseum, rifiutò le offerte di tournée negli USA e tornò a fare il geometra al Comune di Milano. L'anno dopo nei Giochi mondiali studenteschi di Torino fu autore di un sensazionale duello con il neozelandese Jack Lovelock, studente di Oxford, e uguagliò in 3′49,2″ il primato mondiale di Ladoumègue. Otto giorni dopo, all'Arena, contro gli inglesi, migliorò di due decimi il suo fresco primato globale. Nel 1934, l'anno in cui l'americano William Bonthron gli tolse il mondiale, Beccali conquistò a Torino, la sua pista magica, il titolo europeo dei 1500 m. L'anno dopo se la prese comoda, puntò ai Giochi di Berlino 1936, dove però non ci fu Nai ad assisterlo, ma il tecnico americano Boyd Comstock, commissario tecnico azzurro, con il quale Beccali non andava altrettanto d'accordo. Comstock pretendeva che il ventinovenne Nini facesse due allenamenti al giorno, 15 ripetute sui 300 per seduta, un menu troppo ricco. Beccali vantava un 3′50,6″ quando partì per la finale, dopo una facile batteria. C'erano ancora Cornes ed Edwards, Cunningham e Ny, ma soprattutto c'era Lovelock, che qui rinunciò ai 5000 m, cui pure era iscritto. Faceva freddo e calava la sera, il tedesco Friedrich Schaumburg alzò il ritmo iniziale, a due giri dalla fine Nini era quinto, ancora in buona posizione, ma un giro dopo, ai 300 m finali, quando Lovelock partì per la volata, Beccali, che era dietro Cunningham, non riuscì a rispondere, e capì di non potercela fare a vincere. Desistette anche dall'attaccare Cunningham e si accontentò del bronzo. Accusò poi una chiodata, ma non fu quello il motivo della sconfitta. Due anni dopo fu ancora campione europeo, ma nell'autunno lasciò l'Italia e si trasferì negli USA dove sposò Aida Marozzi, avviò un commercio di vini, fu riinviato in Italia nel periodo del 'maccartismo', nel 1953, ma poi ripartì per New York a curare la sua azienda, insieme con il figlio Gene. Morì a 83 anni.

L'impresa di Beccali a Los Angeles illuminò l'intera spedizione azzurra, che colse allori dappertutto, in ginnastica e scherma, canottaggio e ciclismo, ma non solo. La squadra di ginnastica era guidata a quattro mani da Mario Corrias e Alberto Braglia: sette uomini capaci di collezionare quattro ori, un argento e due bronzi. Su tutti spiccò il riminese Romeo Neri, 29 anni, che veniva dal nuoto ma aveva fatto anche il pesista e il pugile, ginnasta con la Libertas Rimini. Ad Amsterdam aveva raccolto l'unico argento maschile della spedizione, a Los Angeles, reduce come gli altri da un durissimo collegiale di 17 giorni, conquistò il titolo individuale, oltre all'oro nelle parallele; inoltre guidò la squadra al terzo oro, assieme a Oreste Capuzzo, al genovese Mario Lertora (che ebbe un bronzo nel corpo libero) e alla sorpresa dei Giochi, Savino Guglielmetti. Milanese, non ancora ventenne, scampato da ragazzo all'investimento di un taxi (si appiattì sotto l'auto) e a una caduta dal quarto piano di un palazzo, attutita dai fili del telefono, alla scuola di violino preferì il salto con l'asta nella palestra Sempione con il maestro Cucchetti. Alla Pro Patria, Corrias avrebbe voluto lanciarlo già per i Giochi di Amsterdam, ma Savino era troppo giovane per le selezioni; quattro anni dopo era in squadra. Un volo d'angelo teso e una capovolta a braccia tese furono le evoluzioni che gli garantirono l'oro nel volteggio al cavallo, doppiato da quello di squadra. Savino fu quinto nell'individuale, un ginnasta completo; a Berlino, fu quinto a squadre e diciottesimo nell'individuale, e a Londra, a 37 anni, ancora quinto con la squadra e undicesimo alle parallele. A lungo nei quadri tecnici federali, restò nello sport fino a diventare vicepresidente della Pro Patria.

"Ho vinto. Giancarlo": con questo asciutto telegramma, Giancarlo Cornaggia Medici annunciò al padre l'oro nella spada. Era di nobile famiglia milanese, aveva vinto nel 1928, e rivinse nel 1936, il titolo a squadre. Nel 1932 fu argento con i compagni, dopo il successo individuale. Un oro e due argenti andarono a Gustavo Marzi, trionfatore nel fioretto individuale e argento sia nel fioretto sia nella sciabola a squadre, dietro alla formazione ungherese nella quale c'erano ancora allievi di Santelli, come Attila Petschauer, due ori e un argento in carriera, che ebbe una fine tristissima: in un campo di concentramento tedesco a Davidovka, in Ucraina, fu riconosciuto da Kalman Cseh, un ex compagno di squadra che aveva gareggiato nell'equitazione ad Amsterdam 1928; questi improvvidamente lo indicò ai carcerieri come un olimpionico e le guardie per schernirlo lo fecero spogliare, in un inverno freddissimo, gli fecero scalare un albero, poi lo cosparsero di acqua gelata; Petschauer morì di assideramento poche ore dopo.

Il ciclismo fu un altro punto fermo per gli italiani: quarto successo di fila per l'inseguimento, doppietta su strada, l'oro a squadre nella 100 km a cronometro associato alla vittoria individuale del piacentino Attilio Pavesi, ripescato per questa gara dopo aver fallito la selezione per la gara in linea. Pavesi, circondato da due ali di folla lungo la spiaggia di Malibu, sulla famosa Mulholland Drive, precedette Guglielmo Segato, mentre fu quarto Giuseppe Olmo, che da professionista ottenne al Vigorelli il record dell'ora, vinse 19 tappe del Giro d'Italia e due Milano-Sanremo, costruendo poi apprezzate biciclette. Pavesi ebbe meno fortuna, nel 1937 a 27 anni emigrò in Argentina e lì condusse una vita tranquilla e rivaleggiò in longevità con Savino Guglielmetti, arrivando ben oltre i 90 anni.

A Long Beach ci fu entusiasmo, non solo italiano, per la finale dell'otto di canottaggio: gli USA erano quasi professionisti, lottare testa a testa con loro fu già un successo. Già il 4 con si era impegnato in un aspro duello con i tedeschi, in finale, concluso con un argento, a soli due decimi dai vincitori. Ma nell'otto i livornesi della Canottieri erano decisi a tutto contro l'Università della California di San Francisco, dopo aver battuto anche Cambridge. C'era anche uno dei due Vestrini beffati ad Amsterdam, Roberto, in quella che il New York Times definì la più bella sfida del canottaggio USA. Capovoga Vittorio Cioni, primo in barca anche nell'Europeo 1929 - che faceva anche da Mondiale ufficioso - vinto dagli stessi livornesi, secondi nel 1930 e nel 1931. Ultimi all'avvio, gli italiani esibirono un serrate straordinario che li portò a superare inglesi e canadesi, e li proiettò sull'armo americano. Prima del verdetto finale, che assegnò all'Italia l'argento, la giuria restò a lungo riunita.

Indiscussa fu, invece, la superiorità di Remo Morigi, nella pistola automatica 25 m. Morigi, segretario federale di Ravenna, fu implacabile sui primi 18 bersagli da centrare in otto secondi, impeccabile nella seconda serie da sei, continuò imperterrito nelle altre quattro serie, alla fine fu l'unico a centrare tutti i bersagli. Al bronzo arrivò Domenico Matteucci. Molte contee offrirono al pistolero italiano un posto da sceriffo, ma Morigi rifiutò. Un oro venne anche dalla lotta greco-romana: nonostante un'incrinatura alla costola procuratasi in allenamento sulla Conte Biancamano, il trentenne milanese Giovanni Gozzi, già terzo ad Amsterdam, nei pesi piuma inchiodò tre dei suoi avversari, e anche se il tedesco Wolfgang Ehrl aveva vinto tutti gli incontri, ottenne meno penalità del rivale che aveva sempre prevalso ai punti.

Nel medagliere finale ci fu un considerevole distacco fra USA (41 ori) e Italia (seconda con 12). Ma gli americani ebbero i loro problemi: nel nuoto scoppiarono polemiche furibonde per la quasi totale affermazione dei giapponesi in campo maschile, mitigata dal solo oro di Clarence 'Buster' Crabbe, altro futuro Tarzan, nei 400 m stile libero. Il sipario su Los Angeles calò il 14 agosto, con due gare di equitazione.

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