SCOLA, Ognibene

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 91 (2018)

SCOLA, Ognibene (Omnibonus Panagathus). – Nacque da Margherita del fu Giovanni dalle Donne e da Boniacobo di Ognibene, lanaiolo mantovano trasferitosi a Padova nell’ultimo quarto del Trecento. La documentazione attesta che Boniacobo acquistò terreni a Padova già nel 1379, ma non è dato sapere luogo e tempo preciso della nascita di Ognibene, comunemente collocata tra il 1370 e il 1375 (nel 1399 non aveva più di 25 anni poiché all’atto nuziale dovette presenziare il padre)

Paolo Pellegrini

Ebbe due fratelli, di nome Marco e Nicolò; quest’ultimo dovette morire in gioventù poiché non viene più menzionato nei successivi documenti d’archivio.

Fin dalla sua prima venuta a Padova la famiglia dello Scola abitò in contrada S. Bartolomeo, in una casa adiacente alla Zecca. Il padre, molto ricco, investì costantemente nell’acquisto di terreni; partecipò all’amministrazione pubblica affittando da Francesco il Vecchio da Carrara la gastaldia di Camponogara. Sempre stando alla documentazione d’archivio, Boniacobo morì tra il settembre del 1402 e il febbraio del 1403.

A Padova Scola frequentò lo Studio addottorandosi in arte il 26 febbraio 1391 e in diritto nel 1397 (la licentia è del 10 settembre, ma non è nota la data della laurea). In quel torno di tempo (1398) si colloca l’amicizia con Pier Paolo Vergerio il Vecchio, testimoniata da una terna di lettere che l’umanista istriano gli inviò da Roma accompagnandole con un paio di sonetti in volgare. In quegli anni insegnava a Padova anche Giovanni Conversini, ma non vi sono prove che i due si siano incontrati o conosciuti.

I buoni rapporti avviati da Boniacobo con i Carraresi proseguirono anche con Ognibene, che il 10 maggio 1399 venne nominato procuratore di Francesco Novello con l’incarico di tenere al fonte battesimale Lodovico Alidosi, figlio del signore di Imola. Quello stesso giorno Scola portò a termine per il Carrarese un’altra e ben più delicata missione, ossia l’accettazione di un «compromissum» tra Obizzone e Aldrevandino da Polenta da un lato e Giovanni da Barbiano conte di Cunio e i suoi consorti dall’altra. Presto i rapporti si rinsaldarono ulteriormente: nel mese di luglio Scola prese in moglie la figlia naturale di Francesco Novello, Agnese, e ne ricevette in dote alcuni terreni e boschi. Una lettera di Michele da Rabatta a Pier Paolo Vergerio rivela che, a partire dall’aprile 1400, Scola entrò stabilmente (qualche traccia al riguardo c’è sin dal 1399) nel novero dei consiglieri del Carrarese; in un documento del maggio 1400 Francesco Novello lo dice «consiliarius suus dilectus». Il 14 dello stesso mese figura ancora come suo procuratore per tenere a battesimo il figlio di Guglielmo della Scala.

Da questo momento in poi gli incarichi dello Scola si succedono senza sosta. Nel 1401 venne inviato a Norimberga in missione con Francesco Buzzacarini presso Roberto re di Germania ed elettore del Palatinato. Nel 1402 passò a Milano assieme con Enrico Galli per trattare, come procuratore, la pace tra i Carraresi e Caterina Visconti, vedova di Gian Galeazzo. Poco dopo si imbarcò su una galea della Repubblica veneta: la missione era diretta a Camerino per condurre a Padova Belfiore, figlia di Gentile signore di Camerino e sposa di Giacomo da Carrara. Nel giugno di quell’anno era ancora in viaggio, questa volta a Bologna, al seguito di Francesco III e Giacomo figli di Francesco Novello, accorso con le sue truppe in aiuto a Giovanni Bentivoglio contro il Visconti. Fatto prigioniero con Francesco III nella battaglia di Casalecchio del 26 giugno, Scola riacquistò la libertà pagando al condottiero Facino Cane un salatissimo riscatto: mille ducati e una pezza di tessuto cremisino del valore di novantanove ducati, per i quali dovette chiedere un prestito al mercante padovano Francesco di Martino da Lucca. A ottobre era di nuovo in servizio per negoziare la pace tra Milano e Padova.

Nel febbraio del 1404 Scola si trovava certamente a Firenze come ambasciatore del Carrarese: lo certifica una lettera dei Dieci di Balìa ai due ambasciatori fiorentini a Padova. A Firenze ebbe modo di conoscere personalmente Leonardo Bruni, Antono Corbinelli, Coluccio Salutati al quale recò un codice del De ingenuis moribus di Vergerio. Salutati ne ricorda la venuta in una lettera con lo stesso Vergerio: «Hesterno vesperi, in insignis, venit ad me spectabilis et egregius legum doctor d. Ognibene presentavitque libellum tuum quem ad Ubertinum de Carraria, sumpto titulo De ingenuis moribus et liberalibus adolescentum studiis, edere curasti». La lettera reca la data del 4 marzo che Francesco Novati assegna all’anno 1405 (Epistolario di Coluccio Salutati, 1905, pp. 78-82) ma Roberto Cessi (1909, pp. 104 s.) crede, a ragione, dell’anno precedente.

La permanenza fiorentina di Scola fu di breve durata. Tra marzo e aprile del 1404 si assiste a una svolta nella sua carriera politica: abbandonò il servizio dei Carraresi per schierarsi decisamente con la Repubblica e con gli Scaligeri di Verona, dove si recò diventando subito «uno degli amigissimi striti di signori misser Brunoro e Antonio dala Scalla» (Cessi, 1908, p. 227). Nel maggio di quell’anno passò con Antonio Maffei e Nicolò Malerbi a Venezia per ottenere dalla Repubblica sostegno per «metere fuora di Verona le giente del signor de Padoa». La cosa si riseppe e il Carrarese gettò Scola «in destreta» (p. 227). La prigionia è testimoniata anche da una lettera indirizzatagli da Leonardo Bruni nella quale si fa chiaro riferimento alla ferocia del Carrarese.

Dopo la vittoria di Venezia su Padova, Scola venne designato con Francesco Zabarella tra i deputati a firmare l’atto di dedizione il 3 gennaio 1406: alla cerimonia assistette anche Manuele Crisolora e si può ipotizzare che Scola lo abbia conosciuto in questa occasione. Le virtù e i benefici della Repubblica vincitrice Scola esaltò poco dopo in un’orazione del 30 aprile in lode di Antonio Peretreo, appena nominato generale dei Minori. Nel 1407 andò podestà nella natia Mantova. A Padova era ancora presente nel 1408 e nel 1409.

Le cose in quel periodo cominciarono a volgere al peggio sul piano patrimoniale: l’8 gennaio 1409 Scola si accordava con il fratello Marco per procedere alla divisione dei beni paterni, con il risultato però di aggravare ulteriormente la propria situazione debitoria. Non mancarono liti nemmeno sul fronte matrimoniale, in questo caso con i parenti di Giusta, figlia del veronese Giustiniano Faella, che Scola aveva sposato in seconde nozze e per le quali chiedeva l’intercessione dell’amico veronese Gian Nicola Salerni (lettera del 5 novembre 1409). Del 1409 è una disillusa lettera all’amico Almerico da Serravalle, nella quale Scola si scusava per non essere riuscito a farlo nominare professore di fisica nello Studio padovano.

In quegli anni nello Studio si affermò una figura di primo piano come Gasparino Barzizza, la cui ascesa pare coincidere con il graduale declino del prestigio di Scola. È circostanza singolare che fra i due non siano documentati rapporti di alcun genere se si eccettua la menzione contenuta in una lettera a Francesco Barbaro (13 aprile 1412), nella quale Scola prende ironicamente di mira un «peregrinum quendam [...] qui cum mirabiliter instructus sit, mirabiliter instruit». Secondo Cessi (1909, pp. 110 s., 134) potrebbe trattarsi proprio del Barzizza, ipotesi che troverebbe conferma in alcuni passaggi di una lettera del codice Marc. lat. XI.21 (cc. 38v-39r) inviata da «Gasparinus pergamensis» a «Omnibono dela Schola», da Siena, il 27 novembre di un anno che egli individuava nel 1414 («scire tamen abs te velim si facilitatem illam tuam et humanitatem pristinam observas, an, posteaquam te non vidi, durior factus sis; nam si mitis es, audebo, si inexorabilis, me contraham»). Come ha provato Francesco Paolo Luiso però (1980, p. 39), la lettera non è di Barzizza ma di Bruni e data al 1407, e con questo cade l’unico documento che legava direttamente i due umanisti.

L’amicizia con Bruni Scola la rievocò in una lettera a Lorenzo Falier del 1409, e dalla sua corrispondenza si apprende che Bruni era solito inviargli copie delle proprie opere che egli condivideva con gli amici: oltre alle epistole, le traduzioni dal greco (forse le Vitae di Plutarco), il Dialogo a Vergerio, l’orazione funebre per il giovane patrizio fiorentino Ottone, nipote del cardinale Acciaiuoli. Proprio questa relazione con Bruni, allora in Curia come segretario apostolico, è forse alla base di un lasciapassare concessogli il 19 luglio 1410 da papa Giovanni XXIII.

Il difficile rapporto con l’ambiente dello Studio, unito all’insicurezza determinata dalle incursioni degli ungari (1411 e 1412), indussero Scola a riparare a Verona. Da qui scrisse una lettera sfiduciata a Giovanni Astronomo (13 settembre 1411) confessandogli di essere costretto a vivere nell’ozio, senza esercitare «nullum publicum exercicium». Il tempo libero lo stimolava forse a riprendere in mano gli studi letterari: al 1412 infatti dovrebbe risalire una lettera a Giovanni Molin in cui chiedeva la restituzione del suo codice di Cicerone («illud Ciceronis meum»).

La lontananza dall’attività politica fu però di breve durata. Tra la fine di aprile e i primi di maggio 1412 Scola si portò nuovamente a Padova: proprio in quel momento veniva scoperta a Verona una congiura antiveneziana. Qualche traccia sul possibile ruolo di Scola si può forse ricavare da una prima lettera spedita al veronese Giovanni Nogarola e da una seconda indirizzata a Paolo Maffei, nella quale fa sapere che le lettere inviate a Nogarola erano state trattenute dal podestà veneziano di Verona Gabriele Emo. Il 29 dicembre 1312 il Consiglio dei dieci ordinava l’esecuzione di Nogarola, decapitato a Venezia il 1° gennaio 1413, il che pare confermare un qualche coinvolgimento anche da parte di Scola.

Fu molto probabilmente in conseguenza di ciò che egli passò poco dopo a Milano, trovando ospitalità presso Estorre di Bernabò e Giovanni di Carlo Visconti. La caduta in disgrazia dei suoi patroni a seguito dell’effimera rivolta milanese del mese di maggio lo sorprese a Cremona dove si era recato probabilmente in missione per conto dei Visconti e dove venne ospitato dal signore della città Cabrino Fondulo.

Un rapido resoconto di queste vicende è affidato a una lettera spedita proprio da Cremona al veronese Ludovico Cattaneo il 26 luglio 1412. Di Fondulo Scola divenne presto «consiliarius»; come tale è registrato in due documenti del 24 marzo e del 3 aprile 1413 che lo vedono tra gli ambasciatori recatisi a Mantova per concludere a nome di Fondulo un’alleanza con Gianfrancesco Gonzaga. A Mantova ricevette una lettera speditagli da Firenze dall’amico Guarino Veronese che gli recava i saluti dell’umanista Antonio Corbinelli. Scola rispose «inter fluctuandum a patria», con due missive del settembre 1413, raccomandandogli di ricambiare i saluti a Corbinelli («Corbinello nostro»), conosciuto certamente durante la sua breve permanenza fiorentina.

I documenti successivi mostrano Scola al servizio dell’imperatore Sigismondo, in qualità di cancelliere. Svariate missioni lo vedono presente a Costanza e a Passau (1418), a Schweidnitz (1420), a Norimberga (1422), a Tata (1425).

Dopo questa data sembra avere fatto ritorno in Italia, a Pinerolo in Piemonte, da dove scrisse una lettera a Pier Candido Decembrio dalla quale si apprende che questi era stato ospite per qualche tempo presso di lui. Un documento del 1427 fa sapere che ricopriva la rilevante carica di giudice generale di Amedeo VIII di Savoia nel Piemonte sabaudo, mentre un altro documento del 2 luglio 1429 riferisce di «litteras [...] de notifficacione mortis domini Omnibonis Scole, iudicis quondam generalis Pedemonti» (Gabotto, 1898, p. 263).

Di lui ci restano varie lettere, la maggior parte delle quali si trovano nel ms. Milano, Biblioteca Ambrosiana, C.141 inf. e nel Vat. lat. 5223, che ospita anche le lettere a lui di Vergerio e l’orazione in lode di Peretreo. Il trattato De vita religiosa et monastica ad Iacobum Carthusiensem si conserva nel ms. Vat. lat. 4271, mentre il Paris, Bibliothèque nationale, Par. lat. 6541 ospita il De perpetuitate animorum libri tres ad Leonardum Aretinum.

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