OCULISTICA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)

OCULISTICA

Bruno Boles Carenini-Alessandra Boles Carenini

(XXV, p. 166; App. II, II, p. 438; IV, II, p. 647)

L'o. è quel ramo della medicina che si occupa dello studio dell'apparato oculare, dalla sua fisiologia alle diverse forme patologiche. Si tratta di una specializzazione che si è evoluta assai rapidamente, con l'ausilio delle moderne tecniche di esplorazione funzionale e con l'insostituibile apporto delle strategie informatiche.

Diagnostica. − Rimangono tuttora di estrema validità i metodi di esplorazione oggettivi, quali l'ecografia, che sfrutta le proprietà degli ultrasuoni di essere rifratti con onde diverse a seconda della densità delle strutture incontrate lungo il loro percorso. Gli echi risultanti sono caratteristici dei diversi tessuti che formano l'occhio e delle eventuali patologie presenti (masse solide, distacchi retinici, alterazioni vitreali, ecc.). Le metodiche A e B scan permettono la diversa rappresentazione e un più approfondito esame dell'apparato oculare. Un ulteriore progresso si è avuto con la messa a punto del metodo cosiddetto del ''minibagno'', con cui si possono effettuare rilievi accurati anche sulle sottili strutture del segmento anteriore (cornea, iride, ecc.). Un notevole interesse speculativo e pratico rivestono anche i tentativi di realizzare una sostanza che agisca quale mezzo di contrasto per gli ultrasuoni, per meglio evidenziare le strutture, il decorso e il calibro vascolare.

Allo studio ultrasonico viene spesso associata l'ecobiometria, che permette di valutare esattamente in vivo la lunghezza dell'occhio, le distanze intercorrenti tra cornea e cristallino, tra le due superfici, anteriore e posteriore, della lente, nonché tra cristallino e retina. Attualmente tale tecnica trova largo impiego nell'esatta determinazione del potere diottrico di cristallini artificiali da impiantare in camera anteriore o posteriore, dopo intervento di estrazione di cataratta.

Risulta indispensabile per ogni forma di monitoraggio retinico la fluorangiografia, che impiega l'uso di un mezzo di contrasto (fluoresceina), iniettato endovena, per l'analisi della circolazione retinica nelle sue diverse fasi, da quella arteriosa a quella venosa. Accanto a questa ormai classica tecnica di esplorazione, va ora affermandosi la fluorangiografia con verde di indocianina associata all'impiego di un analizzatore laser (SLO), per un'indagine ancor più accurata e raffinata della topografia del fundus.

Preminente è ancora lo studio del glaucoma, malattia irreversibile di grande importanza sociale, caratterizzata da uno squilibrio tensionale che si accompagna a un danno funzionale progressivo (perdita del campo visivo) e importanti alterazioni del fondo, con progressiva escavazione della testa del nervo ottico. Nella diagnosi di tale malattia ha quindi un ruolo fondamentale la determinazione della pressione intraoculare: a tale scopo sono in uso numerosi tonometri. Si tratta di apparecchi grossolanamente distinguibili in due famiglie: tonometri ad applanazione e tonometri a indentazione.

Tra i primi, il più preciso e diffuso è ancor oggi il tonometro di Goldmann. Questo apparecchio sfrutta il principio di Imbert-Fick, il quale stabilisce che: "per una sfera ideale ... la pressione all'interno della sfera (P) è uguale alla forza necessaria ad appiattire la sua superficie (F) divisa per l'area di applanazione (A), cioè P=F/A". Il tonometro di Goldmann, impiegato in associazione al biomicroscopio o lampada a fessura, è quindi formato da un doppio prisma, di diametro pari a 3,06 mm, collegato a una bilancia di torsione capace di variare la forza di applanazione sulla superficie corneale, appositamente preparata con fluoresceina. Il risultato è immediatamente espresso in millimetri di mercurio su un'apposita scala graduata.

Tra i tonometri a indentazione è da ricordare l'ormai storico tonometro di Schiotz, in cui un pistone, collegato a un peso, indenta la cornea: mediante opportune tabelle di conversione è possibile trasformare il valore, letto sulla scala graduata, in pressione espressa in millimetri di mercurio. Più moderno e maneggevole è il tonometro di Perkins, che sfrutta il prisma di Goldmann adattato a una sorgente luminosa portatile. Da ricordare ancora il gruppo dei tonometri ad aria, molti dei quali strumenti portatili, apparecchi che non necessitano del contatto diretto con la cornea (con gli ovvi vantaggi che ne derivano) e che sfruttano un soffio di aria per applanare la cornea. Una luce viene riflessa, dalla superficie corneale applanata a un fotorecettore, che a sua volta viene attivato allo spegnersi del soffio d'aria. Il tempo necessario ad applanare in modo sufficiente la cornea è proporzionale alla IOP (intraocular power).

Un cenno merita l'ultimo nato tra i tonometri, la Tono-Pen, frutto della collaborazione tra ricerca informatica e scientifica. Si tratta infatti di un tonometro miniaturizzato, portatile, alimentato a batterie, che impiega un microtrasduttore in grado di applanare la cornea, convertendo la IOP in onde elettriche. Queste onde vengono analizzate in tempo reale da un microchip all'interno dell'apparecchio, fornendo quindi il risultato espresso in mmHg insieme a un indice di attendibilità della rilevazione eseguita.

Risultano poi indispensabili, nella diagnostica del glaucoma e di numerose altre patologie del segmento anteriore e posteriore, strumenti ormai universalmente impiegati, quali il vetro a due specchi di Goldmann per l'esame delle strutture dell'angolo camerulare (gonioscopia) e il vetro a tre specchi, sempre di Goldmann, che oltre alla gonioscopia consente l'esecuzione di un'oftalmoscopia binoculare estremamente dettagliata. A questi classici strumenti si aggiunge oggi la serie delle lenti di Volk, di potere diottrico crescente da 60 a 90 diottrie, che permettono, sempre con l'ausilio del biomicroscopio, un'ottima esplorazione delle strutture retiniche.

La funzione retinica e del nervo ottico può essere esplorata attraverso esami obiettivi o esami che implichino un certo grado di collaborazione da parte del paziente. Tra i primi, ricordiamo il gruppo degli esami elettrofisiologici, ovvero l'elettroretinogramma (ERG) e i potenziali visivi evocati (PEV). Eseguiti con tecniche sempre più raffinate e metodiche diverse, hanno tutti un comune fondamento nella registrazione di onde elettriche, generate da diversi punti delle vie ottiche, caratteristiche per ciascuna delle tappe esaminate.

Gli esami invece cosiddetti ''soggettivi'', ovvero quelli che presuppongono una risposta diretta da parte dell'esaminato a un preciso stimolo, sono numerosissimi. Sono da ricordare le diverse tecniche di esplorazione del campo visivo (perimetria), sia quella manuale, cinetica o statica, secondo Goldmann, eseguita in condizioni fotopiche, mesopiche o scotopiche, sia le moderne tecniche di esplorazione funzionale computerizzata, che vanno sotto il nome di perimetria automatica. Particolarmente interessante, in questo caso, è lo studio dei 30° centrali del campo visivo, con tecnica statica automatizzata, eseguito con esami a strategia cosiddetta ''diagnostica'' o a doppia soglia, disponibili per tutti i perimetri automatici, quali quelli della serie Octopus o Humphrey o Perikon (quest'ultimo tipo, messo a punto dalla Scuola di Genova, offre inoltre l'estrema versatilità, necessaria per la messa a punto di programmi cosiddetti custom, creati cioè dall'operatore secondo le sue particolari esigenze di esplorazione di una singola e determinata zona del campo visivo).

Negli ultimi anni, poi, si è andata affermando la tendenza a esplorare anche la circolazione oculare come elemento importante tanto nella diagnostica di malattie oculari, a probabile eziologia vascolare, quanto nel follow-up dell'eventuale terapia. Ricordiamo tra queste tecniche la laser doppler velocimetria, che permette la registrazione della velocità del flusso ematico oculare in diverse tappe del suo percorso (carotide interna, arteria oftalmica, ecc.) e il Langham OBF-System, apparecchio clinico-sperimentale che registra in vivo il volume del flusso pulsatile a livello coroideale.

Terapia. − Per quanto riguarda la terapia medica in campo oftalmologico, c'è da notare un notevole fermento farmacologico, particolarmente per ciò che riguarda lo studio di nuovi farmaci antivirali, cortisonici di sintesi e antinfiammatori non steroidei (FANS), ma soprattutto nella ricerca di nuovi farmaci antiglaucomatosi. Infatti, accanto alle tradizionali sostanze antiglaucomatose generali quali il mannitolo, il glicerolo, gli inibitori della carbonico-anidrasi, e alle sostanze topiche già in uso quali i parasimpaticomimetici, è ancora in via di approfondimento lo studio della famiglia dei beta-bloccanti. Questi farmaci, divenuti da circa un ventennio insostituibili nel controllo della pressione endoculare, sono attualmente discussi per la loro possibile azione negativa sul flusso ematico oculare, per cui si cercano nuove sostanze della medesima struttura alcolica, quali il metipranololo, che possano influenzare positivamente il flusso ematico coroideale, permettendo quindi, accanto a un buon controllo tonometrico, un utile apporto al circolo coroideale con l'eventuale regressione dei danni funzionali nell'occhio glaucomatoso.

Contemporaneamente, si vanno approntando nuove forme di preparazione dei farmaci, allo scopo di renderli più efficaci per l'aumento della loro permanenza a contatto dei tessuti oculari o, per la loro composizione, più adatti alla penetrazione e/o al mantenimento costante di livelli di farmaco nei tessuti. Ciò è particolarmente vero per i parasimpaticomimetici: è stato per es. messo a punto un gel di pilocarpina al 4% che ne consente la somministrazione quotidiana in una sola volta con riduzione del disagio da parte del paziente e controllo tonometrico altrettanto efficace se non addirittura superiore alla somministrazione quotidiana in tre volte di pilocarpina al 2%.

Accanto ai parasimpaticomimetici e ai beta-bloccanti adrenergici, si va affermando ora l'uso, in associazione a questi, dei farmaci alfa-bloccanti, quali il dapiprazolo, che sembrano permettere un ulteriore miglioramento nel controllo dello squilibrio tonometrico. Ancora da ricordare l'introduzione, tuttora sperimentale, nella pratica clinica di lenti a contatto idrofiliche o al collagene, imbevute di medicamento, che ne permettono una cessione più protratta e costante nel tempo.

La terapia fisica, in oftalmologia, è utilizzata soprattutto nella terapia dei tumori oculari, e trovano impiego a tale scopo placche radioattive opportunamente posizionate, per un periodo variabile dagli 8 ai 10 giorni. Tale terapia è usata particolarmente nei retinoblastomi dell'infanzia. Successi insperati sembrano ora possibili nel trattamento dei melanomi della coroide e delle metastasi coroideali mediante l'impiego di protoni accelerati.

La terapia parachirurgica, eseguita con tecniche laser, ha avuto nuovo ed importante impulso con la messa a punto di nuovi laser (Yag, eccimeri, olmio) utilizzati in un gran numero di affezioni oculari diverse dal glaucoma, dalle opacità corneali ai vizi di refrazione. Da non dimenticare l'uso di queste sorgenti di luce coerente (argon) nel trattamento delle lesioni retiniche di varia origine (diabetica, trombotica, ecc.). Il loro vantaggio consiste nell'estrema localizzazione del trattamento con limitatissimo danno alle zone sane limitrofe.

La terapia chirurgica ha compiuto ulteriori notevoli progressi grazie all'avvento di apparecchiature sempre più sofisticate e computerizzate.

Tra le ultime acquisizioni in materia vanno ricordate le tecniche di chirurgia refrattiva, che si propongono di diminuire l'ametropia oculare attraverso l'azione di un microbisturi sul tessuto corneale così da variarne il potere diottrico. Sono però interventi che non garantiscono risultati sicuri: infatti, anche se teoricamente corrette e assistite dall'utilizzo dei computer, tali tecniche si scontrano tuttavia nella pratica clinica con l'estrema variabilità cicatriziale del tessuto trattato, con risultati spesso imprevisti. Tuttavia è innegabile che vi sia una continua evoluzione, grazie anche all'uso non più di microbisturi in diamante ma del laser a eccimeri, che potrebbe forse permettere interventi meno pericolosi e con risultati più attendibili; occorre comunque una vasta sperimentazione su casi selezionati e con osservazione di anni.

Le tecniche della chirurgia dell'angolo camerulare risultano tuttora indispensabili in quelle forme di glaucoma che non rispondono o nelle quali non sia indicata la sola terapia medica. Molte delle tecniche tradizionali sono state con successo sostituite da interventi meno invasivi, eseguiti con tecnica laser.

Importanti passi avanti ha avuto la terapia chirurgica della cataratta, sia per il perfezionamento dello strumentario sia per la messa a punto di lentine intraoculari (IOL) sempre più perfette nella forma e nei materiali, sia per l'uso di sostanze viscoelastiche, il cuiimpiego permette un minor traumatismo intraoperativo. Risulta da tutto questo un nuovo notevole impulso alla tecnica extracapsulare, riservandosi la intracapsulare a ormai pochi e selezionati casi.

Da ricordare ancora, sempre nella chirugia della cataratta, la tecnica detta di facoemulsificazione, che prevede l'uso di una sonda ultrasonica per la frammentazione e la suzione del nucleo lenticolare. Questa tecnica, nata dall'esigenza di eseguire un taglio corneale di piccole dimensioni per ridurre l'astigmatismo postoperatorio, ha mostrato tuttavia numerosi svantaggi, quali la dilatazione dei tempi dell'intervento, il possibile danno degli ultrasuoni sulle strutture circostanti e la necessità, per mantenere i vantaggi legati all'esiguità del taglio, di impiegare lentine intraoculari pieghevoli, di indaginosa inserzione e tuttora poco diffuse.

Per quanto riguarda la chirurgia del segmento posteriore, è da segnalare l'estremo interesse sollevato dalla chirurgia vitreoretinica, particolarmente indicata in tutte le gravi forme di trazione e proliferazione retino-vitreali. La tecnica di vitrectomia, che consiste nella frammentazione e aspirazione della struttura vitreale eseguita mediante speciali sonde (vitreotomi) e nella sostituzione del vitreo con materiali tamponanti temporanei (quali aria e/o esafluoruro di zolfo, olio di silicone, perfluorocarbonato, ecc.), avrebbe il compito di bloccare l'evoluzione della malattia. I risultati funzionali, tuttavia, trattandosi di occhi gravemente compromessi, non sono facilmente quantificabili.

Tuttora insostituibili risultano le tecniche di cerchiaggio nella terapia del distacco di retina, utilmente vicariato o affiancato dalla tecnica di Lincoff, che prevede l'uso di una zeppa in silicone posta in modo tale da provocare una intrusione sclerale e favorire in questo modo il riaccollamento retinico. Mai abbandonate risultano le tecniche di criochirurgia nelle rotture retiniche. Tali procedimenti, fino al 1933, erano limitati all'applicazione di neve carbonica in lapis o in contenitori appositi, per lesioni palpebrali o congiuntivali ipertrofiche. Nel 1933 G.B. Bietti fece ricorso alle crioapplicazioni episclerali per chiudere le rotture retiniche responsabili del distacco di retina. Tale procedimento, esteso dallo stesso Bietti, nel 1958, alla profilassi del distacco di retina, non è più stato abbandonato, ma molto frequentemente associato con successo alle tecniche chirurgiche classiche.

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