Oceanografia

Enciclopedia del Novecento II Supplemento (1998)

Oceanografia

Forese Carlo Wezel

Sommario: 1. Introduzione. 2. La nascita dell'oceanografia. a) Il rilievo dei grandi oceani. b) Archi insulari. c) Atolli e guyots del Pacifico. 3. La fioritura dell'oceanografia: dai primi dati ai modelli. a) La scoperta della dorsale oceanica. b) Le fosse oceaniche. c) L'espansione dei fondi oceanici secondo Schmalz, Dietz e Hess (1961-1962). d) La scoperta delle anomalie magnetiche lineari degli oceani. e) La tettonica delle placche. 4. Le trivellazioni dei fondali oceanici: verifiche e nuove problematiche. a) Venticinque anni di trivellazioni oceaniche. b) Struttura e composizione della crosta oceanica. c) Edifici basaltici sottomarini. d) La transizione fondamentale tra oceani e continenti. e) Margini continentali attivi. f) Sedimenti: studio delle fluttuazioni climatiche e oceanografiche globali. g) Le formazioni geologiche dell'Atlantico centrale. h) Anomalie magnetiche oceaniche e stratigrafia magnetica. i) Movimenti tettonici. l) Tempi di formazione dei bacini oceanici. 5. Conclusione. □ Bibliografia.

1. Introduzione

Più del 70% della superficie terrestre è coperta dagli oceani. L'Oceano Pacifico, che costituisce poco più della metà dell'intera regione oceanica, è più vasto di tutti i continenti messi assieme. A sua volta, l'Atlantico rappresenta il 26% dell'area oceanica, vale a dire una superficie più grande dell'insieme Eurasia-Africa. Il più piccolo dei grandi oceani è l'Indiano, che ha dimensioni paragonabili all'insieme di Eurasia e Sudamerica. In altre parole, ciascuno dei tre maggiori oceani è più vasto del più esteso continente. Lo stesso Oceano Artico, pur coprendo una minuscola frazione dell'area oceanica mondiale (3,4%), ha tuttavia un'estensione superiore a quella dell'Australia. Questi pochi dati danno un'idea dell'immensa vastità della superficie oceanica e di quanti sforzi siano stati necessari per acquisirne una conoscenza, sia pure del tutto preliminare. Per arrivare alla conquista scientifica del mondo ci rimangono ancora da scoprire immensi territori sommersi sotto il mare. I geologi marini sono muniti di attrezzature scientifiche che hanno permesso di conoscere non solo le forme del paesaggio batimetrico del fondo degli oceani, ma anche la natura delle rocce costituenti. Le acquisizioni finora raggiunte sono di tale importanza e rilevanza da avere completamente rivoluzionato la nostra immagine del pianeta. È impossibile scrivere un libro di geologia, avanzare una qualsivoglia ipotesi scientifica di portata generale, o intendere le cause dei piegamenti delle catene montuose continentali senza tener conto delle scoperte oceaniche. Il paradigma concettuale attualmente dominante, la ‛tettonica delle placche', che è al centro dell'attività di ricerca di molti studiosi in tutto il mondo, è scaturito dallo straordinario fermento scientifico prodotto, negli anni sessanta, dall'esplorazione geologica e geofisica dei fondi oceanici.

2. La nascita dell'oceanografia

Fino alla prima metà del nostro secolo, le conoscenze del fondo degli oceani erano scarse. La maggior parte delle ipotesi sull'origine dei bacini oceanici era di tipo speculativo e si fondava su valutazioni e intuizioni personali piuttosto che su solidi dati di fatto. Molti dei lavori pubblicati erano inoltre basati sulla Dorsale medioatlantica, perché troppo poco si sapeva degli altri bacini oceanici.

a) Il rilievo dei grandi oceani

Il rilievo dell'Oceano Atlantico è quello che si conosce da più tempo. Già nella prima edizione della carta batimetrica degli oceani, del 1903, compare nel centro dell'Atlantico una cresta montuosa che si eleva di almeno 2.000 m sui fondi oceanici circostanti (Dorsale atlantica). I sondaggi ultrasonori attraverso la dorsale, effettuati per la prima volta dalla nave Meteor in occasione della spedizione atlantica tedesca (1925-1927), mostrarono che essa era formata da una serie di catene parallele, separate da fosse profonde. La spiegazione fornita dal geologo francese Émile Haug era che la dorsale costituiva una gigantesca anticlinale, prodotta da una compressione della crosta analoga a quella che causava il piegamento delle catene montuose. Secondo la sua interpretazione, in tutte le regioni oceaniche esistevano enormi masse continentali, sprofondate in tempi recenti. Anche per altri geologi (come Leopold Kober e Hans Cloos) la costituzione dei bacini oceanici, sprofondati in seguito a contrazione, non era dissimile da quella dei continenti. Nella sua mappa tettonica del mondo, Kober (v., 1921) indica un sistema montuoso sottomarino che in parte coincide col profilo del sistema di dorsali quale risulta attualmente: la corrispondenza è buona nel caso dell'Atlantico, dell'Indiano e del Pacifico di sudovest. Kober interpretava il sistema sottomarino come una catena compressionale d'età cretacico-terziaria collegata alle catene orogeniche dei continenti. Le ricerche effettuate negli anni trenta da John Wiseman e Seymour Sewell nell'Oceano Indiano nordoccidentale portarono alla scoperta di un sistema di dorsali sottomarine, simile alla Dorsale medioatlantica, che si ritenne causato da una compressione orogenica avvenuta nel Terziario.

Tale ipotesi compressiva era esattamente opposta all'ipotesi estensionale di Alfred Wegener, che postulava invece la separazione e l'allontanamento progressivo del blocco Africa-Europa dal blocco delle Americhe: la dorsale non era altro che un frammento relitto dell'antica copertura continentale. Nel suo primo lavoro sulla deriva dei continenti, Wegener (v., 1912) anticipò l'idea dell'espansione dei fondi oceanici, quella della relazione tra batimetria ed età del fondale e forse anche quella della convezione nel mantello. Tutte queste idee moderne stranamente non compaiono più nel suo famoso libro La formazione dei continenti e degli oceani (v. Wegener, 1915). Gli aspetti fondamentali dell'ipotesi dell'espansione oceanica furono poi sviluppati da Arthur Holmes (v., 1931). La formazione dei nuovi bacini oceanici venne attribuita a frammentazione e stretching della crosta continentale rigida sopra un substrato basaltico.

Secondo Beno Gutenberg e Charles Francis Richter (v., 1949) le dorsali si sarebbero originate per effetto di una combinazione di compressione e distensione. Esse sono considerate infatti delle catene compressionali, successivamente interessate da una tettonica a blocchi e da rifting.

I primi dragaggi di basalti e peridotiti provenienti dalla Dorsale medioatlantica (v. Shand, 1949) hanno spinto alcuni studiosi a ipotizzare una sua origine per estrusione di magma del mantello.

b) Archi insulari

Le ricerche effettuate negli anni trenta da geologi e geofisici olandesi nell'Arcipelago Indonesiano stimolarono l'interesse scientifico per i sistemi ad arco insulare. Come risultato di tali studi dettagliati si rafforzò l'ipotesi (formulata per primo da E. Haug) che la fossa di Giava fosse l'analogo moderno della geosinclinale alpina del Giurassico-Cretacico, riempita dalla sequenza ofiolitica e da sedimenti radiolaritici profondi. Nel 1934 Felix Vening Meinesz annunciò la scoperta di grandi anomalie gravimetriche negative - rilevate attraverso un apparato a pendolo di sua invenzione per misurare la gravità a bordo di un sottomarino - in corrispondenza delle fosse oceaniche. Tali anomalie sono state per anni interpretate, seguendo Meinesz, come importanti deficienze di massa causate da un infossamento della crosta continentale meno densa nel mantello più denso. Questa radice profonda - o ‛tettogene', come venne chiamata da Philip Kuenen - era una specie di grande avanfossa (depressione geosinclinalica) prodotta da compressione laterale. Il rilasciamento della compressione orogenica causerebbe il successivo sollevamento della crosta e la formazione delle catene montuose. Il tettogene era ritenuto un'espressione dei moti convettivi che si svolgevano nel mantello.

Negli anni trenta i sismologi scoprirono che i fuochi dei terremoti profondi si disponevano lungo un'ampia zona inclinata che dalla fossa oceanica scendeva al di sotto dell'arco vulcanico (v. Wadati, 1934); tale piano inclinato venne interpretato come la traccia di una superficie di taglio o di sovrascorrimento.

c) Atolli e guyots del Pacifico

Le esplorazioni del fondo del Pacifico occidentale mostrarono la presenza di numerosi rilievi sottomarini vulcanici a forma di tronco di cono, scoperti nel 1946 da Harry H. Hess che li chiamò guyots (dal nome del geografo A. Guyot). Su 440 guyots conosciuti, 350 sono nel Pacifico occidentale, ma sono presenti, in ordine di frequenza decrescente, anche nell'Atlantico, nel Pacifico orientale e nell'Indiano. Secondo l'ipotesi di Charles Darwin, ripresa successivamente da Hess, questi rilievi sarebbero stati erosi alla loro sommità dall'azione delle onde e successivamente sarebbero sprofondati sui 1.000-2.000 m sotto il livello marino (ma si trovano fino a un massimo di 3.700 m di profondità) per effetto della lenta subsidenza della crosta oceanica. I dragaggi hanno dimostrato che gran parte dei guyots del Pacifico hanno iniziato il loro sprofondamento a partire dal Cretacico superiore.

Alcune di queste antiche isole vulcaniche, situate ai tropici, furono circondate da edifici corallini, dando origine agli atolli. I sondaggi effettuati negli atolli corallini (ad es., Funafuti, Eniwetok, Bikini) hanno indicato che dal Miocene vi è stato uno sprofondamento regionale del fondo oceanico. Il fondo del Pacifico appare quindi in lenta ma continua subsidenza generale.

3. La fioritura dell'oceanografia: dai primi dati ai modelli

Per molto tempo i fondali oceanici sono rimasti del tutto inaccessibili ai geologi. I continenti erano luoghi familiari, gli oceani erano invece completamente misteriosi. Così, negli anni precedenti la seconda guerra mondiale, ai tre quarti della superficie del globo non veniva attribuito un ruolo centrale nelle teorie geologiche: il pensiero degli studiosi era allora decisamente ‛continente-centrico'. Durante la guerra, grazie ai cospicui finanziamenti erogati dalla Marina militare degli Stati Uniti, le ricerche oceanografiche vennero ampiamente sviluppate, dato che gli oceani e i fondi oceanici erano considerati luoghi potenziali di guerra. Questo interesse militare rese possibile l'acquisizione di una grande mole di dati e lo sviluppo di tecniche sofisticate di esplorazione dei fondali oceanici, finalizzate alla localizzazione dei sottomarini. Ne derivarono anche altri effetti, come quello di valorizzare i pochi geologi e geofisici marini in attività, quali Hess e Maurice Ewing, e di attirare molti giovani ricercatori, con finanziamenti e posti di lavoro, verso lo studio delle depressioni oceaniche. Molti dei fondi per la ricerca stanziati dal governo americano furono riversati su istituti oceanografici come lo Scripps (fondato nel 1922), il Woods Hole (fondato nel 1930) e il Lamont (fondato nel 1949). Negli anni cinquanta fu raccolta in mare un'enorme quantità di dati sismologici, gravimetrici, magnetometrici, sul flusso di calore, in sedimentologia, topografia e altri indirizzi di ricerca. Tuttavia, solo verso la fine degli anni cinquanta e all'inizio degli anni sessanta gli studiosi si resero conto che i risultati delle nuove ricerche oceaniche risultavano di grande utilità nella valutazione dei diversi modelli globali del pianeta. Il grande sviluppo delle tecniche del remote sensing (rilevamento a distanza), sostenuto da interessi militari, diede un forte impulso alle ricerche geofisiche a scapito di quelle geologiche.

Come messo in evidenza da Henry W. Menard (v., 1986), tra gli anni 1956 e 1963 vennero triplicate le misure gravimetriche, effettuate centinaia di osservazioni di flusso di calore, prelevate più di 2.000 carote di sedimenti profondi (contro le circa 100 campionate prima del 1948), installate centinaia di stazioni sismiche in mare profondo, raccolti dati magnetici su centinaia di migliaia di chilometri, aumentato di 108 il numero di rilevamenti profondi eseguiti con l'ecoscandaglio (sondaggi ecografici effettuati dalle navi). Tutti questi dati rivelarono l'esistenza di significativi rilievi topografici (dorsali oceaniche) e depressioni profonde (fosse oceaniche).

a) La scoperta della dorsale oceanica

La scoperta, dovuta a Marie Tharp (v. Heezen e Tharp, 1957), di una rift valley mediana (valle di sprofondamento o fossa tettonica) in corrispondenza della cresta della dorsale medioceanica ha fornito la chiave per correlare una gran massa di dati geofisici e geologici in uno schema unificato globale. La rift valley mediana apparve inoltre coincidere con una stretta fascia di terremoti di profondità non superiore a 70 km. L'insieme della morfologia e della sismicità indusse Ewing e Bruce C. Heezen (v., 1956) a ipotizzare per primi l'unità e la continuità mondiale dei vari segmenti della dorsale (presenti in tutti gli oceani), con le loro caratteristiche essenziali comuni, per una lunghezza complessiva di 60.000 km. Mentre per l'allora ‛fissista' Ewing la dorsale oceanica non era differente da una catena montuosa terrestre, per l'‛espansionista' Heezen essa era stata originata da movimenti di distensione della crosta. Le valli mediane attive dei segmenti di dorsale oceanica erano strutture di tipo estensionale, proprio come le rift valleys presenti in Africa. Heezen avanzò l'ipotesi di un allargamento dei bacini oceanici causato dal continuo processo d'iniezione di materiale del mantello in una valle mediana in continua espansione.

b) Le fosse oceaniche

Le ricerche si concentrarono anche sulle grandi fosse oceaniche poste alla periferia del Pacifico. Già Vening Meinesz aveva identificato le fosse come regioni di attive deformazioni crostali e di subsidenza (down-buckling). Le fosse circumpacifiche erano inoltre associate ad attività sia vulcanica che sismica. Gutenberg e Richter (v., 1949) dimostrarono che, con poche eccezioni, tutti i terremoti intermedi e profondi si verificavano vicino alle fosse. Hugo Benioff (v., 1955) riscontrò che gli ipocentri sismici si collocavano a formare un piano sismico inclinato che dalla fossa oceanica si immergeva verso l'arco vulcanico (zona di Benioff). Si arrivò quindi alla conclusione che le fosse fossero causate da subsidenza della crosta oceanica. Secondo i fautori della teoria geosinclinalica, il meccanismo responsabile era quello dello sprofondamento di frammenti crostali, mentre per i ‛mobilisti' (come ad es. Hess) era invece l'opera di correnti convettive che risucchiavano e inghiottivano la crosta. Per Heezen e Menard anche le fosse oceaniche erano strutture estensionali invece che compressionali.

c) L'espansione dei fondi oceanici secondo Schmalz, Dietz e Hess (1961-1962)

I tempi erano maturi per operare una sintesi che venne presentata quasi simultaneamente da più studiosi. Come ha ricordato Emiliani (v., The oceanic..., 1981), il primo lavoro ad arrivare alla pubblicazione fu quello di R. F. Schmalz (aprile 1961), seguito da quello di R. S. Dietz (giugno 1961) e da quello di Hess, il cui contributo, pubblicato nel 1962, era però stato scritto nel 1960 come rapporto per l'Office of Naval Research. Il nuovo schema tettonico venne considerato dallo stesso Hess puramente speculativo, tanto da essere da lui chiamato ‟geopoesia". Il modello dell'espansione dei fondi oceanici (seafloor spreading) prevede la generazione più o meno continua di nuova crosta oceanica nelle dorsali medioceaniche per risalita di materiale del mantello; la vecchia crosta oceanica, come un nastro trasportatore, si allontana gradualmente e simmetricamente dalle dorsali, viene trascinata verso il basso e distrutta nel mantello in corrispondenza delle profonde fosse oceaniche. Il ciclo è innescato da correnti convettive che salgono sotto le dorsali e scendono sotto le fosse. I continenti vengono considerati semplici passeggeri passivi, trascinati dalla dinamica dei fondi oceanici, i quali, a differenza dei vecchi continenti, sono relativamente giovani, poiché vengono costantemente creati lungo le dorsali e distrutti nelle fosse oceaniche. Hess calcolò che i fondali oceanici non erano più antichi di 260 milioni di anni.

d) La scoperta delle anomalie magnetiche lineari degli oceani

Il paleomagnetismo fornì a molti studiosi la prova che davvero i fondi oceanici si espandevano trascinando i continenti. I rilievi magnetometrici effettuati da Ronald G. Mason (v., 1958) al largo delle coste degli Stati dell'Oregon e di Washington dimostrarono la presenza nel fondo degli oceani di bande alternanti, caratterizzate da intensità magnetica maggiore o minore di quella media del campo terrestre. Tali anomalie magnetiche oceaniche erano grossolanamente parallele alle dorsali e apparentemente non collegate alla topografia. Il significato di tali bande in termini di espansione dei fondi oceanici venne dapprima riconosciuto da Schmalz nel 1961, ma in termini più espliciti da Lawrence Morley e da Fred Vine e Drummond Matthews nel 1963. L'ipotesi di Morley-Vine-Matthews associa la presenza delle anomalie magnetiche sia con la generazione di nuovo fondo oceanico in corrispondenza delle dorsali, sia con le inversioni del campo geomagnetico. Le anomalie magnetiche positive e negative sarebbero causate dal raffreddamento e dalla magnetizzazione permanente della nuova crosta basaltica secondo la direzione del campo geomagnetico prevalente all'epoca della sua formazione. Esse vengono quindi interpretate come regioni di crosta oceanica alternativamente magnetizzate in senso normale (anomalie positive) e inverso (anomalie negative). In questa maniera, si è partiti da una osservazione reale (le anomalie magnetiche) per arrivare a due differenti deduzioni teoriche (espansione degli oceani e inversioni ricorrenti del campo magnetico terrestre).

e) La tettonica delle placche

La teoria fu concepita in maniera più o meno indipendente da Jason Morgan, Dan McKenzie e Xavier Le Pichon negli anni 1967-1968. Gli elementi fondamentali della dinamica terrestre non sono più i bacini oceanici e i continenti, ma le placche mobili, costituite da litosfera rigida, che scorrono sull'astenosfera. Le placche, che si creano in corrispondenza delle dorsali medioceaniche e vengono distrutte per discesa obliqua (‛subduzione') lungo le fosse oceaniche, scorrono l'una a fianco dell'altra lungo le zone di frattura degli oceani (‛faglie trasformi'). Il fondo oceanico viene generato da un processo che non è oscurato da altri eventi e durante il suo allontanamento dall'asse della dorsale non si deforma. Il rapido successo di questo schema cinematico molto semplificato introdusse una nuova impostazione scientifica (‛centrismo oceanico'), secondo la quale i continenti sarebbero masse inerti, passeggeri passivi, al cui interno si verificano eventi causati da processi che si originano negli oceani.

4. Le trivellazioni dei fondali oceanici: verifiche e nuove problematiche

a) Venticinque anni di trivellazioni oceaniche

Nell'agosto del 1968 la nave-trivella Glomar Challenger iniziò la prima delle 96 missioni oceaniche di due mesi (legs) del Deep Sea Drilling Project (DSDP). Dal 1968 al 1983 essa percorse circa 600.000 km in tutti gli oceani del mondo, raccogliendo più di 97 km di carote profonde. I risultati scientifici di queste crociere, che rappresentano il più vasto e riuscito programma di esplorazione geologica mai intrapreso, hanno portato a una vera e propria rivoluzione nelle scienze della Terra. Cominciato nel 1968 per iniziativa degli Stati Uniti, il programma si trasformò in un'impresa internazionale a partire dal 1974, con l'ingresso ufficiale di cinque nuove nazioni (Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna e Unione Sovietica), a seguito del quale il DSDP cambiò il suo nome in International Phase of Ocean Drilling (IPOD). Diciotto mesi dopo il ritiro della Glomar Challenger venne organizzato un nuovo progetto internazionale di trivellazioni profonde, l'Ocean Drilling Program (ODP), al quale partecipano attivamente 19 nazioni, tra cui l'Italia. La nuova nave-trivella JOIDES Resolution (lunga 143 m e con una torre di perforazione alta 61,5 m) salpò per la sua prima crociera nel gennaio 1985. Dal 1985 a tutto il 1993, l'Ocean Drilling Program ha raccolto 87,5 km di carote; in totale, nel periodo 1968-1993, sono stati trivellati quasi 2.000 pozzi in 900 siti in tutti gli oceani del mondo. I 182 km di carote raccolte in questi pozzi, conservate nelle carototeche americane (Scripps, Lamont-Doherty e Texas A&M), costituiscono un patrimonio inestimabile di informazioni per i geologi e geofisici della comunità scientifica mondiale. Il sistematico e dettagliato studio di esse fornirà le chiavi per la comprensione di molti aspetti del nostro pianeta. I primi risultati scientifici delle trivellazioni sono raccolti in 182 grossi volumi.

b) Struttura e composizione della crosta oceanica

I programmi di trivellazione oceanica hanno fornito nuove informazioni sulla natura della crosta oceanica, uno strato roccioso di spessore compreso fra 5 e 10 km che copre più di due terzi del nostro pianeta. L'attraversamento dell'intera crosta oceanica non è ancora alla portata dei mezzi tecnologici disponibili. Finora, il pozzo più profondo (DSDP/ODP 504 B) è quello trivellato all'interno del basamento oceanico, localizzato nel Pacifico equatoriale orientale sul fianco meridionale del Costa Rica Rift, a una profondità del fondo marino di 3.475 m. L'attuale profondità di 2.111 m al di sotto del fondo oceanico è stata raggiunta grazie alle trivellazioni effettuate in ben otto spedizioni della Glomar Challenger e della JOIDES Resolution. Al di sotto di 275 m di sedimenti (fanghi pelagici e selce), è stata effettuata una perforazione nel basamento di 1.836 m, di cui è stato campionato meno del 20%. La sezione basaltica comprende circa 600 m di lave a cuscino (pillow-lavas) e di lave massicce, estruse circa 5,9 milioni di anni fa. I basalti ricoprono una sezione spessa almeno 1.200 m formata da dicchi (sheeted dikes). Sebbene i campioni carotati a fondo pozzo abbiano velocità sismiche tipiche dello strato 3, tuttavia non sono stati raggiunti i gabbri della crosta inferiore, che dovrebbero essere rappresentativi di tale strato. Nel complesso, la stratigrafia rilevata in questa dorsale pacifica, caratterizzata dall'apporto di larghi volumi magmatici e da alti ritmi eruttivi (fast-spreading ridges), è abbastanza simile a quella prevista nel modello stratificato standard della litosfera oceanica. Secondo tale modello, al di sotto della copertura sedimentaria (strato 1) vi sono sia lave a cuscino, formate dall'eruzione e dall'estinguersi del magma sul fondo marino, sia dicchi che rappresentano i canali ‛fossili' di flusso del magma verso la superficie dell'oceano (strato 2). I sottostanti gabbri della crosta inferiore (strato 3) rappresentano invece camere magmatiche fossili (v. geologia stratigrafica, vol. X).

Alcuni pozzi trivellati nella Dorsale medioatlantica per alcune centinaia di metri di profondità (legs 37, 45 e 82) hanno addirittura raggiunto peridotiti o gabbri appena al di sotto della copertura sedimentaria o all'interno della sequenza lavica. In questi casi i movimenti tettonici distensivi hanno causato il sollevamento dei gabbri dello strato 3 e delle peridotiti del mantello fino al fondo oceanico. Altri dati ottenuti da trivellazioni recenti sembrano avvalorare l'interpretazione secondo la quale le dorsali medioceaniche a bassa alimentazione magmatica e con valle mediana (slow-spreading ridges) sarebbero caratterizzate da una struttura crostale molto tettonizzata e discontinua. Ne consegue che per esse non risulterebbe valido il modello stratificato standard della litosfera oceanica. La base della crosta oceanica (Moho), definita sismicamente, non corrisponderebbe alla transizione petrologica tra crosta magmatica e mantello. La discontinuità sismica potrebbe in alcuni casi rappresentare un altro tipo di limite: quello della penetrazione in profondità dell'acqua di mare attraverso fratture e zone di taglio. In altre parole, essa segnerebbe il passaggio tra le meno dense serpentiniti (peridotiti trasformate e ricristallizzate a contatto dell'acqua marina) e le più dense peridotiti ancora inalterate. Una sezione di gabbri spessa 500 m, perforata (pozzo 735 B) nella Dorsale indiana sudoccidentale a scarsa alimentazione magmatica, ha mostrato segni di una deformazione tettonica delle rocce ancora calde, con orientazione dei cristalli secondo piani preferenziali (‛foliazione magmatica'). La formazione di zone di taglio ha facilitato la penetrazione dell'acqua marina nella crosta inferiore profonda e la conseguente reazione di idratazione delle rocce ad alta temperatura. Una simile evidenza di deformazione tettonica di rocce gabbriche ad alta temperatura non è stata invece trovata nelle dorsali pacifiche, a forte apporto magmatico. I processi di alterazione idrotermale del basamento oceanico determinano una notevole eterogeneità crostale, con grandi variazioni di composizione anche in rocce perforate a una distanza di soli 500 m l'una dall'altra.

Il basamento oceanico più vecchio finora perforato è quello del Pacifico occidentale (pozzo 801 C), la cui porzione sommitale ha un'età di circa 160 milioni di anni (Giurassico medio, base del Calloviano); leggermente inferiore (circa 155 milioni di anni) è l'età del tetto dei basalti trivellati in Atlantico centrale al largo della Florida (pozzo 534 A).

c) Edifici basaltici sottomarini

Sul fondo degli oceani, sia nella parte centrale sia nei pressi dei margini continentali, si trovano enormi tavolati lavici che non sembrano generati né dai processi d'espansione oceanica, né da quelli di subduzione. Molti ricercatori ritengono che tali appilamenti di colate laviche siano prodotti da ‛pennacchi' caldi provenienti dal mantello profondo. La provincia magmatica più vasta è quella della Piattaforma Ontong Java (Pacifico equatoriale occidentale) che venne costruita da numerose eruzioni, con estrusione di magmi basaltici a un ritmo compreso tra 12 e 152 km3 per anno, durante un lasso di tempo compreso tra 0,5 e 3 milioni di anni. Questa colossale attività estrusiva si verificò nel Cretacico inferiore. Altri enormi espandimenti lavici presenti negli oceani hanno un'età mediocretacica (ad es. la Piattaforma delle Kerguelen) o paleocenica (ad es. le province basaltiche nordatlantiche). Le trivellazioni oceaniche hanno finora perforato solo la parte più superficiale delle pile basaltiche, le quali possono superare i 5 km di spessore. Tali perforazioni sono considerate di grande importanza per capire il comportamento dei ‛pennacchi' e le cause dei vasti mutamenti globali del pianeta, che sembrano associati alle epoche di fuoriuscita dei grandi espandimenti basaltici.

d) La transizione fondamentale tra oceani e continenti

Malgrado le numerose perforazioni effettuate nei margini continentali di tipo atlantico (margini ‛passivi'), conosciamo ancora troppo poco in dettaglio le caratteristiche del passaggio fondamentale tra crosta continentale e crosta oceanica. Si tratta di un problema di prim'ordine, perché a seconda del tipo di giunzione esistente tra le due croste (passaggio brusco o graduale) cambia il modello geodinamico globale. Nell'ambito dell'ODP è iniziato nell'Atlantico settentrionale uno studio sistematico di trivellazione dei margini passivi della Penisola Iberica e del Canada orientale. Le perforazioni sul margine iberico (leg 149) hanno messo in evidenza l'esistenza di blocchi fagliati di rocce continentali, che sono separati dalla crosta basaltica dell'Atlantico da una zona costituita da crosta oceanica fagliata e rocce peridotitiche alterate. Il confine oceano-continente è approssimativamente marcato dalla presenza di una lunga dorsale peridotitica. Sul margine atlantico opposto, dati geofisici indicano l'esistenza di una vasta zona di transizione costituita da crosta assottigliata, interposta tra i Banchi di Terranova a crosta continentale e la crosta oceanica dell'Atlantico. I profili sismici a riflessione della zona di transizione mostrano la presenza di una estesa superficie di discordanza erosiva che tronca il basamento inferiore. Le prossime perforazioni ODP dovranno verificare o meno l'ipotesi che tale superficie di discordanza sia indicativa della frammentazione ed erosione di un settore continentale, successivamente sprofondato.

e) Margini continentali attivi

I sistemi ad arco insulare (o margini ‛attivi') sono stati trivellati in diverse località situate alla periferia dell'Oceano Pacifico. Le perforazioni hanno confermato che la crosta del fianco esterno delle fosse (vale a dire il lato verso l'oceano) è tagliata da sistemi di faglie dirette, sia paralleli (ad es., Fossa del Giappone) che obliqui (ad es., Fossa del Perù-Cile) rispetto all'asse della fossa. Le faglie distensive talvolta sono parallele alle anomalie magnetiche oceaniche e rappresentano vecchie faglie riattivate. La struttura d'insieme della fossa oceanica è determinata dalla forma del margine della crosta continentale. In caso di alta velocità di sedimentazione, la fossa è caratterizzata da un fondo piatto con depositi fangosi o sabbiosi. A volte il truogolo è riempito da materiale franato dal fianco interno (ad es., Fosse del Giappone e di Tonga). Per quanto riguarda il fianco interno (verso l'arco insulare), solo pochi pozzi di trivellazione sono penetrati al di dentro del cosiddetto ‛prisma d'accrezione' (accavallamento di scaglie tettoniche formate da sedimenti ‛scrostati' dalla crosta oceanica discendente); in questi casi, vi sono evidenze di una subsidenza del fianco interno nel Neogene-Quaternario, successiva a un periodo di emersione nell'Oligocene (leg 57: Fossa del Giappone). Le trivellazioni del leg 84 al largo del Guatemala hanno dimostrato che il margine della Fossa dell'America centrale è stato sottoposto a episodi ripetuti di sollevamento e di subsidenza. Movimenti di subsidenza sono attivi non solo nelle Fosse del Giappone e dell'America centrale, ma anche nella Fossa del Perù-Cile.

Le trivellazioni effettuate nel fianco interno guatemalteco (legs 67 e 84) hanno mostrato che esso è costituito da una sequenza sedimentaria del Cretacico superiore che sovrasta un basamento ofiolitico. Poiché entrambe le formazioni affiorano in terraferma (in Costa Rica e Panama), si può dire che in corrispondenza di questo margine attivo non vi è stata accrezione di materiale oceanico durante il Terziario. Un risultato simile è stato ottenuto al largo del Perù (leg ODP 112), dove sono stati carotati calcari eocenici simili a quelli affioranti nell'interno. Anche in questo caso i sedimenti del prisma sono di pertinenza continentale. Quando il processo d'accrezione non è attivo, come nel caso del Guatemala, allora il fianco interno è sottoposto a distensione tettonica. Tali margini attivi di tipo estensionale, caratteristici del Pacifico orientale, sono formati da blocchi basculati, con una configurazione simile a quella dei margini passivi. Tuttavia, anche alcuni dei margini del Pacifico occidentale (archi insulari) sono di tipo estensionale: è questo il caso di quello del Giappone. Il solo margine attivo con caratteristiche ritenute compressionali è quello della Fossa di Nankai, al largo del Giappone sudoccidentale (penetrato dal pozzo ODP 808), che è anche in sollevamento. Come è stato riscontrato per la Dorsale delle Barbados, anche la sequenza sedimentaria del fianco interno della Fossa di Nankai è divisa in due parti da un piano di scollamento pieno di fluidi in pressione; in quest'ultimo caso, le perforazioni hanno evidenziato una parte superiore tettonicamente deformata (a pieghe e accavallamenti), di età plio-quaternaria, e una inferiore indeformata, di età miocenica, poggiante sopra depositi piroclastici di 15 milioni di anni fa, a loro volta in copertura del basamento basaltico. I fluidi sono presenti a vari livelli all'interno dei sistemi ad arco, lungo le faglie e gli orizzonti stratigrafici del prisma d'accrezione (da 1 a 5 km di profondità). A profondità maggiori (15-20 km) l'acqua proveniente dal piano di subduzione può alterare le peridotiti del mantello e generare serpentiniti che risalgono verso la superficie dell'arco vulcanico come conseguenza della loro minore densità.

f) Sedimenti: studio delle fluttuazioni climatiche e oceanografiche globali

Le trivellazioni profonde hanno permesso lo studio ad alta risoluzione della variabilità ambientale nel corso del Neogene e del Quaternario. I dati provenienti da diversi pozzi perforati nello stesso sito, in modo da avere una sezione stratigrafica completa, hanno ricostruito la storia geologica delle fluttuazioni sedimentarie prodotte da variazioni climatiche e ambientali di diverso tipo. Sono stati individuati i maggiori cicli glaciali di portata globale che si ritiene dipendano dai mutamenti dell'obliquità dell'asse rotazionale terrestre e che si verificano con una regolarità di 41.000 anni. È stata inoltre messa in evidenza anche una ciclicità minore che riflette variazioni di produttività biologica nelle acque oceaniche superficiali, in conseguenza di fluttuazioni climatiche legate a cicli astronomici con periodicità di circa 21.000 anni. Le perforazioni ODP stanno dimostrando che il clima e la circolazione oceanica non solo del Quaternario, ma anche delle epoche geologiche precedenti, sono stati influenzati da cambiamenti della geometria orbitale, conosciuti come ‛cicli astronomici di Milankovič'. L'analisi dei sedimenti del Pacifico equatoriale orientale (leg ODP 138) mostra che negli ultimi 20 milioni di anni si sono avute variazioni ben riconoscibili nella produttività biologica regionale. Correlazioni dettagliate sono state stabilite tra le variazioni ambientali messe in luce dallo studio dei sedimenti carotati nei diversi siti ODP e i cicli astronomici calcolati teoricamente. In tal modo è stato possibile stabilire una precisa relazione tra la storia dei mutamenti climatici e le risposte degli oceani e dei sistemi biologici. I carotaggi oceanici ODP stanno fornendo importanti contributi in paleoclimatologia, paleoceanografia e altri settori della geologia (v. anche geologia stratigrafica, vol. X).

Gli aumenti e le diminuzioni delle calotte glaciali determinano fluttuazioni del livello e della temperatura degli oceani che vengono registrate nei sedimenti e nei gusci dei Foraminiferi planctonici contenuti nei sedimenti profondi. Durante le fasi di avanzamento glaciale si ha un arricchimento dell'isotopo 18 dell'ossigeno (rispetto all'isotopo 16) nell'acqua oceanica. In tal modo, come dimostrò per primo Cesare Emiliani nel 1955, la misura delle variazioni dei rapporti degli isotopi dell'ossigeno nei gusci planctonici fornisce una eccellente testimonianza delle fluttuazioni delle masse glaciali nel corso del tempo. Le trivellazioni profonde (ad es., legs DSDP 93, 95 e leg ODP 150) hanno anche mostrato una correlazione tra gli abbassamenti globali del livello oceanico, segnalati dalla presenza di discontinuità stratigrafiche nelle sequenze, e le curve isotopiche dell'ossigeno indicative di espansioni glaciali.

I mutamenti del clima o della circolazione oceanica determinano variazioni nel tipo di sedimento che si accumula sul fondo dell'oceano. Ad esempio, un'intensa circolazione (periodi glaciali) produce variazioni di produttività e, di conseguenza, cambiamenti nel tipo di Foraminiferi planctonici che si depositano sul fondo. Gli strati a diversa composizione, rappresentativi di eventi oceanografici e climatici regionali, a volte sono contrassegnati da orizzonti sismici in profili sismici a riflessione, matematicamente trattati (‛sismogrammi sintetici'). Individuando il processo che causa la formazione di tali riflettori sismici in una certa regione oceanica, è possibile cartografare la distribuzione spaziale di tale processo su grandi estensioni. Tale tipo di studi è stato effettuato in perforazioni profonde eseguite nel Pacifico equatoriale (ad es., nel pozzo ODP 844).

g) Le formazioni geologiche dell'Atlantico centrale

I diversi siti del DSDP hanno individuato, attraverso le perforazioni, sequenze sedimentarie dell'Atlantico centrale (margini nordamericano, iberico e africano) caratterizzate da litologie, età, composizione petrografica e associazioni faunistiche simili. Tali caratteri comuni hanno permesso la definizione di un certo numero di formazioni, cartografabili sismicamente, di età compresa tra il Giurassico superiore e l'Olocene. Di particolare interesse è la completa corrispondenza, sia litologica che cronologica, delle principali unità atlantiche del Giurassico superiore-Cretacico con le formazioni affioranti nel dominio della Tetide (Appennino e Alpi meridionali). La successione stratigrafica sopra il basamento basaltico comprende infatti, dal basso verso l'alto, le seguenti formazioni: Cat Gap (rosso ad aptici), Blake-Bahama (maiolica), evento anossico E1 (livello Selli), Hatteras (marne a fucoidi e scaglia bianca), evento anossico E2 (livello Bonarelli), Plantagenet (scaglia rossa). Tali formazioni, che si estendono lungo l'intero Atlantico centrale, indicano tre fasi deposizionali distinte, separate dalle due estesissime discontinuità stratigrafiche in corrispondenza degli eventi anossici. I livelli anossici citati sono stati riscontrati anche nel Pacifico. L'inizio della deposizione della fase Hatteras segna un aumento improvviso della velocità di sedimentazione dovuto agli abbondanti apporti terrigeni trasportati da torbide (calcitorbiditi) provenienti dai margini.

h) Anomalie magnetiche oceaniche e stratigrafia magnetica

Le trivellazioni profonde dei legs DSDP 37 e 43, effettuate nel basamento vulcanico (strato 2) della Dorsale medioatlantica, hanno dimostrato che sulla stessa verticale del sito esiste un'alternanza di rocce magnetizzate a polarità sia normale che inversa. Inversioni di polarità magnetica lungo sezioni verticali sono state osservate anche in siti del Pacifico. Tali anomalie magnetiche non risultano quindi da una semplice serie di lave magnetizzate, ma piuttosto sono il risultato dell'effetto cumulativo di varie lave sovrapposte le cui proprietà magnetiche variano molto. Il processo che ha generato le anomalie magnetiche si è rivelato ben più complesso di quanto si fosse precedentemente ipotizzato. Le lineazioni magnetiche degli oceani non appaiono causate da una fase magmatica estrusiva, bensì da dicchi intrusivi. Secondo alcune interpretazioni, la dorsale in sollevamento sarebbe stata fratturata, e le fratture verticali e lineari sarebbero state riempite da materiale magneticamente attivo. Un altro aspetto della complessità riscontrata in Atlantico è costituito dalla eterogeneità delle proprietà magnetiche in rocce poco distanti, causata sia da intrusioni diapiriche di materiale plutonico che da deformazioni tettoniche (zone brecciate: è il caso dei legs DSDP 51-53).

La correlazione delle zone biostratigrafiche, dedotte dagli studi paleontologici, con la sequenza delle polarità magnetiche ha permesso l'elaborazione di una stratigrafia magnetica ad alta risoluzione relativamente all'intervallo Cretacico-Cenozoico. Uno degli obiettivi delle attuali ricerche magnetostratigrafiche è quello di individuare l'esistenza di brevi escursioni della polarità magnetica, per giungere a una dettagliata calibrazione stratigrafica e stabilire precise correlazioni tra i diversi siti. Accanto allo studio dei mutamenti di polarità, hanno avuto inizio anche le misurazioni d'intensità del campo magnetico in sedimenti del Pacifico equatoriale (ad es., leg ODP 138). Poiché i cambiamenti d'intensità sono sincroni in tutto il globo, la loro registrazione fornisce un nuovo importante strumento stratigrafico.

i) Movimenti tettonici

I carotaggi profondi hanno documentato l'esistenza di importanti movimenti verticali della crosta oceanica. I movimenti di subsidenza sono particolarmente evidenti nelle regioni ai piedi dei margini continentali. Movimenti di subsidenza regionale, interrotti da riemersioni (indicate da lacune stratigrafiche), sono stati segnalati in diverse località dell'Atlantico e del Pacifico. Anche le dorsali presenti nelle zone di frattura equatoriali, disposte trasversalmente rispetto alla Dorsale medioatlantica, indicano emersione (ed erosione subaerea), seguita da successivo sprofondamento in tempi recenti. Le trivellazioni del leg 12 hanno documentato subsidenze al largo di Terranova, seguite da riemersioni parziali. Sprofondamenti di vaste aree sono stati evidenziati dalle trivellazioni profonde al largo della Florida. È stata dimostrata dalle perforazioni una vasta subsidenza delle dorsali dell'Oceano Indiano (ad es., Dorsale di Ninety-East, Piattaforma delle Mascarene, Dorsale delle Maldive-Laccadive). Nel caso della Dorsale tronca (a ovest dell'Australia) è stato documentato un rapido sollevamento, seguito da un progressivo affossamento. Un'enorme regione del Pacifico centrale si era sollevata durante il Cretacico a costituire la cosiddetta ‛Dorsale di Darwin' (lunga 14.000 km e larga 3.000 km), successivamente sprofondata (nel Terziario). Il sollevamento regionale era accompagnato, in un periodo compreso tra 110 e 70 milioni di anni fa, da un estesissimo vulcanismo (pozzo DSDP 462). Anche il fondo del Pacifico meridionale mostra segni di subsidenza. L'intera regione situata a est dell'Australia (Mar dei Coralli, Soglia di Lord Howe) può essere spiegata solo presumendo una storia geologica di vasta subsidenza. Si può affermare che, a parte la porzione sudorientale, estesi settori del Pacifico furono interessati da movimenti di sprofondamento. In generale, negli oceani il sollevamento è meno comune della subsidenza. Gli esempi di elevazione sono per la maggior parte situati nel Pacifico, pur essendo presenti anche nell'Oceano Indiano (ad es., Isola Christmas) e nell'Atlantico (ad es., Azzorre, Madeira, Canarie, Capo Verde e Barbados).

L'esistenza di importanti movimenti tettonici e di variazioni nella circolazione oceanica sembra indicata anche dalla presenza di lacune stratigrafiche di portata globale nei sedimenti oceanici profondi. In tutti i bacini oceanici la massima frequenza di lacune si situa in corrispondenza del limite Mesozoico-Terziario (65 milioni di anni fa), alla fine dell'Eocene (38-42 milioni di anni fa), tra il Miocene medio e quello superiore (10-12 milioni di anni fa) e nel Pliocene medio (3 milioni di anni fa). Nell'80% circa dei siti perforati è stata osservata una lacuna stratigrafica tra il Cretacico e il Paleocene.

Considerata l'esistenza negli oceani di tali movimenti tettonici, la cosiddetta ‛curva di Sclater' (profondità del basamento oceanico in funzione della radice quadrata dell'età) assume un significato molto più complesso di quello precedentemente ipotizzato. Essa non rappresenta la semplice storia della subsidenza della litosfera oceanica (per raffreddamento graduale) man mano che si allontana dalla dorsale, ma racchiude invece in sé il risultato di differenti movimenti (talora ripetuti) di sollevamento e subsidenza del fondale oceanico.

Da ultimo, è necessario ricordare la scoperta, del tutto inaspettata, di una deformazione compressiva intraoceanica in corrispondenza dell'Oceano Indiano equatoriale. La litosfera oceanica, che dovrebbe essere rigida, appare piegata e fagliata a costituire una catena sudvergente di oltre 2.000 km di lunghezza (v. Wezel, 1988). Le perforazioni del leg ODP 116 hanno dimostrato l'età plio-quaternaria di questa notevole struttura tettonica che ricorda la catena appenninica esterna.

l) Tempi di formazione dei bacini oceanici

Le sequenze carotate in tutti gli oceani contengono grandi quantità di depositi d'acqua poco profonda e di basalti che si sono effusi attorno a 500 m di profondità. Nelle sequenze degli oceani si osserva una regolare crescita verso l'alto delle facies profonde e la relativa decrescita di quelle d'acqua bassa. Da una sedimentazione prevalentemente o esclusivamente di mare poco profondo si passa verso l'alto a una deposizione mista, per poi terminare con una sedimentazione profonda alla sommità. Mentre nel Pacifico la transizione tra i sedimenti esclusivamente di mare basso e quelli misti (di mare basso e profondi) avviene nel Giurassico superiore-Cretacico inferiore, nell'Atlantico il passaggio si verifica nel Cretacico superiore, e nell'Indiano nel Paleocene. La presenza di sedimenti poco profondi testimonia l'esistenza nel Giurassico e nel Cretacico inferiore di mari epicontinentali, situati nelle attuali regioni oceaniche. La comparsa dei primi sedimenti profondi sembra essere in relazione con la formazione di depressioni oceaniche profonde separate tra loro. Il drastico e generalizzato aumento della profondità e la formazione di bacini oceanici estesi sono fenomeni che vengono invece correlati con l'instaurarsi della sedimentazione prevalentemente profonda: vale a dire, le vaste aree bacinali iniziano a formarsi nel Cretacico superiore nel caso del Pacifico, nel Cretacico superiore-Paleocene nel caso dell'Atlantico e nell'Oligocene per quanto riguarda l'Indiano.

5. Conclusione

La raccolta di nuovi dati ha messo in evidenza che i processi di formazione dei bacini oceanici sono più complessi di quanto ritenuto finora. I fondi oceanici non ci appaiono più come dei luoghi tranquilli dove i processi si svolgono lentamente in tempi molto lunghi, ma come siti molto attivi di interscambio tra l'idrosfera, la litosfera e la biosfera dove si svolgono processi di breve durata. Nella crosta oceanica vi è un'attiva circolazione di fluidi, verosimilmente modulata dai movimenti tettonici e dal magmatismo, che cambia il bilancio chimico degli oceani. Per lo studio dei processi oceanici sono necessarie nuove tecnologie e un monitoraggio continuo. Il concetto di rigidità delle placche deve essere rivisto. La crosta degli oceani sembra infatti essere stata soggetta sia a movimenti orizzontali che a movimenti verticali, che si sono ripetuti nel tempo. Nell'interno degli oceani vi sono perfino evidenze di deformazioni compressive di portata regionale, ritenute tipiche dei continenti. La presunta separazione del dominio oceanico da quello continentale, la reale composizione e l'effettiva età della crosta oceanica si potranno dimostrare in maniera rigorosa solo tramite la perforazione di un pozzo molto profondo che arrivi fino alla base della crosta oceanica.

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