ATLANTICO, Oceano

Enciclopedia Italiana (1930)

ATLANTICO, Oceano (A. T.,1-2-3 e 4-5)

R. A.
L. D. M.
G. Col.
R. A.
*

Generalità. Dopo che il concetto di oceano ebbe acquistata una consistenza scientifica (v. oceano), questo nome designò più propriamente nell'uso degli scrittori più antichi la superficie acquea che si stende a ovest dell'Europa e dell'Africa. Il nome si trova per la prima volta in Erodoto (nella forma 'Ατλαντίς; Erod., I, 203), ma designa per lui, come più tardi per Strabone, tutto l'oceano circondante da ogni parte la terra abitata. Soltanto nell'uso degli scrittori latini, come Plinio, Oceano Atlantico è, in senso più stretto, quello che lambisce le coste occidentali dell'abitabile, detto pur talora Oceano Occidentale o Esperio. Oceano Occidentale è ancora il nome più spesso usato nel Medioevo fino a tutto il sec. XV, ma non è dimenticato e si trova pur adoperato talora l'appellativo di Atlantico. Questo diviene d'uso sempre più frequente, dopo l'epoca delle grandi scoperte geografiche, pur accanto ad altri nomi nuovi (Oceano Settentrionale o del Nord, nella parte a N. dell'Equatore, e in opposizione a Mare del Sud, dato al Pacifico; Oc. Etiopico nella parte a S. dell'Equatore), e finisce col trionfare per l'autorità del Varenio (Geographia Generalis, 1664) a partire dalla metà del sec. XVII.

I limiti dell'Oceano Atlantico, quali furono fissati nel 1847 dalla commissione nominata dalla Società geografica di Londra (vedi oceano), risultano ora alquanto mutati, dopo l'accertamento sia della stretta dipendenza del Mare Artico dall'Atlantico, sia dell'esistenza di una massa continentale al posto dell'ipotetico Oceano Glaciale Antartico di una volta. Nel suo più comprensivo significato (includendovi cioè il Mare Artico), l'Oceano Atlantico si stende per oltre 180° dallo Stretto di Bering all'Antartide (20.800 km.) dividendo in tutta la sua lunghezza il mondo antico dal nuovo; come limite verso il Pacifico, a sud, si può assumere il cosiddetto Canale di Drake, fra la Terra del Fuoco e le Shetland Australi (900 km.), come limite verso l'Oceano Indiano si assume convenzionalmente il meridiano del Capo delle Aguglie. L'area risulta di circa 106 milioni di kmq., dei quali il 23% spetta a mari dipendenti. Emergono tra questi per estensione e importanza molteplice tre mediterranei, cioè il Mare Artico (14 milioni di kmq.), il Mediterraneo Romano (poco meno di 3 milioni di kmq. con il Mar Nero) e l'Americano (4.580.000 kmq.: vedi per ciascuno di essi alle rispettive voci). Un minore meditenaneo è la cosiddetta Baia di Hudson (1.220.000 kmq.); altri mari dipendenti sono la Baia di Baffin e il Golfo del S. Lorenzo sul lato occidentale, il Mare del Nord con il Baltico, e il Mar d'Irlanda, sul lato orientale.

Considerato nel suo corpo principale, tra l'Islanda e la Terra di Coats (Antartide), che sono sullo stesso meridiano, l'Atlantico è lungo oltre 15.000 km., e presenta una caratteristica forma a S, per la quale a ogni sporgenza del contorno orientale corrisponde all'ingrosso una rientranza del contorno occidentale e viceversa di questa corrispondenza si è anzi cercata la spiegazione nell'origine e nelle vicende geologiche dell'Atlantico (v. più sotto). La minima distanza, fra i due punti più vicini dell'Africa e dell'America Meridionale, è di 2840 km., ma nella plaga oggi più navigata, fra 40° e 50° N., si mantiene fra 3400 e 5500 km., e fra 20° e 30° N dove fu per la prima volta traversato, è ancor più largo (km. 6700-6850). La larghezza di 5500 km., che si ha a un dipresso lungo il 40° N., come lungo il 20° S., si può considerare come la media.

Una caratteristica dell'Atlantico è l'estrema povertà di isole. Se prescindiamo da quelle prettamente continentali, come le Isole Britanniche, Terranova, le Grandi Antille, tutte le altre, prese insieme, sommano a meno di 1/600 dell'area totale (anche includendovi l'Islanda, le Färöer, le Canarie, le Isole del Capo Verde, ecc.); di isole prettamente oceaniche non si possono ricordare che le Bermude, e qualche isolotto solitario nella parte centro-meridionale (Fernando de Noronha, S. Paolo, Ascensione, S. Elena, Tristan da Cunha). Questa grande penuria d'isole non era affatto sospettata prima che l'Atlantico fosse traversato (è noto anzi, che per tutto il Medioevo fu invece diffusa l'opinione che esso albergasse numerose isole, estese e fertili), ma fu constatata rapidamente già nei primi decennî del sec. XVI (le Bermude e S. Elena, ultime isole scoperte, lo furono nel 1527); la mancanza di luoghi di sosta e di rifugio non impedi che l'Atlantico settentrionale divenisse presto una grande arteria del commercio mondiale, ma ostacolò forse alquanto i rapporti fra le due opposte sponde dell'Atlantico meridionale.

L'esplorazione dell'Atlantico. - La conoscenza dell'Oceano Atlantico - sia per quanto riguarda il riconoscimento del suo contorno generale (figurato già assai esattamente tranne che per l'estremo nord nelle carte marine del 1530-1550), sia per quanto riguarda il patrimonio di notizie pratiche sul regime dei venti, sulle correnti ecc. delle parti più frequentate (si veggano ad es. le opere di Varenio, Voss, Kircher, tutti del sec. XVII) - progredì assai rapidamente; invece la conoscenza delle profondità marine e in genere l'esplorazione scientifica, data soltanto, come è noto, dalla seconda metà del sec. XIX.

Le prime misure batimetriche attendibili eseguite in alto mare furono quelle fatte da John Ross nel suo viaggio alla Baia di Baffin nel 1817-18 con uno strumento costruito a bordo; esse non solo raggiunsero una profondità mai toccata fino allora (2750 m. circa) ma trassero per la prima volta alla luce organismi viventi a quelle profondità, che si credevano disabitate. Più tardi gli scandagli si ripetono più frequenti, fornendo peraltro dati per lo più assai incetti e talora esageratissimi (nel 1852 si annunziarono misure superiori a 14-15.000 m.) per difetto di buoni apparecchi misuratori; solo nel 1854 l'americano Brooke costruì il suo notissimo tipo di scandaglio, divenuto presto di uso generale. Nello stesso tempo, anzi qualche anno prima, s'iniziavano le misure batimetriche per la posa del primo cavo transatlantico, gettato, dopo qualche tentativo infruttuoso, nel 1866; nel 1855 M. F. Maury raccoglieva e vagliava criticamente tutti i dati di profondità fin allora esistenti e nel 1859 pubblicava la prima carta batimetrica dell'Atlantico; nel decennio successivo le conoscenze si accrescevano poi rapidamente per le numerose campagne batimetriche, alcune delle quali fatte a scopo puramente scientifico (Lightning 1868; Porcupine 1869-70, nei mari a settentrione e a occidente delle Isole Britanniche). Ma la prima larga messe di dati sulla batimetria dell'Atlantico e di osservazioni oceanografiche di ogni genere provenne dalla famosa spedizione del Challenger, che fra gli anni 1872-76 traversò quattro volte l'Atlantico fra le opposte sponde, a diverse latitudini, e percorse anche rotte sinuose in senso nord-sud sotto diversi meridiani (v. challenger). Contemporaneamente la spedizione tedesca della Gazelle, nella prima parte del suo viaggio (1874-76), scandagliava l'oceano a ovest dell'Africa fino all'Ascensione. Tra le spedizioni scientifiche successive sono da annoverare anzitutto quelle effettuate, dal 1885 in poi, dal principe di Monaco con le sue navi Hirondelle, Hirondelle II e Princesse Alice, poi quella dell'americano Albatross (1887-88) nei mari a oriente dell'America, dal Golfo del S. Lorenzo allo Stretto di Magellano, e anche nel Mediterraneo americano; quella del Vitiaz (russa, 1886-89) sul percorso Lisbona-Isole Canarie-Isole Capo Verde-Capo San Rocco-Stretto di Magellano; quella del National (tedesca, 1889) sul percorso Amburgo-C. Farvel-Isole Bermude-Canarie-Isole del Capo Verde-Ascensione-Pará-Azzorre Amburgo; quella del Gauss (tedesca, 1901-03) diretta a riconoscere particolarmente la dorsale centrale atlantica fra 40° N. e 30° S. e la zona interposta fra l'Ascensione, Tristan da Cunha e il Capo; quelle del Planet e del Möwe (tedesche, 1906-11) nei mari a ovest dell'Africa. Alla conoscenza di questi mari contribuirono anche i viaggi del Buccaneer (1886) e della Valdivia (1898-99); a quella dell'Atlantico settentrionale la spedizione britannica del Valorous (dalla Manica alla Baia di Baffin, 1875), le successive, britanniche, del Triton (1882) e del Jackal (1887 e 1893-94), le americane del Gettysburg (1876) e della Research (1896), poi soprattutto i lavori sistematici danesi e norvegesi (Voringen 1876-78; Fylla 1877-78 e 1886; Ingolf 1895-96; Thor 1903-05; Michael Sars dal 1900 in poi; Dana 1921-22). Importanza particolare ebbe la spedizione 1910 del Michaei Sars con duplice traversata dell'oceano aperto fra 30° e 50° N. e lunghe ricognizioni nei mari adiacenti al Marocco, alla Spagna e alle Isole Britanniche. La zona meridionale dell'Atlantico fu campo speciale alle esplorazioni della francese Romanche (1883); la fascia che contorna l'Antartide fu esplorata dalle spedizioni della Belgica (1898), dell'Antartic (1902-03), della Scotia (1903-04), del Français (1903-05), del Pourquoi-Pas? (1908-10); del Deutschland (1911-12) e dell'Endurance (spedizione Shackleton 1914-16), che peraltro andò perduta nell'ottobre 1915 perché schiacciata fra i ghiacci.

Accanto a tutte queste spedizioni, le quali, preparate con scopi scientifici, fornirono conoscenze non solo sulla batimetria, ma sulla natura dei fondi marini, sulla fisica e sulla chimica delle acque ecc., non possono essere dimenticate le misurazioni delle navi posacavi e di crociera, alle quali si debbono dati di dettaglio sulle profondità marine, accumulati ormai in gran numero nel periodo di settanta e più anni, quanti ne corsero fra i primi scandagli dell'americano Dolphin (1851-52) e quelli dell'italiana Città di Milano per la posa del cavo italiano che ci lega all'America del Sud attraverso l'isola di Fernando de Noronha.

Una nuova era per l'esplorazione scientifica degli oceani s'inizia con l'applicazione dei procedimenti acustici alla misura delle grandi profondità (scandagli ad eco), procedimenti che permettono l'effettuazione, in un solo giorno, di alcune centinaia di misure (fino oltre 300). Il primo esempio grandioso dell'impiego di tali procedimenti si è avuto, proprio per l'Oceano Atlantico, con la spedizione tedesca del Meteor (1925-27), la quale ha eseguito quattordici traversate complete dell'oceano fra 20° N. e 55° S. effettuando per la prima volta un vero e proprio rilievo batimetrico sistematico di tutto l'Atlantico meridionale mediante oltre 67.000 scandagli, compiendo inoltre uno studio completo della circolazione orizzontale e verticale delle acque (questo era anzi lo scopo principale della spedizione), e anche osservazioni fisico-chimiche, raccolte di saggi di fondo, ricerche e raccolte biologiche e osservazioni meteorologiche anche con palloni-piloti e drachen.

Per l'avvenire dell'esplorazione scientifica dell'Atlantico molto si può attendere da un'intesa internazionale. Sin dal 1902 fu organizzato un consiglio permanente per l'esplorazione del mare con sede a Copenaghen, cui partecipano tutti gli stati dell'Europa di nordovest; esso ha promosso prima della guerra parecchie importanti spedizioni come quella del Michael Sars, e ha dato in luce importanti pubblicazioni, pur limitando il suo campo d'azione esclusivamente all'Atlantico settentrionale; ma il progetto di estenderlo a tutto l'oceano fu ripetutamente caldeggiato in congressi internazionali.

La storia geologica dell'Atlantico. - All'Oceano Atlantico si attribuisce in generale una storia geologica assai complicata, nel senso che la sua estensione e la sua configurazione avrebbero subito modificazioni molto notevoli, attraverso le varie epoche geologiche; ma le opinioni dei paleogeografi e dei geologi sono ancora, su questo argomento, molto discordi. Secondo alcuni la conformazione attuale dell'Atlantico risalirebbe a una età assai recente, a un dipresso al Terziario. Le analogie di struttura fra le terre che circondano dalle due opposte parti sia l'Atlantico settentrionale sia il meridionale, la distribuzione di talune formazioni geologiche e soprattutto di molte forme vegetali e animali estinte e attuali, indurrebbero ad ammettere l'esistenza di un enorme continente meridionale che ancora nel Giurassico avrebbe riunito l'intera America del Sud (tranne le Ande, non ancora formatesi) all'Africa (cui mancava ancora il lembo nord-ovest con l'Atlante), e anche l'esistenza di un più vasto continente settentrionale esteso nel periodo Carbonico dall'America artica e dalla Groenlandia ai confini orientali della Finlandia, interrotto solo nel Giurassico da un ristretto solco a oriente dell'Islanda; tra questi due continenti si sarebbe esteso, dal Mediterraneo americano al Mediterraneo romano, un ampio braccio di mare, una specie di Mediterraneo primordiale; la fisionomia odierna dell'Atlantico avrebbe cominciato a comporsi nelle sue linee essenziali solo nei primi periodi del Terziario.

Questa dottrina, che giova soprattutto, come si è detto, per dar ragione di analogie floristiche e faunistiche fra i due lati dell'Atlantico, urta contro gravi obiezioni di ordine fisico, per il che alcuni studiosi recenti, come ad es. C. Diener, ammettono, anche per l'Atlantico, come per altri oceani, una relativa permanenza attraverso le varie età geologiche, o almeno dal Paleozoico in poi; ristretti ponti insulari o anche continentali potrebbero essersi formati localmente e temporaneamente agevolando lo scambio delle flore e delle faune, ma grandi masse continentali non avrebbero mai occupato l'area oggi coperta dall'oceano, la quale sarebbe stata ab initio, nella sua parte sostanziale, una parte dell'oceano primevo (v. per maggiori particolari: paleogeografia e atlantide).

Una terza interpretazione si collega con la dottrina della deriva dei continenti sostenuta dal 1912 in poi dal Wegener: essa ammette che il singolare parallelismo fra le coste euroafricane e americane - per cui a una grande sporgenza delle prime corrisponde una grande rientranza delle seconde e viceversa - si spieghi supponendo che America ed Euro-Africa aderissero insieme almeno fino al periodo Cretacico; e che in quel periodo una frattura originatasi dapprima a sud, determinasse il distacco progressivo di una grande massa continentale, che scivolando verso ovest con un lento moto di deriva avrebbe dato origine all'America del Sud; analogamente si sarebbe poco dopo distaccata la massa dell'America del Nord (con la Groenlandia) dall'Europa; il movimento di deriva delle masse continentali americane verso ovest durerebbe ancora; l'area interposta, invasa dalle acque dell'Atlantico, si sarebbe sempre più allargata pur mantenendo contorni all'incirca paralleli ai due margini (v. Wegener, teoria di).

In ogni modo, quali che siano state le vicende più lontane dell'Atlantico, è da tener presente che modificazioni di una certa entità nel suo contorno si sono verificate anche in epoca geologicamente vicina: fino al Pliocene la Terra di Baffin era unita alla Groenlandia e questa forse all'Islanda; d'altro lato soltanto durante o dopo l'epoca glaciale il mare ha invaso la piatta conca dell'attuale Baia di Hudson, in mezzo al tavolato canadese, come pure il Baltico e il Mar Bianco, insinuati in mezzo alla piattaforma fennoscandica. Anche la zona dei Mediterranei ha assunto il suo presente aspetto al principio del Quaternario.

La morfologia dell'Atlantico e la costituzione del suo fondo. - Le condizioni batimetriche dell'Atlantico si rilevano, nelle linee generali, dall'annessa carta a colori, la quale mostra anzitutto la varia estensione della piattaforma continentale (limitata dall'isobata di 200 m.), che nell'insieme copre un'area non inferiore all'8% dell'intero oceano. Essa è notevolmente estesa intorno alle coste europee e anche intorno all'Islanda; tra la Scozia e la Groenlandia Orientale una dorsale sottomarina, coperta da soli 300-600 m. d'acqua, separa nettamente dal corpo principale dell'Atlantico il bacino interposto fra la Norvegia, l'Islanda, la Groenlandia e le Svalbard, che scende invece in due conche a profondità notevolissime (fino a 3670 m.) e può considerarsi come una dipendenza del Mare Artico.

Per quanto riguarda l'Atlantico propriamente detto, la sua caratteristica morfologica più cospicua è l'esistenza di una lunga e sinuosa dorsale, che, ricoperta in genere da 3000-3800 m. di acqua, lo percorre da nord a sud in tutta la sua lunghezza, riproducendo, nel suo serpeggiante andamento, le sporgenze e le rientranze principali delle opposte sponde. Questa dorsale si inizia a sud dell'Islanda con la gobba Reykjanes e un po' più a sud, all'incirca alla latitudine della Manica, si allarga nella ben nota Platea del Telegrafo, tra l'Irlanda e Terranuova, così detto perché su di essa riposa la maggior parte dei cavi telegrafici allaccianti i due continenti. Salvo qualche buca isolata, questo altipiano, specialmente nella parte orientale, ha il fondo a 3200-3600 m., e a sud, anzi, si solleva ancora nel vasto ripiano che sostiene le Azzorre, coperto su una larga area da profondità inferiori a 2000 m. (Platea delle Azzorre). Più a sud la dorsale si restringe: fiancheggiata tanto a est che a ovest, come vedremo, da bacini profondi 5000 e più metri, essa ha perciò un'altezza relativa di 1500-1800 m. e un percorso all'ingrosso da NO. a SE. In prossimità dell'Equatore, dove sorregge la solitaria isoletta di S. Paolo, la dorsale, diretta a est, diviene tanto stretta, che fu assomigliata ad una cresta, anche perché in questa sezione dell'Oceano, a fondo tormentatissimo, essa è limitata da pendii a forte inclinazione; sotto l'Equatore e a circa 18° long. ovest precipita infatti a nord con una scarpata ripidissima verso una buca profonda oltre 7000 m., mentre a poca distanza, a SO., un'altra buca più ampia scende a 6300 m. A sud dell'Equatore la Dorsale Sudatlantica ha di nuovo percorso meridiano (con l'asse fra 12° e 15° ovest); è assai più larga e, mantenendosi a un'altezza relativa di circa 2200-2500 m., si divide in tre rialti minori dei quali il centrale è a sua volta il più elevato; alcune alture emergono qua e là fino a distanza di poche centinaia di metri dal livello marino, altre sporgono fuori dalle acque con le isole Ascensione, Tristan da Cunha, Gough e Bouvet. A sud del 48° lat. la dorsale si allarga a oriente ed è continuata in questa direzione dalla Dorsale Atlantico-indiana, che separa le aree ad acque molto profonde a sud dell'Africa, da quelle, pure profondissime (oltre 5000 m.) del Bacino Antartico; ad essa è unito, come un'appendice, il Banco Meteor, coperto da soli 560 m. di acqua.

L'Atlantico settentrionale, a occidente della dorsale ora descritta, si deprime nel Bacino Nord americano, che si estende da Terranova alle Antille con una profondità media di 5-6000 m.; un ripiano abbastanza vasto sostiene le Bermude, ma a sud di esso si hanno di nuovo profondità superiori a 6500 m.; le massime si riscontrano tuttavia in una fossa stretta e allungata a nord di Portorico, che si inabissa a 8525 m. A oriente della dorsale mediana l'Atlantico settentrionale presenta pure un ampio avvallamento, detto del Capo Verde, che in alcune buche isolate scende sotto i 6000 m.; a nord la piattaforma che sostiene le Canarie, Madera e le Azzorre lo separa da una conca irregolare, posta fra le Azzorre e le coste iberiche, che ha il fondo alternato di ripiani, di cupole e di buche (Buca del Peakes 6006 m.); a sud è pure un'altra serie di conche limitate a SE. dalla Dorsale della Guinea, riconosciuta dalla recente spedizione del Meteor, in tutta la sua lunghezza. Anche nell'Atlantico meridionale si hanno, tanto a ovest che a est della dorsale mediana, bacini ampî e profondi. Dei due bacini occidentali, il Bacino brasiliano, a nord, ha la massima profondità (6006 m.) sotto 20° S.; il Dosso di Rio Grande lo separa dal Bacino Argentino, a sud, ma esso è interrotto da una fossa, che permette lo scambio di acque fra i due bacini fino a 5000 m. di profondità. La spedizione del Meteor, esplorando in modo sistematico il Bacino Argentino, vi trovò profondità superiori a 6000 m. in una vasta area posta verso il lembo meridionale, e constatò poi che un'area profonda più di 5000 m. si prolunga a SE., contornando il margine esterno dell'arco insulare formato dalla Georgia Australe, dalle Sandwich e dalle Orcadi Australi; esternamente alle Sandwich, Australi poi, una lunga fossa scende alla profondità di 8060 m corrispondenza singolare con la Fossa di Portorico, al margine esterno delle Antille. Nel mare interposto fra i suddetti arcipelaghi (designati ora col nome di Antille Meridionali), l'Antartide Occidentale e la Terra del Fuoco, un'ampia area scende di nuovo al di sotto di 5000 m.

Dei due bacini orientali, l'Avvallamento sudafricano, nettamente delimitato a nord dalla Dorsale della Guinea, a sud dalla lunga e accidentata Dorsale della Balena, ha profondità superiori a 5500 m.; il Bacino (o Avvallamento) del Capo, a contorni molto più irregolari, è un po' meno profondo; un'altra serie di alture, scoperte dalla spedizione del Meteor (Rialto degli Aghi, Rialto Schmidt-Ott e Rialto Merz), lo divide da un bacino più orientale, che appartiene già all'Oceano Indiano.

Il fondo dell'Oceano Atlantico vero e proprio (esclusi i mari dipendenti) è coperto, per circa il 25% dell'area totale, da depositi d'origine terrestre, il che si spiega agevolmente quando si rifletta alla sua forma ristretta e allungata fra poderose masse continentali, alla ricchezza di fiumi influenti e alla notevole estensione che vi ha la piattafomma continentale; naturalmente vi è una stretta corrispondenza fra l'estensione di quest'ultima e quella di tali depositi. Si tratta in massima parte di materiali trasportati dai corsi d'acqua. Naturalmente ciottoli, ghiaie e sabbie s'incontrano solo in prossimità della spiaggia vera e propria; più al largo si ha invece una fanghiglia azzurrognola, giallastra o grigio-verde, e talora anche rossiccia, specialmente nelle zone tropicali dove il suolo, dilavato dalle acque superficiali, è costituito da uno spesso mantello di laterite. Sabbie di origine corallina si trovano al largo delle Antille e delle Bahama, sabbie vulcaniche intorno all'Islanda, alle Azzorre ecc. Nelle aree prossime ai Poli, materiali di origine terrestre sono trasportati dai ghiacci galleggianti, i quali, sciogliendosi, li lasciano cadere al fondo; di tali materiali, provenienti dalla Groenlandia e dall'Arcipelago Americano Artico, è coperto in buona parte il Banco di Terranova; di materiali affini è anche coperto il fondo del Mare di Weddel fino a 900-1000 km. dalla costa dell'Antartide.

A distanza notevole dalle coste, il fondo oceanico è in generale ricoperto da sedimenti di origine pelagica. Il sedimento predominante, che anzi costituisce, per così dire, la facies peculiare dell'Atlantico, è il fango a globigerine, che da solo copre forse la metà del suolo dell'Oceano, dal Circolo Polare Artico fino al Capo Horn e alla Georgia Australe, dal Mar Caraibico al Capo di Buona Speranza, eccezion fatta per le aree più profonde. Un tipo secondario, ma affine, è il fango a pteropodi, che peraltro nell'Atlantico è pochissimo diffuso e s'incontra solo in plaghe limitate e di modesta profondità, p. es. a sud delle Azzorre e nelle aree più elevate della dorsale mediana atlantica a sud dell'Ascensione. Il fango a globigerine manca nelle alte latitudini australi, dove è sostituito dal fango a diatomee, di natura diversa, perché formato dalle spoglie silicee di piccolissime alghe natanti (v. diatomee).

Finalmente le aree di massima profondità sono, nell'Atlantico, come negli altri oceani, ricoperte di un'argilla rossa, ricca di ossido di ferro, di origine non ben chiarita. Essa occupa circa il 18% dell'area totale dell'Atlantico, ricoprendo le parti più profonde del Bacino delle Bermude, di quello del Capo Verde, dei bacini brasiliano e argentino e della Conca del Capo. Nella sua composizione entrano certamente - ma, a quanto pare, non in modo esclusivo - elementi di origine cosmica, come piccoli grumi di ferro meteorico.

Lo studio dei materiali di fondo è, specialmente nell'Atlantico, di notevole interesse anche dal punto di vista pratico. Basti ricordare qui che tutti i distretti di pesca più importanti sono in aree a fondo terrigeno e che l'esatta conoscenza della distribuzione e della qualità della sabbia, dell'argilla, ecc., ha grande importanza per i pescatori. D'altro lato si pensi che i cavi telegrafici giacciono immersi nel fango a globigerine, per intero nella Platea del Telegrafo, per la massima parte anche altrove; tale fango è per essi un ottimo letto.

Condizioni fisiche dell'Atlantico.

Una visione complessiva della distribuzione della temperatura, della salsedine, della densità e quindi della pressione e dei movimenti convettivi nella massa dell'acqua atlantica non si poté avere che in questi ultimi decennî, in base ai dati raccolti nelle grandi crociere scientifiche del Challenger (1872-76), della Gazelle (1874-76), della Valdivia (1898-99), del Gauss (1901-903), del Planet (1906), del Möwe (1911) e del Meteor (1925-27).

Oltre che per la vastità e sistematicità delle osservazioni e delle misure, queste crociere, e altre più localizzate, di questi ultimi tempi, si distinsero dalle campagne precedenti per l'uniformità dei metodi e soprattutto per l'uso di strumenti e processi chimici che permisero di misurare la temperatura fino al centesimo di grado, e la salsedine fino ai decimillesimi, approssimazioni che prima si ritenevano non solo irraggiungibili, ma superflue e senza significato.

Distribuzione superficiale della temperatura. - Nelle due ultime cartine a p. 221 è rappresentato, secondo la recente sintesi di Schott, l'andamento delle isoterme dell'acqua superficiale nei mesi di febbraio (minima temperatura invernale) e di agosto (massima temperatura estiva). Da esse risulta che la regolare diminuzione dalla zona equatoriale verso i mari polari si complica con altri fatti perturbatori, come dimostra la grande irregolarità nell'andamento delle isoterme che si scostano sensibilmente dai paralleli. Così nell'Atlantico settentrionale si constata che la isoterma 0° - la quale, tanto d'inverno quanto d'estate, si stacca dalla costa americana presso il confine fra gli Stati Uniti e il Canada verso il 45° lat. N. - si spinge entro il Mare Artico fin oltre il 75° in febbraio e oltre l'80° in agosto, mantenendosi sempre molto lontana dalle coste occidentali d'Europa. È questo notoriamente l'effetto della Corrente del Golfo. Nelle latitudini minori, sempre nel bacino settentrionale, vediamo invece le isoterme inclinate dalle coste americane alle coste europee e africane in senso NO.-SE., inclinazione che rappresenta l'effetto della corrente equatoriale boreale, che, allontanandosi dalle coste africane, viene alimentata da acqua più fredda dal fondo, nonché dal ramo di ritorno verso sud della Corrente del Golfo che scende, come corrente fredda, lungo le coste franco-iberiche e africane. Analogamente l'inclinazione delle isoterme da NE. a SO. nell'Atlantico meridionale, e il cuneo di massima temperatura che dalla costa africana si spinge verso la costa americana alle minori latitudini (fra 20° e 10° S. d'inverno, fra 10° e 0° d'estate) sono evidentemente l'effetto delle correnti oceaniche: corrente del Brasile (calda) lungo l'America, del Benguella (fredda) lungo l'Africa, ed equatoriale australe. La corrente calda brasiliana viene mantenuta staccata dalla costa di Patagonia dall'insinuarsi di una corrente fredda che gira la punta meridionale d'America (Corrente delle Falkland), e che forma il pendant della Corrente boreale del Labrador, la quale analogamente si insinua fra le coste nordamericane e la Corrente del Golfo. Lo stesso non avviene attorno alla punta di Africa, dove anzi la Corrente (calda) del Mozambico, che scende lungo la costa orientale, si spinge oltre la punta stessa verso ovest (v. correnti marine).

La distribuzione termica non presenta differenze stagionali molto accentuate, salvo naturalmente un'oscillazione alternata verso nord e verso sud, che risponde all'oscillazione del sole tra i due tropici. In particolare la linea di massima temperatura (equatore termico), che in febbraio si mantiene poco a nord dell'equatore, con una massima deviazione di circa 4° nella parte centrale, si spinge nell'agosto oltre il 15° lat. sul mare Caraibico, discendendo fino a 5° circa nel Golfo di Guinea.

Distribuzione superficiale della salsedine. - Viene rappresentata da linee di eguale salsedine (isoialine), essendo questa misurata dal numero di grammi di sali sciolti in 1 kg. di acqua. Come appare dalla cartina a p. 221, nell'Atlantico la salsedine superficiale ha una distribuzione grossolanamente zonale, con una zona di minimo attorno a 35 in corrispondenza presso a poco dell'equatore termico, e due zone tropicali di massimo oltre 37: la boreale, con l'asse approssimativamente lungo il tropico e nel centro del bacino, l'australe a nord del tropico, fra 14° e 18° S. e col massimo aderente alla costa brasiliana. Da queste due zone la salsedine diminuisce progressivamente verso i mari polari fino al disotto di 34°.

Tale distribuzione si spiega come effetto dell'evaporazione e della pioggia: la zona equatoriale di minima salsedine corrisponde infatti alla zona delle piogge equatoriali, che diluiscono le acque superficiali, mentre le zone sub-tropicali di massima salsedine corrispondono all'evaporazione prodotta dagli alisei, che sono venti alimentati da correnti discendenti d'aria e quindi, al loro inizio verso i tropici, molto asciutti. Perciò l'andamento delle isoialine superficiali non corrisponde a quello delle isoterme, e non si può spiegare con le correnti superficiali.

Ma altre cause concorrono a nascondere l'effetto delle correnti: 1. lo scioglimento dei ghiacci, che determina uno strato superficiale di acque più dolci nei mari polari e lungo la deriva degli icerbergs, che sono trascinati dalle correnti lungo le coste settentrionali del Canada e della Siberia e le meridionali dei due continenti australi; 2. i fiumi, specialmente i maggiori, che determinano zone costiere di acque più dolci: così, p. es., si spiega lo spostamento dell'area australe di massima densità verso quel tratto di costa brasiliana che è più povero di fiumi, mentre sull'opposta costa africana il Congo distende una grande massa di acque dolci; 3. movimenti verticali ascendenti che portano in superficie, specialmente, come s'è visto, lungo le coste africane, acque profonde meno salse.

Distribuzione in profondità degii elementi fisici e circolazione verticale. - Solo le recenti crociere idrografiche inglesi e tedesche ne fissarono con sufficiente approssimazione le linee generali, per l'Atlantico, che trovarono la confemna nell'analoga situazione (rivelata dalla pubblicazione, avvenuta solo in questi ultimi anni, dei dati della crociera del Gauss) per l'Oceano Indiano.

Un fatto che era stato messo in evidenza anche da osservazioni sporadiche anteriori a quelle del Challenger e della Gazelle, e che aveva destato sorpresa, era il dominio di una temperatura molto bassa, fra 0° e 5°, in tutta la massa profonda dell'oceano al di sotto di 1500 m. anche nella zona tropicale. Ciò aveva condotto (Lenz) a supporre una circolazione fra ciascuno dei mari polari e l'equatore, originata dallo sprofondamento delle acque polari rese più dense dal raffreddamento e dalla formazione dei ghiacci, segregante i sali.

Pareva naturale che questo sprofondamento delle acque artiche e antartiche dovesse determinare in superficie un richiamo d'acqua in ambedue i sensi, cioè a nord e a sud, dalla zona equatoriale, a sostituire la quale acqua si ammetteva provvedesse nella zona stessa un movimento ascendente, alimentato dallo scorrimento negli strati profondi delle fredde acque polari.

Le numerose e rigorose determinazioni di temperatura, salsedine e gas disciolti a tutte le profondità hanno rivelato una circolazione assai più complessa.

Le linee generali di tale circolazione sono rappresentate da due grandi correnti sovrapposte: l'una di acqua polare australe, meno salsa e più fredda, che, sprofondandosi dalla superficie alle latitudini medie australi fra 40° e 60° lat. S., si mantiene tra 400 e 1500 m. di profondità e si spinge da sud oltre l'equatore fin quasi a 30° lat N.; l'altra di acqua boreale più salsa e meno fredda che, sprofondandosi dalla superficie dell'Atlantico settentrionale oltre il massimo sub-tropicale di densità, si spinge al di sotto della precedente, fra 1500 e 4000 m., fino alle più alte latitudini australi. Tale situazione era stata rivelata dalle misure del Challenger, che avevano segnalato un'inversione di salsedine verso i 1000-1500 m:; la salsedine infatti nelle latitudini medie australi diminuiva regolarmente con la profondità da oltre 37 a 34,50; ma oltre i 1500 m. risaliva verso 35. Presso il fondo scorre acqua più fredda proveniente dai mari polari verso l'equatore, secondo l'antico schema; ma manca assolutamente la corrente ascendente dagli strati più profondi sotto l'equatore sino alla superficie. L'antico schema verrebbe limitato a una zona molto ristretta, compresa, in superficie, tra i due massimi sub-tropicali di salsedine, e in profondità a qualche centinaio di metri. La salsedine crescente per evaporazione determina un movimento di discesa dell'acqua nella zona dei due massimi sub-tropicali, e quindi una chiamata d'acqua dall'equatore in superficie e verso l'equatore negli strati immediatamente sottostanti; all'equatore si ha poi un moto ascendente dell'acqua; tutto questo limitato però solamente a un esilissimo strato superficiale.

Considerando nel suo complesso la circolazione superficiale e profonda, si vede che negli strati superficiali, per effetto dello spostamento dell'equatore termico, per la corrispondente estensione degli alisei australi nell'emisfero boreale, e per la deviazione verso nord di parte della corrente equatoriale australe deviata dal Capo S. Rocco, prevale il trasporto di acque australi verso l'emisfero boreale. Anche la corrente fredda australe degli strati medî si spinge oltre l'equatore. Ciò spiega, per ragioni di necessario compenso, lo spessore molto maggiore della corrente boreale caldo-salsa, che si estende in quasi tutto l'Oceano australe al di sotto dei 1500 metri, e che, in vicinanza dello zoccolo del continente antartico, si mescola con la corrente di fondo. Essa è alimentata da un movimento di discesa di acque superficiali dell'Atlantico settentrionale a nord della zona subtropicale di massima densità. Invece nell'emisfero australe le acque polari, fredde e più dolci, create dallo scioglimento dei ghiacci antartici, si mantengono in uno strato superficiale fino al di sotto del 50° lat. S., dove si trovano a contatto con le acque notevolmente più calde e salse provenienti dalla regione subtropicale. Questa zona di contatto, entro la quale la salsedine e la temperatura diminuiscono rapidamente da N. a S., è conosciuta come la zona o linea di Meinardus, dal nome dell'oceanografo che la mise in evidenza. E lungo di essa che specialmente discendono le acque superficiali alimentatrici della corrente media australe.

Anche le determinazioni dell'ossigeno sciolto forniscono qualche elemento di prova della circolazione accennata, benché l'assorbimento esercitato dagli organismi rappresenti un elemento perturbatore. Abbiamo infatti una minima ossigenazione nella zona tropicale entro uno strato di poche centinaia di metri, dove la vita oceanica è più intensa; da essa l'ossigenazione, assoluta e relativa, va crescendo verso i mari polari e verso il fondo.

Il fatto che anche negli strati più profondi si trovi una percentuale d'ossigeno superiore al cc. per litro, pari a quella superficiale nella zona equatoriale e poco minore di quella dei mari polari, dimostra che quell'acqua profonda deriva, con circolazione non così lenta come si credeva, dalla superficie.

Maree. - Nella seconda cartina a p. 221 sono rappresentate le linee di eguale stabilimento del porto (ritardo della massima marea sul passaggio della luna al meridiano: v. marea).

Esse dimostrano che nell'Atlantico meridionale la marea si propaga da sud a nord come un'onda derivata dalla marea dell'Oceano Australe, mentre nell'Atlantico settentrionale si propagherebbe secondo 3 rotazioni (anfidromie); l'una, principale, attorno a un centro situato press' a poco tra l'Irlanda e il Labrador (circa 54° lat. N., 36° long. O.); una seconda con centro a est delle Antille (a circa 17° lat. N., 67 long. O.), e una terza attorno a un centro presso le isole Färöer.

Per le correnti nell'Atlantico, v. correnti.

La fauna dell'Atlantico.

La fauna marina dell'Atlantico, ricchissima nella sua porzione settentrionale, sia lungo le coste europee sia lungo quelle americane, e nelle sue propaggini, come il Mediterraneo, di cui trattiamo a parte, e il Mar delle Antille, va impoverendosi sempre più sotto il Tropico del Cancro e mostra un massimo di scarsezza fra l'equatore e il tropico del Capricorno. Tale scarsezza contrasta con quanto si nota nell'Oceano Indiano e nel Pacifico occidentale ove la fauna marina intertropicale è estremamente ricca.

Nell'Atlantico settentrionale e nel Mar delle Antille, come nel Mediterraneo, sono rappresentate quasi tutte le famiglie di Pesci, ma nessuna di esse può dirsi esclusiva; molte famiglie invece sono escluse dall'Atlantico intertropicale per ricomparire spesso a circa 30° lat. S., senza che la temperatura possa sempre essere invocata a spiegare questo fatto. Le foche frequentano tutte le coste dell'Atlantico settentrionale fino al tropico e quelle dell'isola di Cuba, ove vive un congenere del Monachus albiventer del Mediterraneo, il M. tropicalis; forma caratteristica dell'Atlantico settentrionale è Cystophora cristata; sulle coste atlantiche dell'America del Sud, a sud del tropico, oltre le vere foche vivono le Otarie, che si ritrovano anche presso il Capo di Buona Speranza. Abbondano nell'Atlantico settentrionale più che in ogni altro mare i cetacei, fra cui la balena basca (Balaena byscayensis) e l'Hyperoodon rostratus sono degni di menzione; nessun genere però è proprio dell'Atlantico. Le coste intertropicali dell'Africa e dell'America con tutto il golfo del Messico sono frequentate dai Manatidae, famiglia di sirenî esclusiva dell'Atlantico.

Nell'Atlantico settentrionale vi sono però generi di pesci caratteristici, come Hemitripterus, Pammelas, Chasmodes, Cryptachantodes, Tantoga, ecc., e nell'Atlantico tropicale Centropristis, Rhypticus, Haemulon, Malthe.

L'Atlantico settentrionale è stato chiamato il regno dei gadidi e dei clupeidi per la grande abbondanza di questi pesci, che però non vi sono esclusivi. Tra i clupeidi notiamo le aringhe (Clupea harengus), la sardina (Clupea pilchardus), l'acciuga (Engraulis encrasicholus); fra i gadidi, i merluzzi (Merluccius vulgaris). Abbondanti sono i salmoni. Il tonno (Orcynus thynnus), non raro nell'Atlantico, è forma più specialmente mediterranea, mentre più comune nell'Atlantico è l'alalonga (Thynnus alalonga), che può raggiungere la lunghezza di un metro. Importante è la presenza del Limulus hgo le coste del Golfo del Messico e le coste americane dell'Atlantico settentrionale. (Per la flora, v. sargassi, mare dei).

Geografia antropica.

L'importanza antropica ed economica dell'Oceano Atlantico supera di gran lunga quella degli altri due maggiori oceani. Essa è venuta crescendo sempre più dal sec. XVI in poi. Mentre per tutta l'antichità e il Medioevo l'Atlantico era stato, per il nostro mondo occidentale, una barriera invalicabile, quasi un insuperabile ostacolo opposto da una volontà superiore alla libera espansione degli uomini, già una generazione dopo la prima traversata di Colombo esso era divenuto - con rapidissimo mutamento - una via del traffico transoceanico di decennio in decennio sempre più frequentata, finché assurse, nel sec. XIX, alla funzione di massima arteria degli scambî mondiali.

La pesca nell'Atlantico. - Ma l'importanza dell'Atlantico deve essere valutata, prima che come via di comunicazione, come fonte di risorse. Nei riguardi della pesca, e prescindendo dalle acque artiche e antartiche, l'Atlantico può dividersi in tre parti: la regione intertropicale ad acque calde e due zone di trapasso meridionale e settentrionale. La prima regione ha, per la pesca propriamente detta, scarso valore: la caccia alle gigantesche balene tropicali (fra 35° N. e 30° S.), soprattutto al Physeter macrocephalus, un tempo attivissima da parte d'imprese nordamericane, è ora assai diminuita d'importanza. Aree particolarmente pescose si hanno sulla costa piatta presso il C. Bianco . in Africa (21° lat. N.) e nei dintorni della Gran Baia del Pesce (16° 30′ lat. S.) dove siamo già al limitare della zona meridionale di trapasso. Anche in quest'ultima la pesca non si esercita quasi affatto, sicché in sostanza soltanto la zona di trapasso settentrionale è da prendersi in cosiderazione, come sede di intensa attività peschereccia. Quivi poi le aree di pesca sono date di preferenza da quelle porzioni di mare basso (piattaforma continentale) dove vi è mescolanza di acque di diversa provenienza e dove perciò si hanno condizioni favorevoli alla vita di grandi quantità di plancton, che dànno alimento ai pesci. Tra queste aree si annoverano il Mar del Nord e la parte di accesso al Baltico, dove si mescolano le acque salate dell'Atlantico con quelle dolci del Baltico, il Mar di Norvegia e il Mar Bianco, dove si mescolano acque atlantiche e acque polari, e il Banco di Terranova, dove si incontrano la Corrente del Golfo e quella del Labrador. Tra le innumerevoli specie di pesci hanno importanza mondiale come cibo per l'uomo, e formano perciò oggetto di largo traffico, quasi soltanto il merluzzo (Gadus morrhua), l'aringa (Clupea harengus), lo scombro (Scomber scomber) e il nasello (Gadus aeglefinus). Nelle acque norvegesi la zona principale di pesca del merluzzo è nei dintorni delle Isole Lofoti, dove un tempo, tra il gennaio e il giugno, si affollavano fino a 30-40.000 pescatori, oggi ridotti alla metà o poco più. La pesca dell'aringa ha luogo sulle coste della Norvegia settentrionale e centrale in varie stagioni (novembre-gennaio, poi febbraio-marzo e settembre-ottobre); nella Norvegia meridionale la minor frequenza dell'aringa è compensata dallo scombro e anche dall'aragosta ecc. (v. norvegia). Alla pesca nel Mar del Nord partecipano l'Inghilterra (43% circa), la Scozia (17%), la Norvegia (13%), l'Olanda (9%), la Germania (8%), poi la Danimarca, la Svezia e anche il Belgio. Il prodotto totale raggiunge o supera l'enorme cifra di 1 milione di tonnellate annue, pari a 3 milioni di kg. al giorno o poco meno (aringa 30%; merluzzo 15%; nasello 12%; rombo 8%, ecc.). La Granbretagna esercita poi la pesca in tutta la piattaforma che circonda l'arcipelago, e anche nelle acque islandesi, specie nei bancni a sud dell'isola. Mentre in Norvegia quasi tutti i porti maggiori hanno un'intensa vita peschereccia, nella Granbretagna hanno il primo posto Grimsby e Hull, poi Aberdeen, Fleetwood, Milford, Yarmouth e Lowestoft. La Germania partecipa alla pesca, oltre che nel Mar del Nord, anche nel Mar di Norvegia, nel Mar Bianco e nelle acque islandesi. Un'intensa vita peschereccia si svolge poi, come è noto, nell'Islanda stessa.

Il Grande Banco di Terranova è il maggiore centro di pesca del mondo; esso abbraccia un'area di circa 100.000 kmq. e, con i bassifondi che gli fan seguito a SO. fino a Nantucket, circa 180.000 kmq. Inoltre la pesca si esercita anche lungo le vicine coste del Labrador. Come è noto, il merluzzo è di gran lunga il principale oggetto di pesca; la stagione s'inizia in ritardo rispetto a quella europea perché ha principio solo con il mese di giugno: in agosto e in settembre la pesca è in pieno su tutto il fronte da 47° 30′ a 58° 30′ lat. N. circa (quasi 1200 km.); a Terranova la stagione dura circa 140 giorni, nel Labrador settentrionale poco più di 50. Fuori della stagione principale della pesca del merluzzo si esercitano anche la pesca dell'aringa, la caccia alle foche ecc. Partecipano alla pesca gli abitanti di Terranova (65.000 persone circa, cioè 1/4 della popolazione totale, vi sono direttamente o indirettamente occupate), i Canadesi (65-70.000 persone tra pescatori ed esercenti industrie connesse con la pesca), i pescatori degli Stati Uniti (circa 160.000), inoltre Inglesi e Francesi. I centri di pesca sono S. Giovanni di Terranova, Lunenburg, Halifax e Canso nella Nuova Scozia, Gloucester, Portland, Providence, poi Philadelphia e Baltimora negli Stati Uniti.

La guerra mondiale ha recato naturalmente un fiero colpo alla pesca atlantica, non meno sul lato europeo che su quello americano, ma oggi la compartecipazione di tutti i paesi che si affacciano all'Atlantico settentrionale riprende gagliardamente, anzi ha raggiunto quasi ovunque (fa eccezione la Granbretagna) l'importanza prebellica; mancano tuttavia dati completi per istituire raffronti particolareggiati fra il periodo prebellico e il postbellico.

La navigazione a vela e a vapore. - Prima della guerra mondiale su 31 porti del mondo che avevano un traffico superiore ai 10 milioni di tonn. reg. annue, 24 erano porti atlantici (compresi i mari dipendenti); il 96% delle navi commerciali aveva sede in porti atlantici. Questi due soli dati bastano a mostrare l'enorme prevalenza che dal punto di vista commerciale ha l'Atlantico sugli altri oceani. La navigazione a vela transatlantica non è del tutto cessata, di fronte a quella a vapore, ma si è adattata alle nuove esigenze del traffico e dispone oggi di navi da carico costruite in ferro o in acciaio che hanno una capacità di 3-4000 (talora fino a 5000) tonn. reg., fanno fino a 20 km. l'ora con vento favorevole e trasportano merci di non grande valore e non deperibili, come salnitro, carbone, legname, cereali; la Norvegia ha ancora una rilevante flotta a vela. Per la navigazione a vela l'Atlantico è oggi peraltro quasi solo una via di passaggio, soprattutto per andare dall'Europa e dall'America del Nord ai porti d'imbarco chileni del salnitro, poi dall'Europa ai porti dell'Indocina (riso) e dell'Australia. Il traffico con il Chile si fa tanto nell'andata quanto nel ritorno, girando intorno al C. Horn, ma esso è alquanto diminuito d'importanza dopo la guerra mondiale. Anche il trasporto del riso dall'Indocina si fa ormai in parte notevole con vapori. I velieri girano intorno al Capo di Buona Speranza, tanto nell'andata che nel ritorno, ma seguendo rotte diverse; nell'andata infatti essi si spingono molto a sud nell'Atlantico meridionale e girano a grande distanza dalla punta meridionale dell'Africa per usufruire dei venti di ovest. Analoga, anzi anche più meridionale, è la rotta dai porti dell'Europa Occidentale e dell'America del Nord verso l'Australia; invece il ritorno dall'Australia si effettua attraverso il Pacifico meridionale e per il Capo Horn, per usufruire anche in questo caso dei venti di ovest del Pacifico. Le rotte in senso contrario ai venti di ovest vengono il più possibile evitate dai velieri. Prima della guerra (1914) la navigazione a vela sull'Atlantico rappresentava circa l'8% della totale; ora (1924-25) questa percentuale è ridotta alla metà.

La navigazione a vapore non è naturalmente legata alla distribuzione dei venti e delle correnti, ma non può tuttavia dirsi del tutto indipendente da condizioni geografiche, specialmente nell'Atlantico settentrionale, dove vengono ad es. evitate aree infestate da nebbie dense o frequentate dagli icebergs. Le principali vie si dipartono da punti determinati, per irraggiare nelle varie direzioni e poi ricongiungersi ai punti di arrivo. Il fascio principale è quello fra la Manica e New York, che traversa l'Atlanticoira 40° e 50° lat. N.; questa massima tra le vie oceaniche del globo assorbe da sola, circa un terzo dell'intero traffico marittimo mondiale (prima della guerra più della metà). Il percorso si compie su rotte alquanto diverse a seconda delle stagioni e un po' diverse anche nell'andata e nel ritorno; dal 1924 le rotte fra il Bishop Rock (Sc. del Vescovo) e l'Ambrose Channel sono stabilite per accordo internazionale; esse evitano il Banco di Terranova e si tengono più a sud (appunto per evitare zone di nebbie o di icebergs); la via più settentrionale è seguita nei mesi dal settembre al gennaio, la più meridionale dall'aprile al giugno; la lunghezza del percorso fra il Bishop Rock e l'Ambrose Channel varia da 2902 a 3049 miglia marine. Il percorso, p. es.,. dai porti del Mar del Nord a New York supera di 115-265 miglia quella che sarebbe la via più breve (a nord della Scozia e poi direttamente al Capo Race, estremità SE. di Terranova). I vapori leggieri tengono rotte anche più meridionali. Fuori di queste rotte internazionali il traffico marittimo tra l'Europa occidentale e l'America del Nord è limitato (rotte dall'Inghilterra al Canadà, ecc.).

La seconda, in ordine d'importanza, fra le grandi arterie mondiali del traffico marittimo - la via dai porti dell'Europa occidentale al Canale di Suez - utilizza l'Atlantico solo come via di transito.

Le vie dall'Europa occidentale e da New York all'America Centrale crescono sempre più d'importanza, ma per esse l'Oceano Atlantico è in parte solo un mare di passaggio, perché il traffico si dirige, oltre il Canale di Panamá ai porti del Pacifico; infatti per tutti i porti da Panamá a Valparaiso la rotta (sia movendo dall'Europa sia dall'America del Nord) è assai più breve per il Canale di Panamá che per lo stretto di Magellano, il quale pertanto perde sempre più d'importanza come via del traffico.

Vengono in quarta linea le rotte dall'Europa occidentale ai porti dell'America Meridionale, che possono seguire percorsi diretti, tenendosi per la più gran parte, in entrambi gli emisferi, entro il dominio degli alisei. Le rotte dei piroscafi diretti dall'Europa all'Africa meridionale o al Capo di Buona Speranza coincidono nel primo tratto con quelle per l'America del Sud, e solo all'altezza del Capo Bianco o del Capo Verde si avvicinano alla costa africana.

Alle vie finora ricordate segue oggi quella da New York ai porti dell'America del Sud, che tiene un percorso diretto da New York fino al Capo S. Rocco, poi segue da vicino la costa brasiliana.

Scarsa importanza ha finora il traffico tra l'America e l'Africa da New York a Città del Capo la via diretta traversa l'Atlantico in diagonale in tutta la sua maggiore lunghezza; la distanza è di 6785 miglia. Ma di solito si preferisce dirigersi prima alle isole del C. Verde, poi volgere più direttamente a sud, passando in vista dell'Ascensione e di S. Elena.

È difficile raccogliere dati statistici complessivi sul traffico per queste varie vie dell'Atlantico. Sulla via principale dall'Europa occidentale ai porti degli Stati Uniti si ha annualmente un traffico di 35-40 milioni di tonn. reg. netto, e di poco inferiore è il traffico che dai porti dell'Europa occidentale si dirige a Gibilterra. Le vie dirette dall'Europa o dall'America del Nord al Canale di Panamá assorbono oggi circa 25 milioni di tonn. reg. netto, quelle dall'Europa o dall'America del Nord ai porti dell'America del Sud (Brasile, Uruguay, Argentina), assorbono 16-18 milioni di tonn. reg.; occupano perciò, prese insieme, il quarto posto.

Il problema delle comunicazioni aeree attraverso l'Atlantico si è imposto soltanto negli ultimi cinque anni: già l'Oceano è stato più volte attraversato sia con aeroplani, sia anche con dirigibili, ma i tentativi eseguiti hanno dimostrato che la possibilità di stabilire comunicazioni regolari e a periodicità fissa, tali da acquistare importanza commerciale, è da ritenersi, nonostante l'ottimismo di taluni, ancora piuttosto lontana. Mentre nella zona di oceano dove fra le coste europee e quelle nordamericane il tragitto è più breve prevalgono condizioni meteorologiche sfavorevoli, d'altro lato al traffico aereo fra l'Europa e l'America del Sud - che si effettuerebbe attraverso zone dove invece le condizioni meteorologico nautiche sono favorevolissime - è d'ostacolo, fra l'altro, l'estrema scarsezza di isole, che possano servire da scali intermedî o da punti di appoggio. È probabile che l'avvenire veda lo stabilirsi di servizî aerei per posta e passeggieri attraverso l'Oceano Atlantico, ma non è da pensare che essi acquistino importanza tale da influire notevolmente sul traffico per via d'acqua.

I telegrafi transoceanici. - Il primo messaggio da una riva all'altra dell'Oceano Atlantico fu scambiato il 5 agosto 1858 per mezzo di un cavo lanciato tra l'Irlanda e Terranova, ma esso funzionò solo per breve tempo, e occorsero ancora otto anni perchè le comunicazioni telegrafiche regolari fossero per sempre assicurate, mediante un cavo della Anglo-American Telegraph Company (1866). Da allora i cavi si sono moltiplicati e oggi ne esistono 16 fra l'Europa e l'America del Nord per una lunghezza complessiva di oltre 78.750 km.; di essi 13 appartengono alla Granbretagna e 3 alla Francia; i due che la Germania aveva prima della guerra sono passati, uno per ciascuno, ai due stati ora menzionati. Tredici di questi cavi non si appoggiano a stazioni intermedie, gli altri tre toccano Horta nelle Azzorre. Le comunicazioni fra l'Europa e l'America del Sud sono assicurate da cinque cavi, di cui due fanno stazione a Madera e alle isole del Capo Verde, uno congiunge direttamente Dakar in Africa con la costa brasiliana, un altro, già tedesco, unisce Amburgo a Pernambuco, il quinto, infine, il più recente, è l'italiano dell'Italcable (1925), che da Anzio per Málaga, Las Palmas, S. Vincenzo di Capo Verde e Fernando de Noronha, giunge a Rio de Janeiro, poi a Montevideo e a Punta Atalova sui Río de la Plata. Un altro cavo italiano unisce Malaga a Horta e allacciandosi ivi con i cavi per New-York, serve alle comunicazioni fra l'Italia e l'America del Nord. Quattro cavi uniscono l'America del Nord (e perciò anche l'Europa) con l'America Centrale e con le coste caraibiche dell'America Meridionale. Le isole del Capo Verde sono allacciate direttamente con l'Ascensione, S. Elena e Città del Capo; l'Ascensione è anche collegata da un lato con Freetown (Sierra Leone), dall'altro con Rio de Janeiro e l'estuario del Plata. Il cavo più meridionale dell'Atlantico è per ora quello che unisce Montevideo con le isole Falkland, il più settentrionale quello che unisce l'Islanda alla Scozia; lungo la costa europea vi è peraltro anche un cavo diretto dalla Scozia ad Arcangelo.

La lunghezza totale dei cavi nell'Atlantico e mari dipendenti si ragguaglia a 408.775 km. Anche le stazioni radiotelegrafiche ultrapotenti si vanno moltiplicando, e, se non potranno mai sostituire i cavi, rendono tuttavia servizî preziosi per le comunicazioni con le navi in viaggio; esse contribuiscono perciò validissimamente a rendere più sicuri i viaggi moltiplicando le possibilità di soccorso nei casi di sinistro.

Storia.

Di una storia dell'oceano Atlantico, come di quella di qualsiasi altro mare, si può parlar solo in quanto esso oceano costituisca uno dei campi delle competizioni civili e militari, commerciali e politiche di due o più stati. In questo senso, che è poi l'unico che si possa attribuirle, la storia dell'Atlantico è naturalmente assai recente: anzi, si può dire che uno degli elementi caratteristici della storia moderna, nel confronto di quella delle età precedenti, sia precisamente costituito da questo nuovo valore, economico e politico e quindi storico, dell'Atlantico dal sec. XVI in poi. La storia dei popoli antichi e quella stessa delle nazioni medievali europee si è svolta attorno a bacini marittimi assai più ristretti: il Mediterraneo, soprattutto, e poi, nel Medioevo, se pure in misura assai minore, il Mare del Nord e il Baltico. La vita dei popoli dell'età nostra, invece, ha allargato enormemente i suoi. campi d'azione: tra essi, in prima linea, i due grandi oceani, l'Atlantico e il Pacifico.

Problema storico dunque, quello dell'Atlantico, prettamente moderno. Ciò non significa che dell'oceano non si parlasse già nell'antichità; e più, che non si cercasse già di navigarlo e di esplorarlo, almeno nelle zone più vicine al continente europeo. I Fenici, varcato lo stretto di Gibilterra, navigarono verso settentrione, fino alle isole britanniche, e verso mezzodì fino a limiti non ben definiti, spingendosi forse fino a Madera e alle Canarie, che erano certamente già conosciute prima dell'epoca romana. Al tempo di Alessandro Magno il greco Pythea perviene alle Isole Britanniche; più tardi, la conquista romana di tutta l'Europa occidentale determína naturalmente altri viaggi e favorisce la conoscenza più sicura della parte orientale dell'oceano. Anche il commercio marittimo sulle coste gallo-iberiche riceve nuovo impulso: commercio già esercitato prima per opera delle popolazioni rivierasche, specialmente dei Veneti della Bretagna.

Ma, tutto sommato, l'Atlantico (per di più, nella sola sua parte orientale) ha una parte ridottissima nella storia dei popoli dell'antichità, che hanno invece il loro centro di vita nel Mediterraneo. L'oceano, prima variamente chiamato ἡ μεγάλη ϑάλασσα, mare magnum, mare externum, infine ἡ 'Ατλαντίς ϑάλασσα, Atlanticum mare (cfr. Pauly-Wissowa, II, col. 2109-2110), rimane avvolto nell'ombra: la conoscenza dei suoi limiti, della sua configurazione, è confusa e incerta, a prescindere da quelle parti adiacenti alle coste europee (l'oceanus Cantabricus, il Sinus Aquitanus, ecc.). Poterono così fiorire le leggende, che sono giunte sino a noi. Inutile ricordare quella delle colonne di Ercole e della navigazione di Ulisse, rievocata anche da Dante (Inferno, XXVI, 106 segg.). Coronamento di quest'incertezza di conoscenza, il mito dell'Atlantide (v.).

Per gran parte del Medioevo, l'Atlantico rimase, ancor più che non nell'antichità, fuori della storia. Anche la scoperta di terre americane, ad opera dei Normanni nel sec. X, rimane senza effetti e senza tracce. Ma già sulla fine del sec. XIII, il tentativo dei due Vivaldi, misteriosamente finito, di cercare per l'Atlantico la via ad partes Indiae significava la ripresa se non altro dell'esplorazione. Questa s'intensificava man mano durante i secoli XIV e XV, specialmente nell'Atlantico di SE.; sinché, nel 1492, il viaggio di Cristoforo Colombo lo apriva alla navigazione nel senso est-ovest. Con ciò l'Atlantico entrava definitivamente nella storia dei popoli civili: non più come oggetto di miti e leggende e di semplici tentativi di esplorazione, ma come campo ormai aperto alle competizioni politiche ed economiche fra i varî popoli. Ciò è chiaramente provato dal famoso lodo di papa Alessandro VI che, il 4 maggio 1493, segnava la raya, cioè la delimitazione definitiva fra la sfera d'espansione spagnola e quella portoghese; e dal successivo trattato di Tordesillas, del 7 giugno 1494, in cui i monarchi di Spagna e Portogallo s'accordavano per una correzione della raya. Era una delimitazione di sfere d'espansione. E con ciò s'iniziava quella che può dirsi la storia dell'Atlantico.

Questa storia non ha tuttavia, come s'è detto, valore a sé, indipendente dalla storia dei popoli che sull'Atlantico commerciano, guerreggiano, ecc.: come non lo ha, del resto, la storia di qualsiasi altro mare. La storia dell'Atlantico è quindi storia dell'impero spagnolo, delle rivalità spagnole, inglesi, francesi, della lotta anglo-americana, dello sviluppo delle potenze americane, ecc. Né può quindi essere ritessuta qui, perché bisognerebbe, per questo, testessere la storia dell'espansione oceanica delle nazioni europee o la storia del commercio mondiale. Importa soltanto qui segnare chiaramente le caratteristiche fondamentali per cui nella storia dell'Atlantico possono riconoscersi due periodi: il primo, che abbraccia all'ingrosso i secoli XVI-XVIII; il secondo che s'inizia col sec. XIX ed è quello in cui noi viviamo.

Ché se lotte politiche e commerciali sono comuni ai due periodi, v'è però tra esse una sostanziale differenza: e cioè, nel primo periodo, si tratta sempre e unicamente di contese fra gli stati di uno stesso continente (Europa), i quali lottano fra loro per dominare, attraverso l'oceano, le colonie americane; nel secondo periodo, invece, infranto quasi completamente il dominio coloniale degli stati europei nell'America, la lotta è fra le organizzazioni statali, ormai a parità di diritto, dall'una e dall'altra parte dell'oceano. In altri termini, il costituirsi di unità politiche indipendenti nell'America ha avuto come risultante quella di trasformare l'Atlantico, da un feudo europeo, in campo aperto del vecchio e del nuovo continente.

Nel sec. XVI il fatto politico fondamentale fu costituito senza dubbio dalla formazione dell'impero spagnolo, appoggiato da una parte alla penisola iberica e dall'altra all'America centro-meridionale. L'Atlantico ne costituiva così il centro vitale, attraverso a cui giungevano dalle colonie alla madre patria i carichi d'oro e d'argento, e dalla madre patria alle colonie gli avventurieri che andavano ad ampliare, sempre più, i limiti dell'impero nel Nuovo Mondo. Ma poiché il commercio tra l'Europa e le colonie era inceppato dalle norme restrittive emanate dai re spagnoli, sottoposto a un regime monopolistico che non lasciava libertà di movimento se non con il permesso della Casa de contratación di Siviglia, così doveva sorgere ben presto il contrabbando, per opera di arditi marinai; e in seguito la guerra organizzata alla marina ufficiale spagnola da parte dei bucanieri. Guerra sull'oceano che non era semplice atto di pirateria, ma riceveva tono politico ben definito dall'aiuto indiretto che i bucanieri ricevevano dai governi europei nemici della Spagna, specialmente da quello inglese e da quello olandese. Cosí sul mare si combatteva una guerriglia spezzettata, ma continua, ricca di peripezie, che stancava lentamente la potenza spagnola e contribuiva a sgretolare, pezzo a pezzo, la forza dell'impero.

Nel Settentrione, si erano compiuti intanto il gran viaggio dei Pilgrim Fathers, dei puritani inglesi che sbarcavano sul suolo del Massachusetts (1620); i viaggi degli altri inglesi, gentlemen e non gentlemen, inviati dalla "Compagnia di Londra", che andavano a colonizzare la Virginia ecc., e degli Olandesi e Svedesi, che colonizzavano gli attuali stati di New York, di New Jersey e di Delaware; in ultimo, di quei convogli di Francesi - soldati, missionarî, deportati - che avrebbero lasciato la loro orma nella Luisiana e nel Canada. Più tardi, convogli si staccarono a serie dalle coste africane per toccare le coste del Brasile e degli Stati Uniti, e lasciarvi il loro carico di schiavi negri.

Fra il Seicento e il Settecento, la parte settentrionale dell'Oceano era entrata nell'orbita dell'Impero inglese, che credeva di avere allora nelle colonie americane la sua più solida base. La Francia era costretta a retrocedere, incapace a resistere alla più forte rivale che deteneva il dominio del mare. Le colonie svedesi e olandesi erano già passate in mano inglese a mezzo il sec. XVII. E così, verso il 1765, l'America Settentrionale e l'Atlantico parevano definitivamente dominati dal Regno Unito.

Ma la rivoluzione nord-americana e la creazione della repubblica indipendente degli Stati Uniti apportavano un ben radicale mutamento nel regime dell'Atlantico. E non fu difficile constatarlo sin nel periodo stesso della rivoluzione, quando un John Adams pose il principio dell'isolamento continentale degli Stati Uniti, esortando a non accedere a troppo stretti legami politici con la Francia: il che significava considerare Vecchio e Nuovo Mondo come organismi politici ormai totalmente diversi, disgiunti, non già uniti dall'Oceano. Si constatò ancor meglio nei primi anni del sec. XIX: gli Stati Uniti, per sopprimere il blocco posto alle Antille inglesi, avevano sostenuto una guerriglia col Direttorio francese (1798-1800); poi di fronte agli "ordini in consiglio" inglesi (1807), con cui l'Inghilterra reagiva al blocco continentale di Napoleone, e alle pretese inglesi del "diritto di perquisizione" delle navi, si volsero alla guerra (v. americana, guerra del 1812). La guerra anglo-americana del 1812-1814 ebbe la sua maggiore importanza proprio per il fatto che per essa il concetto della "libertà dei mari" veniva posto vittoriosamente in gioco; e perché così l'Atlantico cessava di essere feudo della marina inglese.

Seguirono, nel secondo e terzo decennio, le rivoluzioni nell'America latina. Anche qui formazione di stati indipendenti; anche qui, l'Oceano cessa di essere legame politico su cui è assiso un impero. Certo, il costituirsi di unità politiche a sé sulle sponde dell'Atlantico meridionale non aveva le ripercussioni profonde che avevano seguito la costituzione degli Stati Uniti. Eppure con il nuovo evento il problema di tutto l'Atlantico cambiava definitivamente aspetto. Non più legame tra due patrie (Inghilterra e Spagna) e le loro rispettive colonie, esso fu totalmente mare aperto. Nella dottrina di Monroe, affermata in quel torno di tempo (1823), la nuova situazione creata dagli stati americani, di contrapposto alle vecchie potenze europee, era chiaramente affermata.

Si ebbe così la prima fase nel nuovo assetto dell'Atlantico: la fase cioè di equilibrio, o almeno di ricerca dell'equilibrio. In una seconda fase invece si è entrati, oggi, col dopoguerra: ché, ora, più che l'equilibrio, la massima potenza americana, gli Stati Uniti, ricerca il predominio. La gara di questi ultimi anni per le costruzioni navali fra Stati Uniti e Inghilterra, è significativo indizio; come significativa è l'esparisione extra-continentale degli Stati Uniti, attraverso l'Atlantico, segnata dalla sua penetrazione, sulle coste dell'Africa occidentale (Liberia). Un completo capovolgimento della situazione di due secoli fa. Oggi, sull'oceano, non sono più in lotta l'imperialismo spagnolo e quello inglese e francese: ma, da una parte, l'imperialismo inglese, dall'altra; quello nord-americano. I quali imperialismi rappresentano, poi, due civiltà: quella europea e quella americana. In proporzioni incomparabilmente superiori, sull'Atlantico si rinnovano, anche se in forma incruenta, quei duelli di civiltà che hanno fatto del Mediterraneo, un giorno, il centro vitale della storia umana.

Bibl.: G. Schott, Geographie des Atlantischen Oz., 2ª ed., Amburgo 1926; quivi tutta la bibliografia particolare: Dampferhanduch für den Atlant. Ozean, Amburgo 1913; Die deutsche atlant. Expedition auf dem Schiff "Meteor", in Zeitschr. der Gesell. für Erdkunde zu Berlin, 1926-27; Helland-Hansen e F. Nansen, Eastern North Atlantic, Oslo 1926; H. von Ihering, Die Geschichte des Atlantischen Ozeans, Jena 1927.

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