OCCHIO

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)

OCCHIO

Lamberto Maffei

(XXV, p. 116; App. II, II, p. 432; III, II, p. 292; IV, II, p. 637)

Fisiologia. - L'ottica dell'o. umano non è di grande qualità, e già H. von Helmholtz nell'Ottocento aveva affermato: "Se un ottico tentasse di vendermi uno strumento con i difetti dell'occhio umano, mi sentirei invitato a criticare il suo lavoro con le parole più dure e praticamente a tirargli dietro il suo prodotto". Da queste parole di uno scienziato così autorevole è derivata l'opinione che molti limiti della visione dell'uomo siano posti dall'ottica dell'occhio. Gli esperimenti più recenti dimostrano che Helmholtz aveva ragione, ma il giudizio che ne è derivato è in gran parte errato.

Recentemente, infatti, facendo ricorso a sorgenti di luce coerenti e monocromatiche (laser) e usando l'accorgimento di far passare i raggi di tali sorgenti per il punto nodale dell'o., dove non vengono deviati, si è riusciti a formare delle frange d'interferenza di varie dimensioni e contrasto direttamente sulla retina. Con questo metodo si può mettere a confronto la visione delle immagini formate direttamente sulla retina, saltando l'ottica dell'o., con quelle viste in situazione normale, cioè usando l'ottica dell'occhio. Le conclusioni sono alquanto sorprendenti, poiché risulta che i limiti della visione sono posti non dall'ottica, ma dal cervello. È indubbiamente vero che l'ottica filtra via i dettagli più fini (alte frequenze spaziali: v. visione, in questa Appendice), ma è altrettanto vero che il filtro più limitato è quello esercitato dalla parte nervosa. In altre parole, le immagini, quando proiettate direttamente sulla retina, vengono percepite in maniera del tutto simile a quando presentate all'esterno dell'o., per es. su uno schermo. Questa proprietà, per cui l'ottica dell'o. è leggermente superiore alle proprietà di analisi visiva del cervello, è una caratteristica di tutti gli animali. Il gatto o il topo, che hanno una visione molto più limitata di quella dell'uomo, alle alte frequenze spaziali (fini dettagli) risultano avere un'ottica stessa molto più limitata dell'umana, ma sempre più che sufficiente per far passare l'informazione che il loro cervello può analizzare. L'acuità visiva del gatto è circa 8÷10 volte inferiore a quella umana, mentre quella del ratto o del topo lo è di circa 50 volte. Al contrario, l'acuità visiva di certi rapaci, per es. dell'aquila, è circa 3÷4 volte superiore a quella umana. Anche in questo caso l'ottica risulta molto superiore a quella umana, ma solo leggermente superiore alle capacità d'analisi della parte nervosa visiva di questo animale.

Dalla luce al segnale nervoso. - La retina, che è adagiata sul fondo dell'o., esegue la conversione del segnale luminoso in segnale bioelettrico e una prima analisi dell'immagine. La trasduzione in segnale nervoso avviene a livello dei recettori, coni e bastoncelli. I primi operano ad alti livelli d'illuminazione (visione fotopica), mentre i secondi a bassi livelli d'illuminazione (visione scotopica). Coni e bastoncelli, insieme, assicurano la possibilità di cogliere un'enorme gamma di illuminazioni che arrivano fino a differire di un fattore pari a 1010.

L'eccitamento dei bastoncelli comporta la scissione del fotopigmento rodopsina, che è contenuto nel loro segmento esterno. L'eccitamento dei coni comporta la scissione di tre tipi diversi di fotopigmenti. Ogni fotopigmento contiene una proteina, l'opsina, e l'aldeide della vitamina A, il retinale. Quest'ultimo è il gruppo cromoforo, capace di assorbire la luce. La scissione del fotopigmento produce una variazione della permeabilità ionica della membrana dei recettori con chiusura dei canali del NA+ che sono normalmente aperti in condizioni di oscurità. Ne consegue una iperpolarizzazione dei fotorecettori da −30 a −70 mV. Sorprendentemente, quindi, la luce inibisce i fotorecettori e l'oscurità li eccita. L'assorbimento di un singolo fotone causa la chiusura di parecchie centinaia di canali NA+, tramite l'intervento di un secondo messaggero, il guanosilmonofosfato ciclico (GMPc), che mantiene i canali NA+ aperti durante l'oscurità. La luce attiverebbe una fosfodiesterasi, un enzima che idrolizza il GMPc portando alla chiusura dei canali NA+ e quindi alla iperpolarizzazione delle cellule. Il segnale elettrico modula la liberazione del mediatore chimico a livello della sinapsi recettore-cellule bipolari. I recettori prendono contatto con due tipi di cellule bipolari: il primo tipo viene eccitato (bipolare a centro on) e il secondo inibito (bipolare a centro off) dall'attivazione dei recettori. Le bipolari prendono poi contatto (fig. 1) con le cellule gangliari direttamente o indirettamente tramite le cellule amacrine. I segnali bioelettrici sono di tipo graduale fino a livello delle cellule amacrine. Il segnale viene codificato in impulsi nervosi solo a livello delle cellule gangliari. Come le cellule bipolari, le cellule gangliari si suddividono in due classi, a centro on e periferia off e l'inverso (fig. 2).

Soffermiamoci a spiegare meglio il significato di questa suddivisione, che si riferisce al campo recettivo delle cellule gangliari. Per campo recettivo s'intende quella piccola parte dello spazio visivo ''visto'' dalla cellula. La cellula è eccitata solo quando lo stimolo luminoso appare nel suo campo recettivo. Per stimoli luminosi che arrivano in altre parti dello spazio visivo entrano in gioco altre cellule gangliari. Il campo recettivo è grossolanamente a simmetria circolare. Nelle cellule on la parte centrale è eccitata dalla luce mentre la periferia off è inibita da essa. Nelle cellule off l'organizzazione antagonista del campo recettivo è inversa. Le cellule on scaricano maggiormente quando il centro del campo recettivo è illuminato e la periferia abbuiata, le cellule off quando il centro è abbuiato e la periferia illuminata. Data la loro organizzazione, si pensa che le cellule on siano nella linea del sistema visivo che analizza il contrasto luce rispetto al buio e le cellule off l'inverso, buio rispetto a luce.

Dal punto di vista sia anatomico che funzionale, nella retina dei primati si distinguono tre tipi di cellule gangliari. Le più numerose sono le cellule P (così chiamate perché i loro assoni vanno a far sinapsi nello strato parvocellulare del corpo genicolato laterale). Questi neuroni hanno un'organizzazione antagonista del campo recettivo, rispondono alla luce bianca in modo transitorio e per lo più si distinguono per la loro sensibilità alla lunghezza d'onda della luce (colore). Un'altra classe importante di cellule gangliari è quella delle cellule M (cosiddette perché vanno alla parte magnocellulare del corpo genicolato laterale), che hanno organizzazione antagonista del corpo recettivo e non sono sensibili alla lunghezza d'onda della luce. Esiste poi una terza classe di cellule gangliari, dalle proprietà meno definite, che dirigono i loro assoni al collicolo superiore. Le proprietà fisiologiche delle cellule P ed M suggeriscono che le cellule P sono probabilmente coinvolte nella visione delle forme e dei colori, mentre le cellule M nella visione delle forme a basso contrasto e del movimento.

Le vie nervose che iniziano dagli assoni delle cellule gangliari retiniche rimangono separate (almeno in gran parte) a livello delle stazioni talamiche e delle stazioni corticali. Appare sempre più chiaro che la corteccia esegue un'analisi in parallelo dei vari attributi dello stimolo visivo (v. anche nervoso, sistema, App. IV, ii, p. 577). Esistono infatti aree corticali devolute all'analisi dell'orientamento delle immagini e delle loro dimensioni (aree primarie), aree specializzate per il colore, per il movimento, per la profondità. Nell'area infero-temporale dei primati esiste un'area specializzata per la visione delle facce. I neuroni di quest'area rispondono solo alla presentazione di fotografie di facce, o disegni o anche tratti del volto. È noto d'altronde dall'esperienza clinica che esiste una malattia, chiamata prosopoagnosia, che si sviluppa proprio in seguito a lesioni del lobo infero-temporale dell'emisfero destro. Questa malattia è caratterizzata dal fatto che i pazienti hanno grande difficoltà nella percezione delle facce.

Bibl.: Neurological organization of ocular movement, a cura di R. Daroff e A. Neetens, Amsterdam 1990; E.R. Berman, Biochemistry of the eye, New York 1991; Ultrasound in ophthalmologic diagnosis: a practical guide, Stoccarda 1991; The basic of neuro-ophthalmology, a cura di B.K. Farris, St. Louis 1991; S. F. Byrne, Ultrasound of the eye and orbit, ivi 1992.

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