Obesità

Dizionario di Medicina (2010)

obesità


Patologia cronica multifattoriale caratterizzata dall’aumento della massa grassa cui si associa un significativo aumento di morbilità (diabete mellito di tipo 2, malattie cardiovascolari, ipertensione arteriosa, patologie osteoarticolari ecc.) e mortalità. I numeri relativi alle dimensioni del problema vedono l’o. come una vera e propria epidemia a causa del progressivo incremento della sua prevalenza, specie nelle popolazioni a elevato tenore economico. Allo scopo di effettuare una classificazione dell’o. dal punto di vista quantitativo, è opportuno ricorrere all’indice di massa corporea (➔), o BMI, e alla misura della circonferenza vita, quale indice di distribuzione del grasso corporeo. In base al BMI è possibile distinguere tre diversi gradi di obesità, partendo da una situazione di sovrappeso, per valori compresi tra 25 e 29,9, fino all’o. di I grado per valori tra 30 e 34,9; II grado per valori tra 35 e 39,9 e o. di III grado o o. grave per valori di BMI superiori a 40. In alternativa, un’analisi accurata della composizione corporea può essere realizzata attraverso metodiche strumentali come la bioimpedenziometria e la densitometria a raggi X a doppia energia (DEXA, Double Energy X-ray Absorption).

Eziopatogenesi

Nella maggior parte dei casi l’o. è una condizione a patogenesi multifattoriale anche se è indiscutibile che questa sia la risultante del binomio: aumentato introito calorico/ridotta spesa energetica. Dal punto di vista genetico, si stanno accumulando evidenze di localizzazioni geniche coinvolte nel fenotipo dell’o. (leptina e suo recettore, che sono responsabili nella traduzione a livello centrale di un messaggio di sazietà; sistema delle melanocortine ecc.). Al tempo stesso deve essere tenuto presente che il riscontro di o. in vari membri di una stessa famiglia può talora dipendere non tanto da fattori genetici quanto dal comune stile di vita e di alimentazione.

Forme cliniche

In base alla distribuzione del grasso corporeo, si usa distinguere l’o. centrale (prevalente accumulo adiposo a livello dell’addome e del tronco, più spesso associata a turbe metaboliche e cardiovascolari) dall’o. periferica (più frequente nel sesso femminile, con predominante adiposità dei glutei e delle cosce), entrambe considerate o. armoniche, in contrapposizione con le più rare o. disarmoniche od o. distrofiche per il loro carattere distrettuale (per es., nella sola parte inferiore del corpo). Valori di circonferenza vita superiori a 102 cm nell’uomo, e 88 cm nella donna identificano l’o. viscerale che costituisce un requisito irrinunciabile per la diagnosi di sindrome metabolica. Più l’incremento ponderale è marcato e protratto, più sono frequenti le complicanze metaboliche (diabete mellito di tipo 2, dislipidemia, iperinsulinemia ecc.), l’ipertensione arteriosa, le lesioni cardiovascolari, l’insufficienza respiratoria ecc.

Terapia

La terapia dell’o. non complicata si basa su diete ipocaloriche opportunamente calibrate e sull’aumento graduale dell’attività fisica, con l’obiettivo di mantenere il peso normale nel lungo periodo. Se l’intervento fisiologico non sortisce gli effetti voluti, può essere giustificato il ricorso a farmaci anoressizzanti. Utile può essere un sostegno psicoterapico. Nei casi di o. grave e relativamente refrattaria alle terapie dietetiche e medicamentose, l’estrema possibilità terapeutica può essere la chirurgia bariatrica, che mette a disposizione diverse tecniche per diverse indicazioni (riduzione della lunghezza dell’intestino tenue o limitazione della capienza gastrica).

obesità
obesità
Aspetti endocrinologici dell’obesità
obesità. Aspetti endocrinologici dell’obesità
Giorgio Fattorini
Francesco Romanelli

L’obesità, patologia cronica conseguenza dell’eccessivo accumulo di grasso a livello del tessuto adiposo, è fortemente associata a comorbilità severe in grado di ridurre la sopravvivenza dell’individuo. L’obesità rappresenta oggi un problema di salute pubblico globale, che ha raggiunto proporzioni epidemiche in tutto il mondo: si stima che circa 315 milioni di persone in tutto il mondo abbiano un indice di massa corporea (BMI) pari o superiore a 30 kg/m2 e rientrino dunque in una delle categorie di obesità definite dall’OMS. L’obesità insieme alla dislipidemia, l’ipertensione arteriosa e l’insulino-resistenza, rappresenta un criterio diagnostico della sindrome metabolica.

Il tessuto adiposo come organo endocrino

L’adipe è stato per lungo tempo considerato un tessuto monofunzionale preposto esclusivamente all’accumulo di calorie, sotto forma di trigliceridi, durante i periodi di aumentata disponibilità alimentare e al rilascio di energia, sotto forma di acidi grassi liberi, nei periodi di scarsità di cibo. Tuttavia, la scoperta della leptina, avvenuta nel 1994, ha dimostrato che gli adipociti sono responsabili della sintesi di sostanze ad azione sia paracrina che endocrina (ossia in grado di comunicare con cellule limitrofe e distanti). Da allora sono state identificate svariate molecole prodotte nel tessuto adiposo, la cui specifica funzione resta, nella maggior parte dei casi, solo in parte chiarita. Tuttavia, molti tra i fattori identificati sembrerebbero esercitare un’influenza sull’omeostasi glicidica e sulla sensibilità insulinica, sui processi coagulativi e sulla risposta immuno-infiammatoria. Da un punto di vista squisitamente endocrino, la cellula adiposa (adipocita) è capace di metabolizzare gli ormoni steroidei, non solo trasformando ormoni sessuali ‘deboli’ di provenienza surrenalica in androgeni ed estrogeni ‘forti’ (rispettivamente, landrosterone in testosterone e l’estrone in estradiolo), ma anche interconvertendo androgeni in estrogeni, e viceversa. Quest’ultima reazione si deve alla presenza dell’enzima aromatasi: negli stati di obesità l’abnorme attività di tale enzima rende ragione di fenomeni di mascolinizzazione in donne obese e femminilizzazione in uomini obesi.

Obesità ed insorgenza di patologie

La capacità di deposito di energia è virtualmente illimitata e si avvale di due principali meccanismi: l’aumento della quantità di lipidi accumulati in ogni singola cellula (lipogenesi) e l’incremento del numero di cellule adipose, attraverso processi cellulari di replicazione e differenziazione. In presenza di un eccessivo introito alimentare protratto per lungo tempo, l’abnorme accumulo di sostanze energetiche comporta modificazioni endocrino-metaboliche svantaggiose, che portano il soggetto obeso a essere fortemente esposto al rischio d’insorgenza di diabete tipo 2, ipogonadismo, turbe cardiocircolatorie, neoplasie, disfunzioni di pertinenza psichiatrica o psicologica e patologie ortopediche. Assume inoltre particolare rilevanza la distribuzione anatomica dell’adipe, risultando l’obesità di tipo viscerale a maggior rischio di insorgenza di patologie. In partic., forte è la relazione tra accidenti cardiovascolari e obesità viscerale, come evidente con la riduzione ponderale è l’attenuazione dei fattori di rischio cardiovascolare, con miglioramento del profilo lipidemico (abbassamento dei livelli di colesterolo totale e LDL) e riduzione dei valori di pressione arteriosa. Alcune molecole prodotte nel tessuto adiposo, come l’inibitore dell’attivatore del plasminogeno (PAI-1), in parte coinvolte nella patogenesi dell’infarto miocardico e delle trombosi venose, mostrano concentrazioni ematiche tipicamente elevate negli stati di obesità e rappresentano pertanto un punto di legame tra obesità e rischio cardiovascolare.

Spie metaboliche: acidi grassi liberi, citochine e proteine adipo-specifiche

Gli acidi grassi liberi (free fatty acids, FFA) derivanti dalla dieta e dalla rimozione delle riserve di trigliceridi, nonché prodotti in parte dal fegato, rappresentano energia utilizzabile in tutto il corpo e inoltre influenzano un certo numero di funzioni metaboliche, incluse la sintesi e l’azione dell’insulina. Negli stati di obesità si riscontrano elevati livelli di FFA, cui si associa una ridotta azione dell’insulina sui tessuti bersaglio (fegato e muscolo), eventi che autoalimentano un circolo vizioso dismetabolico. A tale alterazione si associa l’incremento della sintesi nel tessuto adiposo di altre molecole, alcune delle quali aventi funzione immunitaria e denominate in maniera generica citochine: tra esse, occupano un posto primario il TNF-α (Tumor Necrosis Factor-α) e l’interleuchina-6 (IL-6), nonché proteine appartenenti alla famiglia del complemento, coinvolte nei meccanismi coagulativi. Un cenno a parte merita una proteina esclusivamente prodotta dall’adipocita, a cui un numero crescente di osservazioni scientifiche accrediterebbe un fondamentale ruolo metabolico protettivo: l’adiponectina. Tale molecola, coinvolta anch’essa nella regolazione dei livelli di glucosio e nell’omeostasi lipidica, favorisce l’azione insulinica, riduce la produzione epatica di zuccheri, contrasta i fenomeni di aterosclerosi e risulta tipicamente ridotta nei soggetti obesi. Altro ormone proteico prodotto pressoché esclusivamente dall’adipocita, la leptina svolge un ruolo chiave nella regolazione dell’appetito, interagendo con specifici recettori espressi sia a livello encefalico che periferico. Nel topo, il deficit di tale sostanza è associato ad aumento di appetito, riduzione del metabolismo e vari disturbi endocrini, tra cui infertilità. I livelli di leptina sono strettamente legati all’introito alimentare e aumentano significativamente nelle condizioni di obesità, probabilmente in seguito all’instaurarsi di fenomeni di resistenza ormonale, che possono sovrapporsi all’insulino-resistenza; l’eccesso di leptina sembrerebbe inoltre inibire la produzione testicolare del maggiore androgeno maschile, il testosterone, il cui deficit è fortemente correlato alla sindrome metabolica.

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