NURAGHE

Enciclopedia dell' Arte Antica (1963)

NURAGHE

G. Lilliu

Monumento caratteristico della Sardegna, costruito con grandi pietre a secco disposte a filari. Nella sua espressione architettonica essenziale è in forma di torre circolare troncoconica, contenente una camera da 5 a 8 m di altezza, coperta con falsa vòlta e frequentemente provvista di nicchie e nicchioni: nell'andito un vano su un lato destinato al soldato di guardia; di fronte, l'ingresso alla scala che sale all'alto della torre, girando nello spessore della muraglia. La scala a volte, e nei n. più antichi, è contenuta dentro la camera sopraelevata sul pavimento. La sommità della torre è conformata a terrazzo che, talvolta, come nel n. Su Nuraxi di Barùmini (v.), sporgeva, su mensoloni di pietra sagomata, dal filo murario, formando un balcone fungente anche da piombatoio.

Il nome nura-ghe (anche nura-ke, nura-ki, nuraxi, nura-cci, nura-gi, nara-cu ecc.) sembra da intendersi in accezione architettonica, poiché, nura, voce della parlata mediterranea, significa forse, insieme, "scavare" e "accumulare", cioè costruire, fondando e sovrapponendo strutture tabulate, ad elementi segmentati (filari).

Di nuraghi se ne contano attualmente 6500 circa, con una densità media regionale di 0,27 per kmq. La maggiore densità si ha nella Trexenta e negli altipiani centrali intorno al Marghine (0,90; 0,70 per kmq); percentuali bassissime, inferiori a 0,05 si conoscono in molti comuni del Sulcis, Gerrèi, Campidano, Barbagia intorno al Gennargentu, in zone, cioè, o particolarmente repulsive all'insediamento umano o dove scarseggia la pietra da costruzione. Il Comune di Lodìne (Nuoro), in una superficie di kmq 7,67, contiene 15 nuraghi con una media di 1,87 per kmq; per contro, il Comune di Iglesias (Cagliari), in una superficie di kmq 243,15 ha un solo n., con media di 0,004. In generale, si nota una più accentuata distribuzione nelle regioni centro-occidentali, a colline e altopiani terziari e quaternari, ed una tendenza a rarefarsi verso il massiccio antico orientale, montuoso, formante la spina dorsale del sistema sardo-corso. Rocce (e, dunque, terreni) più propizie al costituirsi e all'infittirsi di n. sono basalti e calcari recenti, formanti i terreni più fertili, un po' meno le trachiti; scarsi sono i n. sui graniti ed i calcari antichi; scompaiono, quasi totalmente, sugli schisti e sui terreni alluvionali. Presente al disopra dei 1000 m (n. Bruncu Nuraghe di Désulo altezza sul mare m 1337) e al disotto dei 10 (n. S'Uraki di S. Vero Milis, altezza sul mare m 5), il n. si trova a tutte le quote altimetriche; ma si addensa di più fra i 200 e i 700 m, segnando minori densità fra o e 100 e sopra i 1000 m. Legati, nella distribuzione e densità, con fatti d'ordine fisico (geologici, morfologici, altimetrici), i n. sono in rapporto con le condizioni idrologiche e climatiche del suolo sardo: prossimi all'acqua (fiumi, sorgenti), sono generalmente isolati e al riparo dal vento dominante (maestrale); più dei 2/3 hanno l'ingresso volto a S-S-E, meno di 1/3 a S-O, rarissimi sono i n. orientati a N e N-O.

Queste condizioni geografiche, indipendentemente dall'aspetto generale e da speciali accorgimenti costruttivi del monumento, oltre che dal materiale vario (litico, fittile, bronzeo, ecc.) e dai resti di pasto (ossa d'animali, valve di molluschi) rinvenuti dentro o nei pressi, dimostrano in se stessi la destinazione pratica, per la vita reale d'ogni giorno, delle costruzioni nuragiche. Le quali, quasi sempre in posizione dominante, collegate (almeno visualmente) l'una con l'altra, in più d'un caso come quello delle "giare" (altopiani basaltici) sono anche da pensarsi collegate in sistemi (distretti nuragici); altra volta rappresentano unità singole (le più complesse). Non mai suggeriscono l'esistenza di un'organizzazione generale a base politica nazionale o regionale, ma quella d'una convivenza e lotta fra tribù in uno stadio di civiltà pastorale al livello di villaggio. È da ritenersi anche che certi raggruppamenti fossero il risultato di annessioni territoriali graduali operate da singole personalità o signorotti nella guerriglia tribale con una tendenza politica unificatrice da riferirsi, in ogni modo, a tempi evoluti della protostoria. Più in generale, però, si ha l'impressione che, almeno nei tempi più antichi, i n. fossero le vigili custodie di interessi particolaristici di gruppi pastorali ed agricoli, in una società frazionata e tinta di anarchia. È possibile che le moli più complesse significhino, almeno nelle regioni più interne, apprensioni e necessità politiche coalizzate di Puni ed indigeni per la difesa comune dell'isola contro i Romani. Considerazioni, queste, che permettono di asserire: che i n. segnano motivi politico-sociali, e dunque storici, differenti nella stessa isola; che i medesimi possono avere avuto destinazione differente in uno stesso tempo o in tempi successivi; che la loro costruzione è durata per un lungo lasso cronologico, dalla preistoria volgente, ai tempi storici avanzatissimi. Appunto: indipendentemente da un generico senso "religioso" insito nella monumentalità della costruzione, il n. fu a volte casa (nella forma elementare), a volte fortezza (nei complessi più vasti). L'età ne è segnata da momenti del II millennio a. C. (pani di rame egei presso i n. Serra Jlixi di Nuragus e S. Antioco di Bisarcio Ozieri; trave ligneo della Torre antica di Barùmini, datato tra il 1470 e il 1070 a. C. col sistema del C 14; ceramica di facies detta di M. Claro dai nuraghi di Enna Pruna e Su Guventu-Mogoro e di Sa Korona-Villagreca), dell'inizio del I millennio, dell'VIII, del VII sec. a. C. (bronzi figurati; ceramiche decorate con motivi geometrici lineari affini a quelli delle culture paleoitaliche). I nuraghi-fortezze di Lugherras di Paulilàtino (Cagliari) e di Su Nuraxi di Barùmini (Cagliari) offrono dati costruttivi e singolarità di oggetti, disposti stratigraficamente, che permettono di ritenere che il loro uso originario avesse cessato verso la fine del VI sec. a. C., in dipendenza della conquista fattane dai Cartaginesi. Nel n. S'Uraki di S. Vero Milis (Cagliari) si è constatato che le feritoie della grande cinta esterna che lo contiene proteggendolo da ogni parte, erano riempite ed obliterate da uno strato di terreno archeologico contenente ceramiche campàne degli inizî del III sec. a. C.

Per quanto si riferisce alla forma, nel n. si segue il vario e successivo progresso inventivo (nel quale han parte notevole talvolta anche singole personalità artistiche d'architetti tra le esigenze d'interessi di masse rigidamente organizzate e soggette) per cui l'originario e puro concetto della torre circolare isolata si complica nelle linee di pianta ed elevato, assumendo nel tempo, per cause fisiche ed umane, tuttavia senza una coerenza edilizia generale spaziale e cronologica, forme diverse. Specificamente si hanno tipi binati, con o senza cortile intermedio (Karcina di Orroli-Nuoro; Domu s'Orku di Sarròk-Cagliari) e polilobati di vario aspetto a corpo triangolare con strutture poderose contenenti cortili con pozzo, corridoi e celle (Santu Antine di Torralba-Sassari); a bastione quadrangolare con torri di spigolo intorno ad un più alto mastio (Su Nuraxi di Barùmini, v. barumini); a nucleo pentagonale (Valenza di Nuragus-Nuoro) o esagonale (S. Sebastiano di Gèsico). Queste moli più complesse sono contenute entro grandiose cinte, o lizze, fortificate da numerose torri raccordate da cortine rettilinee con feritoie e ad angoli morti; si possono ricordare le vaste recinzioni del n. Perdosu di Guamaggiore (Cagliari) del S'Onu s'Orku di Domus novas e del gigantesco n. Orrùbiu di Orroli che occupa un'area di 2000 mq. Le stesse moli si sviluppano vastamente in elevato, specie nella torre principale mediana in cui i vuoti s'accumulano sovrapponendosi in due, fino a tre piani sovrastati da terrazzo, talvolta con vivissimo senso della spazialità, quale si avverte nel n. Santu Santine, dalla classica architettura in cui si riconoscono facilmente tardive influenze della civiltà architettonica micenea. Queste torri con spessori murari da 2 a 3 m, raggiungono le altezze anche di 20 m, sovrastando nei n. complessi, i bastioni che le circondano e dominando più largamente le campagne all'intorno in funzione di vedetta.

Così esaminato il n., contrariamente a quanto si ritiene in generale, appare non una costruzione uniforme e povera, ma svolta architettonicamente e ricca di motivi, in relazione non soltanto col variare della natura del terreno che ha condizionato, non di rado, forma e sviluppo del monumento, ma anche col variare del gusto che lo ha espresso, sovente secondo un piano preconcetto e studiato esemplarmente. Si capisce che si tratta di interpretazioni tematiche di costanti - quali la linea curva, la sovrapposizione di elementi segmentati in aggetto senza cemento, la thòlos, il coordinamento fra i piani con una cordonata elicoidale scavata nel masso dei muri potenti, il generale sostenersi delle strutture per pesi e contrasti - costanti più largamente mediterranee la cui ricerca genetico-storica ha un valore relativo, e in cui germi psicologici originarî (cosiddetto senso sferico-stereometrico basato sul concetto materno del vuoto; Kaschnitz-Weinberg) sono stati dimenticati, tramutatisi col tempo e sentiti come valori formali in funzione obbiettiva della collettività vivente ed operante nei clan e nelle tribù. Talvolta si prescinde da taluna di codeste costanti: per esempio in certi n. ellittici (Bruncu Màdili di Gèsturi - Cagliari), e rettangolari (Fronte Mola di Thiesi-Sassari) e nei n. a galleria (Punta lu Naracu di Tempio - Sassari), costruzioni che denotano una fortuna diversa del n. a thòlos e che trovano confronti in monumenti a torri delle Baleari (Talaiots) e della Corsica, recentemente scoperti. Ne sono cause, oltre che l'adattamento delle costruzioni alle forme accidentate del terreno, specie nelle zone granitiche (Gallura, Ogliastra), fatti psicologici-culturali di accantonamento e deformazione, in ambiente economicamente e socialmente "subalterno", della forma colta del nuraghe. In questi casi, anche la spazialità caratteristica del tipo ufficiale del n. si involve in angustie di vuoti e ridondanze di pieni strutturali sulle linee della tradizione "dolmenica" o "a trilite", che sopravvive in regioni periferiche, e dà luogo, cioè, ad un linguaggio architettonico imbarbarito e dialettale che accentua, ancor più, l'eterogeneità del nuraghe. Il qual nome, forse, anziché essere valutato in senso etimologico destinativo, come finora si è fatto senza alcun preciso risultato, potrà meglio essere ritenuto in accezione tecnica, appunto nel significato di costruzione a grossi massi in aggetto, pseudocupolata, o comunque vuota internamente, significato che si conviene a tutti i monumenti nuragici, anche se di diversa destinazione ed età. L'ultima storia dei n. è di tempi punici e romani. A cominciare dal VI sec. a. C. prende vigore la costruzione dei n. a galleria, detti anche pseudonuraghi, in cui forse si possono identificare le "spelonche" o abitazioni sotterranee, ricordate in Sardegna dagli scrittori classici a proposito delle guerre tra indigeni e Romani. Materiali organici, provenienti dallo scavo di uno di questi n. - il Peppe Gallu di Un-Sassari -, esaminati con la prova del C 14 hanno fornito una datazione intorno al VI-V sec. a. C.

In età punica e romana i nuraghi vengono adattati ad usi diversi dagli originali: a tempietti (Lugherras di Paulilatino) o deposito (S'Uraki di S. Vero Milis) o ad abitazione (Su Nuraxi di Barùmini); e, forse, furono sfruttati, anche allo stato di ruderi, nelle parti ancora accessibili (una parte della difesa punico-sarda contro i Romani, nelle regioni montuose, poté giovarsi di n. parzialmente smantellati, chiamati castra dallo storico Livio (xli, 12), con nome che dura ancora per i nuraghi crastu, crasta). Infine, forse già allora, i nuraghi entrano nella storia "morale" della Sardegna, come esempî d'una civiltà singolare, di lunga durata, produttiva, i cui echi ancor si colgono nella primitiva purezza tradizionale di certe zone segregate dell'Isola.

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