NUOVA ZELANDA

Enciclopedia del Cinema (2004)

Nuova Zelanda

Mario Sesti

Cinematografia

Colonia della corona britannica dal 1841, divenuta Stato indipendente dopo la Prima guerra mondiale, la N. Z. ospitò la prima proiezione pubblica di uno spettacolo cinematografico nel 1896, mentre il primo lungometraggio venne proiettato nel 1914. Benché negli anni Novanta si sia sviluppata un'intensa stagione di studi e ricerche dai quali è emerso il profilo di pionieri come Ruddall Hayward e, successivamente, di interessanti figure di registi indipendenti come John O' Shea, all'inizio sembra essere esistita esclusivamente una produzione occasionale e sporadica, in gran parte perduta, a differenza di ciò che racconta con inventiva e romantica ironia Peter Jackson nel 'finto' documentario sulle origini del cinema neozelandese, Forgotten silver (1996).Anche se nella Hollywood degli anni Venti e Trenta lavorava una caratterista neozelandese come Nola Luxford e, in quella degli inizi del 21º sec., un interprete popolare come Sam Neill (nato in Irlanda del Nord ma di famiglia neozelandese), o un divo come Russell Crowe, solo a partire dalla fine degli anni Settanta, con la costituzione nel 1978 di un ente di produzione statale (New Zealand Film Commission) e nel 1981 di apposite strutture industriali presso Wellington (collegate alla National Film Unit, fondata nel 1941), ha iniziato ad affacciarsi sulla scena una generazione di autori e di film nazionali. Roger Donaldson, che sarebbe diventato un solido tecnico dei film d'azione e di genere hollywoodiani, realizzò nel 1977 il primo film neozelandese distribuito negli Stati Uniti (il thriller Sleeping dogs, Unica regola vincere); Geoff Murphy, precedentemente membro di un gruppo rock, diresse nel 1981 Goodbye pork pie, il primo grande successo cinematografico nazionale, e nel 1983 Utu, atto d'accusa anticoloniale, il primo film del Paese a essere selezionato per il Festival di Cannes, mentre già nel 1981 Sam Pillsbury con The scarecrow (La quarta vittima) si era messo in luce con un ritratto d'ambiente non convenzionale.

Deve comunque essere considerato un episodio isolato il vivido spaccato sociale che vede protagonista l'etnia maori di Once were warriors (1994; Once were warriors ‒ Una volta erano guerrieri) di Lee Tamahori in quanto, se si eccettua Jane Campion, che con An angel at my table (1990; Un angelo alla mia tavola, premio speciale della giuria a Venezia) e The piano (1993; Lezioni di piano, premiato a Cannes con la Palma d'oro e vincitore nel 1994 di tre Oscar, per la migliore sceneggiatura originale, per la migliore attrice e per la migliore attrice non protagonista) ha restituito sul grande schermo con stile vivido ed esotismo romanzesco la cultura e l'immaginario del proprio Paese, gli autori di questo cinema tendono sensibilmente verso i generi del fantastico e dell'horror, come testimonia la filmografia di Vincent Ward che si è fatto conoscere grazie a un'insolita e suggestiva avventura fantascientifica (The navigator, 1988, Navigator ‒ Un'odissea nel tempo), per poi affermarsi a livello inernazionale con What dreams may come (1998; Al di là dei sogni), mescolando lo spiritualismo della New Age con un ricercato estetismo metafisico.Una sensibile attitudine per l'immaginario inquietante e irreale segna anche la filmografia di P. Jackson (Braindead, 1991, Splatters, gli schizzacervelli; Heavenly creatures, 1994, Creature del cielo), al quale si deve l'ideazione e la regia del progetto che ha portato l'industria cinematografica neozelandese al suo più grande successo internazionale, ovvero la riduzione in tre lungometraggi del romanzo di J.R.R. Tolkien, The lord of the rings. I tre film che compongono l'omonima saga cinematografica (The fellowship of the ring, 2001, La compagnia dell'anello; The two towers, 2002, Le due torri; The return of the king, 2003, Il ritorno del re), la cui enorme diffusione in tutto il mondo è stata frutto di una coproduzione internazionale, sono stati in gran parte girati e realizzati in N. Z., grazie anche all'adozione di efficaci strutture produttive e robuste scelte estetiche. L'applicazione estensiva delle risorse del digitale all'immagine cinematografica rappresenta in questo caso un'originale sintesi di artigianato e alta tecnologia volta all'ideazione e alla costruzione di film destinati al grande pubblico senza però rinunciare alla complessità figurativa e narrativa propria dell'intreccio del libro originario.

Bibliografia

I. Conrich, S. Davy, Views from the edge of the world: New Zealand film, Nottingham 1997; Film in Aotearoa New Zealand, ed. J. Dennis, I. Bieringa, Wellington 1996².

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