NUMA POMPILIO

Enciclopedia Italiana (1935)

NUMA POMPILIO (Numa Pompilius)

Gaetano De Sanctis.

Successore di Romolo, regnò in Roma secondo la cronologia tradizionale dal 715 al 673 a. C. Era figlio di Pompone, nativo della sabina Cures, aveva sposato Tazia, l'unica figlia del re Tito Tazio, ed era stato discepolo del filosofo samio Pitagora. Morto Romolo, dopo un anno d'interregno fu designato a succedergli dal senato e non accettò se non quando ebbe ottenuto dagli dei auspici favorevoli. Il suo regno fu pacifico; sua divina consigliera fu la ninfa Egeria ch'egli si recava a consultare in una grotta. A lui la tradizione attribuisce tutte in massima le istituzioni religiose di Roma, la creazione dei tre flamini maggiori, quelli di Giove, Marte e Quirino, il culto di Vesta, la nomina delle prime Vestali, gli auguri, il pontificato massimo, i feziali, i Salî, cioè i custodi degli ancili o scudi sacri, e tutto il diritto sacro quale era precisato nelle norme conservate dai pontefici. Avrebbe anche fissato il calendario, aggiunto due mesi, gennaio e febbraio, ai dieci istituiti da Romolo, distinto i giorni fasti e nefasti, stabilito i giorni da consacrare alle solenni festività. Inoltre egli avrebbe distribuito tra i cittadini il territorio conquistato ai nemici da Romolo e avrebbe creato le antichissime corporazioni degli artigiani. Sarebbe poi morto serenamente senza malattia dopo un regno di 43 anni o, secondo alcune fonti, di 41 o di 39.

La tradizione coerente nelle sue linee fondamentali intorno a N., che conosciamo soprattutto da Livio, da Dionisio di Alicarnasso e da Plutarco (Vita di N.), è considerata a buon diritto dai critici come destituita di qualsiasi valore storico. È infatti chiaro che le istituzioni religiose dei Romani, analoghe, nei loro elementi essenziali, a quelle degli altri popoli latini e italici, non sono state create organicamente a un momento determinato da un legislatore; e d'altronde la tradizione stessa le riferisce in parte anche al primo re, in parte a taluni dei successori di N. Che N. fosse discepolo di Pitagora, vissuto poco meno di due secoli dopo, è patente anacronismo, diretto a collegare con la sapienza del filosofo samio le dottrine e le pratiche religiose dei Romani. Se poi si rifletta che la scrittura importata in Italia dalle colonie greche difficilmente può essere stata conosciuta in Roma prima del 700 circa a. C., si vede quanto sia infondato l'attribuire a N. le norme sacre che i pontefici non fissarono certo per mezzo della scrittura se non qualche secolo più tardi. Quanto al calendario, l'anno di dieci mesi non è probabilmente che favola, e i giorni festivi fissati nel calendario decemvirale erano già consuetudinarî alla metà del sec. V, ma sarebbe audace ritenere che fossero stati tutti stabiliti in una volta sola già dal secondo re. In tanta incertezza si capisce che taluni abbiano considerato N. come una personificazione del pontificato massimo o magari come un'ipostasi del dio fluviale Numicio, e si capisce anche come altri, spiegando gli enigmi con altri enigmi, ne abbiano fatto contro la tradizione un etrusco. Dobbiamo in realtà contentarci di non sapere nulla intorno a lui, sebbene la mancanza di qualsiasi traccia d'un suo culto faccia ritenere probabile ch'egli sia stato effettivamente un personaggio storico.

Bibl.: A. Schwegler, Römische Geschichte, I, ii, 2ª ed., Tubinga 1869, p. 539 segg.; W. Ihne, Römische Geschichte, I, 2ª ed., Lipsia 1893, p. 25 segg.; E. Pais, Storia critica di Roma, I, i, Roma 1913, pp. 390 segg., 440 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, I, Torino 1907, p. 367 seg. e passim.

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