Numa Pompilio

Enciclopedia Dantesca (1970)

Numa Pompilio

Clara Kraus

. Secondo re di Roma, sulla base della tradizione leggendaria accolta anche da Livio (I XVIII-XXI). Sabino di origine, al suo nome era legata tutta una serie di provvedimenti nel campo della vita civile e religiosa, come la riforma del calendario e l'istituzione di alcuni collegi sacerdotali (dei Pontefici, dei Flamini, dei Salii, delle Vestali). D. cita il personaggio, al fine di una precisazione cronologica, in Cv III XI 3 nel tempo quasi che Numa Pompilio, secondo re de li Romani, vivea uno filosofo nobilissimo, che si chiamò Pittagora. E che ello fosse in quel tempo, pare che ne tocchi alcuna cosa Tito Livio ne la prima parte del suo volume incidentemente.

Senonché la datazione risulta errata, in quanto il testo liviano citato come fonte smentisce l'asserzione che Pitagora fosse maestro e quindi contemporaneo di N. e la respinge come falsa a favore dell'altra datazione, secondo la quale il filosofo di Samo sarebbe vissuto sotto il regno di Servio Tullio, ossia ben più di un secolo dopo (Livio I XVIII).

Il nome di N. compare ancora in Cv IV V 11 nell'elenco dei sette re di Roma Romolo, Numa, Tullo, Anco e li re Tarquini, nel passo in cui D., rifacendosi sempre alla testimonianza di Livio, rileva come l'Impero romano fin dalla fase potenziale delle sue più remote e leggendarie origini dovesse il proprio sviluppo al disegno provvidenziale di Dio, cui andava riferito anche il carattere diverso dei sette re, proporzionato e adeguato alle diverse esigenze imposte dal passare del tempo e dal conseguente mutamento di situazioni. V. anche RE DI ROMA.

In VE I XVII 2, N. è citato assieme a Seneca come esempio di persona illustre che così viene definita perché trasmette ad altri in maniera eccellente gli ammaestramenti ricevuti: viros appellamus illustres, vel quia potestate illuminati alios et iustitia et caritate illuminant, vel quia excellenter magistrati excellenter magistrant, ut Seneca et Numa Pompilius.

Il Marigo, intendendo riferite a N. entrambe le proposizioni, afferma (ad l.) che egli " poté apparire a Dante il monarca ideale, che illuminava i sudditi di giustizia e carità, per l'attestazione liviana (I, XVIII, 1)... Anche Floro... dà a Numa la stessa lode di iustitia e religio ". N. poteva, in altri termini, rientrare per D. nel numero di quegli uomini giusti dell'antichità nelle cui oscure intuizioni religiose egli avvertiva preannunziata, sia pure a uno stadio inferiore, la più alta spiritualità iniziatasi con le verità del Cristianesimo.

Ma sia il contesto, sia l'accostamento a Seneca, consiglierebbero di riferire a N. solo la seconda proposizione (vel quia excellenter magistrati, ecc.), con evidente richiamo a Livio (I XIX e XXI; cfr. Floro I II), secondo il quale avvenivano in un bosco sacro degl'incontri tra N. e la ninfa Egeria, sua sposa, quasi a significare che le istituzioni sacre e l'intera opera di moralizzazione del popolo condotta dal re gli era suggerita nel corso di tali incontri da una dea.

In tale tematica rientra il richiamo al miracolo dello scudo rotondo caduto dal cielo durante il regno di N., a significare che la città di Roma era prediletta da Dio, in Mn II IV 5 Nam sub Numa Pompilio, secundo Romanorum rege, ritu Gentilium sacrificante, ancile de coelo in urbem Deo electam delapsum fuisse Livius in prima parte testatur.

Ma la citazione della fonte è inesatta: l'episodio dello scudo non si trova in Livio, e neppure in Floro, bensì nelle chiose di Servio ad Aen. VI 808-811 e VIII 664, e anche in Ovidio Fast. III 373 ss., dove si legge come N. desse incarico all'artefice Mamurio di costruire altri undici scudi perfettamente identici a quello caduto dal cielo e come poi tutti e dodici fossero affidati alla custodia del collegio sacerdotale dei Salii.

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