Nucleare

Il Libro dell'Anno 2007

Nucleare

Combustibile irraggiato & rifiuti radioattivi

Iniziative per ridurre il rischio nucleare

di Franco Vittorio Frazzoli e Romolo Remetti

24 novembre 2006

Nel corso di colloqui bilaterali Italia-Francia a Lucca, i ministri Pier Luigi Bersani e François Loos firmano un accordo per il trasferimento in Francia tra il 2007 e il 2015 di 235 t di combustibile irraggiato da sottoporre a ritrattamento. Le scorie radioattive derivanti rientreranno in Italia tra il 2020 e il 2025, dopo l’allestimento di un deposito adeguato.

La gestione del combustibile irraggiato

Nel novembre 2006 è stato firmato l’accordo intergovernativo Italia-Francia che prevede l’invio presso gli impianti di trattamento e condizionamento della società AREVA NC di La Hague (Normandia) del combustibile nucleare irraggiato prodotto nelle centrali nucleari italiane e ancora giacente nelle piscine di stoccaggio delle centrali di Caorso e di Trino Vercellese, nell’impianto EUREX e nel deposito Avogadro di Saluggia. L’accordo prevede che la consegna del combustibile irraggiato, a partire dal 2007, si concluda entro dicembre 2015; il trattamento e condizionamento del combustibile irraggiato avverrà entro 6 anni da ogni consegna.

I prodotti principali del trattamento, cioè l’uranio e il plutonio recuperati dal combustibile irraggiato rimarranno nella disponibilità italiana; di intesa con AREVA saranno valutate le modalità di riutilizzo, eventualmente con cessione a terzi.

I rifiuti radioattivi condizionati, derivanti dal trattamento del combustibile irraggiato in Francia, dovranno essere riportati in Italia tra il 2020 e il 2025, secondo un calendario previsionale da definire entro il 2015 e uno definitivo da fissare entro il 2018. Contestualmente il Governo italiano si è impegnato a prendere tutte le misure necessarie e di sua competenza per attivare il procedimento di autorizzazione, costruzione e messa in opera di un sito di stoccaggio o di deposito conforme ad accogliere i rifiuti radioattivi condizionati. Oggetto dell’accordo sono le ultime 235 t di combustibile irraggiato, prodotte nel corso del funzionamento delle centrali elettronucleari italiane nel periodo 1962-87; nel passato sono state già destinate al trattamento e condizionamento circa 1628 t di combustibile irraggiato a fronte delle 1864 t prodotte complessivamente nelle quattro centrali nucleari di Latina, Garigliano, Trino e Caorso. Dal trattamento e successivo condizionamento delle 235 t di combustibile irraggiato è prevedibile

il rientro in Italia di circa 20 m3 di rifiuti radioattivi ad alta attività vetrificati (3a categoria, secondo la normativa italiana). È opportuno ricordare che l’obbligo di ricevere in ritorno i rifiuti radioattivi conseguenti il trattamento e condizionamento del combustibile irraggiato riguarda anche il combustibile irraggiato già inviato all’estero in passato, limitatamente tuttavia ai quantitativi inviati dopo il 1978: si tratta di circa 573 t di combustibile Magnox della centrale di Latina e circa 105 t di combustibile a ossido di uranio delle centrali di Trino e Garigliano, per i quali si prevede il rientro di ulteriori 20 m3 di rifiuti vetrificati.

Lo stato di emergenza

L’accordo intergovernativo citato sopra dà attuazione all’iniziativa avviata nel corso dello stato di emergenza relativa all’attività di smaltimento e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi dislocati nei territori di alcune regioni italiane. Infatti, prendendo atto della situazione derivante dall’inasprimento del terrorismo internazionale e dal rischio di calamità naturali e ritenendo ineludibile l’esigenza di porre in condizioni di massima sicurezza i materiali radioattivi dislocati presso gli impianti nucleari presenti sul territorio nazionale, con decreto del 14 febbraio 2003, la presidenza del Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza (successivamente prorogato fino al 31 dicembre 2006) nei territori delle regioni Lazio, Campania, Emilia-Romagna, Basilicata e Piemonte che ospitano gli impianti nucleari presenti in Italia: oltre alle già citate centrali nucleari, lo stato di emergenza ha riguardato anche gli impianti del ciclo del combustibile nucleare.

L’emergenza è stata dichiarata allo scopo di fronteggiare situazioni che, per intensità ed estensione, richiedono l’utilizzo di mezzi e poteri straordinari per garantire un elevato livello di salvaguardia della popolazione e dell’ambiente. A tal fine, l’Ordinanza del presidente del Consiglio dei ministri del 7 marzo 2003 ha valutato l’esigenza di iniziative per aumentare la protezione fisica (security) delle installazioni e la sicurezza (safety) dei materiali e rifiuti radioattivi presenti negli impianti, anche in vista dell’avvio a soluzione della problematica dello smaltimento mediante lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi in condizioni idonee a salvaguardare la salute della collettività. L’Ordinanza ha istituito, in particolare, la figura del Commissario delegato (nella persona del presidente di Sogin SpA), cui sono stati conferiti poteri di deroga a norme nazionali vigenti; il Commissario delegato si è avvalso della Sogin Spa come soggetto attuatore. La successiva Ordinanza del presidente del Consiglio dei ministri del 7 maggio 2004, oltre ad ampliare la funzione partecipativa delle Amministrazioni territoriali, ha tenuto conto della l. 24 dicembre 2003, nr. 368 recante «Disposizioni urgenti per la raccolta, lo smaltimento e lo stoccaggio, in condizioni di massima sicurezza, dei rifiuti radioattivi» e, pertanto, ha limitato le competenze del Commissario delegato agli interventi di natura emergenziale, necessari a garantire la messa in sicurezza nucleare e fisica dei materiali nucleari e dei rifiuti radioattivi.

Iniziative assunte nel periodo emergenziale

Per conseguire una progressiva riduzione del rischio, sono state affrontate situazioni potenzialmente pericolose per la salute della collettività e per l’ambiente, latenti da lunga data, per le quali sono state individuate le soluzioni con il fine immediato di avviare le iniziative nel modo più concreto possibile, per assicurare poi la continuità del loro sviluppo protratto inevitabilmente nel tempo, oltre l’emergenza dichiarata. Peraltro, va fatto notare che, con il trascorrere del tempo, per la vetustà e l’obsolescenza degli impianti da tempo dismessi, la probabilità di eventi che implichino rischi non trascurabili per i lavoratori, la popolazione e l’ambiente diviene sempre più elevata. Nell’ambito dell’emergenza, sono state sviluppate prioritariamente attività finalizzate al potenziamento delle misure di security degli impianti citati (controllo accessi e provvedimenti anti-intrusione); per quanto riguarda la safety sono state identificate situazioni critiche in termini di potenziale impatto sulle popolazioni circostanti e sull’ambiente per le quali sono state sviluppate attività di studio e progettazione che hanno portato, nella quasi totalità, a scelte definitive delle soluzioni da perseguire operativamente.

Per la criticità di maggiore rilevanza, e cioè la presenza del combustibile nucleare irraggiato nelle piscine di stoccaggio, è maturata la decisione di svuotare le piscine e di inviare detto materiale all’estero per il trattamento e condizionamento: l’accordo intergovernativo, come sopra ricordato, pone le condizioni per superare le situazioni di criticità in ordine alla messa in sicurezza del combustibile irraggiato. Tra le situazioni critiche di maggiore rilevanza sono da ricordare i rifiuti radioattivi allo stato liquido, a media e alta attività, ancora presenti negli impianti EUREX di Saluggia e ITREC di Trisaia e gli elementi di combustibile irraggiato Elk River nella piscina dell’impianto ITREC .

I rifiuti radioattivi liquidi dell’impianto EUREX sono stati prodotti da esperienze di trattamento eseguite a partire da combustibili irraggiati di tipologie diverse e utilizzando processi chimici differenti. In particolare possono essere distinti i rifiuti derivanti dai combustibili tipo MTR (ricchi di nitrato di alluminio e con significative quantità di nitrato di mercurio) e quelli derivanti dai combustibili CANDU (con significative quantità di uranio e attinidi transuranici).

Tali rifiuti sono stoccati da ormai oltre 30 anni, sotto forma di soluzioni acquose nitriche, nei serbatoi dell’impianto EUREX di Saluggia e costituiscono, nell’ambito dei rifiuti radioattivi e a parte il combustibile irraggiato, l’inventario di radioattività più cospicuo dell’intero territorio nazionale. L’attività totale, contenuta in un volume complessivo di circa 230 m3, è di circa 6 1015 Bq, la potenza termica emessa è dell’ordine di qualche W/m3. È significativa la presenza di radionuclidi transuranici a lunga vita emettitori alfa, con concentrazioni che arrivano fino a un valore massimo di circa 2 106 Bq/g. Con riferimento alla normativa italiana, i rifiuti liquidi EUREX, poiché hanno un’attività per unità di volume inferiore a 5 1016 Bq/m3 e un’attività alfa per unità di massa superiore a 400 Bq/g, sono da considerarsi come rifiuti di 3a categoria. Per il condizionamento di tali rifiuti liquidi è stato individuato, come il più appropriato, il processo di cementazione. A tal fine sono state avviate attività di qualificazione della matrice cementizia e sviluppate attività di progettazione mirate alla costruzione, presso l’impianto EUREX, dell’impianto di cementazione CEMEX e di depositi temporanei di rifiuti solidi a media e alta attività destinati a ospitare i rifiuti condizionati prodotti dal nuovo impianto, oltre ai rifiuti condizionati pregressi; inoltre è stata avviata la costruzione di un nuovo parco serbatoi che, oltre ad assicurare una migliore protezione fisica, sarà funzionale all’impianto CEMEX.

Per quanto riguarda i rifiuti radioattivi liquidi dell’impianto ITREC, essi sono stati prodotti a seguito di esperienze di trattamento, condotte alla fine degli anni 1970, di 20 degli 84 elementi di combustibile uranio-torio irraggiato provenienti dal reattore di Elk River (USA). Tali rifiuti sono costituiti da circa 3 m3 di una soluzione in acido nitrico, nota come ‘prodotto finito’, contenente circa 20 kg di uranio ad alto arricchimento e circa 500 kg di torio; essi sono caratterizzati da un’attività totale di circa 1014 Bq dovuta alla presenza di prodotti di fissioni non separati e da elevate concentrazioni di radioattività alfa, dell’ordine di 106 Bq /g, per cui sono da considerarsi come rifiuti di 3a categoria. Per il condizionamento di tali rifiuti sono state svolte attività di qualificazione della matrice cementizia e sono state avviate attività di progettazione, anche realizzando utili sinergie con il progetto CEMEX, mirate alla realizzazione dell’impianto di cementazione e di un’annessa struttura di deposito temporaneo dei rifiuti condizionati.

Nella piscina dell’impianto ITREC sono ancora stoccate 1,7 t di combustibile irraggiato Elk River (64 elementi) per il quale, a parte le difficoltà autorizzative connesse alla sua provenienza, non risulta praticabile la scelta del trattamento (in quanto combustibile uranio-torio, esso non è gestibile negli impianti che trattano combustibile uranio-plutonio). Per la gestione in sicurezza di questo combustibile irraggiato, pertanto, sono state avviate azioni finalizzate allo stoccaggio ‘a secco’ in appositi contenitori di stoccaggio/trasporto (casks).

Altre iniziative hanno riguardato la realizzazione di nuove strutture di deposito temporaneo di rifiuti radioattivi presso le centrali di Garigliano e Latina, il recupero e il condizionamento di residui originati dall’impiego del combustibile Magnox nella centrale di Latina e il recupero e la bonifica di strutture preesistenti di stoccaggio/smaltimento di rifiuti radioattivi presso ITREC.

Per tutte le situazioni considerate critiche sono state effettuate scelte strategiche e stabilite le opzioni tecniche fondamentali, e sono state avviate procedure relative alle fasi progettuali, autorizzative e di committenza. È tuttavia da sottolineare che tali attività richiederanno, per la loro natura e complessità, tempi lunghi per la gestione e il completamento. Peraltro è opportuno rimarcare l’introduzione di significativi ritardi nello sviluppo delle azioni previste a cui hanno concorso anche difficoltà con le Amministrazioni territoriali, comprensibilmente preoccupate della gestione intermedia dei rifiuti radioattivi che, in apparente contrasto con la prospettiva della disattivazione degli impianti, richiede un temporaneo consolidamento della presenza degli stessi sul territorio, tramite per esempio la realizzazione di impianti di condizionamento e/o depositi temporanei: tale atteggiamento è anche riconducibile alla mancata attuazione della l. 368/2003.

Necessità del deposito dei rifiuti radioattivi

Considerando quanto esposto in precedenza, risulta evidente la necessità che, anche per soddisfare gli impegni assunti, nel nostro paese vengano avviate le azioni dirette all’individuazione di un sito nazionale per il deposito definitivo (smaltimento) dei rifiuti di 2a categoria e per il deposito temporaneo di lungo periodo dei rifiuti di 3a categoria, sulla traccia della l. 368/2003, che prevede la realizzazione di un deposito nazionale dei rifiuti radioattivi entro il 2008. Il deposito realizza infatti l’obiettivo fondamentale della gestione dei rifiuti radioattivi, che è quello di ridurre al minimo il rischio indebito della popolazione e dei lavoratori limitando l’esposizione alle radiazioni (oltre che per il presente anche per il futuro) ai livelli più bassi per quanto ragionevolmente conseguibile, secondo il criterio ALARA (As Low As Reasonably Achievable), tenendo in considerazione i costi, la tecnologia, i benefici per la salute pubblica e altri fattori sociali ed economici. L’utilizzazione delle migliori tecnologie ed esperienze oggi disponibili permetterà di ottimizzare: a) la sicurezza sanitaria delle generazioni attuali e future dei lavoratori e delle popolazioni; b) la sicurezza rispetto ad attentati terroristici, atti di guerra, incidenti o furti di materiali; c) l’isolamento della radioattività dalla biosfera; d) l’accessibilità per consentire ispezioni e manutenzione delle strutture; e) il monitoraggio continuo per consentire un immediato allarme nel caso di perdite accidentali; f) la possibilità di recupero dei rifiuti per una loro diversa sistemazione, qualora se ne dimostri la necessità. Per soddisfare le necessità nazionali, appare opportuno rimarcare che il deposito dovrà configurarsi come un impianto industriale ‘attivo’ nel senso che, oltre ad allocare l’intero inventario nazionale di rifiuti radioattivi di 2a categoria (circa 60.000 m3 per un totale di circa 5 1014 Bq) e ospitare temporaneamente (in previsione dello smaltimento) i rifiuti radioattivi di 3a categoria (circa 10.000 m3 per un totale di circa 1016 Bq) derivanti dalle pregresse attività degli impianti nucleari, dovrà consentire anche la sistemazione dei rifiuti radioattivi di 2a categoria, 500-1000 m3 per anno, che continueranno a essere prodotti in futuro come conseguenza di attività generiche che impiegano radioisotopi (industrie, ospedali, università e centri di ricerca ecc). Per avere una idea delle dimensioni, 60.000 m3 corrispondono a circa un terzo del volume sotteso dalla cupola della Basilica di S. Pietro in Vaticano. A confronto, una stima dei rifiuti speciali (non radioattivi) prodotti annualmente in Italia ammonta a 3,6 milioni di m3. Al riguardo risulta ragionevole, sulla base della disponibilità di una superficie di circa 100 ettari, prevedere la realizzazione di un centro, fortemente integrato nel territorio, comprendente, oltre al deposito e alle sue complesse e articolate strutture operative e di servizio, anche strutture di ricerca finalizzate alla caratterizzazione dei rifiuti radioattivi, ad attività di controllo e caratterizzazione ambientale non limitati all’aspetto radiometrico e/o radioprotezionistico, ad attività di ricerca e sviluppo nel campo del condizionamento dei rifiuti comunque pericolosi, della qualificazione dei materiali e dei manufatti, degli interventi in ambienti ostili ecc.

L’attuazione del programma di disattivazione

Con l’occasione dell’emergenza sono state riportate all’attualità situazioni latenti da lungo tempo e potenzialmente pericolose: la rimozione del combustibile irraggiato dalle piscine di stoccaggio, l’avvio di iniziative per il condizionamento dei rifiuti radioattivi liquidi e solidi ancora presenti negli impianti costituiscono premesse necessarie per il concreto avvio della disattivazione (decommissioning) degli impianti nucleari in Italia, come previsto dal decreto 7 maggio 2001 del Ministero dell’Industria e dal successivo decreto 2 dicembre 2004 del Ministero delle Attività produttive.

La disattivazione consiste nella decontaminazione e nello smantellamento delle installazioni al fine di pervenire, oltre che alla completa demolizione dell’impianto nucleare, alla rimozione di ogni vincolo di natura giuridica (declassamento, clearance) dovuto alla presenza di materiali radioattivi e quindi alla restituzione del sito all’ambiente per altri usi.

Lo svolgimento della disattivazione, oltre alla sistemazione del combustibile nucleare irraggiato (invio al trattamento/condizionamento o stoccaggio temporaneo in sito) e al trattamento, condizionamento e stoccaggio temporaneo in sito dei rifiuti radioattivi accumulati in fase di esercizio, prevede la caratterizzazione, decontaminazione e smantellamento delle apparecchiature, degli impianti e degli edifici, il trattamento, condizionamento e avvio al deposito (se radioattivi) o allo smaltimento e/o riutilizzo per via ordinaria (se non radioattivi) dei materiali derivanti dalle operazioni di smantellamento e, infine, la caratterizzazione, la riqualificazione e il rilascio del sito per altri usi con l’eliminazione di ogni vincolo derivante dalla presenza di radioattività.

Per consentire la completa attuazione del programma di disattivazione, oltre al completamento delle attività e iniziative già avviate, sarà necessario sviluppare, in ambito politico-istituzionale, azioni efficaci e coerenti per procedere all’individuazione e alla realizzazione del sito nazionale per lo smaltimento e/o stoccaggio temporaneo a lungo termine dei rifiuti radioattivi, elemento fondamentale e irrinunciabile di tale strategia. Sarà inoltre opportuno intervenire nell’ambito ‘normativo’, per conseguire un significativo snellimento delle procedure autorizzative, poiché la normativa attuale (d.l. 17 marzo 1995, nr. 230), per quanto riguarda le operazioni relative alla disattivazione, essendo mutuata direttamente dalla normativa (risalente al d.p.R. 185/1964) di autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di reattori nucleari e impianti assimilabili, richiede il ricorso a complesse procedure autorizzative anche quando il rischio radiologico è ridotto, come si può verificare frequentemente nelle operazioni di disattivazione. Sempre in ambito normativo, non è superfluo segnalare anche la necessità di procedere alla definizione dei limiti di rilascio incondizionato (clearance levels), compatibili con le direttive comunitarie, tenendo peraltro presente che stabilire il livello di concentrazione di radioattività (Bq/g o Bq/cm2 ) al di sotto del quale un determinato materiale può passare a un libero utilizzo (senza vincoli di carattere radiologico) rappresenta un delicato problema di carattere sia strettamente scientifico sia etico.

La gestione dei rifiuti radioattivi e la disattivazione degli impianti nucleari, in sintonia peraltro con quanto accade in altri paesi, non è più esclusiva materia di scienziati o tecnologi, ma richiede uno stretto coinvolgimento delle autorità di governo, delle autorità locali e dell’opinione pubblica in generale con l’obiettivo della ricerca del consenso, richiede la collaborazione costruttiva di tutti i soggetti interessati e richiede infine un tempestivo, adeguato e consistente potenziamento delle risorse umane nel campo della sicurezza nucleare e della radioprotezione in tutti i settori interessati.

Riferimenti legislativi

Decreto del presidente del Consiglio dei ministri 14 febbraio 2003, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (Serie generale nr. 59) del 12 marzo 2003, «Dichiarazione dello stato di emergenza in relazione all’attività di smaltimento dei rifiuti radioattivi dislocati nelle regioni Lazio, Campania, Emilia-Romagna, Basilicata e Piemonte, in condizioni di massima sicurezza».

Decreto del presidente del Consiglio dei ministri 7 maggio 2004, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (Serie generale nr. 111) del 13 maggio 2004, «Proroga dello stato di emergenza in relazione all’attività di smaltimento dei rifiuti radioattivi dislocati nelle centrali nucleari di Trino, Caorso, Latina, Garigliano e nella piscina di Avogadro in località Saluggia, in condizioni di massima sicurezza».

Decreto del presidente del Consiglio dei ministri 4 marzo 2005, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (Serie generale nr. 59) del 12 marzo 2005, «Proroga dello stato di emergenza in relazione all’attività di smaltimento dei rifiuti radioattivi dislocati nelle centrali nucleari di Trino, Caorso, Latina, Garigliano e nella piscina di Avogadro in località Saluggia, in condizioni di massima sicurezza».

Decreto del presidente del Consiglio dei ministri emanato in data 17 febbraio 2006 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (Serie generale nr. 50) del 1° marzo 2006, «Proroga dello stato di emergenza in relazione all’attività di smaltimento dei rifiuti radioattivi dislocati nelle centrali nucleari di Trino, Caorso, Latina, Garigliano e nella piscina di Avogadro in località Saluggia, e ITREC di Trisaia, in condizioni di massima sicurezza». Ordinanza del presidente del Consiglio dei ministri emanata in data 7 marzo 2003 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale (Serie generale nr. 63) del 17 marzo 2003, «Disposizioni urgenti in relazione all’attività di smaltimento, in condizioni di massima sicurezza, dei materiali radioattivi dislocati nelle centrali nucleari e nei siti di stoccaggio situati sul territorio delle regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Lazio, Campania e Basilicata, nell’ambito delle iniziative da assumere per la tutela dell’interesse essenziale della sicurezza dello Stato».

Ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri emanata in data 7 maggio 2004 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale (Serie generale nr. 112) del 14 maggio 2004, «Ulteriori disposizioni urgenti in relazione all’attività di smaltimento, in condizioni di massima sicurezza, dei materiali radioattivi dislocati nelle centrali nucleari e nei siti di stoccaggio, situati nel territorio delle regioni Piemonte, Emilia Romagna, Lazio, Campania e Basilicata, nell’ambito delle iniziative da assumere per la tutela dell’interesse essenziale della sicurezza dello Stato».

Centrali e impianti in Italia

Centrali elettronucleari

Centrale elettronucleare di Latina. Impianto industriale di prima generazione: reattore GCR (Gas Cooled Reactor) Magnox, reattore a uranio naturale metallico, refrigerato a CO2 e moderato a grafite, da 210 MWe, in esercizio dal 1963 al 1987. Nella generazione di 25 miliardi di kWh ha prodotto 1426 t di combustibile irraggiato: durante l’esercizio tutto il combustibile utilizzato nell’impianto è stato inviato per il trattamento a BNFL (British Nuclear Fuel Limited, Sellafield) nel Regno Unito perché la sua particolare natura (guaina in lega di magnesio degradabile nel tempo) non ne consentiva lo stoccaggio a lungo termine.

Centrale elettronucleare del Garigliano (Sessa Aurunca, Caserta). Impianto industriale di prima generazione: reattore BWR (Boiling Water Reactor) General Electric da 160 MWe, in esercizio dal 1964 al 1978. Nella generazione di 12,5 miliardi di kWh ha prodotto 124 t di combustibile irraggiato: tutto il combustibile utilizzato è stato allontanato dal sito, solo13 t sono in stoccaggio temporaneo presso l’impianto Avogadro, mentre il resto è stato inviato all’estero per il ritrattamento (in gran parte a BNFL, Sellafield. L’impianto Avogadro (Saluggia, Vercelli), adibito dal 1984 a stoccaggio del combustibile irraggiato, è stato ottenuto dal recupero della struttura che ospitava il reattore di ricerca Avogadro RS1 (Reattore Sorin 1).

Centrale elettronucleare di Trino Vercellese (Vercelli). Impianto industriale di prima generazione: reattore PWR (Pressurised Water Reactor) Westinghouse da 260 MWe, in esercizio dal 1965 al 1987. Nella generazione di 26 miliardi di kWh ha prodotto 136 t di combustibile irraggiato; 15 t del combustibile irraggiato sono conservate nella piscina di decadimento presso l’impianto, 15 t sono in stoccaggio presso l’impianto Avogadro e 2 t presso la piscina dell’impianto EUREX (Saluggia), le restanti 105 t di combustibile irraggiato sono state inviate all’estero per il ritrattamento (in gran parte a BNFL, Sellafield).

Centrale elettronucleare di Caorso (Piacenza). Impianto industriale di seconda generazione: reattore BWR General Electric da 860 MWe, in esercizio dal 1978 al 1986. Nella generazione di 29 miliardi di kWh ha prodotto 190 t di combustibile irraggiato. Presso la centrale è tuttora stoccato tutto il combustibile utilizzato in fase di esercizio, che è stato trasferito nelle piscine di decadimento. Nel 1999 la proprietà e la gestione degli impianti sono state trasferite da ENEL a SOGIN SpA (Società Gestione Impianti Nucleari) con il compito di provvedere alla disattivazione (decommissioning) degli impianti nucleari e alla gestione del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi; con Decreto del Ministro dell’Industria del 7 maggio 2001 sono state fornite direttive per attuare, entro venti anni, la disattivazione degli impianti fino al rilascio incondizionato dei siti.

Impianti del ciclo del combustibile nucleare

Impianto EUREX (Enriched URaniun EXtraction), Centro Ricerche ENEA, Saluggia (Vercelli). Impianto pilota di trattamento per combustibili nucleari, operativo dal 1970 al 1984.

Impianto Fabbricazioni Nucleari (FN), Bosco Marengo, Alessandria. Impianto industriale per la fabbricazione di elementi di combustibile, operativo dal 1973 al 1995.

Impianto plutonio, Centro Ricerche ENEA, Casaccia, Roma. Impianto sperimentale per la fabbricazione di combustibile a ossidi misti uranio-plutonio, operativo dal 1968 al 1980.

Impianto OPEC (Operazioni calde), Centro Ricerche ENEA, Casaccia, Roma. Impianto sperimentale per analisi post-irraggiamento, operativo dal 1962 al 1990.

Impianto ITREC (Impianto TRattamento Elementi Combustibile), Centro Ricerche ENEA, Trisaia, Rotondella, Matera. Impianto pilota di trattamento per combustibili uranio-torio, operativo dal 1975 al 1978.

Nel corso del 2003, Sogin SpA ha assunto la responsabilità della gestione di tali impianti.

Note tecniche

Il combustibile irraggiato

Le centrali elettronucleari nel mondo sono dotate, per la maggior parte, di reattori cosiddetti ad acqua leggera (LWR, Light Water Reactor), in cui il fluido termovettore, che funge anche da moderatore, è costituito da acqua naturale (H2O), chiamata in gergo ingegneristico ‘acqua leggera’ in contrapposizione all’‘acqua pesante’ (D2O) utilizzata in altre applicazioni nucleari; i reattori LWR si suddividono in due tipologie, reattori ad acqua in pressione (PWR, Pressurized Water Reactor) e reattori ad acqua bollente (BWR, Boiling Water Reactor). Il combustibile nucleare dei reattori LWR, come in particolare le centrali di Garigliano, Trino e Caorso, è costituito da polvere di biossido di uranio a basso arricchimento in uranio 235 (~3%) , sinterizzato in forma di pastiglie (pellets) che vengono inserite in un tubo in lega di zirconio per formare una barra di combustibile; un insieme di barre viene quindi assemblato in una struttura meccanica detta elemento di combustibile.

Il nocciolo del reattore è costituito da parecchie centinaia di elementi di combustibile (per un reattore da 1000 MWe, il nocciolo è costituito da circa 80 t di uranio). Nel nocciolo del reattore i nuclei degli isotopi fissili, come l’uranio 235, si fissionano e producono calore in un processo continuo e controllato (reazione a catena). Durante il funzionamento del reattore, una frazione dei nuclei di uranio 238 è convertita in plutonio 239 che contribuisce alle reazioni di fissione fornendo circa 1/3 dell’energia prodotta. Il calore prodotto è utilizzato per produrre vapore che alimenta una turbina e genera elettricità (un reattore da 1000 MWe fornisce circa 7 miliardi di kWh per anno). Circa 1/3 del combustibile irraggiato è rimosso dal reattore ogni 12-18 mesi e sostituito con combustibile ‘fresco’.

Il combustibile irraggiato scaricato dal reattore contiene ancora circa il 96% dell’uranio iniziale, in cui l’isotopo fissile uranio 235 si è ridotto a meno dell’1%, mentre circa il 3% è costituito dalle ben note ‘scorie radioattive’, cioè i prodotti radioattivi di fissione e di attivazione; il rimanente 1% è costituito da plutonio prodotto nel corso del funzionamento del reattore e non completamente ‘bruciato’. Di conseguenza, gli elementi di combustibile irraggiato sono altamente radioattivi e producono molto calore. Sono perciò sistemati in speciali piscine, normalmente situate in prossimità del reattore, per un tempo tale da consentire il decadimento della radioattività a livelli tali da rendere possibili successivi trattamenti tecnologici: l’acqua della piscina serve a schermare le radiazioni e a dissipare il calore prodotto nel decadimento. Il combustibile irraggiato può rimanere nella piscina, in condizioni di sicurezza, per lunghi periodi (dell’ordine della decina di anni); a titolo indicativo, dopo 10 anni dalla scarica dal reattore la radioattività dei prodotti di fissione, in un combustibile irraggiato con un tasso di irraggiamento tipico (burn-up) di 33.000 MWd per tonnellata e alla potenza specifica di 30MW per tonnellata, è di circa 1016 Bq per tonnellata, mentre la radioattività dei transuranici (emettitori alfa a vita media molto lunga) è di circa 1014 Bq per tonnellata.

Successivamente allo stoccaggio in piscina, sono previste due alternative per la gestione del combustibile irraggiato: a) l’operazione di ‘trattamento’, più comunemente ‘ritrattamento’ (reprocessing), per separare l’uranio e il plutonio dai frammenti di fissione e successivo condizionamento di questi ultimi mediante vetrificazione; b) lo stoccaggio a secco (dry storage) a lungo termine in speciali contenitori.

Il ritrattamento consiste in operazioni remotizzate finalizzate allo smontaggio dell’elemento di combustibile e nel taglio delle barre di combustibile, che viene successivamente dissolto in ambiente acido così da consentire di separare, mediante opportuni processi di estrazione con solvente, l’uranio e il plutonio dai rifiuti radioattivi e dai materiali strutturali. Nel successivo processo di condizionamento (vetrificazione), la corrente liquida contenente i rifiuti ad alta attività viene sottoposta a calcinazione (forte riscaldamento) per produrre una polvere che viene incorporata e immobilizzata in una matrice vetrosa di borosilicato (Pyrex); il vetro viene quindi versato in contenitori cilindrici di acciaio (canister), della capacità di 400 kg di vetro, di altezza 1,3 m e diametro 0,4 m del volume utile di 0,150 m3. Quindi da una tonnellata di combustibile irraggiato (del volume di circa 0,4 m3) sono separati circa 30 kg di rifiuti radioattivi ad alta attività, dalla cui successiva vetrificazione si ottengono 200 kg di matrice vetrosa del volume di 0,08 m3. I contenitori di rifiuti vetrificati costituiscono una forma definitiva di rifiuto, pronta per essere smaltita nel deposito definitivo.

Lo stoccaggio a secco è un’opzione offerta dalla utilizzazione di speciali contenitori (casks) sviluppati originariamente per il trasporto degli elementi di combustibile irraggiato. Questi contenitori, noti anche come CASTOR (CAsk for Storage and Transport Of Radioactive material), sono strutture cilindriche in acciaio del diametro di circa 2 m e altezza 5 m che possono ospitare alcune decine di elementi di combustibile; la struttura articolata dei contenitori è tale da assicurare il confinamento della radioattività, la dissipazione del calore residuo e la protezione radiologica. I CASTOR sono successivamente caricati in appositi bunker orizzontali o in silos verticali, realizzati in cemento, che forniscono un ulteriore schermaggio delle radiazioni penetranti (gamma e neutroni) emesse. È da notare che lo stoccaggio a secco del combustibile nucleare è una soluzione comunque temporanea; infatti, al contrario del canister di prodotto vetrificato, il cask non costituisce un rifiuto condizionato pronto per essere smaltito nel deposito definitivo, in quanto il suo contenuto deve essere immobilizzato tramite speciali processi di condizionamento/incapsulamento in matrici metalliche, tuttora in fase di studio.

La gestione in sicurezza dei rifiuti radioattivi

Definizioni. Sono considerati rifiuti radioattivi i materiali ad attività radioattiva per i quali non è previsto il riutilizzo; in accordo con la classificazione internazionale, la normativa nazionale prevede i rifiuti a bassa attività (1a categoria: rifiuti la cui radioattività decade in pochi mesi, al massimo alcuni anni, a livelli inferiori ai limiti per il rilascio incondizionato e per i quali è previsto lo smaltimento come per i rifiuti tossici e/o nocivi convenzionali), a media attività (2a categoria: rifiuti la cui radioattività decade fino a alcune centinaia di Bq/g con tempi compresi tra decine e centinaia di anni e rifiuti contenenti radionuclidi a vita molto lunga purché in concentrazione di tale ordine) e infine i rifiuti ad alta attività e/o a lungo tempo di vita media (3a categoria: rifiuti la cui radioattività decade in migliaia di anni alle centinaia di Bq/g e che contengono radionuclidi a lunghissima vita media con attività superiori ad alcune migliaia di Bq/g).

Trattamento e condizionamento. La gestione dei rifiuti radioattivi, oltre alle fasi preliminari della raccolta e del trasporto, prevede le attività di trattamento e di condizionamento prima dello stoccaggio e dello smaltimento definitivo. Il trattamento è applicato ai rifiuti, così come prodotti dalle varie installazioni nucleari. Lo scopo è la riduzione del volume, la separazione della componente radioattiva dalla matrice inerte, la trasformazione in forme compatibili con il successivo processo di condizionamento e l’insolubilizzazione dei radionuclidi al fine di esaltare le proprietà di resistenza alla lisciviazione. Il condizionamento ha lo scopo di trasformare i rifiuti radioattivi, dopo il processo di trattamento, in una forma solida stabile idonea allo smaltimento definitivo. La matrice solida in cui il rifiuto radioattivo viene inglobato costituisce una prima barriera di isolamento dei radionuclidi, essendo la seconda barriera costituita dal contenitore metallico in cui il composto solido matrice-rifiuto è conservato. Le principali proprietà di una buona matrice immobilizzante, oltre che dalla compatibilità chimico-fisica con il rifiuto, sono rappresentate da elevate doti di omogeneità, insolubilità, impermeabilità, di resistenza meccanica, di resistenza agli agenti esterni, di resistenza al calore e alle radiazioni, di stabilità durante lo stoccaggio e da elevata capacità di incorporazione del rifiuto.

Il cemento, in formulazioni appositamente studiate per l’inglobamento dei rifiuti radioattivi, costituisce oggi la matrice di condizionamento più comunemente utilizzata: in tal caso si parla di condizionamento mediante cementazione.

Per speciali tipologie di rifiuti, in particolare per quelli nei quali la concentrazione di radionuclidi è talmente elevata da determinare una non trascurabile produzione spontanea di calore (tipicamente superiore a 2 kW/m3), la matrice impiegata è una particolare composizione di vetro: si parla in tal caso di condizionamento mediante vetrificazione.

Deposito definitivo. - Il sito di smaltimento definitivo costituisce la più importante barriera di protezione dalle radiazioni e dalla migrazione dei radionuclidi nella biosfera e ciò essenzialmente tramite le strutture ingegneristiche in esso realizzate (barriere artificiali) per i depositi definitivi di rifiuti a bassa e media attività e a breve-media vita media, ma soprattutto tramite le particolari favorevoli caratteristiche geologiche e idrogeologiche della formazione profonda ospite (barriere naturali) per i depositi definitivi di rifiuti ad alta attività e a lunghissima vita media. I rifiuti a bassa e media attività possono essere smaltiti in depositi superficiali o a bassa profondità, a patto che sia garantito il dovuto grado di isolamento per il periodo necessario (alcune centinaia di anni). A tale scopo sono stati sviluppati e applicati concetti avanzati che prevedono molteplici barriere caratterizzate dai seguenti aspetti tecnologici: a) manufatti condizionati (fusti in acciaio nei quali sono collocati i rifiuti radioattivi immobilizzati in matrice cementizia); b) moduli di deposito (cassoni in calcestruzzo armato in cui sono collocati i manufatti condizionati, immobilizzati nel modulo con matrice cementizia); c) celle di deposito in calcestruzzo armato (che ospitano i moduli per i depositi superficiali) oppure gallerie di deposito, scavate in formazioni idonee (che ospitano i moduli per i depositi sub-superficiali). Fino a oggi, un centinaio di depositi di smaltimento definitivo di rifiuti a bassa e media attività già sono stati realizzati in vari paesi e sono da tempo operativi; tra i depositi di ultima generazione che hanno implementato i più recenti concetti progettuali è opportuno citare il sito francese di Aube (capacità un milione di m3) e il sito spagnolo di El Cabril (capacità di 105 m3, espandibile modularmente).

Per quanto riguarda i rifiuti ad alta attività e a lunga vita media, è da registrare il largo consenso presso la comunità scientifica internazionale verso la soluzione ‘deposito geologico profondo’ come quella che può garantire, nella necessaria scala di tempi, il sicuro confinamento e isolamento di tali rifiuti dalla biosfera: l’obiettivo è realizzare depositi a grande profondità in formazioni geologiche (argilla, sale, granito) per le quali può essere dimostrato il requisito fondamentale della capacità di isolamento per milioni di anni. Depositi di questo tipo richiedono una lunga fase di elaborazione concettuale e progettuale nonché la realizzazione di impianti ‘pilota’. Tale fase, peraltro, costituisce il presupposto indispensabile per l’accettabilità sociale. A oggi, è operativo da alcuni anni l’impianto WIPP (New Mexico, USA) per lo smaltimento di transuranici; inoltre è in fase di ultimazione l’impianto Yucca Mountains Repository (Nevada, USA). In Europa, per la realizzazione del deposito definitivo finlandese, è stata scelta l’area di Olkiluoto (decisione governativa del 2001); attualmente è in fase di realizzazione l’impianto di caratterizzazione delle rocce ONKALO, la fine di tale fase e l’avvio della costruzione del deposito sono previste per il 2010.

È peraltro opportuno mettere in evidenza che i vincoli progettuali a lungo termine di un deposito geologico potranno essere significativamente attenuati dall’adozione di complesse tecnologie, basate su processi di separazione chimica e di trasmutazione (partitioning & transmutation), condotte sul combustibile irraggiato; l’obiettivo è di ridurre l’inventario di radioattività a lungo termine (superiore a 300 anni) tramite la separazione chimica degli isotopi a lunga vita media e la loro trasmutazione, tramite irraggiamento in elevati flussi di neutroni, in isotopi a vita media breve se non stabili. Tali tecnologie sono attualmente ancora allo stato di ricerca e sviluppo, che potrà richiedere alcune decine di anni e pertanto potranno essere utilizzate solo dalle prossime generazioni.

Pertanto, data l’obiettiva difficoltà riscontrata su scala mondiale per lo sviluppo di depositi per lo smaltimento definitivo dei rifiuti ad alta attività e a lunga vita, collegata anche alla difficoltà di conseguire il consenso delle autorità e delle popolazioni, si è resa ancora più stringente la necessità di predisporre strutture di stoccaggio temporaneo.

Stoccaggio. - Nella prospettiva della disponibilità di un sito per lo smaltimento definitivo, per i rifiuti condizionati ad alta attività (rifiuti vetrificati), per i rifiuti a media attività ma contenenti radionuclidi a lunghissima vita media (rifiuti cementati) e per il combustibile irraggiato conservato nei casks (stoccaggio a secco) è necessario predisporre una idonea struttura ingegneristica di raccolta e stoccaggio temporaneo in condizioni di sicurezza (interim storage facility), dimensionata in modo tale da permettere la dissipazione, per convezione naturale dell’aria, del calore prodotto dal decadimento dei radionuclidi: lo stoccaggio temporaneo di alcune decine di anni, prima dello smaltimento definitivo, oltre a ottenere un significativo abbattimento della radioattività dovuta a radionuclidi a breve-media vita media, potrà permettere che il sito di smaltimento definitivo sia identificato, studiato e caratterizzato in dettaglio per fare in modo che sia ben definita la sua sicurezza a lungo termine e per rendere possibile l’adozione di eventuali nuove strategie di smaltimento nel frattempo individuate e sviluppate.

Riferimenti bibliografici

Di interesse generale:

Joint convention on the safety of spent fuel management and on the safety of radioactive waste management - First Italian national report, APAT, April 2006 (http://www.apat.gov.it/site/_files/ItalianReport.pdf).

Rapporto del gruppo di lavoro sulle condizioni per la gestione in sicurezza dei rifiuti radioattivi, Conferenza Stato Regioni, 2001 (http://www.palazzochigi.it/ backoffice/allegati/15808-765.pdf). Per le caratteristiche di impianti e installazioni nucleari italiane, http://www.sogin.it/index_sito.html.

Di interesse tecnico:

Classification of radioactive waste, Safety guide No. 111-G-1.1, IAEA, Vienna, 1994 (http://www-pub. iaea.org/MTCD/publications/PDF/Pub950e_web.pdf).

La gestione dei rifiuti radioattivi. Guida Tecnica nr. 26, CNEN-DISP, poi ENEA-DISP, infine ANPA poi APAT (http://info.casaccia.enea.it/ conferenza-statoregioni/atti/doc_attori/11%20-%20guidatecnica26.pdf).

International basic safety standards for protection against ionizing radiation and for the safety of radiation sources, Safety Series No. 115, IAEA, Vienna, 1996 (http://www-pub.iaea.org/MTCD/publications/PDF/SS-115-Web/Pub996_web-1a.pdf).

Siting of near-surface disposal facilities, Safety series No. 111-G-3.1, IAEA, Vienna, 1994 (http://www-pub.iaea.org/MTCD/ publications/PDF/Pub965e_web.pdf).

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