Novità in materia fallimentare nel d.l. n. 83/2015

Libro dell'anno del Diritto 2016

Novità in materia fallimentare nel d.l. n. 83/2015

Massimo Montanari
Valentina Baroncini

Il contributo vuole offrire una visione d’insieme delle molteplici novità apportate dal d.l. n. 83/2015, convertito, con modifiche, dalla l. n. 132/2015 al vigente sistema delle procedure concorsuali: ennesima testimonianza del diuturno sforzo prodotto dal legislatore italiano per mettere al passo quel sistema non soltanto con i più avanzati modelli stranieri ma, altresì, con le sempre nuove esigenze con cui gli operatori sono costretti a misurarsi per effetto della drammatica crisi economica in cui da tempo versa il nostro Paese.

La ricognizione

In maniera decisamente inopinata rispetto all’opera di razionalizzazione e (auspicabilmente) definitiva revisione del sistema demandata all’apposita Commissione istituita presso il Ministero della giustizia con d.m. 28.1.2015, il Governo ha messo mano all’ennesima riforma parziale (ed estemporanea) della disciplina della crisi d’impresa, nel segno, ancora una volta, di un’urgenza – sbandierata attraverso il ricorso allo strumento del decreto legge – che altro non è che quella di rappresentare ai partners dell’UE l’impegno spiegato dall’Italia per porre rimedio alle sue croniche, e ripetutamente denunciate, arretratezze nel settore, in generale, della giustizia civile, con particolare accentuazione in quello delle procedure d’insolvenza.

A differenza di precedenti interventi di analoga intonazione, il d.l. 27.6.2015, n. 83 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), convertito, con modificazioni, dalla l. 6.8.2015, n. 132, è venuto a ricomprendere, entro il suo raggio d’azione, una pluralità di strumenti di composizione della crisi d’impresa, così da escludere praticamente in radice la riconducibilità delle molteplici innovazioni introdotte ad una logica unitaria (che non sia quella, scontata e bonne à tout faire, del miglioramento dell’efficienza degli strumenti coinvolti). La possibilità di leggere l’intervento riformatore secondo una o più chiavi dominanti sussiste, per contro, in un’ottica che, rinunciando ad abbracciare l’intervento nella sua globalità, risulti invece focalizzata sulle singole procedure interessate.

Così, con riguardo al concordato preventivo, una direttrice fondamentale di riforma è senz’altro ravvisabile in quello che appare uno spostamento creditor oriented dell’asse della procedura, come è a dirsi in relazione all’avvenuta introduzione di strumenti volti a migliorare il rendimento economico della stessa indipendentemente e anche contro le scelte strategiche operate dal debitore in sede di proposta e piano di concordato: il riferimento è agli istituti, da un lato, delle offerte concorrenti di cui al nuovo art. 163 bis l. fall. (in rapporto alle quali è stato modificato il successivo art. 182 l. fall.), dall’altro, delle proposte concorrenti dei creditori inserite nel testo del precedente art. 163 l. fall. (alla cui riscrittura in quel senso si correla poi quella dei successivi artt. 165, 172, 175, 177, 181 e 185 l. fall.).

La policy sottesa alle novità appena richiamate non si coerenzia perfettamente con quella, fondata sull’avvertita necessità di porre un limite all’impiego dello strumento concordatario o, quantomeno, un freno ai relativi abusi, che ha ispirato ulteriori misure, quali la reintroduzione, come presupposto di ammissione alla procedura, di una soglia minima (20%) di soddisfacimento del passivo chirografario (così il novellato art. 160, ult. co., l. fall.) e la soppressione (in via di riscrittura del successivo art. 178, co. 4, l. fall.) del cd. silenzio-assenso dei creditori in sede di votazione sulla proposta di concordato. È da dirsi, peraltro, che, oltre ad essersi palesata all’atto della conversione in legge del decreto di riforma, la logica di cui le misure testé evocate appaiono espressione si interseca e, volendo, si armonizza con le soluzioni contestualmente congegnate per favorire e stimolare l’accesso a strumenti alternativi di composizione su base negoziale della crisi d’impresa, come: a) gli accordi di ristrutturazione dei debiti, per implementare il ricorso ai quali è stata creata una nuova species, in aggiunta alle diverse già presenti nell’ordinamento, di finanza interinale in regime di prededuzione (estesa, peraltro, anche al concordato preventivo: così il novellato art. 182 quinquies l. fall.) e, soprattutto, si è previsto, al fine di neutralizzare il potere di interdizione che sovente esigue minoranze del ceto creditorio bancario sono in grado di esercitare, si è previsto, dicevamo, che l’accordo, in caso di indebitamento ultra dimidium verso banche e intermediari finanziari, possa esplicare efficacia anche nei confronti dei creditori, appartenenti a quelle tipologie imprenditoriali, non aderenti alla proposta e di questi, altresì, si possa tener conto nel computo della maggioranza del 60% richiesta in vista dell’omologazione dell’accordo medesimo (cfr. i primi tre commi del nuovo art. 182 septies l. fall.); b) e l’inedita figura delle convenzioni di moratoria con banche o intermediari finanziari (art. 182 septies, co. 57, l. fall.), la cui disciplina, per agevolarne la diffusione sul mercato degli strumenti di regolazione della crisi, è stata conformata in maniera analogamente derogatoria al principio, ex artt. 1372 e 1411 c.c., di relatività degli effetti del contratto.

Venendo, infine, alle novità recate sul terreno della procedura di fallimento, esse si lasciano essenzialmente – anche se non esclusivamente: v. il novellato art. 28 l. fall. – apprezzare come il portato dell’aspirazione ad un marcato contenimento della relativa tempistica. Tale obbiettivo è stato primariamente perseguito attraverso l’imposizione al curatore, a pena di revoca dal suo incarico, di un termine biennale per l’esaurimento delle operazioni di liquidazione dell’attivo (art. 104 ter, co. 2, 3 e 9, l. fall.). E per consentire la realizzazione di tale obbiettivo, si è reso necessario intervenire sulla disciplina della chiusura del fallimento, stabilendo che non possa essere d’ostacolo alla chiusura nel caso specifico, e di gran lunga più frequente, di cui all’art. 118, co. 1, n. 3, l. fall. ossia per attuazione del riparto finale, la pendenza di controversie in cui il fallimento medesimo, nella persona del curatore, risulti coinvolto come parte: quanto evidentemente comporta un problema di gestione in sede postconcorsuale di quelle liti e dei loro risultati, per la cui regolamentazione oggetto di ampia riscrittura sono stati il medesimo art. 118 ed il successivo art. 120 l. fall.

In aggiunta a quelle testé passate in rassegna, altre modifiche sono sopravvenute, all’atto della conversione in legge del decreto, nella medesima direzione “acceleratoria” di cui appena s’è detto: si allude, specificamente, a quelle, che più avanti saranno illustrate, operate sul testo degli artt. 43 e 64 l. fall.

Il panorama quivi tracciato delle novità apportate in materia concorsuale dal d.l. n. 83/2015 non è stato, ovviamente, esaustivo (pensiamo alla riforma della disciplina degli effetti del concordato sui contratti pendenti ex art. 169 bis l. fall.): per le dovute integrazioni, non si può che rinviare alle successive sezioni di questo lavoro.

La focalizzazione. Concordato preventivo

All’illustrazione delle diverse modifiche che il d.l. n. 83/2015 ha apportato al concordato preventivo, si procederà ora rispettando l’ordine degli articoli emendativi ivi racchiusi.

L’art. 1 del decreto ha inciso sull’art. 182 quinquies l. fall., con un duplice ordine di modifiche, finalizzate, secondo quanto espresso dalla Relazione accompagnatoria al d.d.l. di conversione, n. 3201, a «facilitare il reperimento della provvista finanziaria in vista della conclusione dei concordati». Da un lato, intervenendosi sul co. 1, viene inequivocabilmente chiarita la possibilità, per il debitore che abbia presentato una domanda cd. in bianco ex art. 161, co. 6, l. fall., di essere autorizzato a contrarre finanziamenti prededucibili funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori anche prima del deposito della documentazione di cui all’art. 161, co. 2 e 3, l. fall. ossia prima di aver provveduto alla presentazione della proposta e del piano: superando, in tal modo, quell’orientamento restrittivo che, al fine dell’autorizzazione dei finanziamenti de quibus, richiedeva il previo deposito di tali documenti (generando la prassi dei cd. concordati “in grigio”). Sufficiente, al fine in discorso, sarà dunque l’attestazione del professionista di cui all’art. 182 quinquies, co. 1, l. fall. La seconda modifica si concreta nell’introduzione di un nuovo co. 3, ove si consente al debitore che presenta una domanda cd. in bianco ex art. 161, co. 6, l. fall., o una domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l. fall., ovvero una cd. istanza di sospensiva ex art. 182 bis, co. 6, l. fall., di chiedere al tribunale di essere autorizzato in via d’urgenza a contrarre finanziamenti prededucibili funzionali a urgenti necessità relative all’esercizio dell’attività aziendale, fino alla scadenza del termine fissato dal tribunale per l’integrazione della domanda di concordato, o all’udienza di omologazione dell’accordo, ovvero alla scadenza del termine assegnato per il deposito dell’accordo. La lettura della Relazione accompagnatoria chiarisce come si tratti di uno strumento ispirato ai cd. first day orders previsti nel Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense, in quanto volto ad autorizzare sin da subito il debitore a contrarre limitati finanziamenti necessari a sostenere l’attività aziendale in attesa «del vero e proprio finanziamento interinale» di cui al precedente co. 1. La richiesta è formulata con ricorso, che deve specificare: i) la destinazione dei finanziamenti; ii) che il debitore non è in grado di reperire altrimenti tali finanziamenti; e iii) che, in assenza dei medesimi, deriverebbe un pregiudizio imminente e irreparabile all’azienda. A differenza della fattispecie di cui al co. 1, la norma non prescrive il deposito dell’attestazione di un professionista, ma il tribunale deciderà sulla richiesta – con decreto motivato, da emanare, in camera di consiglio, entro dieci giorni dal deposito dell’istanza –, dopo aver assunto sommarie informazioni sul piano e sulla proposta in corso di elaborazione, aver sentito il commissario giudiziale eventualmente nominato nonché, se del caso, i principali creditori. La richiesta del debitore può avere ad oggetto anche il mantenimento di linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda. Infine, a garanzia dei finanziamenti concessi, a norma del co. 1 o del co. 3, il debitore può oggi essere autorizzato a cedere crediti: una possibilità in più per chi non abbia più beni da concedere in pegno o ipoteca.

L’art. 2 d.l. n. 83/2015, regolamentando una prassi diffusa, introduce nel corpo della legge fallimentare un nuovo art. 163 bis, rubricato «Offerte concorrenti». La nuova norma, come modificata in sede di conversione – e applicabile, nei limiti della compatibilità, agli atti da autorizzare a norma dell’art 161, co. 7, l. fall., nonché all’affitto d’azienda o di uno o più rami di essa –, prevede che, quando: a) il piano di cui all’art. 161, co. 2, lett. e), l. fall., comprende un’offerta da parte di un soggetto già individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore, da attuarsi anche prima dell’omologazione, verso un corrispettivo in denaro o comunque a titolo oneroso, dell’azienda o di uno o più rami di essa o di specifici beni; ovvero b) il debitore ha stipulato un contratto che abbia la finalità del trasferimento non immediato dell’azienda, di suoi rami o di specifici beni, il tribunale debba disporre la ricerca di interessati all’acquisto, disponendo l’apertura di un procedimento competitivo1. Per il contenuto del decreto che dispone tale apertura – che dev’essere pubblicato sul portale delle vendite pubbliche di cui all’art. 490 c.p.c. –, si rinvia alla lettura del co. 2 dell’art. 163 bis l. fall.; è però opportuno precisare che esso deve indicare anche l’aumento minimo di prezzo dell’offerta che s’intende avanzare. Le offerte, da presentare in forma segreta, per essere efficaci devono conformarsi a quanto prescritto nel decreto e non possono essere condizionate; nel momento in cui l’offerta racchiusa nel piano si conformi a tali indicazioni – e venga prestata la garanzia ivi stabilita – essa diventa irrevocabile. All’udienza fissata per l’esame delle offerte, queste vengono rese pubbliche e, in caso di presentazione di più offerte migliorative, il giudice disporrà la gara, nella stessa udienza o in una immediatamente successiva, purché si concluda prima dello svolgimento dell’adunanza dei creditori. Nel caso in cui, all’esito della gara, la vendita o l’aggiudicazione sia disposta a favore di un soggetto diverso da colui che ha presentato l’offerta racchiusa nel piano, quest’ultimo sarà liberato dalle obbligazioni assunte e rimborsato delle spese e dei costi sostenuti per la formulazione dell’offerta nel limite del 3% del prezzo indicato. Una volta concluso il procedimento competitivo, il debitore sarà inoltre tenuto a modificare il piano e la proposta in conformità al risultato della gara. L’art. 2 in commento interviene poi sull’art. 182 l. fall., disponendo che anche alle liquidazioni attuate nel concordato con cessione dei beni si attui la pubblicità prevista dall’art. 490, co. 1, c.p.c.; interessante è anche la riformulazione del co. 5 che, dopo aver esteso ai trasferimenti posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo la disciplina in materia di vendite fallimentari di cui agli artt. 105-108 ter l. fall., rimuove «qualsiasi dubbio circa l’effetto “purgativo” anche delle cessioni effettuate prima dell’ammissione alla procedura di concordato, purché debitamente autorizzate, nonché delle cessioni attuate in esecuzione del concordato omologato, ma a opera di un soggetto diverso dal liquidatore giudiziale» (così la Relazione): effetto attuato su ordine del giudice, salvo diversa disposizione contenuta nel decreto di omologazione per gli atti a questa successivi.

Venendo alle proposte concorrenti e alternative a quella presentata dal debitore di cui all’art. 3 d.l. n. 83/2015, è da dirsi come non si arrivi, con ciò, all’introduzione di un meccanismo analogo alla cd. involuntary petition statunitense, ma si consenta ai creditori (così la Relazione) di sottrarsi alla rigida alternativa «di accettare o rifiutare in blocco la proposta del debitore», avendo sempre come obiettivo ultimo quello della massimizzazione della loro recovery, ottenuta pel tramite dell’approvazione della migliore proposta possibile, ed evitando che il debitore possa liberamente presentarne una che non rispecchi il reale valore dell’azienda. Anzitutto, si incide sull’art. 163 l. fall., oggi rubricato «Ammissione alla procedura e proposte concorrenti», dove il termine per la convocazione dei creditori, originariamente di trenta giorni dal decreto di ammissione alla procedura, viene portato a centoventi, al fine di rendere possibile lo svolgimento delle operazioni connesse alla presentazione di proposte concorrenti (correlativamente, in sede di conversione si è provveduto a modificare l’art. 181 l. fall., portando il termine entro il quale deve intervenire l’omologazione da sei a nove mesi2). A questo proposito, il nuovo co. 4 di tale articolo consente a uno o più creditori, i quali, anche in virtù di acquisti successivi alla presentazione della domanda di ammissione alla procedura, rappresentino almeno il 10% dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale di cui all’art. 161, co. 2, lett. a), l. fall. (ma, per evitare facili collusioni, al fine del raggiungimento di tale soglia non possono computarsi «i crediti della società che controlla la società debitrice, delle società da questa controllate e di quelle sottoposte a comune controllo»), di presentare una proposta concorrente di concordato preventivo, accompagnata dal relativo piano, non oltre trenta giorni prima dell’adunanza dei creditori; la relazione del professionista di cui al co. 3, viceversa, diviene meramente facoltativa, essendo richiesta solo con riguardo a quegli aspetti, inerenti la fattibilità del piano, che non sano già stati oggetto di verifica da parte del commissario giudiziale. Dal punto di vista contenutistico, la proposta concorrente può prevedere l’intervento di terzi e, nel caso in cui il debitore sia una s.p.a. o una s.r.l., un aumento di capitale della società con esclusione o limitazione del diritto d’opzione; ove sia prevista la suddivisione dei creditori in classi – e tale eventualità, presumibilmente, ricorrerà sempre, essendo espressamente previsto che i creditori proponenti abbiano diritto di voto sulla proposta da essi stessi presentata solo se siano collocati in un’autonoma classe –, la proposta dovrà inoltre essere sottoposta al sindacato del tribunale, chiamato a verificare la correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi. La nuova disciplina prevede inoltre un limite di ammissibilità alla presentazione di proposte concorrenti: in particolare, queste saranno precluse se nella relazione di cui al co. 3 dell’art. 161 l. fall. il professionista attesti che la proposta di concordato del debitore assicura il pagamento di almeno il 40% dell’ammontare dei crediti chirografari, o – in virtù di una modifica apportata in sede di conversione –, in caso di concordato con continuità aziendale, di almeno il 30% degli stessi crediti, fermo, in entrambi i casi, il soddisfacimento integrale dei creditori titolari di diritti di prelazione. Tali soglie sono evidentemente ritenute dal legislatore idonee ad assicurare la qualità della proposta depositata dal debitore, escludendosi così l’opportunità di aprire a proposte concorrenti. Oggetto di modifiche sono stati poi gli artt. 165 e 172 l. fall., nel senso di un aggravamento degli oneri posti in capo al commissario giudiziale in caso di presentazione di proposte concorrenti. La prima delle norme richiamate prevede al suo nuovo co. 3 – dichiarato applicabile anche in caso di presentazione di offerte concorrenti ex art. 163 bis –, che il commissario debba fornire ai creditori richiedenti, assunti gli opportuni obblighi di riservatezza, le informazioni utili per la presentazione delle proposte concorrenti, sulla base del complesso della documentazione in suo possesso, fermo il divieto – invero scontato – di cui all’art. 124, co. 1, ult. periodo, l. fall. All’art. 172 l. fall., poi, è stato modificato il termine concesso al commissario per la redazione della sua relazione particolareggiata, da depositarsi, oggi, almeno quarantacinque giorni prima dell’adunanza dei creditori, allo scopo, chiaramente, di consentire ai soggetti interessati di prendere visione della medesima prima di presentare la propria proposta; inoltre viene precisato che in caso di presentazione di proposte concorrenti – ma lo stesso varrà anche dove emergano informazioni che i creditori devono conoscere ai fini dell’espressione del voto –, egli sarà tenuto a riferirne nell’ambito di apposita relazione integrativa, comprensiva di una particolareggiata comparazione tra tutte le proposte presentate, da depositare almeno dieci giorni prima dell’adunanza dei creditori. Infine – con disposizione che dev’esser letta in una all’avvenuta abrogazione del co. 2 dell’art. 175 l. fall. –, viene precisato che tutte le proposte di concordato presentate, dal debitore ovvero concorrenti, possono essere modificate fino a quindici giorni prima dell’adunanza dei creditori3.

Anche la fase del voto viene adattata al nuovo contesto. L’art. 175 l. fall. viene modificato nel senso di allargare la discussione della proposta di concordato – ivi compreso il contraddittorio tra creditori e debitore – anche a quelle concorrenti del caso presentate. Le proposte sono sottoposte al voto seguendo l’ordine temporale del loro deposito: sicché si partirà sempre da quella presentata dal debitore. Quanto alle maggioranze richieste, la nuova disciplina è inserita nel co. 1 dell’art. 177 l. fall. – modificato, in sede di conversione, al fine di adeguarlo all’eliminazione del meccanismo del “silenzio-assenso”, simultaneamente avvenuta mediante la sostituzione del co. 4 dell’art. 178 l. fall. – ove (oltre all’esclusione dal voto e dal computo delle maggioranze della società che controlla la debitrice, delle società da essa controllate e di quelle sottoposte a comune controllo) si prevede che si consideri approvata la proposta che consegua la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto, ferma, beninteso, come chiarito dal prosieguo della norma, la necessità di raggiungere le maggioranze di cui al primo e secondo periodo dello stesso co. 1; in caso di parità, prevale la proposta del debitore o, in caso di parità tra proposte concorrenti, quella presentata per prima. Nel caso in cui nessuna proposta ottenga il voto favorevole dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto – e, in caso di suddivisione dei creditori in classi, anche la maggioranza delle classi –, il giudice delegato rimette al voto la proposta che ha conseguito la maggioranza relativa, fissando il termine per la comunicazione ai creditori nonché quello a partire dal quale i medesimi, nei venti giorni successivi, possono far pervenire il proprio voto al fine di raggiungere le maggioranze richieste dalla legge. Da ultimo, è stato modificato l’art. 185 l. fall., «allo scopo», secondo le parole della Relazione accompagnatoria, «di rendere possibile l’esecuzione di un piano di concordato diverso da quello proposto dal debitore qualora i creditori approvino una proposta alternativa»: è prevedibile, infatti, che il debitore possa risultare restio a dare spontanea esecuzione aduna proposta confezionata da soggetti terzi. È dunque codificato un generico dovere, in capo al debitore, di compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta, approvata e omologata, presentata da uno o più creditori. Incisivi sono poi i poteri posti in capo al commissario giudiziale, sia di vigilanza sia, eventualmente, esecutivi: egli, infatti, ove rilevi inadempimenti o ritardi del debitore nell’esecuzione del concordato, è tenuto a riferirne al tribunale (quanto, in analoga situazione, è consentito anche al proponente), il quale, sentito il debitore stesso, può attribuire al commissario i poteri necessari a provvedere in luogo di tale soggetto agli atti dovuti. Infine, nel caso in cui il debitore sia una società, il tribunale, ferma restando la facoltà di revoca di cui all’art. 173 l. fall., può, sentiti il debitore e il commissario giudiziale, revocare l’organo amministrativo e nominare un amministratore giudiziario (ovvero, ove sia stato nominato un liquidatore, attribuire a quest’ultimo i relativi compiti) affinché compia ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta, ivi inclusi la convocazione dell’assemblea straordinaria dei soci al fine di deliberare il previsto aumento del capitale sociale del debitore e l’esercizio di voto nella stessa.

L’art. 4 d.l. n. 83/2015 è stato quello più sensibilmente modificato in sede di conversione: se, infatti, nella sua versione originaria, rubricata «Integrazione del contenuto della proposta di concordato», esso si limitava ad integrare l’art. 161, co. 1, lett. e), l. fall., sancendo la necessità, per il debitore, di indicare nella proposta l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile ch’egli s’impegna ad assicurare a ciascun creditore, sì da rendere chiari, a questi ultimi, i termini quantitativi della proposta stessa, la versione scaturita dalla conversione in legge, più genericamente intitolata «Disposizioni in materia di proposta di concordato preventivo e di adesione alla stessa», oltre a confermare, con un’opportuna precisazione lessicale, il precetto appena illustrato, interviene su altre disposizioni4. Anzitutto, con una sorta di ritorno al passato, si interviene sull’art. 160 l. fall. per precisare che, salvo il caso in cui si proponga un concordato con continuità aziendale, la proposta debba assicurare il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari (fermo, naturalmente, il soddisfacimento integrale di quelli titolari di diritti di prelazione). Vi è, poi, una serie di misure che riguardano, di nuovo, il commissario giudiziale: il co. 5 dell’art. 161 l. fall. prevede ora che al p.m. debba essere comunicata non solo la domanda di concordato, ma altresì copia degli atti e dei documenti depositati a norma dei co. 2 e 3, e della relazione del commissario giudiziale di cui all’art. 172 l. fall., nonché, secondo quanto previsto dal novellato art. 165 l. fall., i fatti che possono interessare ai fini delle indagini preliminari in sede penale e dei quali il commissario venga a conoscenza nello svolgimento delle sue funzioni; il co. 1 dell’art. 172 l. fall. è modificato nel senso di richiedere al commissario di illustrare, nella propria relazione, le utilità che, in caso di fallimento, deriverebbero dall’esperimento di azioni revocatorie, risarcitorie o recuperatorie. Con una modifica all’art. 163 l. fall. viene poi integrato il contenuto del decreto di ammissione alla procedura che, ai sensi del nuovo n. 4-bis, deve ordinare al ricorrente di consegnare al commissario giudiziale, entro sette giorni, copia informatica o su supporto analogico delle scritture contabili e fiscali obbligatorie. S’è addivenuti infine, come già detto, all’eliminazione del meccanismo di voto tramite “silenzio-assenso”, in considerazione, altresì, della difficoltà di attribuire un significato univoco al silenzio di fronte a una pluralità di proposte concorrenti.

Questa rassegna si conclude con l’art. 8 d.l. n. 83/2015, che ha riveduto la disciplina dell’art. 169 bis l. fall., in tema di contratti pendenti, con il dichiarato obiettivo di «eliminare dubbi interpretativi che in questi anni hanno comportato inutili contenziosi con appesantimento dei tempi e dei costi della procedura» (così la Relazione). Il primo chiarimento riguarda la nozione, utilizzata nella versione originaria della norma, di «contratti in corso di esecuzione», che parte minoritaria di dottrina e giurisprudenza riteneva non coincidente con quella di cui agli artt. 72 ss. l. fall.: da qui, la modifica della rubrica e – con la conversione in legge – del co. 1 della norma, ove si fa ora riferimento, rispettivamente, a «contratti pendenti» e «contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti»; in secondo luogo, viene definitivamente esplicitato come l’autorizzazione allo scioglimento o alla sospensione possa essere richiesta non solo con il ricorso di cui all’art. 161 l. fall., ma anche con un’istanza successiva; recependo una prassi diffusa tra i giudici di merito, viene poi codificata la necessità di instaurare il contraddittorio con il contraente in bonis, con la possibilità per il tribunale di assumere sommarie informazioni, prima di pronunciare il decreto. Altra rilevante novità consiste nella puntualizzazione che è a partire dalla comunicazione, da parte del debitore all’altro contraente, del decreto autorizzativo che si producono gli effetti di tale provvedimento. Nel testo del co. 2, è stata inserita la specificazione della natura prededucibile del credito derivante da eventuali prestazioni eseguite legalmente e in conformità agli usi negoziali dopo la pubblicazione della domanda di ammissione alla procedura: ma trattasi di conclusione pianamente desumibile anche in via d’applicazione dei principi generali; d’altro canto, la disciplina ad hoc dettata con riguardo al contratto di locazione finanziaria, racchiusa nel nuovo ult. co. dell’art. 169 bis l. fall., è del tutto corrispondente a quanto dettato dall’art. 72 quater l. fall.

2.1 Fallimento

A monte delle misure variamente adottate in funzione limitativa dei tempi della procedura, il d.l. n. 83/2015 ha provveduto, come s’è detto, ad una revisione delle condizioni richieste dall’art. 28 l. fall. ai fini della nomina a curatore fallimentare. Il senso dell’intervento è stato quello di un accentuato rigore nella designazione del soggetto chiamato a ricoprire quel delicato incarico, al quale non potrà più aspirare: a) chi abbia concorso al dissesto dell’impresa, anche al di fuori della fascia temporale dei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, cui era, a detto fine, riferimento nel previgente testo della norma appena citata; b) e chi abbia svolto la funzione di commissario giudiziale nell’àmbito di una procedura di concordato nei confronti del medesimo debitore dipoi fallito (anche se non, necessariamente, all’esito senza successo di quella procedura concordataria) o chi sia legato da un rapporto di associazione professionale a colui che abbia svolto quelle funzioni commissariali5.

Con la conversione in legge del decreto, è scomparsa, in ragione, presumibilmente, della sua assoluta ovvietà, l’originaria previsione secondo cui il curatore avrebbe dovuto possedere una struttura organizzativa idonea a consentirgli il rispetto dei termini di cui all’art. 104 ter l. fall.; come quella per cui, nella designazione del curatore, si sarebbe dovuto tener conto delle indicazioni fornite dai creditori in fase di giudizio prefallimentare. Mentre sono sopravvissute quella a tenore della quale, ai medesimi fini, occorre tener conto delle risultanze dei rapporti riepilogativi ex art. 33, co. 4, l. fall.6; e quella contemplante l’istituzione, presso il Ministero della giustizia, di un registro nazionale deputato alla raccolta di una vasta congerie di provvedimenti, tra cui, in primis, quelli di nomina di curatori nonché commissari e liquidatori giudiziali. Senza dimenticare, infine, l’introduzione di quella – ma a livello dell’art. 39 l. fall. e non del summenzionato art. 28 – per cui ogni acconto liquidato dal tribunale al curatore dovrebbe essere preceduto dalla presentazione di un progetto di ripartizione parziale.

Come manifestazioni di quella logica acceleratoria in cui si esprime, in parte qua, il motivo conduttore della riforma, si lasciano, invece, riguardare, come già detto, le modifiche, rectius le integrazioni, apportate, in sede di conversione, al testo degli artt. 43 e 64 l. fall. L’integrazione che ha avuto ad oggetto la prima di queste norme è stata chiaramente mossa dall’intento di ridurre, per quanto possibile, l’incidenza, sui tempi di svolgimento della procedura fallimentare nella sua globalità, di quelli legati alla celebrazione delle singole controversie in cui il fallimento rivesta la qualità di parte. A tale scopo, si è allora istituita una sorta di “corsia preferenziale” per quelle controversie, stabilendosi, con disposizione, peraltro, di rango meramente burocratico-amministrativo (sì che le relative violazioni non possano che avere riflessi d’ordine disciplinare), che esse debbano essere trattate con priorità rispetto alle altre, sulla base di misure di cui il capo dell’ufficio deve dare annualmente conto, insieme ai dati numerici delle stesse, al presidente della corte d’appello.

Trascorrendo al successivo art. 64 l. fall., è da dirsi che questo, in via di adeguamento al sistema fallimentare dell’innovazione contestualmente portata al sistema dell’esecuzione individuale con l’introduzione dell’art. 2929 bis c.c., è stato integrato dalla previsione per cui i beni oggetto degli atti a titolo gratuito cui la norma ha tradizionalmente riferimento debbano considerarsi, tali beni, acquisiti al patrimonio fallimentare mediante la trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento, di séguito consentendosi ad ogni interessato di proporre reclamo avverso detta trascrizione a norma dell’art. 36 l. fall. La norma merita indiscutibilmente qualche chiosa volta a chiarirne l’effettivo significato: sed de hoc infra, al paragrafo dedicato ai profili problematici della riforma.

All’apposizione di un termine cogente entro cui esaurire le operazioni di liquidazione dell’attivo, vero snodo cruciale della riforma per la parte che qui interessa, il legislatore è pervenuto operando sulla disciplina del programma di liquidazione di cui all’art. 104 ter l. fall. In quest’àmbito si è, innanzitutto, stabilito che con il termine, di sessanta giorni dalla compilazione dell’inventario, originariamente dettato per la redazione di detto programma, debba concorrere un nuovo termine di centottanta giorni decorrente dalla declaratoria di fallimento. Dopo di che si è arricchito il palinsesto dei contenuti obbligatori del programma, prescrivendosi che questo debba indicare il termine entro cui la liquidazione va completata. Per finire con la previsione, già nota, che detto termine non possa eccedere i due anni dal deposito della sentenza di fallimento, vanamente decorsi i quali (o il termine più breve del caso adottato) si configurerebbe una giusta causa di revoca dell’organo gestorio della procedura.Al concetto di programma di liquidazione come risultante dalla definizione offertane dall’art. 104 ter, co. 2 («atto di pianificazione e di indirizzo in ordine … ai termini previsti per la realizzazione dell’attivo»), è da ritenersi che tanto l’apposizione di un termine finale per il completamento delle vendite fallimentari come la sanzionabilità nelle forme della revoca del curatore dell’inosservanza di questo termine, siano, in certo modo, immanenti. L’unico, autentico, quid novi è, dunque, rappresentato dalla quantificazione nella sua soglia massima di quel termine medesimo: elemento fortemente stemperato, peraltro, nei suoi effetti pratici alla luce della facoltà accordata al curatore, in quanto sappia debitamente motivare sul punto, di fissare un termine maggiore, certo per l’esitazione di cespiti specifici ma, al contempo, senza l’obbligo di rispettare una soglia percentuale rispetto all’ammontare complessivo dell’attivo liquidabile.

Ancor più flebile è il portato innovativo della disposta integrazione della disciplina delle vendite cd. deformalizzate di cui all’art. 107, co. 1, l. fall., se non per la parte concernente l’estensione obbligatoria a tali vendite del sistema di pubblicità fondato sul neoistituito Portale delle vendite pubbliche di cui al novellato art. 490, co. 1, c.p.c., certo per quella relativa all’ammessa rateizzazione del versamento del prezzo di aggiudicazione, in conformità, per quanto compatibili, alle afferenti disposizioni degli artt. 569, 574 e 587 c.p.c. I tratti di deformalizzazione e, quindi, larghissima autonomia che contraddistinguono quella tipologia di vendite inducono, difatti, a ritenere che gli organi ad esse preposti già disponessero del potere di rateizzazione che oggi si è venuti a formalmente consacrare.

La scelta, operata in evidente connessione con quelle compiute sul versante della liquidazione dell’attivo, di emancipare la chiusura del fallimento per intervenuta ripartizione finale dalla pendenza di giudizi, come recita il nuovo testo dell’art. 118, co. 2, l. fall., «rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione processuale» – ossia in cui il fallimento agisca come parte e, va ora aggiunto, idonei in qualche modo ad incidere sulla consistenza dell’attivo ripartibile –, ha posto il legislatore di fronte al problema di regolare le sorti di tali giudizi a fallimento concluso.

Preliminare rispetto alle altre che ineriscano al tema, ancorché posta in coda all’art. 120 l. fall., è la disposizione che sancisce l’ultrattività di curatore e giudice delegato, con esclusione del comitato dei creditori: il che spiega perché non sia detto comitato, bensì il giudice delegato, a dover autorizzare le transazioni o rinunzie alle liti cui le parti siano del caso addivenute.

Ciò posto, il legislatore ha preso in considerazione l’eventualità che il giudizio proseguito dopo la chiusura sortisca esito negativo per la massa. In relazione a ciò, si è allora stabilito che le somme necessarie per spese future ed oneri eventuali siano trattenute nei modi di cui all’art. 117, co. 2, l. fall.: accantonamento identicamente previsto per le somme ricevute dal curatore a titolo non definitivo. Per l’ipotesi, invece, che il giudizio porti ad un incremento dell’attivo, la previsione è che le somme incamerate dal curatore per effetto di provvedimenti definitivi, unitamente ad eventuali residui di accantonamenti, siano oggetto di riparto supplementare tra i creditori secondo modalità predefinite a livello di decreto di chiusura ex art. 119 l. fall. È in ogni caso escluso che tali sopravvenienze attive possano dar luogo a riapertura del fallimento; mentre si ammette che, in quanto valgano a rimuovere l’impedimento all’esdebitazione di cui all’art. 142, co. 2, l. fall., esse consentano al debitore tornato in bonis di farne richiesta purché entro un anno dal riparto che quell’impedimento abbia tolto di scena.

A presidio delle ragioni della massa e della par condicio, il legislatore ha previsto che in nessun caso i creditori possono agire su quanto oggetto dei giudizi de quibus, così sancendo una sorta di ultrattività degli effetti di protezione del patrimonio di cui all’art. 51 l. fall.

2.2 Accordi di ristrutturazione e altri strumenti

La possibilità, introdotta dal neocodificato art. 182 septies l. fall., di stipulare accordi di ristrutturazione ai sensi del precedente art. 182 bis l. fall. con effetti vincolanti anche nei confronti di banche o intermediari finanziari non aderenti ai medesimi, oltre a richiedere un indebitamento verso quella tipologia di soggetti in misura non inferiore al 50% dell’esposizione debitoria complessiva del proponente, è stata subordinata dal legislatore a tutta una serie di condizioni d’ordine, se così può dirsi, procedimentale.

In primo luogo, è necessario che banche e intermediari finanziari siano ricomprese/i in una o più distinte categorie di creditori (concetto non dissimile dalle classi del concordato preventivo) fondate sull’omogeneità di posizione giuridica e interessi economici dei medesimi7: e questo perché l’efficacia ultra partes dell’accordo può spiegarsi solamente all’interno di quelle categorie, singolarmente considerate, e nei limiti in cui abbia aderito all’accordo al meno il 75% dei rispettivi appartenenti; al cui proposito va rammentato come i crediti di una singola banca o intermediario finanziario possano essere inseriti anche in più d’una di quelle categorie. Secondariamente, i creditori cui s’intenda estendere l’efficacia dell’accordo anche contro il loro rifiuto di aderirvi – e questa intenzione va espressamente dichiarata8 – debbono essere stati informati dell’avvio delle trattative e messi in condizione di parteciparvi in buona fede (art. 182 septies, co. 2, l. fall.); e debbono pure, in quanto non si tratti di condizione implicita in quelle di cui s’è appena dato conto, aver ricevuto complete e aggiornate informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria de debitore nonché sull’accordo e i relativi effetti (ivi, co. 4, lett. c). Ed infine, ad essi creditori, l’accordo deve garantire soddisfazione in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili9.

La mancanza di taluna delle condizioni quivi descritte può essere fatta valere, da chiunque ne abbia interesse, con la comune opposizione all’omologa dell’accordo di cui all’art. 182 bis, co. 4, l. fall. Nei confronti dei creditori non aderenti, il termine di trenta giorni posto in via generale a quel fine decorre dalla notifica, espressamente dettata a favore dei medesimi, del ricorso per l’omologa dell’accordo e dell’annessa documentazione ex art. 182 bis, co. 1, l. fall.: incombente che, nella fattispecie in esame, non si sostituisce, bensì s’aggiunge ai consueti adempimenti previsti al riguardo del deposito presso la cancelleria del tribunale e della pubblicazione nel registro delle imprese.

Sempre a tutela di questi soggetti, ridotto appare poi il novero degli effetti dell’accordo di cui essi possono risentire, di fatto circoscritto a quelli d’ordine dilatorio e/o esdebitatorio, come si desume dal penult. co. dell’art. 182 septies l. fall., a tenore del quale in nessun caso può essere imposta, ai creditori non aderenti, l’esecuzione di nuove prestazioni (quanto ai contratti di locazione finanziaria, v. la puntualizzazione di cui all’ult. periodo della disposizione appena citata), la concessione di affidamenti, il mantenimento della possibilità di utilizzare affidamenti esistenti o l’erogazione di nuovi finanziamenti.

Per favorire il ricorso, nei rapporti con i finanziatori istituzionali dell’impresa, a forme di regolazione provvisoria dello stato di dissesto imperniate sul comune strumento degli accordi di moratoria dei pagamenti, ovverosia sui classici pacta de non petendo, la riforma ha previsto che tali accordi, ove stipulati con banche o intermediari finanziari, possano vincolare anche i creditori non aderenti, in quanto sussistano le stesse condizioni all’uopo richieste per gli accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis l. fall., con la sola aggiunta dell’attestazione, da parte di professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), l. fall., dell’omogeneità di posizione giuridica e interessi economici tra i creditori “finanziari” interessati dalla moratoria10 (e sui quali, pertanto, va calcolata la percentuale del 75% necessaria, giusta il richiamo alla disciplina degli accordi di ristrutturazione, perché l’accordo possa spiegare la sua efficacia ultra partes).

Al pari dei piani attestati di risanamento, gli effetti delle convenzioni di moratoria in esame non sono subordinati ad apposita omologazione giudiziale. È, però, concessa ai singoli creditori non aderenti all’accordo la facoltà di proporre opposizione ai fini della declaratoria che lo stesso non è efficace nei loro confronti. Il rimedio è esperibile nel termine perentorio di trenta giorni decorrenti dalla comunicazione al creditore, a mezzo raccomandata o PEC, dell’intercorso accordo accompagnato dalla relazione del professionista ex art. 67, co. 3, lett. d), l. fall. Sull’opposizione provvede il tribunale con decreto, avverso il quale, nei quindici giorni decorrenti dalla relativa comunicazione, è ammesso reclamo innanzi alla corte d’appello ai sensi dell’art. 183 l. fall.

Si ricordino, infine, le misure di sostegno agli accordi con i creditori ed al piano del consumatore di cui alla l. 27.1.2012, n. 3, introdotte dal d.l. n. 83/2015 (art. 21 septies) mediante inserimento in quel testo normativo di un nuovo art. 3 bis.

I profili problematici

L’ampiezza dell’intervento normativo di cui s’è dovuto, nella circostanza, dar conto fa sì che spazi assai angusti residuino ora per la disamina dei relativi profili problematici: e questo ci costringe a limitare l’attenzione ad alcune soltanto delle questioni che avrebbero dovuto ricevere trattazione in questa sede.

Cominciamo dal concordato preventivo e dalle modifiche apportate all’art. 182 quinquies l. fall. L’inciso inserito nel co. 1, se pur è utile a chiarire come il debitore possa ottenere l’autorizzazione a contrarre finanziamenti interinali anche nella fase di cd. preconcordato, nondimeno non vale a risolvere i problemi connessi alla difficile attuabilità, in concreto, di tale operazione: rimane difficile, infatti, pensare che i tribunali, senza aver alcuna idea circa il contenuto della proposta e del piano, possano autorizzare finanziamenti siffatti i quali, a cagione della loro natura prededucibile, rischiano di arrecare un serio pregiudizio ai creditori concorsuali; lo strumento dei finanziamenti urgenti di cui al successivo co. 3, poi – oltre a condividere la problematica appena illustrata, che appare anzi aggravata dall’assenza dell’attestazione di un professionista –, rischia di risolversi in un negoziato tra debitore e istituti di credito (in quanto, spesso, saranno questi ultimi quei «principali creditori» che il tribunale potrà sentire al fine di decidere sulla richiesta), estromettendo gli altri creditori da una decisione di così rilevante impatto. Perplessità derivano, infine, dall’aver assoggettato la possibilità di mantenimento delle linee di credito autoliquidanti alla disciplina di cui all’art. 182 quinquies, co. 3, l. fall.: tali contratti, infatti, venivano pacificamente qualificati come atti di ordinaria amministrazione ex art. 161, co. 7, l. fall., sicché la nuova disciplina si risolve inevitabilmente in un maggior aggravio per il debitore e per l’organo giudiziario11.

Il neointrodotto art. 163 bis l. fall., oltre ai consueti dubbi sull’efficacia pratica del meccanismo ivi introdotto, si espone a una critica fondamentale: com’è stato autorevolmente rilevato, infatti, imporre al debitore di modificare la propria proposta in conformità all’esito della gara si risolve in una forte compressione della sua autonomia negoziale, che non appare adeguatamente compensata dalla previsione della possibilità, per il medesimo, di rinunciare alla domanda di concordato al fine di evitare di vincolarsi ad una proposta il cui contenuto, in parte, è stato imposto dall’esterno12.

Numerosi sono gli aspetti problematici posti dal nuovo istituto delle proposte concorrenti. Anzitutto, i limiti di ammissibilità codificati nel nuovo co. 5 dell’art. 163 l. fall., paiono facilmente superabili dal debitore che, al fine di precludere la presentazione di proposte concorrenti, confezioni una proposta idonea a superare le soglie di soddisfacimento richieste dalla legge. Diviene allora essenziale verificare se l’apposita attestazione richiesta nella relazione ex art. 161, co. 3, l. fall., possa rappresentare una garanzia idonea a scongiurare tale prassi. Altra problematica lasciata aperta dalla legge è poi quella inerente la sorte delle proposte concorrenti allorché il debitore rinunci all’iniziativa concordataria intrapresa: a tal riguardo, nel nuovo contesto non appare errato distinguere tra rinuncia alla domanda di concordato – cui conseguirà la caducazione di tutta la procedura, e dunque anche delle proposte concorrenti presentate –, e rinuncia alla proposta debitoria, che lascerà immutata la possibilità di pervenire all’omologa della proposta concorrente che risulterà approvata. La questione che più ha agitato gli interpreti riguarda, però, la presunta incostituzionalità dello strumento, in relazione all’art. 42 Cost., in quanto – soprattutto ove il debitore versi in stato di crisi, e non ancora d’insolvenza –, con la possibilità riconosciuta al proponente di scegliere come gestire il patrimonio del debitore si verrebbe a realizzare, a danno di quest’ultimo, un esproprio non giustificato da motivi d’interesse generale13. Con riguardo alla disciplina in tema di maggioranze, poi, la norma inserita nell’art. 177 l. fall. appare problematica nel momento in cui non provvede a differenziare proposte di concordato con o senza classi: poiché la legge prescrive in ogni caso il raggiungimento delle «maggioranze di cui al primo e secondo periodo» del co. 1, risulta evidente come una proposta con classi parta svantaggiata, richiedendosi l’integrazione di una doppia maggioranza14. Per quanto riguarda la fase esecutiva, inoltre – oltre all’incomprensibile richiamo all’art. 173 l. fall., non essendo configurabile, in detta fase, la possibilità di revocare l’ammissione al concordato –, desta perplessità la scelta di aver predisposto meccanismi funzionali ad assicurare l’ottemperanza alla proposta solo nel caso in cui essa sia stata presentata da uno o più creditori, cosicché, in definitiva, questi ultimi risultano oggi maggiormente tutelati nell’ipotesi di omologazione di una proposta concorrente, rispetto all’omologazione della proposta debitoria15.

Venendo alle innovazioni arrecate alla disciplina del fallimento, va ripreso il discorso, dianzi lasciato in sospeso, sull’integrazione portata al dettato dell’art. 64 l. fall. I dubbi che il nuovo testo della norma solleva attengono al fatto che si versi in un’ipotesi di revoca ex lege a) dove l’inefficacia verso il fallimento degli atti cui essa norma ha riferimento scaturisce a titolo di conseguenza automatica della relativa sentenza di apertura; b) e, dunque, parimenti automatica deve considerarsi l’acquisizione all’attivo fallimentare dei beni che ne siano oggetto, senza neppur bisogno, se non sul piano della certezza formale delle vicende giuridiche, di quella trascrizione cui la norma oggi rinvia.

Delle due l’una, pertanto: o ci si rassegna a dare atto della sostanziale inutilità della nuova disciplina in materia; oppure, se a questa conclusione non ci si vuol rassegnare, necessario è ammettere che essa consenta al curatore la materiale apprensione dei beni de quibus senza bisogno, come si è sempre richiesto16, di una sentenza che consacri l’infondatezza delle ragioni accampate al riguardo dal terzo, previo accertamento dell’inopponibilità alla massa dell’atto con cui il fallito ne abbia disposto. Una lettura, quest’ultima, che ben si armonizza, in effetti, con il rovesciamento dell’onere dell’iniziativa giudiziale a carico del terzo avente causa del fallito, tenuto peraltro ad attivarsi con uno strumento, quale il reclamo a rito camerale di cui all’art. 36 fall., sulla cui idoneità a contestualmente assolvere alle funzioni di opposizione all’esecuzione e azione d’accertamento dell’efficacia dell’atto disconosciuto dal fallimento, lecito è esprimere le più forti perplessità17.

A non lievi perplessità dà luogo, altresì, la nuova disciplina della chiusura del fallimento per avvenuta ripartizione finale dell’attivo, nella parte in cui nulla si dice sulle modalità di liquidazione a favore dei creditori dei beni recuperati attraverso la prosecuzione, a fallimento concluso, delle azioni promosse dal curatore a tutela di diritti del fallito o della massa Se impensabile, difatti, appare il ricorso alle forme dell’esecuzione ordinaria – se non, forse, per i casi di esito positivo di un’azione revocatoria, dove non è un azzardo supporre che il curatore possa percorrere le vie dell’espropriazione ex art. 602 c.p.c. –, problematica si rivela pure l’applicazione, nella specie, delle norme sulla liquidazione fallimentare, considerato, se non altro, il ruolo che in tal sede riveste quel comitato dei creditori la cui sopravvivenza alla cessazione del fallimento, ai fini della prosecuzione delle liti a quella data pendenti, la riforma non ha decretato, a differenza, come s’è visto, di quanto avvenuto per curatore e giudice delegato.

La valorizzazione del principio maggioritario negli accordi di ristrutturazione conclusi a norma dell’art. 182 septies l. fall. può indurre a chiedersi se non sia il caso parlare, nella specie, di una trasformazione ontologica dell’istituto, siccome attratto al novero di quelle procedure concorsuali da cui correntemente è giudicato escluso. Come è stato esattamente osservato, però, «il guado che separa gli accordi dalla concorsualità [è] ancora netto, perché il debitore non è spossessato, perché non esiste un provvedimento di apertura di un procedimento, perché i creditori aderenti possono essere trattati differentemente …, perché non c’è un organo che vigila sul procedimento, perché non esiste una regola parallela a quella dell’art. 184 l. fall.»18. Più fondati appaiono, semmai, gli interrogativi sollevati in merito alla costituzionalità della nuova figura di accordi, in particolare là dove è ammesso potersi tener conto dei creditori non aderenti ai fini del calcolo, sulla massa creditoria complessiva, della maggioranza del 60% richiesta a norma dell’art. 182 bis, co. 1, l. fall.19

1 Su quella che era, nel testo originario del decreto, la legittimazione concorrente del commissario giudiziale a promuovere l’apertura di tale procedimento, v. Bozza, G., Brevi considerazioni su alcune norme della ultima riforma, in www.fallimentiesocieta.it, 30 s.

2 Risolvendo le criticità rilevate, in sede di commento al d.l., da Lamanna, F., La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: un primo commento. Parte II, in www.ilfallimentarista.it, 5; Bozza, G., op. cit., 21 s.

3 Ma, secondo Marinoni, R., Commento agli artt. 14 D.L. n. 83/2015, in Marinoni, R. Nisivoccia, N. Santoriello, C., Decreto giustizia: le novità in materia fallimentare, Milano, 2015, 19 s., ciò non sarebbe preclusivo della possibilità di apportare miglioramenti alla proposta anche in sede di adunanza.

4 Su tali tematiche, Ambrosini, S., La disciplina della domanda di concordato preventivo nella “miniriforma” del 2015, in www.ilcaso.it, 6 s.

5 Sulla insufficiente flessibilità di tale disposizione, per la mancanza di “valvole di sicurezza” che permettano di derogarvi allorché si tratti di procedura che richieda cognizioni e competenze particolari, che solo il previo esercizio delle funzioni di commissario avrebbe consentito di acquisire o perfezionare, cfr. Lamanna, F., La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “Contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: un primo commento. Parte I, in www.ilfallimentarista.it, 8.

6 Riferimento di dubbio significato: sulla necessità di far capo ai rapporti redatti dallo stesso soggetto nel quadro di altre procedure dove abbia assunto l’ufficio di curatore, Graziano, N., Il curatore ha due anni per liquidare l’attivo fallimentare, in Guida dir., 2015, fasc. 31, 42.

7 La legge prescrive che, ai fini di detta valutazione di omogeneità, non si debba tener conto delle ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni precedenti la data di pubblicazione, nel registro delle imprese, del ricorso per l’omologa dell’accordo: sui criteri cui tale valutazione deve attenersi, v. diffusamente Ranalli, R., Gli accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari. Alcune considerazioni critiche, in www.ilfallimentarista.it, 3 e 5.

8 Sugli elementi normativi da cui è desumibile la necessità di un’espressa istanza in tal senso, Ranalli, R., op. cit., 6.

9 Alternative che non si esauriscono in quella fallimentare: cfr. Ranalli, R., op. cit., 5; Graziano, N., Risanamento precoce per evitare il blocco della procedura, in Guida dir., 2015, fasc. 31, 60 s.

10 Ma per la necessità che, anche nel caso di accordo di ristrutturazione nella variante con banche e intermediari finanziari, l’attestazione prevista dall’art. 182bis, co. 1, tocchi il profilo appena considerato, Ranalli, R., op. cit., 2. Contra, ma postulandone l’opportunità de iure condendo, Graziano, N., op. ult. cit., 61.

11 Lamanna, F., La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: un primo commento. Parte III, in www.ilfallimentarista.it, 3 s. e 9 s.; Forgillo, E., Possibile concedere finanziamenti senza documenti, in Guida dir., 2015, fasc. 31, 55 s.; Marinoni, R., op. cit., 8.

12 Per tali riflessioni, Fabiani, M., L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, in www.ilcaso.it, 14 s.; sul tema pure Varotti, L., Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimenare, in www.ilcaso.it, 1 s.; Nonno, G.M., D.L. Giustizia: le novità in materia fallimentare. La concorrenza nel concordato preventivo: offerte competitive e cessioni, in Quotidiano giuridico, 10.7.2015.

13 Bozza, G., op. cit., 12 s.; Lamanna, F., La miniriforma. Parte II, cit., 2 s.; Fabiani, M., op. cit., 8 s.; Ambrosini, S., op. cit., 21; Nonno, G.M., D.L. Giustizia: le novità in materia fallimentare. La concorrenza nel concordato competitivo: proposte competitive, in Quotidiano giuridico, 16.7.2015; Proietti, F., Imprese: nuova linfa da proposte e offerte concorrenti, in Guida dir., 2015, fasc. 31, 47; Lo Cascio, G., Introduzione. Commento al D.L. 27 giugno 2015, n. 83, in Marinoni, R. Nisivoccia, N. Santoriello, C., Decreto giustizia: le novità in materia fallimentare, cit., 2.

14 Bozza, G., op. cit., 20; Lamanna, F., La miniriforma. Parte II, cit., 11.

15 Lamanna, F., La miniriforma. Parte II, cit., 10; Nonno, G.M., D.L. Giustizia: proposte competitive, cit.; critico sull’opportunità di affidare l’esecuzione al commissario giudiziale, Guidotti, R., op. cit., 18.

16 Beninteso, a fronte dell’indisponibilità del terzo a riconoscere le ragioni sul bene del fallimento. cfr., per ogni altro, Provinciali, R., Trattato di diritto fallimentare, II, Milano, 1974, 1053.

17 Analogamente Fabiani, M., op. cit., 21; Varotti, L., op. cit., 17.

18 Così Fabiani, M., op. cit., 20 s.

19 Cfr. Lamanna, F., La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “Contendibilità e soluzioni finanziarie2 n. 83/2015: un primo commento. Parte IV, in www.ilfallimentarista.it, 4 s.

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