NOVELLA

Enciclopedia Italiana (1934)

NOVELLA

Bruno LAVAGNINI
Ferdinando NERI
Salvatore ROSATI
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. Impossibile definire con sufficiente precisione la novella, che nei varî tempi e paesi assume aspetti diversi. Accenneremo qui ai fatti e ai nomi più importanti nella storia della novellistica, rimandando per altre notizie alle voci dedicate alle letterature dei singoli paesi, o ai singoli novellieri.

Oriente. - Vivaci e numerosi elementi novellistici, in testi purtroppo spesso mutili e di non sempre chiara interpretazione, ci offre la letteratura sinora a noi nota dell'antico Egitto, di cui del resto qualche riflesso ci appariva già nelle fonti classiche (cfr. la storia di Rampsinito in Erodoto). Dalle avventure di Sinûhe, al "racconto del naufrago" del papiro di Leningrado, dalle storie di magia del papiro Westcar, al "racconto dei due fratelli" ove è risvolto il noto motivo del giusto calunniato dalla tentatrice delusa, è tutta una serie di realistici, spigliati saggi dell'antichissima novellistica fiorita nella valle del Nilo, con addentellati storici, storico-geografici, etnografici, ma di fondo precipuamente fantastico.

Assai più scarsi documenti ci restano della più antica novellistica semitica, giacché né la letteratura babilonese-assira (che pure dà tanta parte all'epos narrativo), né quella ebraica-biblica presentano produzioni che si possano dire in stretto senso novellistiche. Attraverso versioni orientali di epoca più recente del diffusissimo romanzo di Aḥīqar (v.; la più antica è la siriaca del sec. II d. C.) possiamo però ricostruire tracce di quest'arte narrativa nell'Oriente semitico attorno al sec. VI-V a. C., e al tempo stesso avanzare non troppo arrischiate ipotesi su possibili rapporti assai antichi fra tale novellistica semitica e quella indiana.

Nel mondo indiano infatti, come per la favola, così per la novella, troviamo la maggior ricchezza e complessità di produzione letteraria; la pratica difficoltà di una netta costante distinzione tra favola e novella obbliga a ricordare anche in questo campo i classici esempî del Pañcatantra col suo derivato del Hitopadeśa, che tanta influenza dovevano esercitare sulla letteratura didattico-narrativa orientale e occidentale. Di carattere più schiettamente narrativo sono le novelle contenute nelle raccolte del Kathāsaritsāgara ("Oceano di novelle") di Somadeva, nella Vetalapañcavimsatikā ("Le 25 (novelle) del lemure"), e in opere affini. Buona parte di questo riechissimo patrimonio novellistico indiano, la cui tecnica narrativa, come or ora accennavamo, trova già suggestivi paralleli o imitazioni nel mondo semitico per epoca assai antica, si riversò poi attraverso posteriori traduzioni e rifacimenti nelle altre letterature orientali dei primi secoli dopo l'era volgare, mescolato a elementi originali di novellistica iranica (tracce di questa già nei classici greci, e poi nell'epos medio- e neopersiano), per giungere sino a noi, con sovrapposizione di svariati altri filoni narrativi siriaci, arabo-musulmani, armeni, bizantini, nelle notissime opere narrative di Kalīlah e Dimnah, delle Mille e una notte, del Romanzo di Sindbād; nuclei tutti attrattori e condensatori del fluido materiale novellistico e sentenzioso ario-semitico, e destinati a ridisperderlo, attraverso le numerosissime redazioni, traduzioni e rifacimenti, in tutte o quasi tutte le letterature colte e popolari dell'Occidente.

Grecia antica. - Diversa dalla favola di animali e dalle immaginazioni della fiaba, rifugio all'animo dei fanciulli e dei primitivi, la novella realistica appare in Grecia ai margini dalla letteratura. La lussureggiante vegetazione del mito ne ha adombrato e soffocato la fioritura. Al disotto e al di fuori delle forme di espressione artistica create dal genio nazionale, essa appare dapprima come digressione in opere storiche, poi anche isolatamente, in raccolte destinate all'amena lettura, infine, sotto l'influsso della seconda sofistica, nella forma dell'epistolografia o tra le pieghe del romanzo. Ma, prima che alla letteratura, la novella dovette appartenere alla vita e al costume. Come un tempo in Italia, e ancor oggi in Arabia, esisteva, anche nella Grecia classica, il mestiere del narratore pubblico. Aristofane ricorda (Plutus, 177) un Filepsio che racconta storielle per danaro. Erano questi i γελωτοποιοί (specie di clown, buffoni; Xen. Conviv., 11-16). Al tempo di Demostene sessanta di loro si adunavano in Atene nel Herakleion dei Diomei (Athen., XIV, 614). Il re Filippo mandò loro un talento per avere trascritte le loro facezie. Anche in Plauto (Stichus, 400) il parasito si prepara coi suoi libri. L'imperatore Augusto, come rimedio all'insonnia, faceva chiamare lectores aut fabulatores (Sueton., Oct., 78). La prima apparizione delle novelle nella letteratura fu certo come digressione nella storiografia, dove esse potevano trovare posto, insieme con le altre tradizioni locali. Si pensi, in Erodoto, all'anello di Policrate (III, 40-43) o alla novella egiziana del tesoro di Rampsinito (II, 121). Né tale inclinazione si smentì mai nella storiografia successiva. Ma già nel sec. V a. C. esisteva una speciale categoria di narrazioni novellistiche che prendeva nome da Sibari. Tardi retori e scoliasti informano che i racconti sibaritici, in contrasto con le favole esopiche, sarebbero narrazioni in cui gli uomini e non gli animali sono protagonisti. Erano narrazioni umoristiche, tratti di spirito o scemenze, attribuite a cittadini di Sibari, non, come alcuno credette, racconti originarî di Sibari, ma storie che germogliarono assai dopo la distruzione della città, attorno alla narrazione leggendaria della sua fastosa opulenza ed effeminatezza. Per esse si affaccia spontaneo il confronto con Franco Sacchetti. Sembra che le sibaritiche abbiano trovato una nuova elaborazione letteraria nell'età di Ovidio (cfr. Tristia, II, 417, nec qui composuit nuper Sybaritica fugit). Se la novella umoristica è assai antica, la novella erotica non trovò forma letteraria se non nell'età ellenistica nelle Milesiache di Aristide (sec. II a. C.), da cui è venuto alla novella erotica, in latino, il nome di Milesia. L'autore (che non abbiamo nessun elemento per ritenere che fosse di Mileto) presentava le grasse novelle della raccolta come racconti intesi a Mileto. Egli è, in certo modo, il Boccaccio della novella greca. Fu tradotto in latino da Sisenna, l'annalista dell'età sillana. Con loro scandalo i Parti trovarono nel bagaglio di un ufficiale romano dell'esercito di Crasso (53 a. C.) una copia del libro di Aristide. Le sibaritiche e le milesie trovano riscontro nella novella italiana e nel favolello francese. Ma nemmeno il tipo della novella tragica è mancato alla Grecia. A prescindere dalle storie di amore tragico raccolte con predilezione da storiografi e antiquarî ed elaborate nell'elegia ellenistica, saggi di novelle tragiche si leggono in Apuleio, dove certo derivano da fonte greca (per es. quella di Trasillo in VIII, 1-14). Non abbiamo però notizia di nessuna raccolta di consimili novelle, a meno che non vogliamo considerare tale l'operetta sui Casi d'amore tragico di Partenio. All'infuori di tali collezioni, novelle si trovano disseminate nelle raccolte di favole esopiche (p. es. Babr., 116; Aesop., 109 e Pnaedr., app. 13; Phaedr., III, 10), dove per lo più vengono male adattate a uno scopo morale, o intercalate nei romanzi satirici, in Petronio (Matrona di Efeso, Fanciullo di Pergamo) e in Apuleio (p. es. IX, 5-7; IX, 17-21; IX, 24). Un'elaborazione letteraria pretensiosa esse trovano talvolta nell'epistolografia della seconda sofistica, in Eschine (10) e in Aristeneto (p. es. I, 5, 7; II, 15, 22), l'epistolografo del sec. V d. C.

Letterature romanze. - Attraverso il Medioevo si determina un nuovo interesse letterario per i brevi racconti, imperniati su un dato fantastico, e talora anche storico, su un'avventura, su un esempio morale. Molti, anzi, in origine, offrono manifestamente il carattere di una parabola; e poiché, di tali parabole, lo spirito, oltre che il tema narrativo, appare collegato con la letteratura buddhistica, tutta una scuola di filologi del secolo scorso volle riconoscere nell'India il principio ideale ed effettivo della novella, che si sarebbe poi diffusa presso i popoli dell'Occidente, durante la decadenza della romanità e i progressi della civiltà araba. Quest'ipotesi, accompagnandosi alle più vaste teorie della mitologia comparata, non riuscì, com'era nelle speranze e nell'ambizione della scuola indianista, capeggiata dal Benfey, a una soluzione unitaria del problema; poiché, né ogni racconto si può dire estraneo alla cultura letteraria greco-latina (quando soprattutto si voglia tener conto di quelli che ricorrono nelle credenze mitologiche), né la totalità dei racconti diffusi nel Medioevo si può ridurre a fonti orientali. Resta il fatto che le nuove letterature medievali predilessero, come il romanzo, così la novella, cioè le grandi forme narrative, compiacendosi essenzialmente della favola, del contenuto immaginoso o didattico; e le versioni, latine e volgari, di libri orientali, come il Kalīlah e Dimnah (Pañcatantra) e i Sette savî (Sindbād), arricchirono notevolmente il patrimonio comune dei novellieri. La Disciplina clericalis di Pietro Alfonso, ebreo spagnolo, battezzato nel 1106, raduna favole e novelle di varia provenienza, ma specialmente araba e orientale (Storia di Barlaam e Josaphat, Kalīlah e Dimnah, favole di Luqmān), e fu tradotto in tutte le lingue letterarie d'Europa, ottenendo veramente il fine annunziato dal titolo, d'istruire i chierici, i quali si valevano degli esempî narrativi per allietare le loro prediche. Sono, così, intessuti di exempla i sermoni di Giacomo da Vitry, vissuto fra il sec. XII e il XIII, delle prediche di Elinando (principio del sec. XIII) ci rimangono i Flores, raccolti da Vincenzo di Beauvais, autore a sua volta dello Speculurm historiale, dello Speculum naturale e del doctrinale, in cui ricorrono molteplici racconti; e vennero redatti speciali repertorî, in servigio dei predicatori, quale l'Alphabetum narrationum, opera di un domenicano francese della fine del sec. XIII (v. esempio).

Nella poesia volgare, la novella irrompe, libera dai freni che, pur non sempre rigorosi, la stringevano in simili raccolte, con i fabliaux (v. favolello), divulgati largamente dai giullari di Francia. Le fonti orientali non possono qui reclamare se non una minima parte dei temi narrativi, i quali si estendono agli episodî più gai e burleschi dell'umana commedia. Ci sono rimasti circa 150 fabliaux: il più antico, Richeut, si può datare intorno al 1170: i più recenti furono scritti sul principio del sec. XIV. Vi abbondano i tratti spiritosi, salaci e anche cinici: la donna viene trattata senza alcun rispetto; l'intreccio di alcune scene amorose, dove gli ecclesiastici, e specialmente i frati, figurano come eroi piuttosto profani, prelude a uno degli aspetti, più noti e fortunati, della novella boccaccesca. Ma il tono generale dei fabliaux è più aspro e grossolano; e contrasta, come se fosse animato da un'intenzione nettamente satirica, alla visione sentimentale dell'amore che si veniva contemporaneamente delineando nel romanzo "cortese": con il quale invece si accordano i brevi poemetti su casi d'amore e di morte, a cui Marie de France (seconda metà del sec. XII) diede più volte uno sfondo meraviglioso nei suoi "lai" (Eliduc, Guigemar, Lanval, Yonec, Fraisne); nel sec. XIII, abbiamo, di autori sconosciuti, la deliziosa , "cantafavola" di Aucassin et Nicolette, e la Châtelaine de Vergy, tradotta in un cantare italiano del Trecento.

La Spagna, dopo avere contribuito alla fioritura novellistica con le prime versioni delle raccolte orientali, vanterà ancora, per merito di Juan Manuel, una bella e originale collana di apologhi: El Conde Lucanor o Libro de Patronio, compiuto nel 1335: sono cinquanta "casi" di morale mondana, che il conte propone al suo consigliere Patronio e che questi risolve per mezzo di allegorie e di racconti.

In Italia, il fabliau, la novelletta in versi, ebbe scarsissima eco; s'ebbe conoscenza delle compilazioni latine medievali, e una raccolta di aneddoti, di esempî, di motti arguti, derivati dalle fonti più varie (la Bibbia, Valerio Massimo, la Disciplina clericalis, i romanzi francesi del ciclo brettone) è il Novellino, i cui racconti sono rapidi, persino scarni nella loro brevità, ma ci serbano più volte, nel loro fare conciso, una freschezza, un'immediata semplicità, ch'è il carattere più simpatico del libro. Allo stesso periodo appartengono i Conti di antichi cavalieri cioè venti racconti d'argomento cavalleresco, storico e leggendario, tradotti dal francese; il Libro dei sette savî, rifatto su versioni francesi e latine; il Fiore dei filosofi; il Fiore di virtù; i Dodici conti morali d'autore senese, e altre novelle sparse nei libri di edificazione e di morale: notevoli, nella prima metà del Trecento, quelle che Francesco da Barberino inserì nel suo trattato Del reggimento e dei costumi delle donne e frate Iacopo Passavanti nello Specchio di vera penitenza.

Ma il vero creatore della novella moderna, quegli che innalzò l'interesse dei semplici temi narrativi a una rappresentazione piena e animata del costume, della società, degli affetti e delle passioni umane, fu il Boccaccio; il quale, dopo aver fatto le sue prove giovanili di scrittore nei romanzi in prosa e in versi, si accingeva, sullo scorcio del 1348, alla sua grande opera e la terminava in pochi anni: le cento novelle, distribuite nelle dieci giornate del Decameron, inquadrate nella magnifica descrizione della peste di Firenze e nell'evocazione della brigata giovanile e signorile deì novellatori e delle novellatrici, fanno capo, attraverso agli episodî della più varia intonazione sentimentale, tragici, luttuosi, fortunati, giocondi, satirici, licenziosi, a una ricca visione del carattere e del destino umano. E fra il carattere e il destino, pare che il Boccaccio riconosca alcuni segreti rapporti, in cui sta chiuso il pregio e il pericolo della vita: vita che i suoi personaggi affrontano con alacrità, per trarne tutto il sapore, nel bene e nel male, nella gentilezza e nella cupidigia, nella virtù e nell'inganno. I tipi del Boccaccio sono definiti, energici, di una tempra recisa, che non esclude le risonanze più delicate, ma che s'appoggia saldamente su di una realtà tangibile, e quasi carnale; di tale realtà la forma stessa del libro ci offre un'interpretazione colorita e fastosa, che talora può sembrare come una veste troppo greve e solenne, ma che in pieno Trecento, e negli albori della prosa d'arte italiana, significava tutto un ideale di bellezza classica, vagheggiato e per gran parte attuato con ardore e con entusiasmo. Sull'esempio del Boccaccio, e fino a tutto il Cinquecento, gli scrittori italiani furono persuasi che una bella pagina di prosa fosse l'oggetto proprio della novella, e troppe volte si ridussero a imitare la sola pagina del Boccaccio.

Nella seconda metà del sec. XIV si conformano al modello del Decameron una raccolta di cinquanta novelle, compilata da ser Giovanni Fiorentino sotto il titolo di Pecorone, e un'altra, di 155, di uno speziale lucchese, Giovanni Sercambi; maggiore originalità, ch- si rivela soprattutto nelle scenette borghesi e popolari, tessute briosamente intorno a burle, a casi strani e curiosi, avviva il libro del fiorentino Franco Sacchetti (era un Trecento novelle, ma quasi un terzo ne andò perduto)

Tra la fine del sec. XIV e il principio del XV, il Sollazzo di Simone Prodenzani, da Orvieto, alterna da un quadro prezioso della vita signorile, diciotto novelle in forma di ballate; alcune di esse provengono dal Decameron. Altre, pure del Boccaccio, vennero ridotte in ottave (il Cerbino, la Griselda), e accrebbero il repertorio giullaresco, insieme con i cantari di leggende e di storie popolari (il Liombruno, il Bel Gherardino, Pulzella Gaia, il Gismirante di Antonio Pucci, il Gibello); la novella in versi si poté creare in tal modo una tradizione, che mantenne per secoli nella memoria del volgo il caso pietoso di Ginevra degli Almieri e le astuzie di Campriano contadino.

Gli umanisti non sdegnarono la novella, sia latina (come l'Historia de duobus amantibus di Enea Piccolomini), sia volgare (come la novella di Seleuco, di Leonardo Bruni); ma il loro genere proprio fu quello della facezia, ch'ebbe larga fortuna con Poggio Bracciolini (Confabulationes, o Facetiarum liber), seguito dal Pontano, e più tardi da Girolamo Morlini e in lingua volgare da Lodovico Carbone, e dai compilatori fiorentini di una raccolta di facezie e motti della fine del sec. XV; molte facezie tradizionali vennero conglobate intorno a un tipo unico, quale il Piovano Arlotto o il buffone Gonnella.

Varie novelle sono frapposte nel Paradiso degli Alberti di Giovanni Gherardo da Prato; Gentile Sermini da Siena, e Giovanni Sabadino degli Arienti, bolognese, autore delle Porretane, si esercitarono con arte mediocre e spirito volgare nei racconti d'amore e nelle facezie; più vivace, più vicino alla tradizione orale, e quindi più ricco d'interesse, riesce il Novellino di Tommaso Guardati, o Masuccio Salernitano: la storia di Amore di Mariotto e della Giannozza, narrata da Masuccio come una leggenda senese, diede il primo spunto alla novella degli amanti veronesi, che Luigi da Porto compose sul principio del Cinqucento e che, ripresa dal Bandello, venne poi tradotta in francese e in inglese e ispirò allo Shakespeare il dramma di Romeo e Giulietta. Fra le novelle sparse del Quattrocento, dev'essere ricordata quella del Grasso legnaiuolo, cioè di un tal Manetto che si lasciò persuadere dagli amici che non era più lui, ma un altro.

E nel sec. XV, la novella in prosa inizia il suo corso in Francia con le Quinze joyes de Mariage e i trattati di Antoine de La Sale, gli Arrêts d'Amour di Martial d'Auvergne, ricchi di esempî e di aneddoti: pure al de La Sale si deve un esteso racconto, Le petit Jehan de Saintré, che descrive con grande finezza il noviziato amoroso d'un giovine cavaliere, deluso crudelmente dall'infedeltà della sua dama. Le Cent Nouvelles noudelles costituì scono la prima raccolta francese in cui appare manifesto l'influsso italiano: del Decameron, nella disposizione generale; delle Facezie del Poggio, per l'argomento di varî racconti.

Il Decameron, tradotto una prima volta per intero in lingua francese da Laurent de Premierfait, comparve in una nuova versione del sec. XVI per opera di Antoine Le Maçon, segretario di Margherita d'Angoulême, regina di Navarra, la quale imprese ella stessa un ampio novelliere, disegnato sull'esempio italiano e rimasto interrotto per la morte dell'autrice poco oltre la 70ª novella: sì che fu detto l'Heptaméron. È questa la raccolta più importante del sec. XVI e forse di tutta l'antica novella francese, per la finezza e la penetrazione psicologica, che avviva lo sfondo di vita cortigiana, su cui risaltano, arguti, e talvolta appassionati, i racconti che Margherita attinse in gran numero alla cronaca del suo tempo e del suo paese. Dai novellieri italiani dipendono strettamente Les comptes du monde aventureux, scritti probabilmente da un familiare della regina di Navarra, Antoine de Saint-Denis, il Parangon des nouvelles honnestes et délectables, d'autore sconosciuto, il Grand Parangon des Nouvelles nouvelles di Nicolas de Troyes, e, in misura alquanto minore, le Nouvelles récréations et Joyeux devis, attribuite a Bonaventure Des Périers. Un realismo di carattere agreste, assai piacevole, distingue i libri faceti, e segnatamente i Contes et Discours d'Eutrapel, di un gentiluomo brettone, Noël du Fail.

I novellatori italiani del Cinquecento, numerosi, fecondi, mescolati a una vita sociale intensa e fervida, seppero rispecchiarla in una pittura vivace ed espressiva, che rimane fra le maggiori rappresentazioni artitiche del Rinascimento. I più importanti sono certamente il Lasca A. F. Grazzini), tempra schietta e felice di narratore, il quale ritrasse nelle Cene l'umore lieto e beffardo dei Fiorentini, e il Bandello, scrittore assai meno puro, e di gusto non molto elevato, ch'ebbe però il merito di registrare d'ogni parte, per quasi cinquant'anni, le storie d'amore, di passione, di delitti, che furono lette, e tradotte in ogni nazione colta di Europa, e porsero la trama a più d'un dramma moderno.

Una sola novella, di Belfagor arcidiavolo, ebbe a comporre il Machiavelli; Agnolo Firenzuola si attenne da vicino alla tradizione del Boccaccio con i Ragionamenti, e rimaneggiò gli apologhi del Pañcatantra (su una versione spagnola del Directorium humanae vitae di Giovanni da Capua) nella Prima veste dei Discorsi degli animali. Anton Francesco Doni alternò di novellette i suoi libri curiosi e bizzarri, e nella Moral Filosofia tradusse nuovamente, e per intero, la raccolta spagnola di cui s'era valso il Firenzuola. Giovan Battista Giraldi Cinzio vagheggiò freddamente un tipo di novella moraleggiante negli Ecatommiti, uno dei quali offrì allo Shakespeare la nuda trama dell'Otello. E a nuovi racconti attesero Ortensio Lando, Pietro Aretino, Giovanni Forteguerri, Marco Cadamosto, Giovanni Brevio, Girolamo Parabosco (I diporti), Sebastiano Erizzo (Le sei giornate), tutto un gruppo di scrittori senesi, Pietro Fortini, Giustiniano Nelli, Girolamo e Scipione Bargagli.

Un posto a parte, nella schiera dei cinquecentisti, occupa Gian Francesco Straparola da Caravaggio con le Piacevoli notti, di cui la prima serie, pubblicata nel 1550, già conteneva il più ricco manipolo di fiabe, che fosse stato fino allora accolto in un libro; le derivò essenzialmente dalla tradizione orale, e a una serbò senz'altro la veste del dialetto, iniziando così la fortuna letteraria di quei racconti popolari, che vennero poi ripresi, nel sec. XVII, con più largo disegno, da Giovan Battista Basile (Lu Cunto de li Cunti, o Pentamerone, in dialetto napoletano) e da una brigata di scrittori e di scrittrici francesi del regno di Luigi XIV: celebre fra tutti Charles Perrault, il quale, nei Contes de ma mère l'oye, parte in versi e parte in prosa, delineò con viva simpatia, e con un lieve e garbato umorismo, i tipi prediletti delle immaginazioni fanciullesche, Cenerentola, Cappuccetto rosso, la Bella addormentata nel bosco, Pelle d'asino, Puccettino, ecc.

La novella italiana trovò largo seguito anche nella Spagna, che possedeva fin dal 1429 una traduzione completa del Decameron, ed ebbe poi traduzioni del Doni, del Bandello, del Giraldi, dello Straparola; notevoli raccolte provvide, in una prosa sempre più agevole e animata, il valenziano Juan de Timoneda (El sobremesa y alivio de criminantes, 1563; El buen aviso y portacuentos, 1564; Patrañuelo, 1578). Allo stesso tempo risalgono il Liber facetiarum et similitudinum Ludovici de Pinedo et amicorum (titolo latino di un testo volgare) e la Floresta española de apotegmas y sentencias, copiosa fiorita di aneddoti e racconti popolari. Nel 1613, a Madrid, vennero in luce le Novelas ejemplares del Cervantes: libro di gran pregio per molti aspetti, ma soprattutto perché vi si scorge il genio dello scrittore alle prese con gli schemi della novella italiana, e poi nella prova di un'osservazione personale, che si fa sempre più acuta, più ardita e possente (La ilustre fregona, Rinconete y Cortadillo, El casamento engañoso, El celoso extremeño): la novella del Licenciado Vidriera, il quali per una strana mania credeva che la sua persona fosse di vetro, ci rammenta in maniera più sensibile l'autore del Don Chisciotte.

La novella, che fu detta cortesana, affine per qualche tratto d'ambiente al romanzo picaresco, e ancora avvinta ai modelli italiani, ebbe numerosi cultori nel Seicento spagnolo: Salas Barbadillo, Alonso de Castillo y Solórzano (Tardes entretenidas, Jornadas alegras, Noches de placer), Diego de Agreda y Vargas (Novelas morales), Juan de Piña (Novelas exemplares y prodigiosas historias), Andrés Sanz del Castillo (La mojiganga del gusto), Don Cristóbal Lozano (Las Serafinas), María de Zayas Sotomayor (Novelas ejemplares y amorosas), ecc.; fra gli scrittori portoghesi, Gonzalo Fernandez Troncoso (Contos e historias de proveito e exemplo) e Francisco Rodriguez Lobo (Corte na aldea e noites de inverno).

In Italia, il Seicento proseguì la voga delle facezie (Lepidezze di spiriti bizzarri e curiosi avvenimenti di Carlo Roberto Dati), della novella classica (il solo forse che la trattò con garbo e sapore nuovo fu il patrizio veneto Giovanni Sagredo, nell'Arcadia in Brenta), e accolse l'esempio spagnolo di racconti più estesi e complessi d'amori e d'avventure. Furono anche numerosi i novellieri moralisti (Cento avvenimenti stupendi e rari di G. F. Astolfi; Cento avvenimenti ridicolosi, da' quali oltre il faceto s'imparano molte moralità di Lodovico Vedriani; L'utile col dolce di Carlo Casalicchio). In Francia, dopo qualche raccolta del tipo tradizionale (Contes aux heures perdues di A. Le Métel, sieur d'Ouville), s'ebbero le novelle sentimentali che arieggiano al romanzo psicologico: come le Nouvelles françaises et Divertissements de la princesse Aurélie del Segrais, il quale guidò nei suoi primi lavori la signora di La Fayette, autrice anche essa di due novelle, Mademoiselle de Montpensier e La Comtesse de Tende, oltre che della Princesse de Clèves (1678), in cui quell'ideale letterario trovò la sua espressione più alta e più delicata. Fra il 1664 e il 1691, il La Fontaine pubblicò i suoi Contes (nella prima serie, Nouvelles en vers), in cui verseggiava, con intento giocoso, e persino lubrico, vecchie storie di beffe amorose: dall'Ariosto imitò uno dei contes più famosi (Joconde) e dal Boccaccio, fra gli altri, uno dei più gentili (Le Faucon: la novella di Federigo degli Alberighi).

Il Settecento si compiacque dapprima dei racconti licenziosi, poi di quelli filosofici, in cui riconobbe a maestro il Voltaire, cioè l'autore di Zadig, di Micromégas, dell'Ingénu, e soprattutto di Candide ou L'Optimisme (1759), satira brillante svolta in un intreccio volubile di casi e di figurine curiose, argute, grottesche. Il Marmontel compose i Contes moraux, e fu l'interprete di una tendenza ch'ebbe a dominare lungamente la produzione novellistica: anche gli scrittori italiani, meglio che nelle imitazioni tardive del Boccaccio (come il Decamerone di Francesco Argelati), riuscirono nei bozzetti di carattere, nelle favole, nelle storielle educative, a cominciare da Gaspare Gozzi, che le alternò nei suoi giornali, fino al padre Francesco Soave, all'abate Giuseppe Taverna, al padre C. G. Scotti, tutti autori, sul principio dell'Ottocento, di Novelle morali, a tutti sommessi a un purismo linguistico, di cui si fece campione il padre Antonio Cesari: anche il Cesari lasciò una ventina di novelle, apparse fra il 1810 e il 1815, ricomposte, a guisa d'intarsio, sui classici del Trecento.

Il Romanticismo diede impulso alla novella in versi, drammatica e sentimentale con la Fuggitiva (1816) e l'Ildegonda (1820) di Tommaso Grossi, a cui tennero dietro la Pia di B. Sestini, l'Ulrico e Lida del Grossi stesso, La Torre di Capua di Giovanni Torti, la Nella di Vittore Benzone, il Clotaldo di Luigi Carrer, le cantiche di Silvio Pellico (Tancreda, Rosilde, Eligi e Valafido, Adello, Eugilde della Roccia, Raffaella, Ebelino, Ildegarde, ecc.). Il genere incontrò largo favore e valse a diffondere tra il gran pubblico i caratteri più vistosi e superficiali della fantasia romantica. Si protrasse fino agli ultimi epigoni della scuola, ad Arnaldo Fusinato (Suor Estella, Le due madri), a Emilio Praga (I tre amanti di Bella), ad Antonio Fogazzaro (Miranda).

Ma è certo che la novella, la quale aveva assunto nei primi secolo una fisionomia definita, un organismo intimo consacrato dalla tradizione, stretta ormai fra il romanzo e la lirica leggendaria di tipo vittorughiano, non serbava molte volte che il nome, in rapporto con la maggiore o minore estensione del racconto: nome anche questo che volle indicare fra i moderni un che d'intermedio fra la novella antica e il romanzo, e non era per lo più che un romanzo abbreviato, raddensato in un'azione concisa, o nell'esame di un'unica situazione psicologica.

In Francia, dai racconti dello Chateaubriand (Atala, René, Les Aventures du dernier Abencérage) si passa alle novelle fantastiche di Charles Nodier (Laure Ruthwen ou Les vampires, Smarra, Trilby, ecc.), al "trio". sulla Grandeur et servitude militaire di Alfred de Vigny, alle narrazioni fantasiose di Alfred de Musset, di Gérard de Nerval, del Gautier; e nell'ambito della letteratura francese prendono posto Xavier de Maistre (Le lépreux de la cité d'Aoste, Le prisonnier du Caucase, La Jeune Sibérienne) e Rodolphe Töpffer (Nouvelles génévoises).

Un nuovo tipo di novella vibrante, passionale, svolta di consueto su uno sfondo storico o esotico, acquistò grande valore con Prosper Mérimée (Matteo Falcone, L'enlèvement de la redoute, La perle de Tolède, La double méprise, e più altre, fra cui eccelle la Carmen) e con lo Stendhal (L'abbesse de Castro, La duchesse de Palliano, Mina de Wangel, Vanina Vanini, e l'intera serie delle Chroniques italiennes).

Episodî novellistici, ricorrono nell'opera dei grandi romanzieri: Balzac, Hugo, George Sand, Gustave Flaubert (Trois contes); si fanno più frequenti con gli scrittori eleganti e leggieri del Secondo Impero, quali Edmond About e Ludovic Halévy; e per venire alla scuola naturalista, Les Soirées de Médan, che ne sono un'affermazione collettiva, comprendono sei novelle sulla guerra del 1870, di Émile Zola, Guy de Maupassant, J.-K. Huysmans, Paul Alexis, Henry Céard e Léon Hennique: il maggiore fra questi, e uno dei più insigni che vanti la letteratura francese, è il Maupassant, il quale produsse una folta serie di novelle, spigliate, piacevoli, percorse oltre che dal brivido delle passioni e dei vizî, da una segreta amarezza, che s'inchiude nello stesso carattere mediocre, borghese, provinciale dei suoi personaggi (Boule-de-Suif, La maison Tellier, Contes de la becasse, ecc.). Trattarono sparsamente la novella, con varietà d'intenti e di stile, Jules Barbey d'Aurévilly, A. Villiers de l'Isle-Adam, François Coppée, André Theuriet, Alphonse Daudet, Anatole France, Catulle Mendès, Jean Richepin, Paul Bourget, Pierre Loti, Jules Lemaître, Paul Hervieu, Henri Lavedan, Henry de Régnier, Remy de Gourmont, Pierre Louys, Pierre Hamp, Louis Hémon, André Maurois, ecc.

I narratori spagnoli dell'Ottocento seguirono le varie correnti della letteratura europea: e s'ebbe la novella romantica, storica e leggendaria con l'Espronceda, Telesforo de Trueba y Cossio, Fernán Caballero; filosofica e satirica, con Juan Valera, Pedro Antonio de Alarcón, Miguel de los Santos Alvarez; naturalista e regionale, con José Maria de Pereda, Eduardo Bustillo. Benito Pérez Galdós, Emilia Pardo Bazán, Armando Palacio Valdés, Jacinto Octavio Picón; ma lo sforzo maggiore di quasi tutti questi scrittori era rivolto al romanzo, dove impressero un'orma più chiara e durevole.

Gli scrittori italiani, dai Racconti semplici e morali di Giulio Carcano, di Francesco Dall'Ongaro, di Caterina Percoto, di Pietro Thouar, passarono anch'essi alla novella realista, con prevalenza di ambienti regionali (Vita dei campi di Giovanni Verga, 1880, fra cui la tipica Cavalleria rusticana; le Novelle della Pescara del D'Annunzio, racconti napoletani di Matilde Serao; bozzetti del contado toscano, di Renato Fucini; e su una proiezione storica velata di melanconia, il Vecchio Piemonte di Edoardo Calandra). E anche in Italia la novella si alterna nella produzione dei varî prosatori: Emilio De Marchi, A. G. Barrili, Edmondo De Amicis, Salvatore Farina, Antonio Fogazzaro, Adolfo Albertazzi, Luciano Zuccoli; specialmente originali, per un'inquietudine dell'intelletto che l'arte non bastava a domare, Carlo Dossi e Alfredo Oriani.

Fra gli scrittori viventi, ricordiamo Luigi Pirandello (il quale dedicò la sua prima attività letteraria a un vasto ciclo di novelle, di un nitido umorismo che sorregge e asseconda il senso tragico della vita), Ada Negri, Alfredo Panzini, Massimo Bontempelli, Francesco Chiesa, Marino Moretti, Riccardo Bacchelli, Corrado Alvaro. Sopravvive fra gli scrittori moderni il tema della novella, un nodo onde l'azione interessi nel suo rapido sviluppo; ma l'azione cede per lo più, o si frammenta, nella vibrazione di luce che ferisce più viva alcuni aspetti delle cose, alcuni momenti umani, in cui consiste tutto il pregio e la curiosità e il tormento della visione poetica.

Germania. - Importata dai paesi latini, la novella esagerò in Germania la semplicità e libertà di forme che ebbe nei paesi d'origine. Ne deriva che la novella incluse spesso forme letterarie più o meno diverse dal significato comune della parola. Nel Medioevo più che di novelle è da parlare di leggende: leggende di santi, di martiri, episodî biblici che si diffondevano anche per mezzo dei pellegrinaggi, elementi di leggende indiane che si diffusero anche in Germania, giungendo, attraverso il mare, fino in Irlanda. È, questa, una letteratura piuttosto primitiva, scritta in latino e in versi. Solo nel sec. XII si può dire che nasca effettivamente una letteratura narrativa in Germania. In tale epoca, accanto alle finalità puramente religiose e moraleggianti, appare una vera e propria tendenza narrativa con tutti i segni di un'intenzione artistica. Sorge così la novella cortigianesca che agli elementi sacri alterna, con sempre maggiore abbondanza, quelli profani. Ancora nel sec. XIV lo spirito che aveva animato le narrazioni cortigianesche di due secoli innanzi, dà segni di vita in narrazioni talora pregevoli. In tale epoca (circa il 1350) nacquero i racconti del Till Eulenspiegel, raccolti poi alla fine del sec. XV. Con le traduzioni di novelle italiane e francesi, penetrò in Germania la novella vera e propria, quale cioè era intesa nei paesi latini. Fu allora un succedersi di traduzioni e imitazioni. Durante il barocco, la novella decadde e quasi scomparve, trascinandosi in poche e fiacche imitazioni. Vere novelle nel senso moderno cominciarono ad apparire nel sec. XVIII, quando le mutate condizioni della società fecero apprezzare il genere. Nel 1746 apparvero le Fabeln und Erzählungen di Ch. F. Gellert, nel 1752 le Erzählungen del Wieland; all'imitazione orientale e italiana si rifà J. Fr. W. Zachariä con le sue Fabeln und Erzählungen in Burkart Waldis Manier (1771) e, meno direttamente, lo stesso Goethe, il quale non fece che incorniciare entro una situazione i varî racconti delle sue Unterhaltungen deutscher Ausgewanderten pubblicate nel 1791 nel Horen, il giornale di F. Schiller. Cominciarono allora a formarsi vere e proprie teorie estetiche della novella: lo stesso Goethe, oltreché nelle Unterhaltungen, ne diede accenni nei Wilhelm Meisters Wanderjahre, e ne parlò più esplicitamente nei Gespräche mit Eckermann (21 gennaio 1827). Queste teorie affermano sostanzialmente la necessità che la novella sia soprattutto interessante e quindi la tendenza al nuovo. La concezione di Goethe non differisce essenzialmente dalle idee teorizzate da F. Schlegel e da L. Tieck, íl quale le attuò nelle proprie novelle. E dal Tieck non si scostò gran fatto H. Kleist. Con lui e con A. von Arnim si continuò quell'orientamento cui si è dato il nome di novella individualistica. L'elemento fantastico implicito nella tendenza al nuovo trovò ampio sviluppo in E. T. Hoffmann con un misto di fantasia e di elementi filosofici e psicologici. La libertà e la freschezza dei modelli antichi si trova invece nelle novelle di J. Eichendorf, mentre W. Hauff, più preoccupato di conseguire unità di struttura, si accosta maggiormente alle novelle incluse in una narrazione generale, sul tipo delle goethiane Unterhaltungen, e il medesimo fece G. Keller con la sua raccolta intitolata Das Sinngedicht. Ma furono, questi, mezzi estrinseci e inutili di fronte all'unità interna che la novella venne conquistando, insieme con sempre maggiore autonomia e libertà, nel sec. XIX. Questa libertà di sviluppi, iniziatasi con E. Mörike e continuatasi con W. Raabe e Th. Fontane, raggiunse la sua pienezza con i quattro maggiori campioni della novellistica tedesca nel sec. XIX: Th. Storm, P. Heyse, G. Keller, C. F. Meyer. Questa pienezza fu dovuta non solo agli sviluppi che s'avvicinano talora al romanzo (specie in Keller e Meyer), ma anche al compenetrarsi di tutte le tendenze novellistiche europee, tanto occidentali (Francia) quanto, verso la fine del secolo, orientali (Russia). Tra i novellisti del sec. XIX conviene anche ricordare J. Gotthelf, W. H. Riehl, A. Stifter, O. Ludwig, R. Lindau, M. von Ebner-Eschenbach, ecc. Se anche più vicina alla fiaba e alla leggenda che non alla novella (distinzione nettamente accentuatasi nell'epoca moderna), non è da tacere l'opera dei fratelli Jakob e Wilhelm Grimm, che raccogliendo e rinarrando l'antico patrimonio narrativo indogermanico, sono da considerare i fondatori della novellistica comparata. Infine, grandissima importanza ha assunto la novella nella letteratura contemporanea, in cui tende soprattutto alla rappresentazione psicologica, spesso inquadrandola nelle condizioni e nei costumi sociali. Tra i maggiori novellisti della Germania contemporanea, che molto spesso sono anche romanzieri, ci limitiamo a rammentare i nomi di G. Munk, K. Edschmid, P. Ernst, Hans Frank e Bruno Frank, R. Huch, H. E. Jacob, Heinrich e Thomas Mann, J. Ponten, W. Schäfer, K. Sternheim, E. Strauss, Arnold e Stefan Zweig.

Inghilterra e America. - La letteratura narrativa del periodo anglonormanno si svolse tutta sulla linea del poema cavalleresco. Solo agl'inizî del sec. XIV Robert Manning de Brune tradusse in inglese col titolo di Handlyng Sinne (1303) il manuale dei peccati che, in francese anglicizzato, aveva scritto nel secolo precedente William de Wadington, aggiungendovi una dozzina di novelle, ove colse felicemente tipi e costumi dell'epoca e mostrò di saper raccontare bene. Ma nella seconda metà del secolo G. Chaucer con i suoi Canterbury Tales portò improvvisamente la novella inglese a un grado di perfezione paragonabile a quello dell'Italia che già aveva il Boccaccio. Quella del Chaucer fu tuttavia un'apparizione sporadica: se anche elementi narrativi si trovano nei suoi seguaci e imitatori (J. Gower, che illustra ed esemplifica peccati con i racconti inseriti nella sua Confessio amantis; J. Lydgate, che coglie, spesso felicemente, tipi della vita londinese nel poemetto London Lickpenny a lui attribuito; ecc.), si resta tuttavia lontanissimi dall'arte chauceriana. Le narrazioni finora ricordate sono tutte in versi; la nascita della prosa narrativa vera e propria avvenne nel sec. XV col romanzo cavalleresco di Th. Malory, Morte d'Arthure. Ma questo non favorì lo sviluppo della novellistica. Nella prima metà del sec. XVI, quando si cominciarono a diffondere traduzioni di novelle italiane, lo spirito inglese si stava già orientando verso il teatro, al quale la novellistica fornì spunti e materiale d'ogni genere. Solo alla fine del secolo R. Greene scrisse una serie di narrazioni brevi, di stile popolare e realistico, note col titolo di Coney-catching tracts (1591-92), nelle quali rappresenta in quadri molto vivi la schiuma della marmaglia londinese. Sulla linea, che diremo naturalistica, del Greene, Th. Deloney scrisse una vera serie di novelle in The Gentle Craft (seconda metà del '500) che rappresenta tipi e scene della corporazione dei calzolai. Sulla stessa linea si trova anche Th. Dekker che nel Bachelor's Banquet (1603) riprese a narrare il soggetto delle Quinze joyes de Mariage e delle Cent Nouvelles nouvelles, e altre narrazioni compose nei Seven Deadly Sins (1606), imitando Greene specialmente nel Belman of London (1608). Nella prima metà del sec. XVII è tuttavia ancora il teatro che tiene il campo da dominatore. Per molti decennî il genere scomparve e lo stesso J. Dryden nelle sue Fables (1700) non fece che parafrasare Chaucer e Boccaccio. Verso la fine del secolo M. Prior compose un certo numero di novelle alla maniera dei Contes di La Fontaine e nella stessa epoca è da menzionare J. Gay (le Fables, 1727 e 1738). Per la sua relativa brevità può essere considerato come una lunga novella anche il bellissimo Tale of a Tub di J. Swift. Il classicismo che dominò assoluto nella letteratura inglese fino al 1770, ignorò la novella che non trovò espressione neanche nella letteratura sentimentale, che pur diede vero e proprio inizio al romanzo moderno. Solo verso la fine del sec. XVIII, nacque la cosiddetta letteratura terrifica, alla quale M. G. Lewis, tra altri, contribuì anche con raccolte di novelle (Tales of Terror, 1799; Tales of Wonder, 1801; Romantic Tales, 1808). Sopravvennero intanto gl'influssi della rivoluzione francese a far nascere, per reazione, i Moral Tales (1801) di Miss Edgeworth che precorse la letteratura narrativa sociale dell'epoca vittoriana e non fu senza influenza sullo stesso W. Scott. Questi diede alla novellistica solo il Wandering Willie's Tale, ma tra gli scrittori romantici la novella cominciò a fiorire rapidamente: Th. Hook pubblicò tra il 1824 e il 1828 nove volumi di novelle (Sayings and Doings); Mary Russell Mitf0rd pubblicò Our Village, Sketches of Rural Characters and Scenery (1819-32), che tra figure e narrazioni contengono molte descrizioni e molto colore locale. I tentativi di Th. Moore (Lalla Rookh) e G. Byron (The Giaour, The Bride of Abydos, Lara, ecc.) per far rivivere il racconto in versi, rimasero isolati, e, del resto, miravano più alla poesia che alla narrazione. Alla novellistica vera e propria Ch. Dickens diede solo A Child's Dream of a Star e i varî racconti di Natale; ma nella scia del Dickens, Mrs. Gaskell scrisse numerose novelle che occupano diversi volumi delle sue opere. Il realismo si affermò in pieno con le novelle che W. M. Thackeray pubblicò in quel tempo su varie riviste. Giunta ormai l'arte narrativa a grande rigoglio, quasi tutti i romanzieri inglesi scrissero anche novelle, da G. Eliot (Scenes of Clerical Life, 1857), da G. Meredith (The House on the Beach, 1877), a Th. Hardy (Wessex Tales, 1888; Life's Little Ironies, 1894; tutte a sfondo regionalistico), a G. R. Gissing (Human Odds and Ends, 1898, ecc.). La floridezza dell'epoca vittoriana diede incremento anche alla letteratura avventurosa ed esotica: massimo rappresentante ne fu R. L. Stevenson che aprì la via, tra l'altro, alle bellissime novelle di J. Conrad. Accanto a questo orientamento di azione, l'ultimo decennio del sec. XIX vide sorgere l'estetismo decadente da cui nacquero le novelle di O. Wilde (The Happy Prince and other Tales, 1888; Lord Arthur Savile's Crime, 1891; The House of Pomegranates, 1892) e di G. Moore (Celibate Lives, 1895).

In America intanto N. Hawthorne, coi suoi Twice-told Tales (1837), ed E. A. Poe, coi suoi mirabili racconti, avevano dato veri modelli del genere novellistico. A questi due che riassumono in sé il meglio della novellistica americana anteriore alla guerra civile, si aggiunse, verso la fine del secolo, H. James che, oltre a romanzi, scrisse novelle con arte molto vigorosa e personale, orientandosi verso un realismo psicologico. La sua tecnica precisa che attua nella brevità della novella un'intensa concentrazione, conta oggi ancora in America attivi seguaci, tra i quali più notevole è Edith Wharton, autrice di varî volumi di novelle oltre che di molti romanzi. L'opera del James orientò la novellistica americana verso una sempre maggiore serietà d'intenti artistici, espressa nelle opere di H. C. Bunner (Short Sixes, 1890; More Short Sixes, 1894), A. Bierce (Can Such Things Be?, 1893), S. Crane (Whilomville Stories, 1900).

La novella contemporanea assume manifestazioni assai varie. Accanto a tendenze tradizionalistiche (J. K. Chesterton: il ciclo di novelle del Father Brown, 1911-26; The Man who knew too much, 1922; Tales of the long Bow, 1925), R. Kipling rappresenta la glorificazione imperialistica. Vi sono inoltre l'orientamento scientifico-utopistico (G. H. Wells); il realismo (A. Bennett e J. Galsworthy); l'impressionismo lirico di K. Mansfield e quello psicologico di V. Woolf; la tendenza intellettuale e quasi annalistica di A. Huxley; il verismo degl'Irlandesi, più temperato nel primo Joyce (Dubliners, 1914) e più spinto in altri, quali L. O'Flaherty, per tacere d'innumerevoli altre tendenze. Fra i novellieri americani recenti o contemporanei vanno ricordati: Jack London, che dai suoi vagabondaggi trasse lo spunto per numerose novelle esotiche, e O. Henry (pseudonimo di W. S. Porter), narratore di troppo facili effetti e di brillante superficialità. Dopo la guerra mondiale si sono affermate le novelle del romanziere Sherwood Anderson, di W. D. Steele. e di E. Hemingway.

Paesi slavi. - La svariata materia narrativa che, provenendo da Bisanzio, entra in Russia sin dal secolo XI, si traduce solo molto più tardi, sul finire del Medioevo, in timidi e modesti tentativi letterarî in lingua russa. E anche la penetrazione successiva - attraverso la penisola balcanica e più tardi per il tramite della Polonia - di racconti occidentali non conduce, tra esitazioni di forma e di contenuto, ad alcuna opera veramente originale. Bisogna attendere il sec. XVII per incontrare, nell'Istoria di Frol Skobeev, la prima novella che, senza preoccupazioni moraleggianti e con esperta aderenza al contenuto, racconti fatti semplici della vita quotidiana. Qui, quasi improvvisamente, senza che vi si scorgano palesi addentellati con la tradizione narrativa, orale e scritta, appare un soggetto prettamente russo in veste intimamente nazionale; e la narrazione delusa succosa realistica - del resto non completamente isolata - avrebbe potuto fornire un riuscito modello alle future generazioni letterarie, se queste, nel sec. XVIII per altro profondamente innovatore, non avessero preferito alla prosa la poesia, alla semplicità la grandiloquenza, all'originalità l'imitazione. Sicché tra i varî generi letterarî che vengono via via importati in Russia, il racconto è ultimo ad affermarvisi: con le novelle sentimentali e di fattura schiettamente occidentale di N. M. Karamzin (1820) e poi (1830) con I racconti di Belkin e altre novelle del Pnskin che con il loro stile nitidissimo e stringato rappresentano i primi modelli dela novella russa. A lui seguirà, quasi subito, il Gogol, che travestirà in uno stile grottesco-impressionistico la sua magica concezione del mondo, ma che più tardi, superato, almeno per reazione contro di esso, il romanticismo, ritrarrà anche in alcune novelle, e specialmente nel Mantello (1839), aspetti sociali della vita russa. Al Mantello appunto dovranno molto i raccontatori successivi: D. V. Grigorovič, A. F. Pisemskij, il giovine Dostoevskii alla cui arte però non basterà a lungo la forma ristretta della novella e Turgenev che per il suo lirismo e per il suo gusto della narrazione semplice e aneddotica eccelle proprio in questo genere. Il tipo di novella proprio al Turgenev si avvantaggia anche di una costruzione bene delineata e della sua contemporanea capacità di nascondere tale costruzione.

Il nome di novella si attaglia invece male alla maggior parte dei brevi racconti del Tolstoj, che sembrano piuttosto riproduzioni approfondite dí frammenti di vita. Alcuni decennî più tardi la novella raggiunge in Russia la più alta espressione con il Čechov che con il suo stile lapidario, ma capace di descrivere con impreviste sfumature i più complicati stati psicologici, ha indicato nuove vie alla prosa russa. Nel completo rinnovamento della letteratura russa sovietica anche la novella ha perso la posizione autonoma che aveva così saldamente riconquistata con il Cechov; la prosa narrativa vi batte vie completamente nuove e si riporta alle tradizioni del passato - a Gogol′ e Leskov - soprattutto nella ricerca del valore fonico e simbolico della parola.

Nulla di comune ha la storia della novella russa con quella degli altri paesi slavi. Nella Polonia del Rinascimento, che è, di fronte all'Oriente, il crogiuolo e il punto di partenza di materia narrativa occidentale, il racconto prospera quasi esclusivamente in un piano letterario inferiore; esso è privo di ambizioni artistiche ed ha finalità dilettevoli. Nel sec. XVIII, all'epoca del razionalismo e illuminismo, la prosa si propone in primo luogo scopi moraleggianti e, seguendo modelli francesi, predilige la forma ampia del romanzo. Durante il romanticismo predomina di nuovo la poesia; la prosa, e specialmente il racconto, vi ha un posto secondario. Solo verso il 1880 con B. Prus, E. Orzeszkowa e E. Sienkiewicz la prosa narrativa trova in Polonia cultori di grande valore senza che però si possa dire che essi abbiano creato un tipo speciale di novella. Fra i novellieri polacchi della fine del sec. XIX e del principio del secolo XX emerge, per le sue singolari doti evocative e per la meravigliosa sicurezza stilistica, S. Żeromski. Maggiori favori gode il breve racconto nella letteratura del dopoguerra: nitidezza di contorni, concisione e vivezza, abilità costruttiva e acutezza psicologica sono i pregi della novella contemporanea che con F. Goetel, K. Wierzyúski e J. Iwaszkiewicz e altri ancora sta diventando la forma più tipica e l'espressione più perfetta della rinnovata letteratura polacca.

Fra i novellieri cèchi interessano soprattutto: Jan Neruda, per i suoi Racconti di Malá strana, scritti in uno stile soffuso di pacato umorismo e di lirismo nostalgico; K. Čapek-Chod, per i suoi racconti finemente elaborati in forma realistica; e J. Olbracht per la capacità evocativa della sua narrazione.

Novelliere esperto è anche lo slovacco M. Kukučin. Fra gli Slavi meridionali - Sloveni, Croati, Serbi e Bulgari - la novella ha avuto per lungo tempo rappresentanti più numerosi e più fortunati del romanzo che in queste nazioni si è affermato solo negli ultimi decennî del sec. XIX. Mentre però il più grande raccontatore sloveno, J. Cankar, ha tentato con successo di dare forma narrativa a visioni simboliche, e la maggior parte dei novellieri croati (A. Senoa, E. Kumičic, J. Leskovar, ecc.) ha seguito da vicino i movimenti letterarî dell'occidente, presso i Serbi (L. Lazarević, S. Matavulj, J. Andrić) e Bulgari (J. Vazov, Elin-Pelin, J. Jovkov) prevalgono quasi fino ai giorni nostri tendenze folkloristiche, che non mancano neanche nel robusto e originale narratore croato M. Krleža.

Bibl.: Non esiste una trattazione storica soddisfacente sulla novella greca; la cosa migliore è ancora il saggio di E. Rohde, Über griechische Novellendichtung und ihren Zusammenhang mit dem Orient (1876) ristampato in appendice al Griechische Roman, 3ª ed., 1914, pp. 578-601; l'origine locale, affermata dal Lavagnini per il romanzo, può essere estesa anche alle raccolte novellistiche: i nomi di sibaritiche e di milesie ne sono una conferma; v. B. Lavagnini, Le origini del romanzo greco, Pisa 1921, p. 55, n. 1; v. anche P. Wendland, De fabellis antiquis earumque ad christianos propagatione, Progr., Gottinga 1911, e nella Einleitung in die Altertumswissenschaft di Gercke e Norden, 2ª ed., 1912, pp. 241 e 306; G. Maspero, Les contes populaires de l'Égypte ancienne, Parigi 1882; W. Aly, Volksmärchen, Sage und Novelle bei Herodot, Gottinga 1921; C. Cessi, Leggende sibaritiche, in St. ital. di fil. cl., IX (1901); E. Paratore, La novella in Apuleio, Palermo 1928. - Per le letterature romanze: L. Di Francia, Novellistica, I, Milano 1924 (in corso di pubblicazione il II); J. Bédier, Les Fabliaux, 3ª ed., Parigi 1911; M. Menéndez y Pelayo, Orígenes de la novela (voll. I, VII, XIV, XXI della Nueva Bibliotheca de Autores Españoles), Madrid 1905-14; W. Söderjelm, La NOuvelle française au XVe siècle, Parigi 1910; G. B. Marchesi, Per la storia della novella italiana nel sec. XVII, Roma 1897; A. González-Blanco, Historia de la Novela en España desde el Romanticismo a nuestros días, Madrid 1909 (si avverta che la parola spagnola Novela ha un senso più lato e abbraccia anche il romanzo); L. Russo, I narratori, Roma 1923 (Guide bibliografiche della Fondazione Leonardo); e le singole storie letterarie nazionali. Per una visione in atto dello svolgimento della novella tedesca, v.: P. Heyse e H. Kurz, Deutscher Novellenschatz, voll. 24, Monaco 1871-75; P. Heyse e L. Laistner, Neuer deutscher Novellenschatz, voll. 24, ivi 1884-87. Inoltre: R. Fürst, Die Vorläufer der modernen Novelle im 18. Jahrhundert, Halle 1897; P. Bastier, La nouvelle individualiste en Allemagne de Goethe à G. Keller, Parigi 1910; H. Franck, Deutsche Erzählkunst, Berlino 1922; H. Weisser, Die deutsche Novelle im Mittelalter, Friburgo in B. 1926; H. H. Borcherdt, Geschichte des Romans u. der Novelle in Deutschland, Lipsia 1926. - Per la novella americana, v.: F. L. Pattee, Development of the American Short Story, Londra 1923.

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