NOVARA

Enciclopedia Italiana (1934)

NOVARA (A. T., 20-21)

Piero LANDINI
Anna Maria BRIZIO
Piero BAROCELLI
Armando TALLONE
Alberto BALDINI
Piero LANDINI
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Capoluogo dell'omonima provincia del Piemonte, nodo stradale, ferroviario, centro industriale importantissimo; sorge in pianura, sul diluvium antico, affiancato dalle alluvioni recenti incise dall'Agogna a ovest e dal Terdoppio a est. Il primitivo nucleo è sorto su questo rialzo di terreno, adatto alla difesa. Il dislivello tra la parte antica della città e i borghi che la cingono è sensibile, passando da 149 m. per la stazione ferroviaria a 164 per il Castello. Il nucleo centrale riporta, quanto a struttura, al reticolato romano, con le due strade tagliantisi ad angolo retto, l'una da N. a S. (corsi Cavour e Carlo Alberto) l'altra da ovest a est (corsi Umberto I e Regina Margherita): un piano regolatore (1933-1934) prevede una razionale sistemazione di queste arterie, attualmente in gran parte troppo anguste, soprattutto per un tratto del Corso Cavour. Nel cuore della città sorgono i più importanti monumenti. Cinge la città antica una serie di bastioni alberati, in parte residui delle antiche fortificazioni, la cui sistemazione rimonta quasi interamente al sec. XIX. Ai piedi di questi bastioni, nella sezione sud-orientale, una razionale sistemazione ha trasformato zone prima incolte e percorse dalla Roggia Cunetta in ridenti giardini e campi di giuoco. La città si è andata espandendo, al di là della cerchia dei bastioni, in tutte le direzioni, seguendo sempre le direttrici delle grandi arterie di comunicazione stradale: a sud-ovest la Cittadella (strada nazionale per Torino); a ovest S. Martino (arteria per la Valsesia); a nord S. Andrea (rotabili per il Cusio e il Verbano); a oriente S. Agabio (strade per Milano e Galliate). Verso sud, lungo la strada nazionale per Alessandria, gli edifici si sono andati allineando sino a congiungere la città con il borgo della Bicocca, località nella quale sorge l'ossario dei caduti nella battaglia.

La città che contava, con i sobborghi, 23.500 ab. nel 1871, salì a 55.021 nel 1931. Gran parte dell'aumento di Novara è dovuto interamente al progressivo sviluppo dei borghi per ragioni industriali. La natalità è da qualche tempo in condizioni preoccupanti, verificandosi, ormai da anni. un prevalere delle morti sulle nascite.

Secondo il censimento del 1927 si avevano nel comune 1357 esercizî con 15.326 addetti. I principali opifici sono sorti presso la città dove si possono distinguere tre zone: una meridionale, dove prevalgono le fornaci; una occidentale (S. Martino), dove esistono numerosi stabilimenti per le industrie siderurgiche e meccaniche; la terza è situata a nord-est, tra il borgo S. Andrea e quello di S. Agabio, ed è senza dubbio la più importante: qui sorgono stabilimenti tessili (cotonifici, setifici, ecc.), per prodotti chimici (acetati e derivati, ammoniaca e derivati, concimi chimici, ecc.) e numerose riserie, in relazione con l'intensa coltura del riso effettuata non soltanto nel comune, ma in tutta la sezione meridionale della provincia. È da ricordare, infine, l'Istituto geografico De Agostini.

La città è un grande centro commerciale: il mercato dei cereali, che ha luogo nei giorni di lunedì e giovedì d'ogni settimana, ha un posto importantissimo nel commercio all'ingrosso dei generi alimentari; i 4/5 della produzione italiana di gorgonzola sono trattati su questo mercato. L'esportazione di merci verso l'Europa è discreta, soprattutto verso la Francia, l'Inghilterra la Germania e la Svizzera. Filati e tessuti di cotone sono inviati nella Penisola Balcanica, nell'America del Sud, in Germania e in Inghilterra; buona è anche l'esportazione di libri e carte geografiche.

Novara è sulla linea ferroviaria Torino-Milano ed è servita da linee per Mortara-Alessandria, e per Vignale. Da Vignale s'irraggiano poi le linee per Varallo-Borgomanero-OrnavassoDomodossola e il transito del Sempione (Vallese); per Arona e per Sesto Calende-Laveno-Luino (transito internazionale). Un'arteria unirà il capoluogo con Biella. Inoltre la città possiede servizî tramviarî (per Vercelli e per Vigevano) e automobilistici (per il Campo d'aviazione, Casalino, Biandrate-Fara, Gravellona-Cilavegna, Recetto, Robbio e Vigevano).

Il comune ha una superficie di 103,66 kmq. e una popolazione, che da 14.000 abitanti nel 1814 sale a 18.524 abitanti nel 1838, a 29.510 nel 1871, a 33.077 nel 1881, a 45.248 nel 1901, a 54.571 nel 1911, a 56.260 nel 1921, a 63.211 nel 1931. Attualmente l'aumento demografico è offerto esclusivamente dall'eccedenza delle immigrazioni sulle emigrazioni.

Monumenti. - Dei monumenti dell'alto Medioevo e romanici, di cui era un tempo ricca la città, poco attualmente rimane. Fra essi particolare importanza ha il battistero, a pianta ottagona, probabilmente ricostruzione del sec. X-XI, su pianta del sec. V. Il vecchio duomo romanico fu invece abbattuto, a eccezione del campanile, fra il 1831 e il 1865. Nel duomo attuale, eretto fra il 1865 e il '69 da A. Antonelli, sono conservati, dell'antico, un frammento del pavimento musivo romanico nel presbiterio, le pitture che adornavano gli antichi altari, fra cui lo Sposalizio di S. Caterina di G. Ferrari, una serie di affreschi staccati di B. Lanino, ora nella sagrestia inferiore. Al duomo è annesso un archivio capitolare, fra i maggiori del Piemonte, con 144 codici. Anche l'antico S. Gaudenzio era una chiesa romanica del sec. XII; ma la sua demolizione cominciò nel 1553. Fu ricostruito a intervalli fra il 1577 e il 1659; la torre campanaria fu eretta fra il 1753 e il 1786 su disegno di Benedetto Alfieri e l'altissima cupola, ornata di gallerie, è opera, eseguita fra il 1844 e il 1888, di A. Antonelli. Questa, come la Mole Antonelliana a Torino, opera dello stesso architetto, è un audace esperimento di statica e un caratteristico elemento della fisionomia della città. Nell'interno di S. Gaudenzio si notano ricchi altari barocchi (l'altare maggiore è ornato di bronzi di C. Beretta), un polittico di G. Ferrari del 1514, affreschi del Morazzone, ecc. Anche a S. Gaudenzio è annesso un archivio capitolare.

Tra le altre chiese di Novara ricordiamo quella d'Ognissanti con avanzi romanici; le chiese quattrocentesche di S. Martino e di S. Nazzaro, quest'ultima recentemente restaurata (1929-32) e contenente affreschi del '400. La maggior parte degli edifici di Novara, e le loro opere d'arte, risalgono all'epoca barocca: S. Marco, costruito nel 1607, contiene affreschi del Moncalvo e un Martirio di S. Marco di D. Crespi; S. Pietro al Rosario una Madonna del Rosario di G. C. Procaccini, affreschi del Fiamminghino, ecc. Fra gli edifici civili, l'antico Broletto è stato talmente restaurato da divenire un monumento notevole di falso gotico moderno, e il castello sforzesco è in pessime condizioni. Alcune case mostrano ancora ornamenti di terrecotte (ad es. la casa Della Porta, sec. XV); molte risalgono al '600 e sono fornite di portici. Sono numerose, tanto da dare impronta a molte parti della città, le costruzioni in stile neoclassico, del secolo XIX.

Novara, oltre i due archivî capitolari sopra nominati, e il museo lapidario annesso alla canonica del duomo, possiede anche un museo civico con opere di G. Ferrari, del Seicento lombardo, del Magnasco, un ecce Homo attribuito ad Antonello da Messina, ecc.; e una galleria d'arte moderna di recente fondazione.

Le vicende artistiche della città furono in ogni secolo connesse con l'arte lombarda; nel '400- '500 si notano contatti con la scuola vercellese, nel '700 con l'arte alla corte dei Savoia; localmente, per quanto sempre vi si sia svolta una notevole attività artistica, non fiorì mai una scuola originale e autonoma.

Vita musicale. - La vita musicale di Novara s'è andata sviluppando, attraverso i tempi, intorno alle due cappelle (del duomo e di S. Gaudenzio) e al teatro (antico e nuovo). Essa subiva quindi le conseguenze, buone o cattive, delle vicende politiche che in Novara a più riprese determinarono miseria, o lustro, o mutamento di costumi e altro. Così vediamo, p. es., nell'archivio del duomo una congerie di volumi (musicali o no) provenienti dalle altre parrocchie e dagli istituti religiosi che dal 1798 al 1806 avevano dovuto interrompere totalmente la loro attività in conseguenza delle leggi nuove.

E così nella scarsezza di grandi manifestazioni musicali che si nota nel sec. XVII dobbiamo distinguere uno dei molti aspetti della crisi generale che in quel tempo stringeva la città e della quale il Morandi scrisse: "Quando sarà fatta la storia di Novara... si vedrà... in quale miserabile stato gli Spagnoli e la lunga odissea delle guerre e delle ladronerie ridussero, col ducato di Milano, la nostra provincia nel corso del sec. XVII. In quel disgraziato ciclo di anni alla guerra diuturna si aggiungeva la peste intermittente" (in Bollettino storico della provincia e della città di Novara, IV (1914).

I primi documenti dell'esistenza e dell'attività delle cappelle novaresi risalgono alla metà del sec. XVI, ma ben più antiche sono le ricchezze di quegli archivî capitolari: manoscritti del sec. VIII (al duomo), codici miniati dei secoli XIII-XIV (a S. Gaudenzio), testimoniano, con la loro presenza, della continuità - anche in Novara - dell'evoluzione musicale dal gregoriano in poi, fino a quella polifonia sacra che lascerà a sua volta documenti negli stessi archivî a partire dal sec. XVI, cioè fino dalla prima istituzione delle cappelle.

La maggior parte dei codici (21) conservati al duomo appartengono al sec. XV inoltrato; ma uno di essi ha alcuni rammendi eseguiti con brandelli di precedente manoscritto membranaceo, che per la scrittura a neumi semplici, senza rigo e a punctus e virgulae, si richiama al sec. X.

La cappella del duomo fu costituita per lascito dell'arcidiacono Melchiorre Langhi (morto nel 1539) ed ebbe primo maestro il sacerdote Michele Varotti, nominato il 7 agosto 1564. A questi successero, tra gli altri, G. Brunetti, S. Nascimbene, I. Donati, G. da Mondondone (il primo di cui nel duomo si sia conservato qualche lavoro), G. A. Grossi, C. F. Cane, G. Battistini (che fondava il repertorio della cappella su musiche della grande polifonia cinquecentesca, non esclusi gli Spagnoli: Morales, Victoria, ecc.). Dopo G. Battistini l'organico della cappella del duomo si riduce, essendo soppressi i posti di direttore e di 2° organista. La direzione era quindi affidata al 1° organista, che diventava così "maestro all'organo". Entrano poi nei libri capitolari i nomi di G. B. Polvara, A. M. Speciani (che tenne il posto per 53 anni, dal 1725 al 1778), F. Conti; B. Neri, C. Paganini, P. Generali, S. Mercadante, C. Coccia, A. Cagnoni. Dallo Speciani in poi questi maestri sono quasi tutti rappresentati da musiche conservate nell'archivio.

La cappella di S. Gaudenzio risale circa allo stesso periodo: la prima menzione d'un musico addetto alla chiesa è del 1519. Nel 1581 appaiono documenti relativi a una cantoria (e, naturalmente, d'una annessa schola puerorum). Vediamo, tra i nomi dei maestri e degli organisti a S. Gaudenzio, quelli di B. Binago, G. Gallo, G. Chiappano, C. F. Cane, V. M. Fasola, Giacomo e Gaudenzio Battistini. Nell'organico si annoveravano, al tempo del primo Battistini, i maestri organisti, i cantori fissi e avventizî, il cantore che portava la battuta. Il repertorio usato al tempo dei Battistini era in parte cinquecentesco (e qui a S. Gaudenzio si trovan0 volumi di messe del Palestrina e dell'Animuccia), in parte contemporaneo e indirizzato allo stile omofono o al concertante, per quanto anche il polifonico imitato non fosse ancora estinto. La cappella era del resto, già qualche tempo prima del Battistini, fornita di due cantorie con relativi organi, e d'orchestra, detta "sinfonia" (composta di violini, violoni, tiorba, arciliuto, oboi, corni, trombe); si aggiungono, con Gaudenzi" Battistini, le musiche - tra le molte nuove - di G. M. Bononcini, P. Colonna, G. B. Martini e G. A. Perti, mentre in duomo venivano introdotte composizioni di alcuni di essi (Bononcini, Martini, Colonna) e di M. Cazzati, C. Cortellini, F. Passarini, G. O. Pitoni, G. F. Händel, A. Lotti, B. Marcello, Marsani, ecc.

Tra le grandi manifestazioni che si ebbero in occasione di ricorrenze religiose o di avvenimenti politici, ecc., vanno ricordati i due ottavarî musicali tenutisi nel 1711 e nel 1812 per la traslazione, e per la memoria di essa, delle reliquie di S. Gaudenzio. Al primo di essi ebbero a prendere parte, tra gli altri maestri e musici convenuti da ogni parte d'Italia, A. Lotti, A. Caldara, A. Ariosti, B. Sabadini, F. Gasparini, A. Pacchioni, G. M. Orlandini, F. A. Pistocchi, T. Vitali, G. B. Somis, ecc. Oltre alle musiche sacre furono eseguiti oratorî. Al secondo parteciparono anche noti maestri: S. Mayr (e il suo giovane allievo G. Donizetti, in qualità di cantore), N. Zingarelli, ecc. Intanto s'era inaugurato, nel 1779, il Teatro Nuovo che doveva poi mantenere il nome di Novara noto anche nel campo operistico. Nel 1775 vi fu rappresentato, a spettacolo inaugurale, il Medonte Re d'Epiro di G. Santi, nel 1780 il Matrimonio d'inganno di P. Anfossi e L'Italiana in Londra di D. Cimarosa; in seguito vennero date opere di G. B. Paisiello, P. Guglielmi, ecc. L'opera del Guglielmi fu Enea e Lavinia, che segnò uno dei festeggiamenti svoltisi in Novara per il matrimonio, ivi celebrato nel 1789, tra Vittorio Amedeo figlio di Vittorio Amedeo III e l'arciduchessa Maria Teresa figlia di Ferdinando d'Austria, governatore di Milano, e di Beatrice d'Este.

Nel corso dell'800 grande importanza assume il centro musicale novarese, arricchito dell'opera di musicisti celebri quali P. Generali e S. Mercadante, e oggi la tradizione artistica della città è conservata, oltre che dall'attività della cappella e del teatro, anche da un fiorente liceo musicale.

Storia. - L'antica Novaria, città della XI regione augustea (Transpadana), ebbe origine preromana, forse più gallica che ligure. Le genti preromane di Novara sembra abbiano avuto sempre le stesse vicende degl'Insubri loro potenti finitimi d'oltre Ticino. Novara fu municipio ascritto alla tribù claudia, retto da IIII viri iure dicundo e da IIII viri aedilicia potestate. La città romana sorgeva nel cuore dell'odierna, dove le vie ancora sembrano correre sulla tracce degli antichi cardines e decumani. La attraversava la grande via, indicata negl'itinerarî del Basso Impero, la quale univa Milano a Vercelli. Numerosi i ritrovamenti di antichità. Il luogo era lievemente elevato sulla pianura circostante, già allora densamente abitata. La città durante i buoni tempi romani sembra fosse munita di una salda cinta difensiva. Negli ultimi tempi dell'Impero a Novara ebbe la propria sede un praefectus Sarmatarum Gentilium.

Testimonianze un po' tarde, ma non da rigettare interamente, parlano di un lungo assedio e della distruzione toccatale per opera di Massimo, durante la sua lotta con Valentiniano II, e della ricostruzione con Teodosio il Grande, su preghiera del vescovo Gaudenzio, considerato dalla tradizione come primo vescovo di Novara. Anche la guerra fra Teodorico e Odoacre fu esiziale per essa, tanto che il vescovo Onorato, a detta di Ennodio, vi costruì per difesa un castello. Durante la guerra gotica parteggiò per i Bizantini. Poi fu occupata dai Longobardi, sotto i quali fece parte del ducato, poi gastaldato di Bulgaria, che sotto Carlomagno riassunse l'antico nome di comitato, detto di Novara dalla fine del sec. X. Nel 1110, durante il periodo comunale, Enrico V le inflisse gravissimi danni, ma poi la riebbe in grazia riconfermandone i buoni usi e le consuetudini fino allora godute. Parteggiò quindi per il Barbarossa, fino a che, nel 1167, entrò nella Lega lombarda. Cessò, in quel tempo, la guerra fra Novara eVercelli, iniziata a metà del sec. XII per diritti di giurisdizione su terre della Valsesia e dei conti di Biandrate. Ma essa riprese violenta dopo la pace di Costanza, ed ebbe solo paci effimere. La città fu spinta, così, a darsi prima ai Torriani, indi ai Visconti, seguendo, nei rapporti con questi, le vicende di Milano; salvo, nel 1356, la breve parentesi di un'occupazione da parte del marchese Giovanni II di Monferrato che poi, fatta la pace, restituì Novara a Galeazzo II. Durante la discesa di Carlo VIII, fu occupata, nel giugno del 1495, da Luigi d'Orléans, che poi, in forza degli accordi di Vercelli, ne uscì, mentre Ludovico il Moro ne riprendeva possesso. Venuto Luigi XII nel 1499 e impadronitosi del Milanese, Novara seguì le sorti di questo. L'anno dopo, la riprese Ludovico il Moro, che poi la riperdette, tradito dagli Svizzeri. Ma gli Svizzeri, 13 anni dopo, riscattarono il tradimento, cacciando i Francesi e proclamando duca Massimiliano, figlio del Moro. Dopo aver seguito ancora l'alterna vicenda della guerra tra Francesco I e Carlo V, la città rimase, con tutto il ducato, in potere di questo. Nel 1538, fu eretta in marchesato e concessa a Pier Luigi Farnese. Ritornò poi sotto il dominio diretto della Spagna, fino a che il trattato di Utrecht l'attribuì, col resto della Lombardia, all'Austria. Col trattato di Vienna del 1738, fu, con Tortona, acquistata dal re di Sardegna Carlo Emanuele III. Durante il periodo napoleonico, fu capoluogo del dipartimento dell'Agogna, ritornando nel 1814 sotto la monarchia di Savoia.

Battaglia di Novara. - Combattuta il 23 marzo 1849 dai Piemontesi al comando nominale del re Carlo Alberto (al cui fianco era in qualità di capo effettivo il generale polacco W. Chrzanowsky; v.) contro gli Austriaci agli ordini del maresciallo Radetzky. L'epilogo sfortunato della battaglia ebbe grande importanza nella storia del Risorgimento italiano. Se da un lato concluse con un insuccesso il primo tentativo di cacciata degli Austriaci dalla penisola italiana, e indusse Carlo Alberto ad abdicare, d'altro lato diede impulso a un periodo di raccoglimento e di rinnovamento politico e militare dello stato piemontese, sicché fu possibile la fortunata ripresa della lotta dieci anni dopo.

Scaduto a mezzogiorno del 20 marzo 1849 l'armistizio stipulato l'agosto precedente dopo la ritirata dell'esercito piemontese dalla Lombardia (armistizio più volte rinnovato), lo Chrzanowsky aveva tentato invano - con una controffensiva dalla regione di Novara verso sud - di arrestare l'avanzata del Radetzky, il quale - riuscito a invadere il territorio piemontese sboccando da Pavia nella Lomellina, attraverso il Ticino - si dirigeva su Novara. Nella notte sul 22 marzo il generalissimo dei Piemontesi aveva ordinato il ripiegamento della parte maggiore dell'esercito (circa 50.000 uomini) sotto le mura di Novara fronte a sud, lungo una posizione, estesa di 3 km. circa, ch'egli stesso aveva in precedenza studiata e la cui caratteristica tattica era la presenza di un ciglione corrente lungo la fronte e lievemente soprelevato rispetto alla bassa pianura stendentesi a sud; sicché lo si giudicava adatto così alla difesa come alla controffesa. Per la difesa erano buoni appigli alcuni robusti cascinali, appunto disposti lungo il ciglione, fra i quali la Bicocca. Il ciglione era, qua e là, solcato trasversalmente da fossi di erosione che rendevano poco agevoli gli spostamenti delle truppe parallelamente alla fronte difensiva. Le forze piemontesi furono disposte su quel terreno con tre divisioni in prima linea e due in riserva (v. cartina).

Dal suo canto il Radetzky - che dopo i primi scontri del 21 marzo a Mortara e alla Sforzesca aveva perduto il contatto coi corpi piemontesi in ritirata - supponendo, contrariamente al vero, che Carlo Alberto tendesse per Vercelli a coprire Torino, aveva orientato l'ulteriore movimento della massa dei suoi corpi dalla Lomellina verso NO. per attaccare il nemico supposto in marcia fra Novara e Borgo Vercelli. Incontrato il nemico e precisatasi la situazione, era intento del maresciallo austriaco di far convergere l'ala che avrebbe incontrata la minor resistenza, verso il tratto di fronte dove la battaglia si fosse più duramente impegnata. Con questi intenti egli avviò il I corpo d'armata per Robbio su Borgo Vercelli e il II da Mortara verso Novara per la via diritta di Vespolate; dispose il IV nella zona intermedia dove sarebbe stato in misura di appoggiare l'una o l'altra ala. Agli altri due colpi d'armata (III e I di riserva) ordinò di seguire l'itinerario di destra (strada migliore), potendoli di lì portare da Nibbiola per Montarsello verso Borgo Vercelli.

La testa del II corpo d'armata austriaco, sorpassato Olengo, si trova, circa alle ore 11, a contatto con le truppe avanzate della divisione piemontese di sinistra (gen. E. Perrone di San Martino). S'inizia la battaglia. Gli avamposti piemontesi assolvono il loro compito di una prima resistenza, seguita dal ripiegamento sul grosso della divisione, che viene subito dopo attaccato dalla divisione di testa del II corpo austriaco. La lotta si fa vivacissima. Con senso lodevole di cooperazione la divisione M. G. Bes, schierata immediatamente a destra della Perrone, concorre col fuoco di fucileria alla difesa e la divisione Giacomo Durando, più lontana, vi concorre col fuoco dei cannoni. Malgrado ciò la prima linea del Perrone cede, per un momento, alla pressione austriaca; ma un brillante contrattacco della seconda linea (1° fanteria) rioccupa il margine della posizione. Gli Austriaci ripetono l'attacco con due divisioni e sono dapprima nuovamente respinti, ma la divisione Perrone, che sostiene da sola tutto il peso dell'attacco, comincia a dar segni di stanchezza, aggravati quando lo stesso Perrone è colpito a morte. Gli austriaci occupano la Bicocca, invano caricati da alcuni squadroni, alla testa dei quali si slanciano anche ufficiali di Stato maggiore del re, presente dove maggiore è il pericolo. Il generalissimo Chrzanowsky ordina allora alla divisione di sinistra di seconda schiera (duca di Genova) di avanzare al contrattacco. Il secondogenito del re è alla testa col generale V. Passalacqua che comanda la brigata Piemonte; il Passalacqua cade ucciso, ma i suoi fanti avanzano e gli Austriaci sono cacciati dalla Bicocca. Non pago, il duca di Genova li incalza alle reni. Ma lo Chrzanowsky che vuol tenere le forze in pugno per un contrattacco generale di cui non crede ancor giunto il momento, richiama il principe sulla linea di difesa. Gli stanchi battaglioni austriaci del II corpo riavanzano allora sul terreno così sgombrato. A loro rincalzo (ore 15) giunge il III corpo austriaco. Gli attacchi contro la Bicocca si rinnovano; ma lo Chrzanowsky l'ha, a sua volta, rinforzata con truppe del Bes e con una brigata di riserva, e resiste. Sembra che ormai la battaglia difensiva volga a conclusione favorevole per i Piemontesi; e poiché la notte si avvicina, il generalissimo ordina il disegnato contrattacco in grandi forze diretto al fianco sinistro austriaco e condotto con le divisioni Durando e Bes, rimanendo ancora disponibile nelle mani del Comando supremo la divisione di riserva al comando del principe ereditario Vittorio Emanuele. Il movimento di avanzata è appena iniziato quando giunge sul campo di battaglia il I corpo austriaco da Confienza, di dove era accorso al cannone, prima di raggiungere l'obiettivo prescrittogli di Borgo Vercelli.

Il Radetzky, che a questo momento ha preso personalmente la direzione della battaglia, ordina la ripresa generale dell'attacco. La Bicocca è nuovamente perduta dai Piemontesi; tre battaglioni, alla testa dei quali è, a piedi, il duca di Genova, tentano disperatamente, ma invano, di riprenderla.

La divisione del principe Vittorio Emanuele rimasta in posizione a SO. di Novara resiste, in piena notte, agli attacchi dei corpi austriaci nuovi giunti. E ciò salva l'esercito da una situazione grave, perché l'inconveniente di aver combattuto con una città alle spalle già si rivela nell'ingorgo che le truppe e i carreggi in ritirata provocano nelle vie dell'abitato; e, ove il nemico non fosse stato tenuto in rispetto fuori di Novara, sarebbe stato quasi impossibile rimettere un po' d'ordine nel caos e far uscire le truppe a campo a N. della città, come fu fatto.

L'esercito piemontese, in questa battaglia, risentì i perniciosi effetti dell'improvvisazione dei quadri e dello scarso addestramento delle truppe (grande percentuale di coscritti) e delle rivalità fra i capi superiori, più che ad altro intenti a palleggiarsi le responsabilità della perduta campagna dell'anno precedente, tanto che il re aveva dovuto scegliere uno straniero come comandante supremo. L'impiego affannoso e a spizzico dei reparti, se depose a favore del desiderio di molto fare, fu riprova che l'audacia più utile è quella pensata e coordinata.

Quando il re Carlo Alberto ebbe la sensazione dell'impossibilità di continuare la lotta - sensazione che rafforzò un'identica dichiarazione del generalissimo Chrzanowsky - risolvette di chiedere al nemico una sospensione d'armi e di cedere la corona al figlio.

La provincia di Novara. - Una delle sei provincie del Piemonte. Misura 3604,67 kmq. e ha una popolazione di 389.352 abitanti (1931), divisi in 142 comuni. Comprende entro i limiti amministrativi zone diversissime dal punto di vista geologico e morfologico, dalle Valli Ossolane, aspre, dirupate lungo la catena asse delle Alpi, ai ripiani diluviali, alle alluvioni della pianura, attraverso il paesaggio collinare dei bacini lacustri (Orta, Verbano) di grande importanza turistica e industriale. Ha una densità di 108 ab. per kmq. (1931). La provincia è caratteristica per l'assenza di grossi centri: uno solo (Novara) supera i 50.000 abitanti. La popolazione complessiva è salita da 302.534 abitanti nel 1871 a 389.352 nel 1931.

Le colture più importanti sono quelle del riso, dei foraggi, della vite, che dà produzioni di larga fama. Molto attivo è l'allevamento, benché in tutta la montagna il patrimonio zootecnico segni una notevole diminuzione. La provincia è ricca d'industrie, nelle quali sono occupati circa 73.000 operai. Prevalgono le industrie tessili e le meccaniche. Di grande importanza sono le industrie idroelettriche, che nell'Ossola hanno trovato lo sviluppo più razionale d'Italia. In relazione con le bellezze del paesaggio, con la presenza di campi di neve, di zone di alta montagna, sviluppatissima è l'industria turistica tanto estiva quanto invernale. Non mancano stazioni rinomate di cura (Bognanco, Craveggia).

La provincia ha due transiti internazionali ferroviarî (Sempione e Val Vigezzo) e quattro transiti stradali (Sempione, Passo S. Giacomo, Val Vigezzo, strada rivierasca del Verbano).

Bibl.: L. A. Cotta, Museo novarese, Milano 1701; F. A. Bianchini, Le cose rimarchevoli della città di Novara, Novara 1828; A. Racca, Del duomo e del battistero di Novara, Novara 1837; C. Morbio, Storia della città e diocesi di Novara, Milano 1841; C. Negroni, Sopra le acque della città di Novara, Novara 1885; A. Rusconi, Le origini novaresi, Novara 1875-1876; A. Rusconi e altri, Monografie novaresi, Novara 1877; C. Bescapè, La Novara sacra (trad. di G. Ravizza), Novara 1878; A. Rusconi, La popolazione di Novara antica e odierna, Novara 1844; E. Gray, La potenzialità economica e l'avvenire di Novara, Novara 1908; A. Viglio, Un ricorso storico di lotte comunali tra Novara e Vercelli nel sec. XIII, Novara 1908; A. Lizier, Episcopato e Comitato in Novara nell'alto Medioevo, in Boll. stor. per la provincia di Novara, IV (1910); G. B. M[orandi], Piazze scomparse e piazze rimaste in Novara, in Boll. stor. per la prov. di Novara, V (1911); G. B. Morandi, Il castello di Novara dalle origini al 1500, Novara 1912; id., Un progetto di riforma edilizia in Novara nel 1500, in BOll. stor. per la prov. di Novara, VII (1913); F. Gabotto, Per la storia del Novarese nell'alto Medioevo, in Bollettino stor. per la prov. di Nov., XI-XII (1917-18); A. V[iglio], Quando furono piantati i primi viali del pubblico passeggio a Novara, in Boll. stor. per la prov. di Novara, XVIII (1924); id., L'antico palazzo del comune di Novara e gli edifici minori del Broletto, in Boll. stor. per la prov. di Novara, XXII (1928); id., Il restauro del Broletto di Novara, in Economia nazionale, 1929; id., Memorie novaresi di ogni secolo, Novara 1930; E. M. Gray, A. Viglio, G. Lazanio, Il Broletto di Novara e il suo restauro, Novara 1930; N. Bazzetta de Vemenia, Storia della città di Novara, Novara 1931; Comune di Novara, Opere pubbliche nel secondo quinquennio dell'amministrazione fascista, Novara 1934.

Per i monumenti v. anche: G. T. Rivoira, Le origini dell'arch. lombarda, 2ª ed., Milano 1908, p. 219; A. Venturi, Storia dell'arte it., II, Milano 1902, p. 191; A. K. Porter, Lombard Architecture, III, New Haven 1916, pagine 105-115; P. Toesca, L'arte it. nel Medio Evo, Torino 1927, pp. 145, 525, ecc.; G. Barlassina e A. Picconi, Le chiese di Novara, Novara 1933. - Per l'antica Novaria v.: P. Barocelli, Di alcuni oggetti preromani e romani nel museo civico di Novara, in Bollettino storico della provincia di Novara, XII-XIII (1918-19); id., Novara: costruzioni romane, in Notizie degli scavi di antichità, 1926, pp. 262-265. - Per la provincia di Novara v.: A. Rusconi, I parlari del Novarese e della Lomellina, Novara 1878; S. Traverso, Geologia dell'Ossola, Genova 1895; Camera di Commercio ed arti di Novara, Fiere e mercati della provincia di Novara, 1906; G. Audisio, La provincia di Novara, Milano 1913: Atlante geografico del circondario di Novara, Novara 1913; A. Massara, Tipi e costumi della Campagna novarese, Novara 1913-1915; P. Landini, La distribuzione della popolazione nella provincia di Novara, in La geografia, 1923; id., Note di geografia demografica novarese, in Boll. storico per la prov. di Novara, XVII (1924); Guida di Novara e provincia, Torino 1930-31; La provincia di Novara nella sua economia, in L'Economia nazionale, 1931-1932.

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