NORVEGIA

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

NORVEGIA (XXIV, p. 944; App. I, p. 899; II, 11, p. 414; III, 11, p. 272)

Sebastiano Monti
Hartmut Ullrich
Mario Gabrieli
Stefano Ray
Håkan Wettre

Popolazione e sua distribuzione. - Nell'ultimo decennio la popolazione norvegese è aumentata di sole 320.000 unità: ciò ha fatto ulteriormente diminuire il coefficiente di accrescimento annuo passato dallo 0,8% (media degli anni 1960-63) allo 0,7% (media degli anni 1970-73). Secondo il censimento del novembre 1970 la N. risultava abitata da 3.888.305 ab., mentre le stime per il 1976 assegnavano al paese una popol. di 4.013.000 ab., valore che rimane basso rispetto ai livelli medi europei (v. tabella).

Come si può constatare, il valore della densità media rimane puramente indicativo, perché mentre la popolazione tende a raccogliersi sul versante occidentale, soprattutto nelle sue sezioni centrale e meridionale e lungo i fiordi principali (Oslo fjord, ecc.), dove è possibile lo sfruttamento delle risorse del suolo e del mare, altre vaste plaghe della parte più settentrionale e impervia del paese restano pressoché spopolate, a dimostrazione dell'influenza negativa delle condizioni climatiche e dell'ambiente naturale in genere sull'insediamento umano.

Dal punto di vista etnico, la maggior parte della popolazione è norvegese; si vanno leggermente contraendo il numero dei Lapponi (20.000) e quello dei Finni (12.000). I Norvegesi non conoscono ancora l'urbanesimo nei suoi aspetti più esasperati; la popolazione censita come urbana non raggiunge ancora la metà del totale (42,5% nel 1970). Il villaggio, circondato dalle aree agricole, ha le case in legno dipinto con colori vivaci, raggruppate intorno alla chiesa, spesso anch'essa di legno e molto antica (Staikirker). Circa un ottavo della popolazione vive a Oslo (464.900 ab. nel 1975), che è anche il principale centro marittimo, culturale, industriale e commerciale del paese, favorito dalla sua posizione eccentrica e gravitante verso Svezia, Danimarca e Mare del Nord.

Le altre città di una certa rilevanza sono quasi tutte costiere (Bergen, Trondheim, Stavanger, Drammon, Ålesund, Narvik); tuttavia negli ultimi tempi si è verificato un leggerissimo spostamento dell'asse economico verso l'interno del paese, grazie al potenziamento di alcuni centri industriali, quali Odda, Grong, Rossaga, Hura, legati prevalentemente alle centrali termo-idroelettriche.

Economia. - Innegabili sono i progressi economici e sociali cui è pervenuto il popolo norvegese dagl'inizi del secolo a oggi, tanto che è possibile ora affermare che la N. si è trasformata da nazione povera e agricola a paese industriale con un alto tenore di vita, quasi pari a quello dei più ricchi stati europei (Rep. Fed. di Germania, Svizzera, Svezia).

Dal punto di vista agricolo, la N. ha ben poco suolo coltivabile (2,5% della superficie territoriale, pari a 806.000 ha) e lo ha destinato ai cereali, che meglio si adattano al clima freddo (avena: 103.000 ha e 2.590.000 q nel 1975; orzo: 170.000 ha e 4.450.000 q), cui seguono la patata (8,5 milioni di q), componente principale dell'alimento locale, il frumento, la segale, mentre limitatissima è la diffusione di ortaggi e frutta; tipica è la produzione di mirtilli, che alimentano una discreta industria conserviera. Anche per quanto riguarda il patrimonio forestale, bisogna notare che la N., per la sua posizione che l'espone in modo particolare ai venti di provenienza marina, è, tra i paesi nordici, la meno dotata di foreste. Comunque dalle sue foreste, con predominanza di abeti (estese su circa 8 milioni di ha), la N. ricava oltre 9 milioni di m3 di legname, che è alla base di una florida attività industriale (industrie della pasta meccanica, della pasta chimica, della cellulosa e della carta).

L'allevamento costituisce la risorsa delle popolazioni rurali dell'interno del paese (bovini 963.000, ovini 1.648.000, caprini 72.000, suini 764.000, e oltre 6.000.000 di animali da cortile) e incrementa un sia pur modesto settore dell'industria alimentare. Nelle regioni più settentrionali sono tipici gli allevamenti della renna (161.000 capi) e degli animali da pelliccia (269.000 volpi e 2.380.000 visoni).

La pesca rimane tuttora la grande risorsa dei Norvegesi che hanno una flotta peschereccia di 36.201 battelli, con una stazza complessiva che si avvicina alle 400.000 t. Essa, nel pieno della stagione, può impiegare fino a 100.000 persone, ma il numero dei pescatori fissi va diminuendo costantemente e sensibilmente (nel 1971 essi assommavano a circa 35.000 unità), mentre è in aumento il quantitativo di pesce pescato, che si aggira sui 2,5 milioni di t, con una netta prevalenza dell'aringa e del merluzzo.

Tra le aringhe, la più diffusa è l'harengula prattus, una piccola aringa del mare intorno a Stavanger che, inscatolata, è nota col nome di acciuga o sardina norvegese. La regione invece più ricca di merluzzo è la zona delle isole Lofoti, nel cui famoso centro di Svolvær i merluzzi, appesi a cavalletti di legno a seccare, rientrano nel paesaggio cittadino. L'industria di lavorazione e di conservazione del pesce ha il suo principale centro a Bergen, seguito da Trondheim e Stavanger.

Tra le attività della pesca si ricorda la caccia alle foche e alle balene: i porti balenieri per eccellenza sono Tønsberg e Sanderfjord, ma la caccia alla balena, una volta monopolio norvegese, è adesso un'attività precaria e marginale. La flotta baleniera, pur continuando a impiegare battelli di grossa stazza - fino a 25.000 t - e attrezzati adeguatamente per il ciclo completo della lavorazione del pescato, si va progressivamente assottigliando e nel 1971-1972 sono state catturate 33 balene che hanno prodotto 1421 q di olio. Alla pesca marittima va aggiunta quella dei salmoni e delle trote dei laghi e dei fiumi.

Risorse minerarie e industrie. - Piuttosto povera di minerali allo stato attuale, la N. conta molto sui promettenti ritrovamenti di petrolio dei giacimenti sottomarini del Mare del Nord (Ekofisk, Eldfisk, Tor, Cod) il cui sfruttamento, iniziato nel 1971, ha consentito nel 1976 una produzione di oltre 13,7 milioni di t di greggio (1,7 milioni di t nel 1974), destinata a incrementarsi ulteriormente anche nei prossimi anni.

I giacimenti più importanti del paese sono oggi quelli delle piriti (Løkken, Sulitjelma, Ballangen e Lillebø), che forniscono oltre 700.000 t all'anno di minerale, e quelli di ferro (Fossdalen, Mo j Rana, Rausand, Sydvaranger), che hanno prodotto nel 1976 2.550.600 t di ferro: seguono a distanza quelli di carbone delle Svalbard (432.000 t), di vanadio, titanio, piombo, zinco.

Il processo d'industrializzazione della N. è iniziato con lo sfruttamento organizzato delle risorse che ancora oggi occupano una posizione di tutto rilievo nel quadro del suo sviluppo economico. Tra esse primeggia l'energia elettrica, che si può dire abbia fatto la fortuna del paese, conferendo notevole impulso a gran parte delle attività industriali. Nel 1974 la potenza istallata era di 16.158.000 kW quasi interamente idrici e la produzione di 76.646 milioni di kWh.

Presso il centro di Halden è in funzione un reattore nucleare di 20.000 kW di potenza. Le abbondanti risorse idriche hanno favorito anche altri settori industriali, quali quello elettrometallurgico (nel 1976: 1.476.000 t di ghisa e ferroleghe e 900.000 t di acciaio), che ha i suoi principali centri di produzione in Stavanger, Arendal, Mo j Rana, e quello dell'alluminio (per il quale la N. importa interamente la bauxite) che arriva a una produzione annua di 650.000 t e si è sviluppato a Eydehamn, Vigeland, Tyssedal, Høyngaer, Ardal e Sunndalsøre. Anche l'industria chimica si è avvantaggiata della presenza dell'acqua: negli stabilimenti di Rjukan, Notadden, Odda e negli altri minori, sempre localizzati lungo la costa o presso il corso dei fiumi, sono stati prodotti nel 1976 402.000 t di acido solforico e 70.000 t di soda caustica, oltre a minori quantitativi di acido cloridrico, acido nitrico, materie plastiche e fertilizzanti azotati.

Nel settore petrolifero, le raffinerie norvegesi di Sola-Stavanger e di Slagen-Valloy avevano nel 1974 una capacità di raffinazione di 8.650.000 t di petrolio.

Meno sviluppate risultano l'industria tessile (Bergen) e quelle della birra, del tabacco e del cemento. Più quotate sono invece le industrie alimentari, in special modo quelle del settore conserviero legato alla pesca. Altro settore tradizionale dell'industria norvegese è quello dei cantieri navali, che, peraltro, data la spiccata specializzazione (baleniere - superpetroliere) sono in leggera crisi, sia a causa del calo subito negli ultimi anni dalla caccia alle balene, sia per la forte concorrenza di altre industrie cantieristiche (Giappone) e per la tendenza all'autonomia dei paesi produttori di greggio che costruiranno le petroliere nei propri cantieri.

Dal momento che la N. è costretta a importare una gran vasta gamma di prodotti alimentari e cospicui quantitativi di materie prime necessarie alla sua industria, il commercio con l'estero ha un'importanza fondamentale nell'economia norvegese. Il commercio è quasi esclusivamente marittimo a causa degli ostacoli rappresentati nei collegamenti terrestri dalla morfologia accidentata. Le ferrovie, infatti, coprono solo 4241 km, per oltre la metà elettrificati, e le strade si sviluppano per 76.085 km, con solo 81 km di autostrade. In tutta la N. circolano meno di 1 milione di autovetture. La flotta mercantile, invece, è potente e comprende (1975) 2706 navi (stazza complessiva 26.153.682 t) che spesso vengono noleggiate da altri stati, cosa che contribuisce, insieme col turismo dei mesi estivi, a coprire in parte il disavanzo tra importazioni (1976: 60,5 milioni di corone) ed esportazioni (1976: 43,1 milioni di corone).

Storia. - La questione più controversa della politica della N. - l'adesione alla CEE - ha agito come catalizzatore sul processo caratterizzante della politica interna dell'ultimo quindicennio: la crisi del sistema partitico norvegese. Crisi non solo dello schieramento d'opposizione "borghese", più articolato del prototipo svedese in ragione di un sistema di cleavages particolarmente complesso, ma più ancora dell'egemonia socialdemocratica. Le elezioni del 1961 segnarono l'inizio: i socialdemocratici persero la maggioranza assoluta, detenuta ininterrottamente dal 1945, a causa dell'affermazione del Partito socialista popolare, una nuova formazione di dissidenti socialdemocratici radical-pacifisti, isolazionisti e neo-marxisti, la quale si sarebbe sostituita, con la sua forte penetrazione nell'elettorato urbano e giovanile, nel ruolo di opposizione di estrema sinistra all'anemico Partito comunista (ridotto al 2,9% dall'iniziale 11,9% dei suffragi, raccolto nel 1945, e privato del suo ultimo seggio allo Storting). La conseguente situazione di stallo (74 deputati "borghesi", 74 socialdemocratici, 2 socialisti popolari), con i gabinetti di minoranza Gerhardsen, interrotti nell'estate 1963 da un effimero ministero di coalizione "borghese" sotto il conservatore Lyng, venne sbloccata soltanto dalle elezioni del 1965 che dettero ai quattro partiti non socialisti - conservatore, cristiano-popolare, del centro (agrario) e liberale - una stabile maggioranza di 80 su 150 seggi; il centrista Per Borten formò un governo, quadripartito, durato, con rimpasti, fino al 1971. Sebbene rappresentasse un'innovazione sul piano parlamentare e partitico (alternanza al governo; gabinetto di coalizione con i suoi specifici istituti e comportamenti), il ministero Borten non segnò sul piano economico-sociale un'alternativa alla politica del welfare state: l'approvazione unanime dello Storting al progetto socialdemocratico della pensione popolare (1966) confermava appunto l'inesistenza di un'alternativa liberista e non-interventista al welfare state, ormai accettato da tutti i partiti.

Confermata solo di strettissima misura dalle elezioni del 1969, la coalizione, già logorata dalla difficile convivenza di quattro partiti così diversi, si frantumò nell'urto fra avversari e fautori dell'adesione alla CEE: il 2 marzo 1971 il primo ministro Borten fu costretto a dimettersi, perché aveva fatto pervenire materiale confidenziale sulle trattative con la CEE al leader del movimento antiCEE. Come la Svezia e la Danimarca, la N. era stata fra i membri fondatori dell'EFTA (1959), posizione scelta per i legami economici e politici esistenti con la Gran Bretagna. La revisione della politica britannica nei confronti della CEE costrinse la N. a riconsiderare la sua politica europea, associandosi anch'essa, come la Danimarca, alle richieste britanniche di adesione del 1961 e del 1967.

Fin dal dibattito parlamentare del 1962 erano emersi due consistenti nuclei di opposizione all'entrata nella CEE; l'uno di orientamento socialista (minoranza socialdemocratica, i Partiti socialista-popolare e comunista), l'altro espressione degl'interessi agrari e di pesca (Centro, parte del Partito cristiano-popolare). La schiacciante maggioranza (136 voti positivi contro 13 negativi) registrata nel voto dello Storting del 1967 in favore di una nuova richiesta di adesione piena alla CEE, poteva far credere che l'opinione norvegese fosse guadagnata alla Comunità e il dibattito concluso. In realtà esso era soltanto sopito, finché il processo di allargamento della CEE rimaneva paralizzato e l'attenzione era attratta dal miraggio di un'alternativa nordica (nordek/skandek, v. svezia, in questa App.). La schiacciante maggioranza con la quale, venuta meno quell'alternativa con il ritiro della Finlandia, lo Storting si espresse nuovamente, nel giugno 1970, in favore dell'adesione, non aveva riscontro nel paese, come avrebbe sperimentato il governo socialdemocratico di minoranza Bratteli, formato dopo la caduta della coalizione, che sottopose a referendum il trattato di adesione (firmato il 22 gennaio 1972). Il referendum del 25-26 settembre 1972 dette infatti una maggioranza contraria del 53,5%: unico fra i paesi candidati, la N. non realizzò la progettata adesione alla CEE.

L'opposizione degl'interessi agricoli e di pesca (soltanto il 13% della popolazione attiva) non basta a spiegare tale esito negativo, anche se a organizzare la mobilitazione di massa, nel "Movimento popolare contro la CEE" (1969), era stata l'organizzazione dei contadini. Decisiva fu la confluenza di diverse opposizioni: quella agricola e di pesca, appunto; quella anticapitalista contro la CEE considerata un minaccioso cartello industriale multinazionale (opposizione, questa, diffusa in tutta la Scandinavia ed estesa dagli extra parlamentari fino al settore della socialdemocrazia e oltre verso lo stesso elettorato non socialista, specialmente giovanile); infine quelle isolazioniste e tradizionaliste, preoccupate dalla perdita di sovranità come dalla trasformazione della civiltà e vita quotidiana della N. ad opera delle più forti influenze straniere, dall'inquinamento industriale e dal pericolo che avrebbe corso il luteranesimo norvegese. La mancata ratifica è stata generalmente interpretata come una vittoria delle principali subculture antagoniste della cultura urbana, modernizzante, cosmopolita del centro; mentre Oslo e Bergen votarono in favore, i no raggiunsero infatti il 73% nei comuni con meno di 2.500 abitanti e l'80% nelle zone di pesca. Ricalcando gli schieramenti caratteristici della N. del tardo Ottocento, alle opposizioni periferiche si aggiunsero le forze radicali urbane, questa volta sotto la bandiera anticapitalistica, capace di trascinare il voto giovanile. La spaccatura sulla CEE si soprapponeva alle classiche linee del sistema partitico norvegese, dividendo al loro interno gli stessi partiti: abbastanza compatti furono soltanto i conservatori, favorevoli, e, nel campo avverso, l'estrema sinistra (socialisti popolari, comunisti, ecc.), gli agrari del Centro e i cristiano-popolari, portavoce del fondamentalismo luterano. Spaccati i socialdemocratici, la cui base operaia votò contro, e i liberali.

Dopo le dimissioni del governo Bratteli, il leader dei cristiano-popolari Korvald costituì un gabinetto tripartito di minoranza con agrari e liberali e negoziò un accordo di libero scambio con la CEE (14 maggio 1973), accettato all'unanimità dallo Storting. Ma con questo il capitolo CEE non è chiuso, almeno per quanto riguarda la politica interna. Si è aperta la scissione del Partito liberale fra fautori e avversari dell'adesione (dicembre 1972); la mancata ratifica, inoltre, è stata anche una vittoria sulla leadership socialdemocratica e sui conservatori. Le spinte populiste e isolazioniste hanno contrapposto a entrambi un nuovo schieramento, espressione delle antiche opposizioni di periferia: quello stesso su cui si è appoggiato il governo Korvald. La crisi del sistema partitico norvegese si è rivelata in tutta la sua gravità nelle elezioni del 10 settembre 1973: sconfitta della socialdemocrazia, che ha perso l'11% dei voti, e grossa affermazione del cartello di estrema sinistra (comunisti, socialisti popolari e dissidenti socialdemocratici), entrato con 16 deputati allo Storting; eliminazione pressoché completa dei liberali; comparsa di un partito di carattere poujadiste, che innalza come bandiera la protesta antifiscale; frantumazione degli schieramenti, per cui sono rappresentati in parlamento oramai otto partiti, mentre né i socialdemocratici né i classici partiti "borghesi" dispongono di una maggioranza. Bratteli ha costituito un nuovo governo, con l'appoggio liberale, cercando in seguito peraltro l'adesione dell'elettorato con una più forte accentuazione socialistica del suo programma.

Il processo di disgregazione del sistema partitico norvegese è stato fermato, almeno temporaneamente, dalle elezioni dell'11-12 settembre 1977, che segnarono una grande ripresa sia dei socialdemocratici (passati dal 35,3% al 42,4% dei voti) che dei conservatori (dal 17,5% al 24,7%), la decimazione dell'estrema sinistra, ridotta ormai a due soli deputati socialisti popolari, e la quasi eliminazione dei partiti nuovi, in particolare di quello di tendenza poujadista.

Il gabinetto di minoranza socialdemocratico, capeggiato dal gennaio 1976 dal Nordli, è rimasto in carica.

Nel settembre 1976 fu votata una legge che consente l'istituzione di una zona economica marittima di 200 miglia.

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Letteratura. - Quando, finita la seconda guerra mondiale, fu fondato a Oslo un nuovo periodico di letteratura arte e musica, Vinduet ("La finestra", 1947), la cultura norvegese venne per la prima volta in contatto diretto con quegli scrittori anglosassoni tedeschi e francesi che, fino a oggi, hanno largamente dominato il Novecento letterario.

Mentre la vecchia generazione tardivamente declinava (a novant'anni K. Hamsun scriveva il suo ultimo libro: Pågjengrodde stier, "Sui sentieri ricoperti d'erba", 1949; J. Falkberget completava a ottanta il suo ciclo romanzesco: Nattens brød, "Il pane della notte", 1959) i giovani che si erano affermati nell'immediato dopoguerra (per es. K. Holt, nato nel 1917; T. Stigen, nato nel 1922; S. Evensmo, nato nel 1912, e altri) non hanno lasciato durevole impronta di sé. Più originali apparvero gli scrittori della generazione di mezzo, più o meno tutta di tendenza psicanalitica. Tra questi spiccano scrittori come S. Hoel (1890-1960), che non si è stancato, in lucida prosa narrativa e critica, di dare ai suoi connazionali una visione snebbiata del mondo postbellico e anzitutto della dittatura, abbattuta in Germania, ma rigogliosa in altri paesi (Møte ved milepelen, "Incontro alla pietra miliare", 1947; Stevnemøte med glemte år, "Appuntamento con anni dimenticati", 1954); A. Sandemose (1899-1965), confuso ma tenace indagatore del demoniaco nell'uomo (En flyktning krysser sitt spor, "Un fuggiasco cancella le sue tracce", 1933; Varulven, "Il lupo mannaro", 1958); J. Borgen (nato nel 1902), critico narratore e drammaturgo, che, anche nei più recenti romanzi (Jeg, "Io", 1959; Den store havfrue, "La grande sirena", 1973), mostra di saper alternare l'indagine psicologica con la storia del costume, la levità fantastica con la satira morale; T. Vesaas (1897-1970), prolifico narratore e sottile interprete della tragedia dei vinti e degli esclusi dalla vita (Vindane, "I Vènti", 1952, premio Venezia; Fuglane, "Gli uccelli", 1957; Is- slottat, "Il castello di ghiaccio", 1963) in uno stile scarno, nudo, e talvolta compresso fino all'enigma.

Come e più che negli altri paesi nordici, in N. la discussione dei problemi sociali connessi all'industrializzazione del paese occupa il primo piano della letteratura contemporanea: della narrativa come del teatro e - eccettuata la lirica ermetica, ultima propaggine del surrealismo francese - anche della poesia. Uno scrittore di spicco come A. Øverland (1889-1968), feroce antinazista, anticomunista (dopo i processi di Mosca e il patto russo-tedesco del 1939) e anticristiano, pur nella sua paradossale religiosità, ha ripreso, appena scampato al campo di concentramento tedesco, a predicare ai giovani la fede nietzschiana nell'arte messa a servizio della vita (Vi overlever alt, "Sopravviviamo a tutto", 1945; På Nebo bjerg, "Sul monte di Nabu", 1962); e accanto a lui, anche se da lui spiritualmente lontani, tutta una schiera di letterati ribelli e malcontenti hanno, in romanzi, drammi, e radiodrammi, dichiarato guerra allo Stato del benessere norvegese, rapidamente emerso dal secondo dopoguerra. Così F. Carling (nato nel 1925) ha denunciato l'incuria e i pregiudizi dell'organizzazione sociale verso i ciechi (Blind verden, "Il mondo dei ciechi", 1962) o verso gli omosessuali (De homofile, 1965); A. Mykle (nato nel 1915) è finito sotto processo per un suo antipuritano, ma artisticamente assai fiacco romanzo (Sangen om den røde rubin, "La canzone del rubino rosso", 1956); J. Bjørneboe (nato nel 1920) ha messo sotto accusa, fra l'altro, la scuola e il sistema penitenziario (Den onde hyrde, "Il cattivo pastore", 1960), e, non molti anni fa, ha acquistato rinomanza in tutta la Scandinavia con un dramma (che si svolge in Italia) sulla non dimenticata barbarie nazista (Fugleelskerne, "Quelli che amano gli uccelli", 1966).

La lirica, se si prescinde da quella della Resistenza (A. Øverland, G. Reiss-Andersen, 1896-1964; I. Hagerup, nata nel 1905; N. Grieg, 1902-1943, e altri molti), ha lungamente stentato ad assimilare le suggestioni del surrealismo mediate dagli esempi svedesi degli anni Quaranta. Malgrado gli esperimenti di singoli precorritori come R. Jacobsen (nato nel 1907), come C. Gill (nato nel 1910), come E. Boyson (nato nel 1899), traduttori, alcuni, di Eliot e di Pound, si può dire che solo i più giovani (P. Brekke, nato nel 1923; P. R. Holm, e G. Johannesen, entrambi del 1931; T. Obrestad, del 1938) e fra questi soprattutto S. Mehren (del 1935) mostrano, in fatto di tecnica e di stile, di averne inteso appieno la lezione.

Bibl.: H. Beyer, Norsk Litteraturhistorie, Oslo 1963; M. Gabrieli, Storia delle letterature della Scandinavia, Firenze-Milano 19692.

Architettura. - Come gli altri paesi scandinavi, anche la N. presenta il problema centrale della ricerca di una propria identità nazionale e culturale, da ritrovarsi nell'ambito di una lunga tradizione, per l'addietro strettamente intrecciata alle vicende dell'intera compagine della civiltà nordica. Questo dato dev'essere tenuto presente quando si tratti dello sviluppo moderno dell'architettura in N., poiché qui come altrove in Scandinavia la cultura architettonico-urbanistica si dà carico, con piena coscienza, di simili questioni, e ne viene pertanto largamente influenzata.

Tra il 1814 e il 1905, allorché la N. ottiene l'indipendenza, si pongono le radici del processo d'identificazione, che andrà sviluppandosi fino ai giorni nostri parallelamente a una radicale trasformazione in senso socialdemocratico delle strutture economiche e politiche. L'urbanizzazione pone problemi organizzativi fuori della tradizione costruttiva del paese. L'antichissima arte della carpenteria senza chiodi (Tommerhus) e a pali (Stav) e le strutture urbane modellate sulle fattorie autonome sparse nel territorio, dal Telemark al Nurnedal, dal Saetersdal al Gudbransdal forniscono modelli poveri e riduttivi. Rifiutando l'architettura d'importazione (per es., la cattedrale di Trondheim), gli architetti norvegesi si richiamano alle pannellature lignee del sec. 18°, destinate a mascherare l'intelaiatura portante degli edifici, e che offrono larghe possibilità di variazioni decorative nelle superfici. Su questo sfondo prendono forma i caratteri dell'architettura moderna norvegese: composizione come assemblaggio di parti, progettazione urbana liberamente articolata e svincolata da tracciati geometrici, resa fantastica dei dettagli e delle finiture. La questione di fondo s'identificherà nella ricerca di uno "stile" capace di riflettere la N. contemporanea, borghese, industriale e socialmente riformista, cosi come la Tommerhus e le venerande costruzioni ecclesiastiche a Stav avevano rappresentato l'immagine della leggendaria terra dei Vichinghi. Superate, tra il 19° secolo e il primo trentennio del nostro, le esperienze neoclassiche (Università di Oslo, 1841-53, C. H. Grosch), eclettiche (Parlamento di Oslo, 1866, E.V. Langlet), e neomedioevali (Municipio di Sandvika, 1917, M. Poulsson), gli architetti norvegesi, sotto l'influsso svedese e delle esigenze della nuova tecnologia, si accostano al razionalismo internazionale. Dagli anni Trenta alla fine della seconda guerra mondiale gli architetti operanti in un clima di adattamento dei caratteri nazionali al razionalismo, costituiscono la maggioranza (G. Blackstad, H. Munthe-Kås, O. Bang, F. Brynn, A. Korsmo e altri). Opere da rammentare: Galleria della società degli artisti, Oslo 1930; casa a Ullern, 1932; edifici per l'università di Oslo, 1937; Centro sociale a Oslo, 1940. L'ultimo dopoguerra dà luogo a problemi di ricostruzione. Anche in questa occasione, gli architetti norvegesi s'impegnano affinché da una problematica di generica trasformazione scaturisca un rinnovamento dei rapporti e dei modi di gestione del territorio in senso sempre più avanzato; come già era accaduto all'epoca della nascita e del primo affermarsi del paese come nazione. Una simile temperie sfocia nella legge di esproprio del 1946, che offre agli architetti una posizione di privilegio, in collaborazione con gli organi dell'amministrazione statale, ai fini dell'attuazione di una politica edilizia tesa alla diffusione di elevati standard negli edifici e a un uso equilibrato dei territori urbanizzati. Il successo di tale impegno posto dalla cultura architettonica norvegese non si può dire certamente elevato: la ricostruzione delle città, la nascita di nuovi quartieri e il livello medio degli edifici, benché corretti, restano sostanzialmente entro i confini di soluzioni dal respiro circoscritto e a breve raggio d'influenza. Solo alcune personalità, A. Korsmo (villa a Oslo, 1955), E. Viksjo (Palazzo del Governo, Oslo 1959), S. Fehn (scuola a Oslo, 1964), E. Hultberg e N.O. Lund (quartiere Skjetten, 1973), offrono un pungente contributo al tema della rifondazione di un linguaggio architettonico, modellato sulle complesse istanze della realtà attuale. vedi tav. f. t.

Bibl.: J. Battistoni, Norvegia: architettura e tradizione, in Casabella, genn.-febbr. 1956; G. Kavli, Norvegian Architecture, Oslo-Londra 1958; S. Ray, L'architettura moderna nei paesi scandinavi, Bologna 1965 (con bibl.); L'architecture d'aujourd'hui, 134 (1967); Dizionario enciclopedico di architettura e urbanistica, Roma 1969, ad voces.

Arti figurative. - Due importanti fattori hanno influenzato l'arte norvegese del 20° secolo, la natura ed E. Munch, determinando il predominio stilistico della scuola espressionista. Accanto a questa, ha avuto tuttavia una certa rilevanza nell'arte norvegese anche un orientamento decorativista che, traendo origine da Matisse, è stato introdotto in N. da J. Heiberg (1884-1976) e J. Rian (1891). Su questa linea si colloca anche K. Fjell (1907), che però si differenzia per una maggiore caratterizzazione nazionale del suo stile, improntato a motivi folklorici. Se R. Nesch (1893-1975) ed E. Enger (1899) possono considerarsi gli esponenti tipici dell'arte norvegese degli anni Trenta, è assai più difficile trovare artisti così ampiamente rappresentativi per gli anni Quaranta e Cinquanta. A. Schultz (1901) astrae la propria esperienza della natura. Alla fine degli anni Cinquanta l'arte norvegese si fa progressivamente più astratta pur conservando elementi naturalistici. È il caso della vigorosa pittura di K. Rumohr (1916) o di quella di I. Sitter (1929), dalle semplici forme monumentali, in cui dominano il nero e il grigio e che sembra voler fermare i momenti di un passato che fugge. L'opera di J. Weidemann (1923) si è invece andata sviluppando da chiare forme geometriche verso le forme indefinite di un'arte informale, mentre quella di J. Johannessen (1934) è partita dallo spontaneismo per approdare al realismo. I pittori G. S. Gundersen (1921), H. Bleken, R. Wold, L. Tiller e lo scultore O. Tandberg (1920) possono a tutti gli effetti essere considerati esponenti dell'arte concreta, particolarmente interessati alla rappresentazione spaziale. C. Nesjar (1920) ha anch'egli iniziato a operare in seno all'astrattismo prima nella pittura, poi con le sue sculture monumentali, e ha lavorato per qualche tempo in collaborazione con Picasso. Negli anni Sessanta ha realizzato delle sculture d'acqua che d'inverno si trasformano in sculture di ghiaccio.

Negli anni Sessanta e Settanta la produzione artistica più significativa è stata, nel complesso, quella realizzata, nell'ambito delle commesse di enti pubblici, da artisti quali A. Haukelund (1920) e N. Aas, entrambi scultori. All'inizio degli anni Settanta si manifesta la tendenza verso un nuovo realismo romantico, di cui è un esempio O. Nerdrum che si avvicina, nella sua pittura, allo "storicismo". L'influenza della natura è comunque sempre presente. Vedi tav. f. t.

Bibl.: Autori vari, Norsk Kunst idag, Oslo 1967.

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