NONNI, Ottaviano, detto Mascherino

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 78 (2013)

NONNI, Ottaviano, detto Mascherino

Isabella Salvagni

NONNI (de’ Nonni), Ottaviano (Ottavio), detto Mascherino (Mascarino). –  Figlio di Giulio, nacque a Bologna e fu  battezzato nella cattedrale di S. Petronio il 3 settembre 1536 (Ojetti, 1915).

Suo padre, capomastro e scalpellino nativo di Casalfiumanese, fu collaboratore di Jacopo Barozzi da Vignola con il quale lavorò nel cantiere del ponte sul fiume Samoggia nel 1547.

Mascherino (questo è l’appellativo con il quale è più conosciuto) dovette gran parte della sua fama al favore accordatogli dal concittadino Gregorio XIII Boncompagni (1572-85). Giunse a Roma con tutta probabilità nel 1574 insieme ad altri artisti e illustri bolognesi chiamati dal papa a lavorare nei cantieri vaticani e a occupare i posti chiave dell’amministrazione e della corte pontificie.

Considerato a lungo un artista minore (Golzio, 1929-30), studi più recenti ne hanno messo in evidenza l’aspetto di figura emblematica per la storia artistica romana di fine Cinquecento, la cui rilevanza emerge sia dall’analisi della sua vicenda personale sia da quella delle sue opere – allorché spesso ancora di controversa attribuzione –, ben rappresentando il momento di transizione dal tardo manierismo al barocco. La sua attività professionale rimane in gran parte da definire, in particolare quella di architetto, che interessò alcune località dello Stato pontificio, concentrandosi a Bologna e negli immediati dintorni, ma soprattutto a Roma. La paternità di molti suoi progetti gli è stata sovente riferita prevalentemente sulla base del corpus dei disegni da lui donati all’Accademia di S. Luca di Roma nel quale confluirono anche i lavori di suoi contemporanei (Ojetti, 1913; Golzio 1929-30; Wasserman, 1966; Fondo Mascarino, 1974. I disegni superstiti, tuttora conservati presso l’Accademia, schedati solo nel primo Novecento, sono nel complesso ancora da studiare).

Gli esordi del Mascherino, per quanto poco documentati, devono essere rintracciati nella città natale. Sebbene avviato inizialmente (Baglione, 1642) alla carriera di pittore, forse nella bottega del concittadino Prospero Fontana, come il fratello Giulio Cesare – pittore e ‘muratore’ – si formò sicuramente con il padre Giulio, legato a Jacopo Barozzi da rapporti professionali e di amicizia, subendo fortemente l’influenza di quest’ultimo, che conobbe personalmente e del quale fu con tutta probabilità collaboratore.

Si ha notizia diretta del legame intercorso fra le due famiglie da Giacinto, figlio di Jacopo, che, in una lettera indirizzata nel 1580 a padre Egnazio Danti, il quale stava preparando l’edizione critica della Prospettiva pratica, definiva il Mascherino «compatriotto e d’amicizia derivata fin da’ padri nostri, e per conseguenza molto informato della maggior parte de’ miei affari» (Baldinucci, 1846, p. 285). L’ascendenza del Vignola è stata per lungo tempo rintracciata dagli studiosi nel primo dei lavori attributo al Mascherino, del quale sono conservati i disegni nel fondo omonimo: la porta Pia o di S. Isaia a Bologna, realizzata nel 1567-1571 e ora distrutta, della quale più di recente è stata restituita interamente la paternità al Vignola (Ricci, 2011A).

Non si ha notizia alcuna dell’attività antecedente la fine degli anni Sessanta del Cinquecento. A questa data, ormai non più giovanissimo, doveva aver raggiunto una posizione professionale di tutto rispetto, se nel 1568 veniva nominato custode e sovrintendente, con mandato triennale, della fontana del Nettuno, realizzata da Giambologna nella maggiore piazza cittadina, e definito per la prima volta architetto bolognese (Ojetti, 1915). Solo un anno dopo, tuttavia, l’incarico gli sarebbe stato revocato per inadempienze contrattuali. Nel 1569 lo troviamo impegnato nell’esecuzione del fregio del cubiculum artistarum nell’Archiginnasio di Bologna, ora distrutto, nel quale era raffigurata la conoscenza delle Arti liberali come base dell’insegnamento più alto della Religione (Negro, 1987). Sempre nell’Archiginnasio realizzò la statua di Apollo, contestualizzandola architettonicamente in una nicchia. Ancora in quell’anno, nel quale i bombasari e i pittori si staccarono dalla più ampia corporazione bolognese che accoglieva al suo interno un maggior numero di arti, figurava tra i trenta componenti del consiglio, carica che avrebbe conservato anche dopo la sua partenza per Roma e almeno fino al giugno 1576 (Ojetti, 1915).

Postillandone la biografia nelle Vite di Baglione (1642, p. 99), Bellori riferisce che prima della partenza per Roma il Mascherino era stato al servizio del duca di Urbino, attività relativa verosimilmente a casa Serafini nella capitale del Ducato, datata al 1573, a una chiesa ovale a Camerino, condotta nel 1574 presumibilmente come collaboratore del Vignola, e forse alla villa Mirafiori di Pesaro.

Tra le più importanti commissioni eseguite in patria figura la villa che il potente cardinale Filippo Guastavillani, nipote per parte di madre di Gregorio XIII e già senatore di Bologna nel 1572, volle che fosse realizzata a Barbiano, nei dintorni della città.

L’attribuzione del progetto al Mascherino, datato al 1574 (Matteucci Armandi - Righini, 2000), è attestata dai numerosi disegni conservati nel fondo omonimo, sebbene non sia finora confermata da alcuna fonte documentaria. Sarebbe stato poi Tommaso Martelli a dirigerne i lavori di realizzazione, ricondotti in tono minore rispetto al progetto originario – tributario nell’impianto agli insegnamenti di Serlio e di Palladio –, ma è possibile che Nonni tornasse a più riprese per supervisionare l’esecuzione della villa anche dopo la sua partenza per Roma, eseguendovi ancora qualche affresco (Negro, 1990).

Poco chiaro è invece il ruolo ricoperto nella costruzione del palazzo di Achille Bocchi a Bologna, la cui direzione sembrerebbe essere stata affidata dal 1545 al Vignola in stretta collaborazione con il suo committente, sebbene successivamente interrotta.

I disegni autografi del palazzo, conservati sempre nel Fondo Mascarino, sono in via ipotetica datati alla metà degli anni Sessanta, quando si suppone che Nonni fosse al servizio di Romeo Bocchi, cugino di Achille (Jacopo Barozzi …, 2002), o, diversamente, come nel caso di altre fabbriche bolognesi, possono essere considerati frutto di un ‘ripensamento’ del progetto, messo a punto intorno alla metà degli anni Ottanta, sulla scorta delle esperienze dirette e del bagaglio figurativo cumulati durante gli anni del suo soggiorno romano (Wasserman, 1966). Nell’ambito dei lavori bolognesi ricadono quelli condotti nel 1576 su commissione di Giacomo Boncompagni, figlio naturale di Gregorio XIII, nel palazzo di famiglia a lui donato dal papa, e nella sua villa a San Lazzaro di Savena, mentre sembrerebbero essergli estranei i più tardi progetti per casa Facchinetti e per le abbazie di S. Stefano e di Musiano finora a lui attribuiti ancora sulla base dei disegni di studio eseguiti per tali fabbriche e conservati nel citato fondo (Lenzi, 1987; Ricci, 2011B).

Nel 1574 era sicuramente a Roma, dove aveva condotto la moglie Domenica de Pinis, senese, nata nel 1543 e sposata intorno al 1566, come indicato nel suo testamento (Moretti, 2009), con la quale risulta abitare in Borgo nella casa in via ‘del Mascherino’, insieme ai figli e ad alcuni nipoti, probabilmente figli del fratello Giulio Cesare (Cascioli, 1925). Il trasferimento nella capitale pontificia potrebbe essere stato graduale, se fino al 1576 il Mascherino continuò, come sembrerebbe, a supervisionare i propri cantieri in patria, sedendo nel consiglio dei pittori e bombasari. Divenne definitivo verso la fine di quello stesso anno: il 29 dicembre 1576, infatti, pagava «l’introito» (Ojetti, 1913, p. 66) all’Università dei pittori di Roma, affiliazione riservata ai soli domiciliati stabilmente in città, e l’anno successivo vendeva per procura la casa paterna in via S. Isaia, rinunciando in tal modo definitivamente alla propria residenza bolognese (Id., 1913; 1915).

Determinante per il suo arrivo a Roma fu sicuramente la protezione accordatagli da Filippo Guastavillani, che dal 1573 – ancor prima del conferimento della porpora ricevuta nel 1574 e ottenuta subito dopo il cugino, l’altro cardinal nepote Filippo Boncompagni, figlio di un fratello di Gregorio XIII – avrebbe assunto le più alte cariche dello Stato, diventando ben presto secondo, nella stima e nell’affetto del papa, solo al figlio Giacomo (Pasqualoni, 2010). Per Guastavillani, a Roma e nel territorio tuscolano, il Mascherino eseguì, forse fra il 1578 e il 1580, il progetto non realizzato per la residenza suburbana che il cardinale avrebbe voluto costruire per sé a Frascati, luogo di villeggiatura prediletto dal pontefice, che vi si recava spesso nella villa Mondragone, ospite del cardinal Marco Sittico Altemps.

I disegni di rilievo del palazzo in piazza Rondanini, poi divenuto Aldobrandini, residenza romana dal 1585 dei due cardinal nepoti (Sickel, 2006), conservati nel Fondo Mascarino, attestano che a quella data e fino alla loro scomparsa Nonni era ancora al servizio di Guastavillani.

Sempre nell’ambito della committenza Boncompagni-Guastavillani è compreso il progetto per la sistemazione del palazzo al foro Traiano già appartenuto alla famiglie bolognesi Zambeccari prima e Mantachetti poi, acquisito nel 1575 dai due cardinali, ceduto nel 1580 al cugino Giacomo Boncompagni, e da quest’ultimo venduto nel 1585 al cardinale Michele Bonelli, detto l’Alessandrino.

I disegni relativi al progetto di ampliamento del palazzo conservati nel Fondo Mascarino, riferiti all’epoca sia della proprietà Guastavillani-Boncompagni sia di quella Bonelli, sono attribuiti in parte a Martino Longhi il Vecchio e in parte al Mascherino, entrambi sicuramente chiamati a far parte dell’impresa dai rispettivi proprietari, per quanto al momento ne rimanga ancora incerta sia la cronologia sia la sicura assegnazione (Cicconi, 2008).

È plausibile dunque che il Mascherino, anche a causa della fine della collaborazione con il Vignola, scomparso nel luglio 1573, fosse giunto a Roma al seguito e su chiamata di Filippo Guastavillani, nel momento in cui a quest’ultimo si apriva la via di una brillante e fulminea carriera ecclesiastica e dopo che il papa aveva concentrato nelle mani del nipote, proprio nel 1573, la gestione diretta e la responsabilità dei lavori di tutte le fabbriche vaticane; fu probabilmente il futuro cardinale a introdurre direttamente Ottaviano alla corte pontificia nella duplice veste di pittore e architetto già sperimentata in patria e a impiegarlo immediatamente nei cantieri di propria pertinenza. Già un anno dopo il suo arrivo infatti, risulta impegnato insieme al conterraneo Lorenzo Sabatini – soprintendente delle imprese pittoriche gregoriane – e sotto la sua direzione, nella decorazione della volta della sala Bologna nel palazzo apostolico, che il papa aveva voluto realizzare in occasione del giubileo del 1575 quale manifesto della propria politica e a glorificazione della sua città natale. Nella monumentale corografia del contado bolognese eseguita da Sabatini e aiuti sulla parete ovest della sala, tra le poche ville qui raffigurate e scelte tra le cento indicate poi da Egnazio Danti nei suoi scritti, figurano le residenze suburbane Guastavillani e Boncompagni (in costruzione e indicata da una rosa dei venti), entrambe riferite al Mascherino (Ricci 2011B).

Dall’inizio del 1574 Martino Longhi il Vecchio, nominato architetto pontificio nel dicembre 1573, dirigeva i lavori di completamento della seconda ala (nord) del palazzo Vaticano affacciata sul cortile di S. Damaso, costituita da tre piani con loggiati poggianti su di un piano terreno porticato, affiancato nell’impresa, forse dallo stesso Mascherino, i cui disegni sono ora nel fondo omonimo. Dopo aver probabilmente ideato la prospettiva illusionistica della prima loggia, dipinta insieme ai fratelli Matthijs e Paul Brill, e – secondo Danti – la quadratura della volta della sala Bologna al terzo piano, con l’architettura della finta loggia che supporta la cosmografia celeste di Sabatini al centro di questa, nel 1578 Nonni subentrò a Longhi nell’incarico di architetto pontificio, ereditandone, oltre che la provvigione (che avrebbe continuato a ricevere fino al 1585), la responsabilità dei lavori nel palazzo Vaticano.

In quegli anni l’attività di pittore continuava ad alternarsi con quella di architetto: da maggio ad agosto 1578, morto Sabatini nel 1576 e succedutogli il figlio Mario, fu nominato in sua vece soprintendente dei lavori di pittura nelle due sale dei Foconi, figurando tra i pittori «provisionati» insieme a Girolamo Muziano (Ackerman, 1954, p. 103). A causa di una malattia della vista – come affermano sia Danti (1583) sia Mancini (1617-21) – dovette poi abbandonare definitivamente la pittura, passando a Muziano nel 1580 il testimone del coordinamento degli artisti impiegati nella decorazione della lunghissima terza loggia dell’ala occidentale del cortile del Belvedere da lui appena realizzata (Ackerman, 1954), la galleria delle carte geografiche, ricordata anche da Baglione (1642) e così detta dalla presenza delle monumentali corografie di tutta Italia, mentre la direzione del relativo programma iconografico veniva contemporaneamente affidata dal pontefice a Egnazio Danti. Come parte integrante del medesimo progetto, che comprendeva la galleria e il contiguo appartamento papale, dal 1578 al 1580, insieme a Danti, Mascherino realizzò la torre dei Venti, altissima e slanciata costruzione a terrazze e logge insistente sul nuovo appartamento papale e comunicante con la galleria, il cui nome derivava dall’anemografo che Danti vi installò per misurare i venti. A impresa quasi compiuta, nell’aprile 1580 Ottaviano divenne membro della congregazione di S. Giuseppe di Terrasanta, o dei Virtuosi al Pantheon. Dal 1582 al 1585 avviò la ricostruzione della chiesa di S. Marta, contigua alla tribuna di S. Pietro (distrutta nel 1530) e realizzò infine la loggia orientale del Belvedere, chiudendo con tale incarico la sua significativa attività nei cantieri vaticani. L’altra grande impresa realizzata per papa Boncompagni fu sicuramente il palazzo sul Quirinale, considerato uno dei monumenti chiave per l’avvio del barocco romano (Wasserman, 1963).

Nell’area già appartenuta al cardinale Ippolito d’Este e scelta da Gregorio XIII quale residenza estiva, dal 1583, inglobando la costruzione preesistente, il Mascherino progettò una vera e propria villa suburbana nella quale il pontefice potesse continuare a svolgere le proprie funzioni, consistente in un edificio affacciato su un cortile centrale, con impianto simmetrico e loggiato sovrastato da una torre, incastrato tra due corte ali laterali e isolato dai giardini, unica parte effettivamente realizzata. La scala elicoidale interna, a pianta ellittica, con colonne binate e balaustra in travertino, gli valse il giudizio positivo di Danti (1583) e di Baglione (1642, p. 99) – «e vi pose quella bellissima scala a chiocciola, che se altro mai non havesse fatto, questa solo il renderebbe immortale» – sancendone la successiva fortuna critica.

L’avvento al soglio di Pietro di Sisto V nel 1585 segnò il passaggio di consegne dell’incarico di architetto pontificio a Domenico Fontana. È forse riferito a quel momento di disgrazia professionale l’esodo a Siena, patria della moglie e di Giulio Mancini, dove secondo quest’ultimo risiedette alcuni anni per ristabilirsi dagli affanni economici che lo avevano investito, e dove probabilmente i due strinsero più forti legami personali, testimoniati, tra l’altro dalle molte informazioni sulla vita di artisti date da Nonni al medico senese per la redazione delle sue Considerazioni sulla pittura (1617-21). Solo dopo l’elezione del bolognese Innocenzo XI, chiusa la lunga parentesi Fontana, nell’ottobre 1591 il Mascherino sarebbe stato nominato nuovamente architetto dei Sacri palazzi apostolici, mandato che tuttavia avrebbe seguito le sorti del brevissimo pontificato Facchinetti, venendo revocato nel marzo 1592, subito dopo l’avvio del pontificato di Clemente VIII, ancora in favore di Fontana.

Ma nonostante le alterne fortune, la fama conquistata durante il pontificato Boncompagni e la frequentazione della corte pontificia avevano aperto al Mascherino le porte di una più che illustre committenza. Inoltre, quanto realizzato fino a quel momento gli valse l’encomio del primo architetto di Roma, annotato nel proprio diario da monsignor Cosimo Giustino nell’aprile 1593, secondo il quale Giacomo Della Porta aveva affermato che i più valenti architetti della città fossero Francesco Capriani da Volterra e il Mascherino (Hibbard, 1967). Proprio a Francesco da Volterra Nonni subentrò nel 1594 come architetto dell’Università dei pittori di Roma, occupandosi da quella data e fino alla morte dei lavori di ricostruzione della chiesa di S. Martina al foro Romano, dedicata anche a S. Luca dopo il 1588 in seguito alla cessione dell’edificio sacro alla corporazione.

Scomparsi i cardinali Boncompagni e Guastavillani rispettivamente nel 1586 e nel 1587, e revocata ogni carica di Stato a Giacomo Boncompagni – dai quali aveva ottenuto nel 1586 la commissione per il monumento funebre di Gregorio XIII – Mascherino avviò nel 1587 una collaborazione stabile con la congregazione dell’ospedale di S. Spirito in Sassia, limitata alla manutenzione degli stabili di sua proprietà e alla costruzione del fronte continuo delle casette in linea su via dei Penitenzieri (Colonna, 2009) – diversamente da quanto a lungo ritenuto sulla scorta di Baglione che gli attribuiva la facciata della chiesa e il palazzo del S. Spirito – mentre a Manziana, feudo degli abati commendatari della congregazione, ridisegnò la piazza e gli edifici baronali affacciati su questa, la chiesa di S. Giovanni Battista e altri fabbricati minori. Più lunga e continuativa – durata 18 anni, come Nonni stesso dichiarò nel testamento – fu l’attività svolta per il vescovo Fantino Petrignani di Amelia, conosciuto negli anni della sua militanza in Vaticano, essendo stato quest’ultimo dal 1574 maestro di casa del pontefice, e dal 1576 prefetto dei Sacri palazzi apostolici. Per i Petrignani Ottaviano si occupò delle proprietà nel feudo amerino – restaurando il palazzo di Bartolomeo, fratello di Fantino, e progettando il convento di S. Elisabetta – e a Roma della chiesa di S. Salvatore in Campo, nonché dal 1591 fino alla morte del vescovo (1600), della sistemazione del contiguo palazzo di famiglia (già Santacroce, poi del Monte di Pietà), ricordato anche da Baglione e rimasto comunque incompiuto (Moretti, 2009). La rovina della scala di quest’ultimo gli comportò i ‘travagli’ che ne amareggiarono gli ultimi anni di vita, non compromettendone tuttavia l’ormai raggiunta notorietà (Mancini, 1617-21).

Cospicuo è il numero dei progetti romani allestiti dal Mascherino per palazzi, casini ed edifici ecclesiastici. Tra i palazzi vanno ricordati quello realizzato su commissione di monsignor Alessandro Ginnasi alle Botteghe Oscure, palazzo Verospi al Corso – a lui attribuito sulla base dei disegni esistenti nel fondo omonimo – e lo scomparso palazzo Albero, tutti datati probabilmente al 1585, con i quali si rinnovò il tradizionale tipo di palazzo cinquecentesco romano, anticipando gli sviluppi delle ricerche linguistiche successive. Tra le chiese, il caso che maggiormente contribuì alla diffusione della sua fama, da Baglione in poi, è costituito da S. Salvatore in Lauro, ricostruita su suo progetto a partire dal 1592 dopo un devastante incendio, ma compiuta successivamente con il contributo di diversi architetti (Gandolfi, 1989-90). Nell’uso della doppia colonna libera della navata, di matrice michelangiolesca, il Mascherino si richiamò a esempi classici, introducendo a Roma gli esiti delle ricerche condotte dai Tibaldi nell’Italia settentrionale e aprendo alle suggestioni plastiche barocche. Bisogna ricordare inoltre la chiesa di S. Maria in Traspontina, ancora citata da Baglione, della quale divenne architetto dal 1581 succedendo a Sallustio Peruzzi e che sarebbe stata successivamente compiuta dall’allievo Francesco Peparelli, e quella dei Ss. Giovanni e Petronio della nazione bolognese, costruita su suo progetto a partire dal 1582, alla quale fu aggiunto l’oratorio nel 1597. Rimane controversa l’attribuzione di S. Caterina della Rota, sulla base dei disegni esistenti nel fondo dell’ Accademia di S. Luca. Sempre in relazione alla esistenza di disegni è ascritta al Mascherino la paternità della cappella Solano Della Vetera in S. Caterina dei Funari, mentre è pressoché certa quella della cappella commissionatagli dai banchieri Bandini nel 1580 a  S. Silvestro al Quirinale, contigua alla vigna di loro proprietà.

Tra i molti progetti romani non realizzati devono essere ricordati quelli per S. Pietro, per la loggia dei negozianti di Gregorio XIII e per lo Spirito Santo dei napoletani (tutti redatti tra il 1584 e il 1585); tra quelli allestiti in alcune località dello Stato pontificio, i disegni per la nuova cattedrale di Frascati datati al 1598, su commissione del vescovo e cardinale Tolomeo Gallio, per il quale il Mascherino aveva progettato a Roma intorno al 1592 il riattamento del palazzo ora Giraud Torlonia di cui Gallio era affittuario, e forse dopo il 1597 la Madonna della Scala e l’annesso convento dei Carmelitani Scalzi (ricordati da Baglione) – essendo il cardinale protettore della casa Pia affiliata alla chiesa –, oltre che, forse, la villa tuscolana poi appartenuta ai Torlonia, succedendo in entrambi i casi a Capriani.

Entrato almeno nel 1599 a far parte dell’Arciconfraternita della Ss. Trinità dei Pellegrini, per la quale svolse piccoli incarichi, negli ultimi anni della vita fu impegnato attivamente per l’Università dei pittori nel delicato momento della sua trasformazione da corporazione in accademia. All’interno di tale istituzione rivestì nel 1602 l’incarico di secondo rettore, divenendone principe nel 1604, in concomitanza con la ripresa dei lavori di costruzione della chiesa di S. Luca da lui diretti, dove avrebbe disposto di essere sepolto, in una cappella da lui progettata, insieme all’amico Tommaso Laureti conosciuto a Bologna.

Morì a Roma il 6 agosto 1606, senza eredi diretti, indicando nell’epitaffio da lui stesso compilato il cognome «Dei Nonni» (Bertolotti, 1886).

Nelle sue disposizioni testamentarie, rese esecutive da Antiveduto Gramatica al quale lasciò i suoi strumenti da disegno, affidò l’esecuzione del proprio ritratto a Lavinia Fontana e donò all’accademia tutti i disegni di architettura e di figura e i libri in suo possesso (compreso il manoscritto della Prospettiva pratica del Vignola), destinati a rappresentare il nucleo fondativo della collezione di disegni e della biblioteca della prima istituzione artistica con finalità didattiche, che di lì a breve avrebbe costituito il modello di ‘accademia’ a scala europea.

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