NOMENCLATURA

Enciclopedia Italiana (1934)

NOMENCLATURA

Primo DORELLO
Fabrizio CORTESI
Alfredo QUARTAROLI
Maria PIAZZA
Michele GORTANI
Alessandro GHIGI
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Guido VERNONI

. Ogni scienza si è venuta costituendo, secondo i bisogni ognora crescenti, una serie di termini speciali per designare, in modo da non dare luogo a confusioni, non soltanto i soggetti del suo studio, ma anche i loro caratteri, il loro comportarsi, ecc. Naturalmente, quando il numero delle voci speciali da creare erano numerose, e spesso numerosissime, come per i 300 mila composti organici, si cerco di stabilire delle regole, dettate da un certo sistema. Delle nomenclature di alcune discipline, per le quali si è pervenuti ad accordi precisi di carattere generale, si dà breve notizia qui appresso.

Anatomia.

Nei popoli più antichi le prime conoscenze anatomiche scaturirono dall'osservazione delle ferite riportate nei combattimenti e dalla descrizione di queste ferite nacque una rudimentale nomenclatura anatomica, la quale fu essenzialmente topografica. Per poter parlare di una vera nomenclatura anatomica, dobbiamo arrivare a Celso e a Galeno: il primo usò una nomenclatura tratta dalla lingua latina e greca: il secondo scrisse in greco e usò esclusivamente vocaboli greci, di molti dei quali sopravvive ancora la radice. Le opere di Galeno fecero testo per tutto il Medioevo, tuttavia il linguaggio anatomico si arricchì di nuove parole prese specialmente dall'arabo (salvatella, saphena, nucha, ecc.); si ebbe così un'infiltrazione di barbarismi. A. Vesalio, il grande riformatore dell'anatomia, che mise in luce gli errori di Galeno, scrisse le sue opere in latino, ma adoperò pure parole greche latinizzandole e vocaboli barbari, dando loro una veste greca. Dopo il Vesalio, a mano a mano che l'anatomia si arricchiva di nuovi fatti, furono di necessità creati pure nuovi nomi presi dalla lingua greca o dalla latina; questi nuovi nomi furono troppo spesso di cattivo gusto e talora o errati nella forma o nella sostanza. La terminazione -ideus, che così frequentemente ricorre nella nomenclatura anatomica, fu introdotta da Giacomo Dubois (Iacobus Sylvius), latinizzando la terminazione greca -είδειος. La terminazione -ides dal greco -ειδής, fu introdotta da C. Bauhin per indicare una somiglianza, ma dopo lui fu adoperata per un ufficio del tutto diverso. La confusione crebbe quando nel sec. XIX si abbandonò dagli stranieri la secolare abitudine di scrivere in latino le opere scientifiche e si adottò la lingua nativa, introducendo nuovi vocaboli più o meno appropriati. Basta dare uno sguardo alla nomenclatura dei muscoli per rilevare quanto siano stati variabili i criterî, con i quali fu loro assegnato il nome: infatti per alcuni muscoli si seguì il criterio della forma usando le denominazioni: quadrato, triangolare, rotondo, ecc., non sempre adeguate: per altri si tenne conto della situazione, denominandoli, a seconda della regione da essi occupata, glutei, pettorali, temporali, ecc., o dell'osso con il quale contraevano più stretti rapporti (muscolo tibiale, ulnare, radiale); altre denominazioni ebbero una base fisiologica (flessorî, adduttorî, rotatorî, ecc.) o anche psicologica (della tristezza, della gioia, dell'attenzione); vi fu chi volle dare ai muscoli un nome che ne indicasse l'origine e l'inserzione (sternocleidomastoideo), ma questa idea incontrò poco favore per la soverchia lunghezza dei nomi: vi sono finalmente alcune denominazioni, delle quali non si può dare una soddisfacente spiegazione (muscolo pettineo, splenio). I difetti capitali di questa nomenclatura si possono ridurre a tre: improprietà delle denominazioni, pluralità dei nomi di uno stesso organo, assegnazione dello stesso nome a organi diversi.

Contro la grande confusione esistente nella nomenclatura, l'anatomico di Vienna J. Hyrtl levò nel 1880 la sua autorevole parola, pubblicando l'Onomatologia anatomica, con la quale si dimostrava che molte denominazioni erano errate o nella forma o nella sostanza. La Società anatomica tedesca, nella sua riunione annuale tenuta a Berlino nel 1889, nominò una commissione, alla quale parteciparono pure anatomici di altri paesi, con l'incarico di correggere e unificare la nomenclatura anatomica; relatore ne fu nominato W. Krause. La commissione cominciò con lo stabilire i criterî fondamentali con i quali doveva condurre i suoi lavori e che furono i seguenti: adoperare denominazioni latine rettamente ortografiche; mantenere per quanto era possibile i nomi consacrati dall'uso; assegnare a ogni parte del corpo un solo nome e quando i nomi erano molteplici dare la preferenza al più breve; usare la terminazione -ideus al posto della -ides non declinabile; ridurre al minimo i nomi personali per evitare discussioni sulla priorità di una scoperta anatomica. Dopo sei anni furono comunicati i risultati nella riunione tenuta dalla Società anatomica a Basilea e gli stessi risultati furono pubblicati nell'Arch. f. Anat. u. Physiol. (Anat. Abt.), 1895. La nuova nomenclatura fu chiamata Nomenclatura Anatomica di Basilea e indicata con la sigla B. N. A. Questa nomenclatura, subito accettata in Germania e usata nei trattati pubblicati in tedesco, ebbe favorevole accoglienza pure in altri paesi. Non si debbono però passare sotto silenzio le critiche di cui fu oggetto. Alcune critiche furono d'indole radicale, come quella che propose di sostituire alla lingua latina la greca col pretesto che questa era ancora vivente. Altre critiche si limitarono a rilevare la mancanza di alcuni nomi e le improprietà di altri. Molte deficienze furono messe in luce da H. Triepel, il quale nel convegno della Società anatomica tenuto a Berlino nel 1908 propose una revisione della B. N. A.

Botanica.

L'opera di Linneo, d'importanza eccezionale perché ha gettato i fondamenti della sistematica e quindi della nomenclatura binomia moderna degli esseri viventi, non poteva essere più sufficiente in seguito al grande sviluppo raggiunto dagli studî di sistematica e di floristica dopo la seconda metà del sec. XVIII; era necessario coordinare secondo basi e principî bene stabiliti il lavoro degli studiosi e dei ricercatori, in modo che in tutte le pubblicazioni venisse usato un linguaggio comune per evitare incresciose confusioni. Dopo parecchi tentativi assolutamente negativi, per codificare la nomenclatura botanica, si riuscì nel Congresso botanico internazionale tenuto a Parigi nel 1867 a discutere una raccolta di leggi della nomenclatura botanica, che costituiva un vero codice, preparato con grande cura e competenza da A.-L.-P. de Candolle, uno dei più insigni sistematici di quel tempo.

Questo codice non fu da tutti accettato; pure ha costituito la base della maggior parte dei lavori di botanica sistematica e ha reso grandi servigi alla scienza. Le sue lacune e i suoi difetti sono numerosi, primo fra tutti la mancanza di una data precisa che servisse come punto di partenza per la nomenclatura botanica moderna. I gruppi vegetali secondo il codice di Parigi venivano così stabiliti nella loro subordinazione: Regnum vegetabile; Divisio; Subdivisio; Classis; Subclassis; Cohors; Subcohors; Ordo (familia); Subordo; Tribus; Subtribus; Genus; Subgenus; Sectio; Subsectio; Species; Subspecies (Proles); Varietas; Subvarietas; Variatio; Subvariatio; Planta. Lo stesso De Candolle, riconoscendo la manchevolezza delle leggi da lui proposte, nel 1883 pubblicò una serie di correzioni e aggiunte nel suo lavoro Nouvelles remarques sur la nomenclature botanique (Ginevra 1883).

Tuttavia molti autori ne interpretavano alcuni articoli in modo personale e la confusione divenne generale quando, nel 1891, Otto Kuntze pubblicò la sua Revisio generum plantarum. In questa sua opera egli prendeva come punto di partenza, per la nomenclatura dei generi, la 1ª ediz. del Systema plantarum di Linneo (1735) e con criterî molto discutibili, a proposito della priorità, accettando anche molti nomi prelinneani, proponeva il cambiamento di oltre 30.000 nomi di piante, creando una copiosa sinonimia, che non solo avrebbe terribilmente ingombrato le opere botaniche, ma avrebbe generato grandi inconvenienti.

Nel Congresso internazionale botanico di Genova del 1892 fu ripresa in esame la questione attraverso una relazione di Paul Ascherson, la quale rappresentava la coordinazione delle idee su tale problema dei sistematici tedeschi, idee alle quali avevano aderito numerosi botanici d'ogni parte del mondo. La discussione nei riguardi del punto di partenza per la priorità dei nomi fu molto vivace. L'accordo fu fatto sulla base che, tanto per i generi quanto per le specie, l'unica data di priorità è l'anno 1753, in cui fu pubblicata la 1ª ediz. delle Species plantarum di Linneo ed escludendo dalla priorità i nomi generici creati, dopo Linneo, da autori che non hanno accettato la nomenclatura binomia. Fu poi deferito allo studio di una commissione, costituita da trenta sistematici d'ogni paese (per l'Italia T. Caruel) l'elenco di quei generi che, pur non obbedendo alla legge di priorità, dovessero essere conservati o perché universalmente conosciuti o perché molto ricchi di specie.

Però il lavoro di emendamento delle regole di nomenclatura compiuto a Genova per la sua parzialità non poteva dare utili risultati. La revisione completa delle leggi della nomenclatura botanica fu compiuta nel congresso tenuto a Vienna nel 1905, attraverso il diligente lavoro di una commissione internazionale; la necessaria opera di coordinazione e di elaborazione del testo definitivo fu affidata a un comitato di personalità come C. Flahault, A. B. Rendle, H. Harms e J. Briquet. Le leggi della nomenclatura botanica stabilite a Vienna riguardano principalmente le piante vascolari (riservando a successivi congressi lo studio delle questioni relative alle Crittogame e alle piante fossili) e sono distinte in quattro capitoli e disciplinate da principî, regole e raccomandazioni.

Il principio fondamentale è di badare alla fissità dei nomi, di evitare o di respingere l'uso di forme o di nomi che possono produrre errori, equivoci o generare confusioni e di evitare la creazione di nomi inutili. I gruppi botanici sono così stabiliti: Regnum vegetabile; Divisio; Subdivisio; Ordo; Subordo; Familia; Subfamilia; Tribus; Subtribus; Genus; Subgenus; sectio; Subsectio; Species; Subspecies; Varietas; Subvarietas; Forma; Individuum; e, come si vede da quanto è sopra indicato, differiscono in parte da quelli del codice di Parigi.

La nomenclatura botanica comincia con la 1ª ed. dell'opera Species plantarum di Linneo (1753) per tutte le piante vascolari e si è deciso di riferire ai generi che figurano in quest'opera le descrizioni che ne sono state date nella 5ª ed. del libro Genera plantarum (1754). Nondimeno, per evitare - in seguito alla stretta applicazione del principio di priorità - un cambiamento nella nomenclatura dei generi destinato a non portare nessun vantaggio, fu decisa la conservazione dei nomi di molti generi, riuniti in un elenco pubblicato in appendice alle leggi. Questi nomi sono quelli il cui uso è stato generale nel cinquantennio successivo alla loro pubblicazione o che sono stati utilizzati nelle monografie o nelle grandi opere floristiche fino al 1890. Secondo questa revisione i nomi da conservarsi sono 405, mentre quelli da respingersi arrivano a 591. Inoltre nei riguardi della priorità sono validi solo i nomi pubblicati corredati di una descrizione che valga a far riconoscere la pianta o il gruppo di piante al quale il nome si riferisce: la pubblicazione risulta dalla vendita o dalla distribuzione al pubblico di stampati o di autografie indelebili ed è valida anche quando si tratti di exsiccata le cui etichette però portino diagnosi stampate o autografate. Però dal 1° gennaio 1908 solo la data di pubblicazione della diagnosi latina ha valore nelle questioni di priorità.

Una questione che ha suscitato molte discussioni è stata la grafia dei nomi specifici, a proposito dell'uso dell'iniziale maiuscola o minuscola. Venne deciso di scrivere tutti i nomi specifici con la minuscola, eccettuati quelli derivati da persone, paesi, città, ecc., e a questa norma si è uniformata anche la nomenclatura botanica usata nell'Enciclopedia Italiana. Per evitare arbitrarie modificazioni, le regole della nomenclatura botanica stabilita a Vienna, non possono essere modificate che da studiosi competenti in Congressi internazionali da convocarsi appositamente.

Bibl.: Nuovo giornale botanico italiano, II (1870); A. De Candolle, Nouvelles remarques sur la nomenclature botanique, Ginevra 1883; O. Kuntze, Revisio generum plantarum, Lipsia 1891; P. Ascherson, Rapport sur la question de la nomenclature e discussione relativa, in Atti del Congresso botanico internazionale di Genova del 1892, Genova 1893; Texte synoptique des documents destinés à servir de base aux débats du Congrés international de nomenclature botanique de Vienne (1915), redatto da J. Briquet; Actes du Congrès international de Botanique de Vienne (1905), Jena 1906; Règles internationales de la nomenclature botanique adoptées par le Congrès int. de botanique de Vienne (1905) et publiées par J. Briquet, Jena 1906.

Chimica.

La nomenclatura chimica è un complesso di regole convenzionali per indicare i nomi delle innumerevoli sostanze oggi note, in base alla composizione chimica. Una nomenclatura ideale dovrebbe stabilire una relazione biunivoca fra nome e formula sì da potere passare dall'uno all'altra senza ambiguità. Questo obiettivo non è perfettamente raggiunto dalla nomenclatura attuale dei composti inorganici che è sorta e s'è sviluppata senza un piano regolatore mentre d'altra parte non si è sentita la necessità impellente di demolirla e crearne una nuova; neppure è raggiunto dalla nomenclatura dei composti organici per la difficoltà intrinseca del problema.

Composti inorganici. - La nomenclatura dei composti inorganici non si scosta molto, nelle sue linee fondamentali, da quella ideata nel sec. XVIII da A.-L. Lavoisier, L.-B. Guyton di Morveau, C.-L. Berthollet e A.-F. Fourcroy. In seguito nuovi complementi sono stati apportati dalla teoria dualistica di Berzelius, che pure essendo stata abbandonata da oltre un secolo, ha lasciato tracce in certe denominazioni ancora usate specie nella chimica applicata e in farmacia. Quando p. es. i composti K2SO4, KHCO3, CO2 vengono impropriamente chiamati solfato di potassa, bicarbonato di potassa, acido carbonico, anziché solfato di potassio, carbonato acido di potassio, anidride carbonica, s'usano appunto nomi dualistici.

Nulla v'è da osservare sul nome degli elementi: l'origine di quelli noti dall'antichità è talora oscura; quelli scoperti in tempi recenti traggono il loro nome o da qualche proprietà, o dai loro minerali, o dalla patria dello scopritore, ecc.

Per ciò che riguarda i composti binarî (formati cioè da due elementi), il tipo più comune è rappresentato dalla combinazione d'un metallo con un metalloide. Si segue in tale caso la regola di dare il suffisso -uro al nome del metalloide, facendo poi seguire il nome del metallo: es. NaCl cloruro di sodio, K2S solfuro di potassio. Le combinazioni dell'idrogeno si dicono idruri; del carbonio carburi; dell'ossigeno ossidi se con metalli, anidridi se con metalloidi.

Se si uniscono due metalloidi, si applica il suffisso -uro a quello che ha proprietà metalloidiche più spiccate: es. CS2 solfuro di carbonio, SCl2 cloruro di solfo. Non v'è regola per le combinazioni fra metalli che si designano solo con la formula.

Se due elementi formano varie combinazioni, diversi sono i criterî per designarle. P. es., prendiamo i composti HgCl, HgCl2; FeCl2, FeCl3. Comunemente si chiamano rispettivamente cloruro mercuroso, cloruro mercurico; cloruro ferroso, cloruro ferrico. Cioè al nome aggettivato del metallo si mette il suffisso -oso quando è unito al minimo di metalloide, -ico quando è unito al massimo. Secondo un criterio più antiquato i detti composti si possono chiamare anche rispettivamente mono- e bicloruro di mercurio; bi- e tricloruro di ferro: tale criterio ha il vantaggio d'una più perfetta corrispondenza tra formula e nome. Infine, supposto di ordinare i composti come sopra, si possono usare i nomi proto- e deutocloruro di mercurio; proto- e deutocloruro di ferro.

Criterî analoghi s'adoperano per ossidi e anidridi. Per gli ossidi s'usa talora il prefisso sesqui- per indicare il rapporto 2 : 3 fra atomi del metallo e quelli di ossigeno (p. es., Fe2O3 sesquiossido di ferro), il prefisso bi- per indicare il rapporto 1 : 2 (es., MnO2 biossido di manganese). Il nome di perossido è dato a ossidi con speciali proprietà chimiche. Le anidridi possono essere talora numerose e allora s'introducono anche i prefissi ipo- e per- allo scopo di indicare un minimo o un massimo di ossigeno. P. es., Cl2O, Cl2O3, Cl2O5, Cl2O7, si chiamano rispettivamente anidride ipoclorosa, clorosa, clorica, perclorica.

Certi elementi dànno con l'ossigeno combinazioni che con l'acqua formano basi e altre che formano acidi: non è perciò da meravigliarsi se, pure appartenendo allo stesso elemento, le prime si dicano ossidi e le seconde anidridi. P. es., i composti MnO, Mn2O3, MnO3, Mn2O7 si chiamano rispettivamente ossido manganoso, ossido manganico, anidride manganica, anidride permanganica. Pure ossidi si chiamano i composti che con l'acqua non dànno né basi né acidi: es., CO ossido di carbonio, N2O protossido d'azoto, NO ossido d'azoto.

Gli acidi non ossigenati hanno la desinenza -idrico (es., HCl acido cloridrico). Quelli ossigenati prendono lo stesso nome dell'anidride corrispondente: p. es., HClO, HClO2, HClO3, HClO4, provenienti dalle sopraddette anidridi del cloro, si chiamano rispettivamente acido ipocloroso, cloroso, clorico, perclorico. Se un'anidride dà varî acidi unendosi con diverse quantità di acqua si premette il prefisso orto- al più ricco in acqua, meta- al più povero; p. es., H4SiO4, H2SiO3 si chiamano acido ortosilicico e metasilicico; se sono più di due si provvede con criterî empirici variabili.

Per le basi (unione di metalli o certi radicali con l'ossidrile OH) s'usa il termine "idrato" seguito dal nome del metallo, o radicale: per es., KOH idrato potassico; NH4OH idrato ammonico, Fe (OH)2 idrato ferroso; Fe(OH)3 idrato ferrico.

I sali degli acidi non ossigenati rientrano nella nomenclatura dei composti binarî. Quelli di acidi ossigenati s'indicano sostituendo al suffisso -ico il sufisso -ato; al suffisso -oso quello -ico facendo seguire il nome del metallo: es., KClO, KClO2, KClO3, KClO4 si chiamano ipoclorito, clorito, clorato, perclorato di potassio; HgNO3 e Hg(NO3)2 nitrato mercuroso e nitrato mercurico.

I sali acidi si designano come i neutri con l'aggiunta dell'appellativo acido: p. es., KHSO4 solfato acido di potassio. I termini bisolfato, bicarbonato, ecc., ancora usati, sono di origine dualistica. Se i sali acidi sono diversi si designa il numero degli atomi metallici che hanno sostituito l'idrogeno: p. es., KH2PO4, K2HPO4 e il sale neutro K3PO4 si chiamano fosfato mono-, bi-, tripotassico. Non ci si può dilungare sulla nomenclatura di sali complessi, per la quale d'altra parte non vi sono regole sistematiche.

Composti organici. - La nomenclatura dei composti organici presenta gravi difficoltà. Nel periodo che corre dall'introduzione delle formule strutturali al 1892, epoca del congresso di Ginevra, s'è andato sviluppando col progredire della chimica organica un sistema di nomenclatura che per molto tempo ha assolto in modo abbastanza soddisfacente al suo compito, dal punto di vista sia scientifico sia didattico. Ma con la scoperta di nuovi numerosi composti e di nuovi tipi di composti sono sorte gravi difficoltà che s'è cercato di risolvere caso per caso con criterî varî. È avvenuto che moltissimi composti si potevano designare con varî nomi e specialmente difficoltosa era la compilazione di elenchi e indici in trattati e in cataloghi.

Prima del congresso di Ginevra i criterî generali di nomenclatura si potevano per sommi capi riassumere così: s'era anzitutto riconosciuta l'opportunità di riferire le diverse categorie dei composti organici agli idrocarburi e quindi s'era fondata una nomenclatura di questi. Gl'idrocarburi saturi si designarono con la desinenza in -ano, assegnando ai primi quattro nomi empirici e deducendo gli altri nomi dal numero d'atomi di carbonio presenti espresso in greco (pentano, esano, eptano, ecc.). I radicali alchilici furono nominati sostituendo aila desinenza in -ano quella in -ile (es. metile, etile, ecc.). Gl'isomeri dei composti normali, con catene più o meno ramificate, si consideravano, per formare il nome, derivati dall'idrocarburo corrispondente alla catena più lunga per sostituzione di radicali alchilici. La posizione dei radicali si fissava numerando gli atomi della catena principale. Per gl'idrocarburi con un doppio legame si sostituì al suffisso -ano che si adoperava per i corrispondenti saturi il suffisso -ilene. Per gl'idrocarburi con triplo legame o con varî legami multipli non essendo stata precisata alcuna regola vennero usati nomi empirici.

Gl'idrocarburi aromatici si riferirono al benzolo di cui si numerarono gli atomi per precisare la posizione dei sostituenti. Nel caso speciale di derivati bisostituiti s'usarono i prefissi orto-, meta- e para- per individuare le posizioni 1,2; 1,3; 1,4; pei derivati trisostituiti con radicali uguali s'usarono gli aggettivi vicinale, simmetrico, asimmetrico per designare le posizioni 1, 2, 3; 1, 3, 5; 1, 2, 4.

Si definì il radicale arilico C6H5 fenile e alcuni idrocarburi si riferirono a idrocarburi saturi con sostituenti aromatici, ad es. CH(C6H5)3 trifenilmetano.

Si definirono con nomi empirici i principali idrocarburi aromatici condensati (naftalina, antracene, ecc.), i composti eterociclici più tipici (piridina, pirrolo, furano, tiofene, ecc.), alcuni ureidi e diureidi fondamentali (es., urea, guanidina, purina, ecc.), i principali zuccheri; si riferirono i terpeni al cimolo, ecc.

La posizione dei gruppi sostituenti per solito si precisò con numeri arabi; quando v'era però una funzione di particolare importanza (p. es., la acida) s'indicarono con α, β, γ . . . gli atomi di C a 1, 2, 3, . . . posti di distanza dalla funzione. Tale criterio fu seguito, p. es., per gli ossiacidi. Pure con α, β s'indicò nella naftalina la posizione vicina e lontana dagli atomi centrici; con α, β la posizione vicina e lontana al gruppo HN del pirrolo, mentre con -n- s'indicò la sostituzione dell'idrogeno dell'immino.

Le ammine si considerarono derivate da NH3 per sostituzione di radicali alchilici, le poliammine si riferirono agl'idrocarburi corrispondenti, ecc.

Per addivenire a una nomenclatura unica internazionale ed eliminare gl'inconvenienti varî presentati dalla molteplicità dei criterî si tenne a Ginevra nel 1892 un congresso internazionale al quale intervennero 34 chimici autorizzati da 9 stati europei. In tale congresso s'elaborò un sistema di nomenclatura abbastanza completo dei composti alifatici; fu soltanto accennato ai composti aromatici ed eterociclici.

Il nome degl'idrocarburi saturi a catena normale non fu modificato. Si deliberò di riferire quelli ramificati alla catena più lunga e d'indicare con numeri arabi la posizione dei sostituenti; p. es.:

S'indicarono gli alcoli col suffisso -olo; le aldeidi col suffisso -al, i chetoni col suffisso -one, gli acidi col suffisso -oico. Es., CH4 metano, H•CH2OH metanolo, H•CHO metanal, H•COOH acido metanoico, CH3•CO•CH3 propanone. Tale regola si poteva applicare anche ai composti con varie funzioni uguali o diverse: p. es., CH2OH•CHOH•CH2OH propantriol, CH2OH•CHO etanolal, ecc.

Per rimediare alle questioni rimaste insolute nel congresso di Ginevra e agl'inconvenienti che l'applicazione del sistema aveva messo in evidenza, l'unione internazionale di chimica nominò nel 1922 un comitato composto di redattori o di direttori dei più importanti periodici di chimica (per l'Italia ne fecero parte prima E. Paternò e poi M. Betti). Il comitato tenne diverse riunioni fino al 1926 a Parigi, poi nel 1927 a Varsavia, nel 1929 a L'Aia e nel 1930 a Liegi. In quest'ultima riunione il comitato deliberò all'unanimità tutta una serie di norme, che non è possibile qui riportare, ma che si trovano integralmente nel Bulletin de la Société Chimique de France, XLIX (1931), p. 1016. Il comitato non ha modificato profondamente le norme proposte a Ginevra, ma le ha piuttosto completate, specie nel campo dei composti aromatici ed eterociclici. Il compito era anche semplificato dal fatto che non v'era più la preoccupazione che la nomenclatura dovesse servire a elenchi e indici; la questione del sistema da tenersi per gl'indici era già stata ammirevolmente risolta nelle edizioni del grande trattato di Beilstein successive al 1918 e i criterî seguiti furono pure adottati per gl'indici degl'importanti periodici d'uso mondiale Chemical Abstracts e Chemiches Zentralblatt.

Fra le norme d'indole più generale adottate dalla commissione si ricordano le seguenti: non si assegna nessuna regola di nomenclatura dei composti di costituzione non completamente nota; si mantengono i nomi degl'idrocarburi saturi o alcani; i composti con un doppio legame (alcheni) prendono il suffisso -ene; con due doppî legami (alcadieni) -diene, ecc. È proposto il suffisso -ine per gl'idrocarburi con triplo legame (alchini) e -diine per quelli con due tripli legami, ecc.

Gl'idrocarburi aliciclici si denominano come quelli saturi, col prefisso ciclo. Gl'idrocarburi aromatici s'indicano col suffisso -ene (es., benzene), la denominazione e posizione dei sostituenti con numeri. I radicali monovalenti ottenuti togliendo un idrogeno da idrocarburi saturi prendono il suffisso -ile, quelli bivalenti (per sottrazione di 2H) -ilidene, quelli trivalenti -ilidine. I radicali di composti aromatici ottenuti togliendo un H dal nucleo prendono il suffisso -ile; quelli ottenuti togliendo un H da una catena laterale vengono considerati come radicali alchilici sostituiti (p. es., C6H5CH2 fenilmetile). Vengono mantenuti i suffissi -olo, -al, -ene, -oico, per alcoli, aldeidi, chetoni, acidi. I dichetoni, trichetoni, ecc., si chiamano dioni, trioni, ecc. Seguono poi disposizioni particolareggiate pei composti eterociclici. Per quelli contenenti nell'anello NH, il suffisso -ina è sostituito con -inium e -olo con -olium (così, p. es., la piridina si chiama piridinium, il pirrolo pirrolium).

L'ossigeno di una catena chiusa (es., ossido di etilene) è indicato col prefisso epossi-. Si mantengono varî nomi empirici di composti importanti e ammettenti numerosi derivati come urea, guanidina, purina, ecc.

Pei composti a funzione mista si dà il suffisso della funzione che si considera principale e con opportuni prefissi s'indicano le altre. Per es gli acidi s'indicano con -oico come suffisso, con carbossi- come prefisso; gli alcoli -olo come suffisso, idrossi- come prefisso; le aldeidi -al come suffisso, aldo- come prefisso, ecc.; i chetoni -one come suffisso, cheto- come prefisso, ecc. L'ordine dei prefissi è facoltativo.

La numerazione degli atomi della catena principale è fatta con numeri arabi. Il punto di partenza, in caso di ambiguità, si fa dalla funzione principale, da un doppio o triplo legame o da radicali indicati nei prefissi. Gli atomi delle catene laterali s'indicano con lettere ovvero con numeri aventi come indlci o fra parentesi il numero dell'atomo d'attacco nella catena principale. Un catalogo dei sistemi ciclici con la loro numerazione si sta compilando, sotto la direzione di Patterson, dal National Research Council degli Stati Uniti.

Cristallografia.

Nella morfologia dei cristalli (v. cristalli, XI, p. 925 segg.) si dice che cristalli di eguale simmetria formano le classi, classi con determinate condizioni comuni i sistemi, che si uniscono nei tre gruppi mono-, bi- e trimetrico secondo che la faccia fondamentale nei cristalli ad essi appartenenti tagli tre o due parametri eguali o tutti e tre diversi. La nomenclatura dei sistemi, basata su qualche caratteristica morfologica, non presenta notevoli difficoltà benché, oltre i nomi di solito adottati per essi, vi siano dei sinonimi e spesso i due sistemi trigonale ed esagonale siano fusi nell'esagonale.

Maggiore complicazione presenta quella delle classi, che, seguendo lo sviluppo storico della mineralogia, si basò dapprima sui concetti di oloedria e di mereoedria. Oloedrica la classe a maggiore simmetria di ciascun sistema, meroedriche tutte le altre, distinte in emiedriche con forme aventi ½ delle facce delle corrispondenti oloedriche e ulteriormente suddivise in paraemiedriche, con centro di simmetria; antiemiedriche, senza centro ma con piani e assi; e enantioemiedriche, senza centro e piani e con soli assi. Tetartoedriche tutte le forme con ¼ delle facce e suddivise come le emiedriche; infine ogdoedrica, con 1/8 delle facce, una sola classe nell'ipotesi della fusione dei sistemi esagonale e trigonale. Ad esempio, classe oloedrica esagonale, antiemiedrica tetragonale, ecc. Questa nomenclatura, pur non avendo valore scientifico, perché non si può ammettere che un cristallo derivi da un altro per effettiva soppressione di ½, ¼, 1/8, delle facce, ancora oggi è seguita da alcuni mineralogisti per i vantaggi didattici che presenta. In seguito su proposta di E. Fedorov, seguita subito da P. Groth, le classi sono state denominate dalla forma semplice a simbolo generale (cioè con i tre indici diversi e con maggior numero di facce) caratteristica per ogni data simmetria. Così, per es., classe esacistetraedrica, ecc. (v. XI, p. 932). Le classi inoltre sono anche distinte con il nome di un minerale importante, molto diffuso e ben cristallizzato che ne presenti le simmetrie e le forme caratteristiche; così le due precedenti classi si dicono anche classe della fluorite, della blenda, ecc.

Recentemente A. Schönflies ha sostituito una nuova nomenclatura in conseguenza della nuova sistematica delle classi, meglio rispondente al progresso degli studi mineralogici e, in particolare, strutturali. Per la derivazione delle 32 classi egli parte da cinque forme originarie: pedio, di una sola faccia senza alcun elemento di simmetria; tre di due facce: pinacoide con centro, sfenoide con un asse binario, doma con un piano; e infine il prisma di quattro facce con gli elementi di simmetria delle tre ultime forme. Con queste cinque forme ottiene le due classi del triclino e le tre del monoclino per le quali conserva la nomenclatura Fedorov-Groth. Con una ripetizione a ritmo digiro, trigiro, tetragiro, esagiro delle cinque forme originarie, rispettivamente le tre del rombico, cinque del trigonale, cinque del tetragonale, e cinque dell'esagonale. Inoltre spiega la derivazione delle due classi dette anomalie del tetragonale e del trigonale con una ripetizione giroidica, cioè ripetizione di un pedio e di un doma intorno a un asse tetragiro ed esagiro e successiva riflessione rispetto a un piano a esso normale. Le due ultime classi sono aggiunte all'esagonale anche per la forma fondamentale, per la sfaldatura, ecc. Le classi del sistema cubico hanno origine con una ripetizione trigiricotetraedrica delle forme originarie, cioè ripetizione intorno a quattro assi ternarî tetraedricamente disposti. Secondo questa derivazione le classi prendono, ad es., il nome di trigirica pediale, tetragirica prismatica, cubica pinacoidale, ecc., quelle ad asse giroidico rispettivamente tetra ed esagiroide pediale e domatica.

La nomenclatura delle forme secondo questo criterio è stata accettata, sebbene con qualche modificazione, dai migliori mineralogisti e trova il suo naturale compimento nello studio delle strutture poiché anche la nomenclatura dei 230 gruppi spaziali (v. cristalli, XI, p. 952 segg.) può essere fatta senza difficoltà partendo dalle forme originarie.

Geologia.

Ha formato oggetto di speciali convenzioni quella parte della nomenclatura geologica che si riferisce alla geologia stratigrafica, per la quale vigono le norme stabilite nel Congvesso geologico internazionale di Bologna (1881), e che si possono così riassumere.

Gli elementi costitutivi della crosta terrestre sono le masse minerali. Considerate sotto il punto di vista della loro natura, si dicono rocce; considerate sotto il punto di vista della loro origine prendono il nome di formazioni (appunto per riguardo al loro modo di formazione). La parola formazione include l'idea dell'origine e non quella dell'età (si dirà, quindi, formazione eruttiva, sedimentaria, marina, ecc., ma non formazione terziaria o quaternaria). Considerate sotto l'aspetto dell'età, le masse minerali s'indicano col nome di terreni (p. es., terreni antichi, recenti, attuali).

Per indicare i complessi stratigrafici di ordine via via decrescente, si usano rispettivamente i termini: gruppo (1° ordine), sistema (2° ordine), serie (3° ordine), piano (4° ordine), assisa (5° ordine). Per indicare invece i complessi cronologici corrispondenti agli accennati complessi stratigrafici, si usano rispettivamente i termini di era (1° ordine), periodo (2° ordine), epoca (3° ordine), età (4° ordine). S'intende quindi per gruppo il complesso dei terreni formatisi durante un'era (es., era terziaria), per sistema il complesso dei terreni formatisi durante un periodo (es., pliocenico), per serie il complesso dei terreni formatisi durante un'epoca (es., astiana), per piano il complesso dei terreni formatisi durante una età. A suddivisioni ancora più particolari si sogliono dare i nomi di orizzonte o livello stratigrafico, per solito contraddistinti da fossili caratteristici (e si hanno allora le zone).

Le divisioni stratigrafiche e cronologiche di 1° ordine (gruppi, ere) vengono denominate arcaica (o archeozoica, o protozoica), paleo-, meso-, ceno- e neozoica con nomi derivati dal greco e universalmente adottati; usati sono per altro ancora i nomi storici di derivazione latina (primaria, secondaria, terziaria e quaternaria) per le ere posteriori all'arcaica. L'accordo è generale, in complesso, anche per le divisioni di 2° ordine (sistemi, periodi), secondo lo schema esposto sotto la voce geologiche, ere; i nomi sono tratti ora dal greco (es., Miocene), ora da particolarità stratigrafiche o litologiche (es., Trias, Cretaceo), ora da termini geografici (es., Permico, Silurico). Si è proposto, ma con scarso successo, di adottare la desinenza -ico per i periodi e -iano per suddivisioni di ordine inferiore. Queste ultime variano da continente a continente, e anche nell'interno di ciascun continente secondo le opportunità e le caratteristiche locali; e questo anche per la difficolta di istituire correlazioni e paralleli in regioni lontane, difficoltà che si fa tanto maggiore quanto più si scende ai particolari.

Per la nomenclatura dei fossili vedi appresso: Zoologia.

Mineralogia e petrografia.

Non esiste un principio generale per la denominazione dei minerali e delle rocce; parecchi nomi derivano dal latino e dal greco e spesso hanno desinenza -ite (ematite, sienite, ecc.). A questa denominazione, per opera specialmente di J. D. Dana, si volevano uniformare tutte le altre, per avere una nomenclatura omogenea,. estensibile anche alle rocce, nelle quali però la terminazione diventava -yte. Il tentativo non riuscì, perché non fu possibile, e forse non sarebbe stato neanche opportuno, cambiare nomi universalmente noti come quarzo, feldspato, granito, ecc. Le denominazioni possone inoltre trarre origine da nomi di persone (nomenclatura introdotta da Werner), dalle dominanti proprietà esterne, dalla composizione chimica, dagli usi, ecc. Gravi e frequenti inconvenienti derivano dal fatto, che a uno stesso minerale, anche in una stessa nazione, vengono assegnati nomi diversi o che la stessa denominazione corrisponde spesso a minerali di composizione diversissima. Inconvenienti più frequenti avvengono nella nomenclatura delle rocce, resa anche più complicata dalla gradualità del passaggio da un tipo di roccia a un altro e quindi dall'esistenza di numerosi tipi intermedî senza caratteri specifici ben differenziati.

Una nomenclatura del tutto nuova per le rocce è stata proposta dai petrografi americani in relazione alla loro classificazione a base. chimica (v. classificazione, X, p. 541). In essa le denominazioni delle classi terminano in -ane, quelle degli ordini, dei ranghi, dei sottoranghi rispettivamente in -are, -ase, -ose; complicata ancora più da numerose altre suddivisioni e, come la classificazione chimica, adottata solo da un ristrettissimo numero di scienziati.

Patologia.

La nomenclatura delle scienze mediche è tra le più imperfette e arbitrarie, e meno suscettibili di appropriate trasformazioni. Questo è soprattutto vero per la nomenclatura delle malattie; mentre per alcuni rami delle scienze mediche - come per esempio l'anatomia normale, che ha per oggetto lo studio di cose ben determinate e sempre meglio conosciute - la nomenclatura ha raggiunto oggi (mercé norme sancite in congressi internazionali, e mercé l'uso di un'unica lingua: la latina) quasi tutta la precisione desiderabile. Ma nel campo medico propriamente detto, non è mai stato possibile stabilire norme precise per la designazione delle malattie e degli stati patologici in generale, per la semplice ragione che della maggior parte di questi fatti o fenomeni noi non conosciamo, o conosciamo troppo poco, le cause, la natura, il significato. Tuttavia, i grandi progressi compiuti nei nostri tempi nel campo dell'etiologia, dell'anatomia patologica, della fisiopatologia, hanno portato con sé corrispondenti notevoli progressi nell'esattezza della nomenclatura medica. Allo stato attuale, i criterî migliori da servire di base a una nomenclatura scientifica medica dovrebbero essere quello etiologico e quello anatomico: la massima precisione di designazione, e cioè la minima facilità di equivoci, si ha tutte le volte che si può denominare una malattia in base alla sede e al tipo delle lesioni e alla causa che le determina. Dicendo per es.: polmonite pneumococcica, peritonite streptococcica, broncopolmonite tubercolare, meningite sifilitica, artrite o uretrite gonococcica, enterite tifica, si adotta una nomenclatura abbastanza soddisfacente, in quanto il suffisso -ite aggiunto al nome dell'organo significa trattarsi di un processo infiammatorio o flogistico dell'organo stesso, e l'aggettivo seguente ne precisa l'agente causale, cioè la natura. Nel caso di processi morbosi non flogistici, si adoperano altri suffissi. La terminazione in -osi nel campo anatomico serve a indicare processi degenerativi semplici (nefrosi in contrapposto a nefrite); ma in genere la si adopera in svariatissimi sensi, p. es., per designare gruppi o categorie di malattie (dermatosi: tutte le malattie cutanee; dermatomicosi: le malattie cutanee da funghi; leishmaniosi: le malattie prodotte dal protozoo leishmania; neurosi: certe affezioni funzionali del sistema nervoso); oppure alterazioni di dubbia natura (poliposi intestinale: formazioni polipose diffuse della mucosa enterica; pneumatosi cistica del mesentere: formazione di cisti gassose). La desinenza in -oma si adotta nel caso di tumori (mioma, sarcoma, epitelioma) o anche di formazioni solo apparentemente tumorali (tubercoloma del cieco: neoformazione infiammatoria - quindi non tumorale - ma di aspetto molto simile a quello dei tumori). Il suffisso -cele (κήλη, tumore) si applica a ernie, precisandone il contenuto (enterocele, meningocele, pneumocele) ma si adopera anche molto diversamente, p. es. in certi versamenti liquidi (idrocele: raccolta di liquido nella vaginale del testicolo oppure in altre condizioni; varicocele: ectasia delle vene del funicolo spermatico).

Il prefisso emo- significa versamento di sangue (emotorace, emoperitoneo, emopericardio). Quando non si vuole precisare in alcun modo la natura dei morbi, ma indicare genericamente tutte le malattie o affezioni di una data sede, si usa il suffisso -patia (cardiopatie, neuropatie, dermopatie).

Per designare determinati disturbi funzionali si usano i seguenti termini: -dinia o -algia significano "dolore" (neuralgia, cefalalgia, mialgia, pleurodinia); dis- significa disturbo funzionale in genere (disfagia, dispepsia, disuria; ma dispnea allude a un particolare disturbo respiratorio).

Le denominazioni sinora riportate sono fondate - più o meno - sopra criterî scientifici e generali. Ma, in un grandissimo numero di casi, i mali vengono designati tuttora con nomi derivati: o dalla tradizione medica (dissenteria, cancro, epilessia, clorosi, cirrosi epatica, tisi, tumore bianco o ascesso freddo, ipocondria, isteria, asma, paraplegia); o dall'uso popolare (carbonchio, miserere, risipola, febbre gialla, morbillo); o dal paese in cui sono stati dapprima riconosciuti (febbre di Malta o mediterranea; bottone del Nilo, di Aleppo, di Biskra; mal francese o napolitano; febbre del Texas; piede di Madura); o dal nome dell'autore o degli autori che primi li descrissero (morbo di Flaiani o di Graves o di Basedow; morbo di Corrigan; morbo di Bright; morbo di Weil; morbo di Banti; morbo di Hodgkin); o dai sintomi dominanti (febbre ondulante; febbre terzana; gozzo esoftalmico). Tutte queste denominazioni, quanto mai arbitrarie, corrispondono spesso, tuttavia, a malattie ben note oggi nella loro natura e cioè ben delimitate nel campo nosologico: così, per es., se si dice "morbo di Bright" si sa benissimo a quale malattia si allude. Molte di queste denominazioni antiche e convenzionali sono comode nell'uso comune, avendo la tradizione dato loro un significato non equivoco.

Zoologia.

La nomenclatura zoologica è binomia e si vale della lingua latina. Essa è una terminologia ben determinata, la quale segue anche oggi i principî formulati dal suo fondatore, lo svedese Carlo Linneo. Ciascuna forma animale è designata con due nomi: il primo è di regola un sostantivo che si riferisce al genere e può essere considerato equivalente al cognome delle persone; il secondo può essere un aggettivo (p. es., Rana esculenta, Lophius piscatorius) ovvero un secondo sostantivo (p. es., Equus caballus, Simia satyrus) o anche un sostantivo al genitivo possessivo per significare la provenienza della specie (Passer italiae, Helix desertorum) o il nome di persona cui la specie è dedicata (Parmacella festai, Equus chapmani). Il nome generico si scrive con lettera iniziale maiuscola; quello specifico con iniziale minuscola; quando quest'ultimo sia nome di persona o di luogo si ammette l'eccezione, tuttavia è preferibile attenersi alla regola perché in tal modo non è possibile dubitare sul valore generico o specifico di un nome. Il nome generico, non seguito da altro nome, si riferisce al complesso delle specie che formano un genere e non deve essere preceduto dall'articolo indicativo, il quale va riservato esclusivamente alla designazione di una specie. Scrivendo Passer si allude a tutte le specie del genere; l'espressione "il Passer" è errata; "un Passer" si riferisce a una specie indeterminata del genere; le espressioni: il Passer italiae, il Passer luteus, indicano in maniera precisa due specie determinate e sono corrette.

Spesso è accaduto che autori diversi abbiano designato con differenti nomi lo stesso animale, o abbiano descritto specie differenti sotto lo stesso nome. A evitare, per quanto è possibile, la confusione derivante da queste inesattezze o per avere un riferimento sicuro a una descrizione determinata è stato stabilito che il nome specifico sia seguito dal nome, intero o abbreviato, dell'autore che primo lo usò.

Si scriverà dunque: Rana esculenta L., in cui L. significa Linneo; Microtus nivalis Mill., in cui Mill. è l'abbreviazione di Miller.

Quando una specie è stata indicata con varî nomi, prevale il più antico e gli altri si considerano come sinonimi. Questa regola è nota sotto il nome di principio di priorità.

L'origine dei sinonimi, specialmente nel primo cinquantennio dopo la riforma linneana, si deve: 1. a insufficiente descrizione, dipendente in parte dall'insufficienza dei mezzi di osservazione; 2. a scarsa conoscenza della bibliografia, e, più tardi, dall'abbandono, nelle diagnosi, della lingua latina, sostituita con lingue generalmente poco note, come il russo, il polacco, lo svedese, ecc.; 3. all'aumentato numero delle forme, così che molte di queste, che prima erano descritte come specifiche, sono state successivamente indicate come generiche. Quando il nome d'autore è posto fra parentesi, s'intende che in origine il nome specifico fu attribuito ad altro genere; per es., il nome del fagiano dorato si scrive Chrysolophus pictus (L.) perché Linneo aveva compreso questa specie nel genere Phasianus. All'applicazione rigida del principio di priorità si deve il mutamento frequente di nomi, che ha colpito in questi ultimi anni anche gli animali più comuni, nei libri di zoologia. La priorità dei nomi trova peraltro un limite nella decima edizione del Systema Naturae di Linneo, pubblicato nel 1758. Al principio di priorità si deve anche la ripetizione non rara dello stesso nome per indicare tanto il genere quanto la specie. Si tratta per solito dei nomi di specie istituite da Linneo, che più tardi furono considerate come tipo di generi diversi. Egli aveva considerato, ad es., il gallo come una specie del genere Phasianus; più tardi il Temminck istituì il genere Gallus e allora Phasianus gallus L. diventò Gallus bankiva Temm. Il principio di priorità abolisce quest'ultimo nome specifico e lo sostituisce con quello più antico datogli da Linneo; d'altra parte il nome generico dato dal Temminck va conservato, onde si conclude che la denominazione corretta è Gallus gallus (L.). Così la volpe si chiama Vulpes vulpes (L.), la starna Perdix perdix (L.), la quaglia Coturnix coturnix (L.), ecc. Si ammette come regola che uno stesso nome generico non possa essere applicato che a un solo genere in tutto il regno animale e un nome specifico a una sola specie dello stesso genere; esistendo più nomi identici, il più antico solo è legittimo, gli altri devono essere mutati. La nomenclatura zoologica è indipendente da quella botanica, tuttavia si deve evitare di introdurre in zoologia nomi generici già usati in botanica.

Il nome delle famiglie si forma aggiungendo la desinenza -idae; quello delle sottofamiglie aggiungendo la desinenza -inae al radicale del nome del genere tipo della famiglia. Così la famiglia delle zanzare, dal genere Culex prende il nome Culicĭdae e si pronuncia accentando l'ultima sillaba del radicale; la sottofamiglia che comprende il genere tipo si chiama Culicīnae accentando la prima sillaba della desinenza.

I progressi della zoologia sistematica e la sperimentazíone genetica hanno messo in evidenza come ciascuna specie sia spesso divisibile in più razze locali o sottospecie o biotipi. Queste differenze subspecifiche si esprimono con una nomenclatura trinomia, per la quale valgono le stesse regole indicate per la binomia; la maggioranza degli ornitologi ha adottato la nomenclatura trinomia; i lepidotterologi sono andati oltre usando spesso quattro nomi, la qual cosa appare esagerata potendosi usare senz' altro il quarto nome con valore subspecifico. Esempio di nomenclatura trinomia: Rana esculenta marmorata Hallowell.

Un nuovo codice della nomenclatura zoologica, redatto per aggiornare coi progressi della zoologia il primitivo codice linneano, comparve nel 1842-1843 a opera di una commissione della quale faceva parte Carlo Darwin, la quale elaborò le regole di Strickland; regole che furono adottate nel 1845 dalla American Society of Geologists and Naturalists e nel 1846 dalla British Association for the advancement of Science.

Le regole relative alla paleontologia furono elaborate dal Douvillé e adottate dal Congresso internazionale di geologia radunatosi a Bologna nel 1888. Nel 1881 la Società zoologica di Francia aveva adottato regole proprie su proposta di Chaper; nel 1885 l'American Ornithologists' Union aveva fissato norme concernenti specialmente l'ornitologia; nel 1894 la Società zoologica tedesca adottò regole su relazione Carus-Doederlein-Moebius e nel 1896 lord Walshingham usò norme speciali nelle pubblicazioni di entomologia fatte dal suo museo particolare.

Tutte queste proposte avevano il torto di contemplare gruppi limitati di animali o di essere soltanto l'espressione di opinioni personali o l'emanazione di società scientifiche le quali agivano per proprio conto. Tale stato di cose era dannoso al progresso scientifico e i fondatori dei congressi zoologici internazionali che hanno avuto luogo periodicamente dal 1889 in poi ritennero che una delle riforme più urgenti fosse l'unificazione delle regole della nomenclatura zoologica, considerando il regno animale nel suo insieme e sotto l'aspetto internazionale. Nel congresso di Parigi (1889) ebbe luogo la prima intesa; a Mosca (1892) fu discusso e approvato un primo gruppo di regole che realizzava un indiscutibile progresso; a Leida (1895) ebbe luogo l'accordo con la Società zoologica tedesca e fu nominata la prima commissione internazionale "con lo scopo di studiare il modo di riunire in un unico e solo codice, con un testo unico redatto in tre lingue (francese, inglese, tedesco) le regole fissate e raccomandate nei differenti paesi e nei diversi idiomi per la denominazione delle forme animali".

Il primo corpo unificato di regole fu approvato dal congresso di Cambridge (1898), perfezionato a Berlino (1901), reso definitivo a Berna nel 1904. Furono allora pubblicate le Regole internazionali della Nomenclatura zoologica, le quali, in seguito all'ammissione della lingua italiana tra quelle ufficiali dei congressi zoologici italiani e all'inclusione di un rappresentante dell'Italia nella Commissione internazionale per la Nomenclatura zoologica, furono pubblicate nel 1914 a Firenze in "edizione ufficiale italiana" a cura di Francesco Saverio Monticelli, Segretario dell'Unione zoologica italiana.

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