FOSCARINI, Nicolò

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 49 (1997)

FOSCARINI, Nicolò

Giuseppe Gullino

, Primogenito del ricco e colto Alvise di Antonio, del ramo a S. Polo, e di Elisabetta Zane di Andrea, nacque a Venezia nel 1442. Di grande rilievo la figura paterna, che seguì con attenzione l'educazione del F., secondo quanto risulta da diverse testimonianze, tra cui quella del Priuli.

Il F. non si rivolse presto alla politica, poiché solo il 31 genn. 1471 assumeva la carica, biennale, di masser alle Monete d'argento; qualche mese più tardi sposava Elisabetta Contarini di Ambrogio di Nicolò, che gli avrebbe dato numerosi figli. Il tirocinio politico si protrasse per un decennio: nel dicembre 1474 prese parte a una fase delle votazioni che portarono all'elezione di Pietro Mocenigo al trono ducale e quasi un anno dopo (20 sett. 1475) entrava auditore delle Sentenze Vecchie; il 14 dic. 1476, infine, era nominato tra i responsabili dei Dieci uffici.

La morte del padre, nell'estate del 1480, significò per lui l'assunzione di nuove responsabilità, e per di più fuori dal recinto delle lagune: il 24 marzo 1483 veniva eletto, insieme con Bartolomeo Vitturi, ambasciatore al duca Renato di Lorena, che i due scortarono da Trento sino a Venezia, dove assunse il comando delle truppe veneziane impegnate nella guerra contro Ferrara. Maggiormente impegnativa la seconda legazione, che venne affidata al F. qualche mese più tardi; stavolta doveva recarsi in Borgogna, presso l'arciduca e futuro imperatore Massimiliano d'Asburgo, per difendere le ragioni della Repubblica contro cui Sisto IV aveva lanciato la scomunica.

In un primo tempo la scelta del Senato era caduta sul malaticcio Nicolò Foscari, nipote del doge (quasi un omonimo del F., la qual cosa non mancò di dar luogo a confusioni e fraintendimenti tra le stesse fonti ufficiali); in seguito alla pronta rinuncia del Foscari fu nominato il F., che ricevette le commissioni il 5 luglio 1483. Esse prevedevano l'appoggio della Repubblica a un concilio per la riforma della Chiesa da convocarsi in Germania, chiaramente in funzione antipontificia, e, sul piano della politica più precisamente italiana, la condanna della spregiudicata condotta del nipote del papa, Gerolamo Riario.

La missione non era delle più facili, ma finì addirittura per rivelarsi ardua; se ne ebbe avvisaglia sin dal viaggio, che fu a dir poco periglioso giacché il F. venne catturato dagli Svizzeri a Vex, presso Sion, in base al ragionamento per cui una scomunica pontificia bastava per annullare non solo l'immunità diplomatica, ma anche il diritto delle genti. Solo dopo l'intervento dell'influente Paolo Pisani, ambasciatore presso l'arciduca d'Austria e soprattutto latore di 1.300 ducati, finalmente offerti dalla Signoria quale unico mezzo per aver ragione della tenacia degli Svizzeri, il F. poté riprendere il cammino. Nata male, la missione non doveva concludersi diversamente: il 1° giugno 1484, mentre il conflitto contro gli Estensi andava verso una conclusione positiva, ma non certo brillante per gli interessi veneziani, il Senato concedeva al F. il sospirato rimpatrio.

A Venezia l'attendeva qualche anno di tranquillità; fu eletto tra i savi di Terraferma per i semestri ottobre 1487-marzo 1488 e poi ancora luglio-dicembre dello stesso anno. Nominato il 22 maggio 1489 avogador di Comun, il 6 giugno rinunciava alla pur prestigiosa carica per accettare quella, senza paragone più scomoda e costosa, di capitano a Brescia, dove fece il suo ingresso il 23 agosto, e dove contribuì all'istituzione del Monte di pietà, i cui capitoli furono approvati il 17 sett. 1490.

Rimpatriato qualche mese dopo, il F. entrava nuovamente a far parte dei savi di Terraferma per il semestre marzo-settembre 1491. Due mesi dopo, l'11 novembre, fu eletto capitano di Famagosta; la carica (detta anche di capitano di Cipro, o del Regno) era di recente istituzione, e affidava in pratica al suo titolare la giurisdizione civile e militare di tutta la parte orientale dell'isola, con l'assistenza di due consiglieri pure veneziani. Per un biennio fu impegnato a mettere ordine nella Camera fiscale e a organizzare l'attività della guarnigione permanente che la Signoria aveva stanziato in quel presidio: è possibile tuttavia che la particolare sensibilità dimostrata dal F. verso la sicurezza di Cipro e l'efficienza delle sue strutture economiche sia riconducibile all'esistenza di personali interessi.

Riuscì comunque a far abilmente convivere pubblico servizio e affari personali, dal momento che, una volta rimpatriato, i concittadini non mancarono di manifestargli la loro stima eleggendolo subito, per la quarta volta, savio di Terraferma nel primo semestre del 1494. Dopo di che, a probabile conferma del perdurare degli interessi commerciali che il F. deteneva nel settore marittimo, il 18 sett. 1494 accettava l'elezione a capitano di Candia, l'altro grande possedimento veneziano nel Levante. Anche stavolta si fermò nell'isola per due anni, occupandosi soprattutto dei problemi doganali inerenti al commercio del vino con gli Inglesi, che ne erano i principali consumatori.

Nell'ottobre del 1496 era già a Venezia, a ricoprire l'alta carica di consigliere ducale per il sestiere di San Polo; senonché l'eccezionale congiuntura che la Repubblica e l'intera penisola stavano attraversando finì per far convergere sul F. una somma di importanti compiti: nel gennaio 1497 era infatti eletto capitano a Verona e, di lì a pochi giorni, provveditore in campo contro i Francesi, con riserva del rettorato.

Gian Giacomo Trivulzio era infatti passato all'offensiva e la Signoria aveva ordinato a Niccolò Orsini, conte di Pitigliano, che comandava le truppe venete, di muovere contro lo schieramento francese: di qui la nomina del F., che ebbe per collega A. Zancani. Entrambi - c'informa il Sanuto nei suoi Diari - accettarono di buon grado, sicché partirono per la Lombardia pochi giorni dopo la nomina, il 5 febbr. 1497. Si recarono anzitutto a Brescia, dove li attendeva il Pitigliano col quale si portarono a Milano per conferire col duca Ludovico il Moro, e di lì al campo, presso Alessandria, dove giunsero il 17 febbraio.

La campagna - se così può essere definita - si ridusse in realtà a una serie di pressioni, di manovre militari, tutt'al più di brevi scaramucce o di svelti colpi di mano, laddove il vero e impegnativo compito del F. fu di provvedere ai rifornimenti delle milizie e - soprattutto - di intavolare col nemico quelle trattative che sfociarono nella tregua fissata in Asti circa due mesi dopo, il 15 aprile.

Il 14 maggio 1497 toccò al F., come più giovane rispetto allo Zancani, riferire in Senato sul compito espletato. Il F. espose senza mezzi termini le difficoltà, le angustie, financo le umiliazioni incontrate nel dover comandare soldatesche riottose all'ubbidienza perché non pagate.

A Venezia, presso la sua famiglia e per gli affari, il F. si trattenne solo venti giorni, poi raggiunse la sede veronese, giusto in tempo per accogliervi la marchesa di Mantova e, qualche mese più tardi, all'inizio di settembre, l'ex regina di Cipro, Caterina, che si recava a Brescia per visitare il fratello Giorgio Corner, podestà della città lombarda. In dicembre il F. dovette lasciare Verona per una breve missione diplomatica a Torino, presso il nuovo duca Filiberto II di Savoia.

A Verona il F. trascorse abbastanza tranquillamente anche gran parte del 1498, ma si trattò solo di un breve intervallo nel corso di una carriera fatta di incombenze disagevoli, in circostanze che sembravano rivestire perennemente i caratteri dell'emergenza; era infatti appena rimpatriato (lesse la relazione nel Maggior Consiglio il 10 ottobre), quando fu eletto quasi contemporaneamente a due cariche pubbliche: procuratore sopra gli Atti dei sopragastaldi il 9 ottobre e, l'indomani, provveditore in campo presso l'esercito che sosteneva le ragioni di Pisa contro i Fiorentini.

Era un compito difficile in una guerra lunga e impopolare, da cui poco potevano ragionevolmente sperare sia la Repubblica sia gli uomini che la rappresentavano; pure il F. non indugiò a sciogliere la riserva (11 ott. 1498).

Dopo soli cinque giorni egli lasciava la sua città alla volta di Mantova, in compagnia del segretario Alvise Barbafella. Ma non passò in Toscana, poiché i tiepidi sentimenti di Gian Francesco Gonzaga - chiaro preludio dell'imminente passaggio di campo concretizzatosi nell'alleanza con Milano - lo indussero a denunciare gli accordi presi con l'infido condottiero (il Gonzaga era stato designato comandante delle truppe venete) e a riparare a Verona, dove giunse il 9 novembre, mentre gli umori del Senato inclinavano ormai alla pace. Il 27 novembre il F. denunciava ai concittadini "li malli portamenti" del marchese, e rincarava la dose - aggiunge il Sanuto - spiegando icasticamente l'evento col fatto "che non ha consejo de niun se non di rufiani".

Savio del Consiglio per il semestre aprile-settembre 1499, dopo aver rifiutato alcune nomine (provveditore del banco Garzoni, avogador di Comun, ambasciatore in Francia), il 16 sett. 1499 accettava invece la più impegnativa elezione a provveditore in campo nella guerra che vedeva la Repubblica alleata alla Francia contro Ludovico il Moro.

Il 18 settembre il F. lasciava Venezia alla volta di Padova, donde giungeva a Cremona il 23; lì si fermò, mentre il conflitto si avviava rapidamente a conclusione, in assenza di battaglie. Il F. rimase a Cremona, allora annessa allo Stato marciano (ne avrebbe fatto parte solo per pochi anni), a varare i primi e più necessari provvedimenti, affiancato più tardi (febbraio 1500) da Domenico Trevisan.

Il 21 nov. 1500 il F. lasciava la città per assumere il capitanato di Padova, al quale era stato eletto l'8 novembre e dove faceva il suo ingresso il giorno 23.

Qui rimase sino al febbraio 1502, impegnato a presenziare a lauree, a imporre ai sudditi, giustamente riottosi, le cattive monete che la Signoria aveva coniato nelle emergenze della perdurante infelice guerra contro i Turchi, e soprattutto ad assicurare allo Stato, contro le mire dei congiunti, la ricchissima eredità del cardinale e vescovo di Padova Giovan Battista Zen, morto nel maggio 1501.

Al termine del mandato il F. otteneva la carica di savio del Consiglio per il semestre aprile-settembre 1502, ma a giugno optava per quella di consigliere ducale per il sestiere di San Polo; l'11 febbr. 1503 entrava quindi a far parte della zonta del Consiglio dei dieci. Era ormai pervenuto ai vertici dello Stato, ma fallì puntualmente (20 dic. 1502, 4 agosto e 5 sett. 1503, 5 maggio 1504, 16 giugno 1505) la nomina a procuratore di S. Marco de ultra, che pure suo padre aveva conseguito, scontando forse una scarsa propensione alle pratiche del broglio. Era però ancora abbastanza giovane per non disperare del futuro, sicché, mentre ricopriva per la seconda volta il saviato del Consiglio (luglio-dicembre 1503), il 9 novembre accettava la nomina a provveditore in Romagna, subentrando nell'elezione al rinunciatario Giorgio Emo.

Il 12 era già a Ravenna, poi si recò subito a Faenza, di cui ottenne la resa e la dedizione nel giro di una settimana. La costruzione del Valentino si disfaceva senza che il suo artefice potesse porvi riparo, e Venezia ne raccoglieva l'eredità con minimo sforzo, semplicemente facendosi avanti con le soldatesche del Pitigliano. Il 28 novembre il F. e il collega Cristoforo Moro muovevano all'assalto di Sant'Arcangelo, ostacolati solo dalla neve e dalle proteste della Santa Sede. La missione del F. durò appena quaranta giorni; il 23 dic. 1503 era nuovamente in patria, recando con sé un modellino della rocca di Faenza, realizzato dall'ingegnere Ludovico da Imola con la supervisione del Pitigliano. Il 30 dicembre fece in Senato una splendida relazione, concreta e precisa, su come rafforzare le strutture militari della Romagna e conquistarsi la fiducia dei nuovi sudditi.

Non si riposò troppo a lungo, neppure stavolta: il 25 marzo 1504 faceva parte della zonta del Consiglio dei dieci quando fu eletto savio del Consiglio per il semestre aprile-settembre; trascorso il mandato riprese il suo posto nella zonta e il 1° febbr. 1505 entrò nel novero dei consiglieri ducali, per il sestiere di San Polo. Questo rapido susseguirsi di incarichi venne interrotto da un compito più gravoso, quello cioè di far parte della fastosa ambasceria (formata da ben otto tra i principali patrizi) che doveva recarsi a Roma presso Giulio II, al quale la Repubblica avrebbe offerto, per l'occasione, la restituzione di undici castelli della Romagna, ma non le tanto agognate Faenza e Rimini. I Veneziani fecero il loro ingresso a Roma il 28 aprile e il 5 maggio vennero ricevuti dal pontefice; l'orazione latina fu tenuta da Girolamo Donà.

Il 24 maggio il F. riprendeva il suo posto fra i consiglieri ducali; fu quindi rieletto savio del Consiglio per il periodo aprile-settembre 1506, durante il quale si dimostrò disposto a favorire l'imperatore Massimiliano piuttosto che i Francesi, ma senza troppo successo.

Morì a Venezia il 13 dic. 1506.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia veneta 19: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patrizi veneti…, III, c. 541; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3782: G. Priuli, Pretiosi frutti…, II, cc. 40v-41r; Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun. Balla d'oro, reg. 164, c. 166r; Indici, 86 ter, 2: G. Giomo, Indice dei matrimoni patrizi per nome di donna, s.v.Contarini, Elisabetta; Segretario alle Voci. Misti, regg. 6, cc. 8r, 16v, 27v, 59r, 80r, 91r, 130v-131r, 132rv, 141r; 7, cc. 1v-2r, 8r; 15, c. 121v; Segr. alle Voci. Elez. Pregadi, reg. "A", cc. 1r, 2r, 55r, 74r; Maggior Consiglio. Deliberazioni, regg. 23: Regina, c. 150v; 24: Stella, cc. 148rv, 198v; Senato. Terra, regg. 8, c. 195v; 9, cc. 8v, 42r, 84r; 10, cc. 68v, 104v; 11, cc. 15r, 62v e passim; Senato. Mar, regg. 13, c. 44r e passim; 14, cc. 29v, 31v, 47r, 181v; Senato. Deliberazioni. Secreta, regg. 31, cc. 6v, 22v, 38v-39v, 41r; 32, cc. 95r, 102r; 33, cc. 119r, 131r-138r, 157r; 34, cc. 19r, 23r, 101v, 223v; 35, c. 15r e passim; Capi del Consiglio dei dieci. Lettere di rettori, b. 80, nn. 24-32 (per il capitanato di Padova, nel 1501-1502). Vedi inoltre: I. Burchardi Liber notarum, a cura di E. Celani, in Rerum Ital. Script., 2a ed., XXXII, 1, vol. II, pp. 479 ss.; D. Malipiero, Annali veneti, in Arch. stor. ital., VII (1843), 1, pp. 283, 290, 484, 487, 516 s., 531, 536, 545 s., 551, 565; VII (1844), 2, p. 626; M. Sanuto, I diarii, I-VI, Venezia 1879-1881, ad Ind.; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, VI, Venezia 1903, p. 70; N. Machiavelli, Legazioni e commissarie, II, a cura di S. Bertelli, Milano 1971, pp. 348, 360, 388. Cfr. ancora: M.A. Sabellico, Historiae rerum Venetarum…, in Degl'istorici delle cose veneziane…, I, 2, Venezia 1718, pp. 844, 858; P. Bembo, Rerum Venetarum historiae, ibid., II, ibid. 1718, pp. 110, 130, 148, 223 s., 233; F. Guicciardini, Storia d'Italia, a cura di C. Panigada, II, Bari 1929, pp. 218-223; C. Castellani, La stampa in Venezia dalla sua origine alla morte di Aldo Manuzio seniore…, Venezia 1889, pp. 80 s.; M.L. King, Umanesimo e patriziato a Venezia nel Quattrocento, I, Roma 1989, pp. 39 s.

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