NICOLA PISANO

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1997)

NICOLA PISANO

M. Wundram

Scultore attivo in Italia nella seconda metà del 13° secolo.L'opera di N. ebbe nell'ambito della scultura un ruolo altrettanto incisivo di quello che, una generazione più tardi, Giotto rivestì per la pittura: l'immagine dell'uomo e la realtà del suo ambiente terreno divennero, in una misura fino ad allora sconosciuta al Medioevo, degni di essere rappresentati; le tematiche neotestamentarie giunsero a rispecchiare i sentimenti umani con più forza di quanto non si fosse verificato in precedenza, a partire dalla fine dell'Antichità. L'avvento di N. segnò un'umanizzazione dell'arte, che fu ripresa, al principio del Trecento, proprio da Giotto, seguace di N. nel senso più profondo del termine.Le date relative alla vita dell'artista e alla sua provenienza sono ricavabili, per quanto in modo approssimativo, dai documenti. Stando alla stipula del contratto per la realizzazione del pulpito del duomo di Siena, da eseguirsi a partire dal 1° marzo 1266 (Nicco Fasola, 1941, pp. 209-214), all'artista venne concesso di far lavorare con sé il figlio Giovanni, sebbene con una paga giornaliera corrispondente a quattro soldi, ovvero di soli due terzi rispetto a quella degli altri due collaboratori, Arnolfo di Cambio e Lapo, e corrispondente alla metà dell'onorario pattuito per lo stesso Nicola. Da ciò si può dedurre che all'epoca Giovanni fosse ancora minorenne. Se si stabilisce quindi per il figlio una data di nascita intorno al 1250, è plausibile con ogni cautela ammettere per N. un anno di nascita intorno al 1225. Nel 1278, in occasione del completamento della fontana Maggiore di Perugia, N. risulta ancora in attività. In un documento del 13 marzo 1284 il figlio viene nominato come quondam magistri Nicholi (Nicco Fasola, 1941, p. 226). Se ne deduce che N. dovette morire tra il 1278 e il 1284.Nell'iscrizione del pulpito del battistero di Pisa, l'artista si firma Nicola Pisanus: egli è dunque, senza dubbio, membro della comunità cittadina di Pisa. La stessa indicazione emerge, in realtà, già in precedenza, nel testamento dello scultore Guidobono Bigarelli, attivo a Lucca, redatto il 5 aprile 1258 (Lucca, Arch. Capitolare, LL. 31, c. 105t; Nicco Fasola, 1941, p. 207), dove N. è infatti citato con l'appellativo di de Pisis. Ciò nonostante, la sua origine non dovette essere toscana: in due documenti relativi al pulpito per il duomo di Siena, N. appare menzionato rispettivamente come Nichola Pietri de Apulia e Nichola de Apulia (Nicco Fasola, 1941, pp. 214-215), circostanza che permette di stabilire un'origine pugliese del maestro, sostenibile anche dal punto di vista stilistico.All'interno di tale quadro cronologico, tracciato a grandi linee, è possibile seguire l'attività di N. attraverso una serie di opere certe. Con il pulpito per il battistero di Pisa, datato al 1260 secondo il computo pisano (al 1259 secondo lo stile comune), il maestro fa il proprio ingresso nella storia e vi entra con tutta l'esperienza di un magistero già pienamente formato e compiuto. Allo stato attuale delle conoscenze mancano testimonianze sicure circa la sua precedente attività, si sia svolta questa in Toscana o in una delle tante, possibili tappe compiute nell'itinerario dall'Italia meridionale verso Pisa. Qui, il 29 settembre 1265, venne stipulato con l'Opera del duomo di Siena il contratto di allogazione del pulpito per lo stesso duomo senese. N. vi assumeva l'impegno di risiedere stabilmente a Siena a partire dal 1° marzo 1266, potendo, tuttavia, ritornare a Pisa quattro volte nell'arco di un anno, ciascuna volta per la durata di due settimane, per adempiere ai suoi obblighi in quella città. La notizia suggerisce l'ipotesi che N. stesse allora lavorando, e forse già da qualche anno, alle sculture del battistero pisano. Il pergamo di Siena era concluso il 6 novembre 1268 (Nicco Fasola, 1941, p. 218). Un altare per la cattedrale di Pistoia, per il quale N. ottenne il contratto nel 1273 (ivi, pp. 220-222), deve considerarsi perduto. Nel 1277-1278, infine, N., affiancato dal figlio Giovanni, che in questa circostanza compare come collaboratore di pari livello, concluse la fontana Maggiore di Perugia, posta nell'od. piazza IV Novembre, al centro della città. La paternità di N., ovvero la sua partecipazione ad altre opere significative, soprattutto l'arca di S. Domenico nell'omonima chiesa bolognese, rimane ipotetica e a tutt'oggi sottoposta al fuoco incrociato di opinioni tra loro controverse.La prima opera assegnabile a N., il pulpito del battistero di Pisa, va considerata a tutti gli effetti un'opera cardine nel panorama della scultura duecentesca europea. L'iscrizione orgogliosamente recita: "Anno milleno bis centum bisq(ue) triceno h(oc) op(us) insingne sculpsit Nicola Pisan(us) laudetur dingne ta(m) bene docta manus". Dimensioni, forma e posizione nello spazio sono elementi già fuori dalla consuetudine. Rispetto ai pergami toscani precedenti, i quali, con alcune rare eccezioni (S. Maria a Fagna; S. Giovanni Maggiore presso Borgo San Lorenzo, nel Mugello), presentavano una forma rettangolare, con un lato addossato alla parete della chiesa, a Pisa venne realizzato un prisma esagonale, libero nello spazio e, nelle sue proporzioni, un'architettura a sé stante inserita nel contesto spaziale. La decorazione scultorea non è subordinata all'articolazione architettonica, quanto piuttosto è quest'ultima ad avere il compito di ritmare il programma decorativo. L'impressione generale è dominata dai cinque grandi rilievi del parapetto, che, a differenza degli esempi significativi più antichi, quali il pergamo di Guglielmo nel duomo di Cagliari (realizzato nel 1159-1162 e fino al 1312 nel duomo di Pisa), o quello di Guido Bigarelli in S. Bartolomeo in Pantano a Pistoia, del 1250 (immediato precedente dell'opera di N.), non si presentano suddivisi in fasce orizzontali di piccolo formato, ma occupano completamente l'intero campo, addirittura vi incombono quasi a volerne superare i confini.La forza delle figure, modellate tridimensionalmente, suggerisce l'ipotesi che N. in precedenza avesse realizzato manufatti scultorei a tutto tondo, ipotesi che del resto trova ulteriore conforto nello sviluppo artistico che a evidenza si compì nel corso della realizzazione del pergamo. L'inizio dovette essere segnato dalla scena dell'Adorazione dei Magi, con pochi monumentali personaggi, in cui, per es., la stessa figura di Maria non potrebbe sollevarsi senza con questo arrivare a superare la cornice superiore del riquadro. Il rapporto fra personaggi e campo in cui ha luogo l'azione trova un suo equilibrio già nella scena della Natività, per giungere, con quelle della Presentazione al Tempio, della Crocifissione e del Giudizio universale, a un progressivo ridimensionamento delle figure. Di pari passo si nota l'introduzione di un numero sempre maggiore di dettagli di carattere narrativo evidenziata da un progressivo annullamento della superficie di fondo.Tutti i rilievi sono contrassegnati da un completo dominio della rappresentazione della figura umana, assolutamente nuovo rispetto al panorama della scultura toscana precedente. Esso non si basa su una diretta osservazione della natura, ma prende le mosse da un approfondito studio dell'Antico. Se è possibile parlare di un 'protorinascimento' in riferimento alla scultura europea del Duecento, lo si deve fare in primo luogo per il pergamo pisano di Nicola. Pisa offriva, in tal senso, un tesoro di opere antiche, in parte ancora oggi conservate nel Camposanto monumentale, che potevano servire da materiale di studio ed effettivamente fra queste è possibile individuare una serie di puntuali riscontri con singole figure del pulpito: la Maria in trono del rilievo con l'Adorazione rimanda alla figura di Fedra nel sarcofago c.d. di Ippolito (ca. 200 d.C.); la figura all'estremità destra nella scena della Presentazione al Tempio ricorda l'uomo vecchio che incede sorretto da un fanciullo ritratto in un cratere neoattico. Tuttavia, N. non deve aver aperto gli occhi sulla scultura classica solo a Pisa, attraverso lo studio dei monumenti ivi conservati, come scrisse Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 59): egli piuttosto già si dovette formare in un ambiente profondamente imbevuto dello spirito della civiltà classica, che, stando anche a quanto più volte nei documenti si legge circa l'origine di N. de Apulia, può essere individuato in quello della corte dell'imperatore Federico II, benché non sia possibile cogliere diretti punti di contatto con la scultura pugliese della prima metà del sec. 13° e non si conoscano, se non a grandi linee, le collezioni di antichità dell'imperatore, successivamente disperse o distrutte. Appare, del resto, molto probabile che, come ha convincentemente dimostrato Seidel (1975), N. abbia conosciuto, durante le tappe del suo viaggio verso il Nord, in Campania e a Roma, opere antiche. In un sarcofago con Ercole del 230 ca. d.C. (Roma, Mus. Naz. Romano) sembra potersi per es. ravvisare un modello per la straordinaria figura nuda dell'Ercole-Fortezza scolpita in uno dei piedritti angolari del pergamo pisano, all'altezza degli archi.L'Antico costituisce ovviamente un fattore stilistico di grande importanza nell'opera di N., ma non è l'unico. Se va ridimensionato il riferimento alla tradizione plastica toscana del tardo sec. 12° e del primo 13°, per converso, giustamente si è sempre più richiamata l'attenzione sugli elementi gotici del suo stile. Essi qualificano soprattutto la decorazione architettonica, come i capitelli a doppio ordine di crochets dei sostegni, alcuni panneggi e le architetture che fungono da sfondo nelle scene della Natività e della Presentazione al Tempio. Non necessariamente ciò autorizza a credere all'idea di un viaggio di N. in Francia: il giovane scultore poteva aver conosciuto forme gotiche e antichizzanti già in ambiente pugliese, per es. a Castel del Monte, e un ulteriore influsso poté esercitare su di lui il cantiere dell'abbazia cistercense di S. Galgano presso Chiusdino, nella Toscana meridionale, attivo già nel 1224. A questa serie di circostanze, di per se stesse sufficienti a giustificare la presenza della componente gotica nell'opera di N., può peraltro aggiungersi, quale tramite, la grande diffusione di manufatti in avorio provenienti dall'Europa settentrionale.La realizzazione tecnica dei dettagli, condotta ad altissimi livelli di virtuosismo nelle capigliature, nella resa delle barbe o delle criniere dei cavalli, per es. nella scena dell'Adorazione, rimanda ancora una volta al forte influsso esercitato dall'arte antica. Contrariamente alle tecniche tradizionali di lavorazione, N. introdusse un uso ben più consistente del trapano. Un precedente in questo senso è rappresentato solo dalle lastre per il fonte battesimale nel S. Frediano di Lucca, scolpite intorno al 1150 da un maestro Roberto.Un ruolo significativo era affidato alla cromia, conservatasi oggi integralmente per quanto concerne il gioco dei differenti tipi di marmo utilizzati, mentre è solo possibile immaginare la decorazione del fondo delle lastre a rilievo, realizzata con tessere vitree policrome (tracce leggibili nel Giudizio universale), come anche la colorazione degli occhi e, probabilmente, dei capelli e degli orli delle vesti delle figure.In generale lo stato di conservazione delle sculture appare buono, anche se sono visibili segni di violazione, in particolare nel rilievo con il Giudizio universale, in cui risultano staccate trenta teste, ma anche in singole figure di altri pannelli, come nei pastori nell'angolo superiore della scena della Natività o nelle zampe dei leoni stilofori.Come è naturale, di fronte a un ciclo di tale vastità ci si interroga tuttora sulle differenze di esecuzione, e dunque sulle parti spettanti ai collaboratori di bottega. In effetti, nella resa di alcuni dettagli sono ravvisabili scadimenti di stile. Ciò vale di certo per la figura seduta alla base della colonna centrale, stilisticamente fiacca, come pure per i personaggi, goffi sotto il profilo anatomico, nella parte destra del rilievo con la Crocifissione. Tra le Virtù, poste nella zona tra capitelli e lastre, la Fede mostra, differenziandosi dal resto delle sculture, un forte carattere bizantineggiante, che tuttavia potrebbe giustificarsi con il ricorso a un modello oggi non più rintracciabile. Nel complesso, comunque, il pulpito si qualifica per unità di stile e di lavorazione, fatto che non consente una suddivisione tra capomaestro e collaboratori di bottega.Il 29 settembre 1265 venne stipulato il contratto per la realizzazione di un pulpito per il duomo della città di Siena tra il rappresentante della Fabbrica del Duomo, fra Melano, e Nicola. Quest'ultimo aveva tempo fino al novembre dello stesso anno per reperire il marmo necessario, si impegnava altresì a prendere la residenza nella città a partire dal 1° marzo 1266 e a portare con sé da Pisa i suoi famuli, Arnolfo e Lapo; inoltre egli poteva avvalersi della collaborazione di un terzo aiuto e di suo figlio Giovanni. N. stesso avrebbe ricevuto un compenso di otto soldi, Arnolfo e Lapo sarebbero stati pagati con sei soldi al giorno, Giovanni con soli quattro, circostanza che, come già si è accennato, suggerisce che quest'ultimo fosse all'epoca ancora minorenne. Il terzo aiuto, non ancora nominato nel contratto, viene più tardi indicato in Donato, fratello di Lapo (Nicco Fasola, 1941, p. 216). Il 6 novembre 1268 il pulpito doveva essere terminato, poiché a quella data N. dichiarava di dover ricevere gli ultimi pagamenti per sé, per suo figlio Giovanni e per i suoi aiuti Arnolfo e Lapo (Nicco Fasola, 1941, p. 218).A prima vista il pulpito del duomo senese appare come una versione arricchita di quello pisano, opera che senza dubbio i committenti avevano imposto a modello. L'esagono pisano a Siena si amplia in un ottagono e di conseguenza si arricchisce anche il programma iconografico: nuovo è l'inserimento della scena con la Strage degli innocenti, mentre quella del Giudizio universale viene suddivisa in due pannelli.Per quanto sia possibile considerare che l'intento fosse semplicemente quello di superare il pulpito precedente, si può anche ritenere che dietro questa scelta della figura ottagona siano da ravvisare riflessioni di tipo iconografico. Se per un verso il numero otto rappresentava nel Medioevo un simbolo di perfezione, d'altro canto già s. Agostino (Enarr. in Psalmos, 6; Forstner, 1961, p. 69ss.) aveva considerato l'ottavo giorno come il giorno del giudizio, l'inizio del nuovo Aion, del nuovo tempo universale, e nella prima metà del sec. 3° Origene (Com. in Ep. s. Pauli ad Romanos; Schrerer, 1957) aveva alluso al mistero dell'ottavo giorno, il mistero del mondo futuro. Il fatto che nel programma iconografico del pulpito sia dato particolare spazio al tema del Giudizio finale potrebbe avvalorare una lettura del genere.La maggiore ricchezza rispetto all'esempio pisano non si limita solamente al passaggio dalla forma esagonale a quella ottagona, ma riguarda anche il programma figurativo. Sul parapetto, gli elementi di raccordo tra i pannelli, a Pisa costituiti da colonnette, vengono sostituiti a Siena da sculture a tutto tondo: la Vergine annunciata, un apostolo, la Vergine stante con il Bambino in braccio, un gruppo di tre angeli, Cristo giudice, il tetramorfo, ancora un altro gruppo di angeli. In luogo di una chiara separazione tra i singoli pannelli si ha l'impressione di una legatura, di un unico fregio figurato che corre lungo tutto il parapetto del pulpito. Infine, la base della colonna centrale non è decorata da una sola figura di sostegno, ma appare circondata dalle personificazioni delle sette Arti liberali e della Filosofia.Lo stile dei rilievi si evolve lungo la linea di sviluppo già indicata per il pulpito pisano. Le dimensioni delle figure vengono ulteriormente ridotte a favore di un arricchimento dell'aspetto narrativo. Il gran numero di personaggi tende a fare scomparire il fondo e la profondità spaziale della rappresentazione supera illusionisticamente la distanza reale misurabile tra la cornice in primo piano e la lastra marmorea del fondo. Nello stesso tempo la disposizione in profondità delle figure, l'una dietro l'altra, cede il posto a una loro collocazione in verticale, ovvero l'una sopra l'altra. Da notare sono inoltre la ricerca di un'accentuazione del movimento, il moltiplicarsi dei piani del rilievo, il contrasto tra lo sfondamento in profondità e l'emergere dal fondo delle figure, quest'ultimo ottenuto non di rado con l'aiuto di aggiunte in marmo. La differenza con il pergamo pisano si avverte particolarmente laddove la composizione, fin nelle singole soluzioni figurate, risulta quasi identica, come per es. nel rilievo con la Natività, l'Annuncio ai pastori, la Lavanda del Bambino e la Visitazione, che qui prende il posto dell'Annunciazione. Le altre rappresentazioni vengono arricchite nel programma iconografico: se a Pisa poche figure monumentali dominano l'Adorazione dei Magi, a Siena occupa quasi per intero il riquadro la scena del loro viaggio, resa con grande dovizia, mentre la stessa Adorazione appare relegata a una minuscola porzione di spazio, nell'angolo superiore destro. Alla Presentazione al Tempio si aggiungono la Visita dei Magi a Erode e la Fuga in Egitto. Nell'insieme si nota nei rilievi un'accentuazione verso destra della direzione del moto, quasi ad accompagnare il passaggio da una scena alla successiva: un espediente che rafforza l'effetto di fregio unico continuo che si svolge lungo l'intero parapetto del pulpito.Modelli antichi sono ravvisabili in gran numero anche nell'opera senese; dal punto di vista stilistico appare meno forte il riferimento al mondo classico, mentre molto più accentuata è la rielaborazione di elementi gotici, particolarmente evidenti nelle architetture di sfondo nelle scene della Natività e della Presentazione al Tempio. È difficile stabilire con chiarezza quanto in questo caso abbiano contato influssi esterni; preponderante dovette essere, piuttosto, un autonomo sviluppo artistico tutto interno all'operato di N.: come a Pisa si differenziano tra loro l'Adorazione dei Magi e il Giudizio universale, così a Siena quest'ultima scena si distingue da quella della Natività. La sequenza dei rilievi di entrambi i pulpiti può intendersi dunque come un ininterrotto mutamento che dal 'protorinascimento' giunge al Tardo Gotico. La cromia dell'opera, come già nell'esempio pisano, si coglie oggi solo attraverso l'uso di materiali diversi, il granito, il porfido e il marmo verde per le colonne; il fondo policromo a piccole tessere in pasta vitrea è visibile solo in alcuni punti.In origine il pulpito si trovava all'angolo tra il transetto e il coro del duomo. Tra il 1481 e il 1518 venne smontato per poi essere ricomposto nell'attuale posizione nel 1543. All'epoca furono aggiunti la base di marmo, l'accesso alle scale e le sfere di marmo sulla parte superiore del parapetto; la sequenza dei leoni e delle figure angolari risulta inoltre modificata. Seidel (1970) ha riconosciuto in un frammento conservato a Berlino (Staatl. Mus.) l'angelo dell'Annunciazione che doveva costituire in origine il pendant della Vergine posta a sinistra della scena della Natività e trovarsi pertanto a destra del rilievo con i dannati.Poiché la tradizione documentaria relativa al pergamo senese ricorda, diversamente che per il pulpito pisano, una serie di collaboratori - tra i quali il figlio di N., Giovanni, e Arnolfo di Cambio, rappresentanti entrambi della nuova generazione -, si sono sempre susseguiti tentativi di individuarvi la mano dei singoli maestri. A tale riguardo sono state fornite le più disparate soluzioni: Coletti (1946-1948) pensò che il vero autore del pulpito fosse Giovanni; la ricerca più recente, al contrario, rivendica a N. l'omogeneità stilistica e concettuale dell'opera. Ciò vale anche per Carli (1943), che pure ha tentato di assegnare singole parti alle mani di Giovanni e di Arnolfo: spetterebbe a quest'ultimo la Presentazione al Tempio e a Giovanni il rilievo con la Strage degli innocenti, che per tecnica, vivacità e volumetria dei corpi si discosta dalle altre scene figurate.L'ultima opera documentata di N. è la fontana Maggiore di Perugia, eretta nella piazza principale della città, tra il duomo e il palazzo dei Priori. Diversamente che nel pulpito di Siena, questa vide, come documenta l'iscrizione, la presenza di N. e del figlio Giovanni in collaborazione alla pari. L'anno in cui le sculture vennero ultimate è attestato dall'iscrizione al 1278, mentre rimane incerto il momento in cui ebbero inizio i lavori. I documenti riportano che alle date del 16 e del 18 agosto 1277 (Perugia, Arch. di Stato, Annali decemvirali, 1276-1277, c. 225r; Nicco Fasola, 1951, p. 57) non era ancora stato deciso in che punto della piazza sarebbe stata collocata la fontana. Il 26 dello stesso mese di agosto venivano pagate due carte (Perugia, Arch. di Stato, Libri della Computisteria, 5, c. 88bis v) su cui fra Bevignate, il responsabile dell'intero progetto (operis structor e per omnia ductor), avrebbe dovuto disegnare la fontana. In precedenza si erano condotti numerosi lavori di tecnica ingegneristica per condurre l'acqua da monte Pacciano fino alla piazza. Se si debba ritenere che N. e suo figlio Giovanni abbiano portato a compimento il vasto programma di statue e rilievi in un così breve lasso di tempo, dal 1277 al 1278, grazie all'aiuto di una numerosa bottega, o se piuttosto si possa pensare che i lavori per il ciclo scultoreo fossero stati avviati già in precedenza, dal 1275 ca., sulla scorta di indicazioni di massima circa l'insieme della struttura architettonica, resta a tutt'oggi un interrogativo aperto, anche in considerazione del fatto che nell'apparato scultoreo è possibile ravvisare differenze dovute all'intervento di mani diverse, ma non è dato cogliere nessuno sviluppo artistico.Malgrado i danni provocati dai terremoti del 1340 e del 1438, la fontana ha nel complesso conservato il suo stato originario. Nel corso di un radicale restauro, negli anni 1948-1949, è stato possibile risistemare, sulla base di un sistema di numerazione, le statue della vasca superiore nella loro originale sequenza e allo stesso tempo ricollocare nell'ordine primitivo del testo l'iscrizione della base. Fontane cittadine di forma poligonale non costituiscono una rarità contandosene numerosi esempi proprio nell'ambito dell'Italia centrale, per es. a Viterbo, a Fabriano, a Narni e a Bevagna. La singolarità sta però nell'intento rappresentativo che caratterizza l'esempio perugino, di cui si deve tener conto per comprendere il tanto discusso significato del programma iconografico. L'impianto generale si basa su una quantità di differenti considerazioni architettoniche. Uno zoccolo circolare riequilibra la pendenza del terreno; al di sopra quattro gradini concentrici portano alla vasca poligonale inferiore. Le figure del cerchio e del poligono sono poste tra loro secondo un interessante rapporto di tensione. All'interno di questa vasca si eleva, su cinquantotto colonne, un altro poligono, di diametro inferiore. Varia pertanto anche il numero dei lati: venticinque per il poligono inferiore e ventitré per quello superiore, così da creare un leggero sfalsamento tra le due vasche. Inoltre, i pannelli della tazza inferiore sono rettilinei, mentre quelli che compongono la superiore presentano un profilo leggermente concavo. La vasca inferiore, infine, è decorata da rilievi, disposti a gruppi di due e separati da sottili colonnine, mentre gli angoli del poligono sono segnati da più forti fasci di colonnine riccamente ornate; al contrario, nella tazza superiore i lati del poligono non presentano alcun tipo di decorazione, mentre i vertici sono sottolineati da statue modellate con accentuata volumetria. Al centro della vasca superiore, sorretta da una colonna, è una coppa in bronzo, sulla quale, a sua volta, si innalza un gruppo, parimenti in bronzo, con tre portatrici d'acqua, in origine sormontato dal gruppo del leone e del grifo.Circa la questione della pertinenza a fra Bevignate del progetto complessivo della struttura, va considerato che nessuna opera, allo stato attuale delle conoscenze, può essergli attribuita direttamente, mentre lo si ritrova sempre citato nel ruolo di ingegnere altamente qualificato. In una struttura così varia e, proprio dal punto di vista artistico, così complessa come la fontana di Perugia sembra forse più logico vedere una creazione di Nicola. I rilievi della vasca inferiore rappresentano figurazioni dei Mesi, le Arti liberali, temi del Vecchio Testamento, Romolo, Remo, Rea Silvia e, infine, il leone e il grifo. Le piccole statue lungo il bordo della vasca superiore impersonano, tra gli altri, santi, personaggi storici e rappresentanti del potere. Gli ambiti spirituale e temporale si fondono tra loro, ma appare predominante l'accento posto sull'orgoglio cittadino. Se si tengono ben presenti poi lo sfarzo senza precedenti e l'ubicazione dell'opera, presso il palazzo Comunale, risulta di fatto inevitabile interpretarla come un monumento in primo luogo rappresentativo proprio di tale orgoglio civico.Naturalmente si è sempre cercato di distinguere le parti autografe di N. da quelle del figlio Giovanni; tuttavia, ogni volta ci si è scontrati con la grande difficoltà rappresentata dal fatto che non si conoscono né un'opera certa dell'ultima fase di N., né tanto meno una precoce di Giovanni. I rilievi della vasca inferiore presentano, in rapporto al loro spessore reale, una ricca gradazione di piani. Nel complesso il ciclo non solo mostra un'accentuata tendenza al bassorilievo rispetto alle scene del pulpito senese, ma realizza anche, nel coinvolgimento del fondo nelle rappresentazioni, un superamento della produzione scultorea contemporanea, assumendo in tal senso un ruolo chiave, altamente significativo anche per gli sviluppi successivi. Certamente è possibile indicare questo fenomeno come caratteristico tanto della fase tarda di N. quanto di quella iniziale di Giovanni, nelle cui opere posteriori il bassorilievo svolge, invece, un ruolo solo marginale. Se nell'ambito dei rilievi risulta poco convincente la distinzione tra le mani di N. e del figlio, la resa delle statue nella vasca superiore, invece, sembra fornire al riguardo maggiori indicazioni. Le figure di S. Pietro, della Chiesa romana e di Ermanno di Sassoferrato, per es., possono essere lette come preludio alle successive opere certe di Giovanni. Si intende che un'attribuzione delle parti risulta più difficile anche per il fatto che a un'opera del genere, condotta in tempi comunque assai ristretti, dovette essere attiva una nutrita bottega, i cui membri, senza per questo nuocere all'unitarietà dell'opera, dovettero inevitabilmente, al pari di quanto era avvenuto per il pulpito del duomo senese, introdurre una serie di varianti nell'esecuzione.Il problema più complesso rappresentato dalle sculture della fontana è quello relativo a paternità, cronologia e originale destinazione del gruppo bronzeo posto a coronamento. La firma sul bordo della coppa, Rubeus me fecit, con la data 1277, dovrebbe alludere al fonditore, ma è difficile stabilire se questi si sia occupato della sola coppa o anche delle figure. Lo stile delle portatrici d'acqua (Perugia, Gall. Naz. dell'Umbria) non appare in contrasto con l'immagine d'insieme fornita dalle altre sculture; tuttavia, una serie di indagini tecnologiche ha potuto stabilire che esse vennero fuse secondo il medesimo procedimento usato a partire da Ghiberti fino a Cellini, lasciando pertanto spazio all'ipotesi che per il gruppo in questione si tratti di una copia più tarda in bronzo di un originale in marmo, oggi perduto (Nicco Fasola, 1951). Molto diverso, sotto il profilo stilistico, appare il gruppo con il leone e il grifo (Perugia, Gall. Naz. dell'Umbria), il cui modellato, ancor più attento a una resa del dettaglio, fa supporre una datazione di alcuni decenni posteriore.Al pari dei due pulpiti di Pisa e di Siena e della fontana Maggiore di Perugia, anche l'arca di S. Domenico, nella chiesa di S. Domenico a Bologna, deve essere considerata fra i cicli scultorei più importanti dell'arte italiana del Duecento. La compartecipazione di N. alla realizzazione di quest'opera è ancora oggi oggetto di dibattito acceso e controverso. Attraverso le fonti è ben circostanziata la vicenda cronologica dell'opera, la cui realizzazione dovette avvenire negli anni tra il 1264 e 1267, mentre per quanto riguarda la paternità esiste solo un documento del primo Quattrocento in cui sono menzionati N. e fra Guglielmo. Poiché i singoli rilievi e le piccole statue mostrano differenze stilistiche considerevoli, è da escludere l'attribuzione dell'opera a un unico maestro. Anche l'ipotesi che N. abbia fornito il progetto generale dell'opera e ne abbia assegnato la realizzazione a suoi collaboratori appare poco credibile se si tiene conto del carattere rappresentativo che essa riveste. È peraltro possibile che N. realizzasse di sua mano alcune parti lasciando il resto dell'impresa a capaci maestri attivi nella sua bottega Tra questi andrebbe indicato in primo luogo Arnolfo di Cambio, la cui collaborazione al pulpito di Siena, stabilita per contratto, iniziò evidentemente in ritardo, visto che l'11 maggio 1266 (Nicco Fasola, 1941, pp. 214-215) N. veniva espressamente esortato a far trasferire Arnolfo a Siena; ciò farebbe pensare che egli potesse essere stato attivo allora a Bologna. Le differenze nella concezione del rilievo, nella realizzazione delle figure e nello stile dei panneggi, come pure nella qualità, sono così lampanti da aver fatto pensare a una squadra di artisti diversi attivi separatamente. La più attenta indagine stilistica sull'arca si deve a Gnudi (1948), che ha avuto il merito di richiamare l'attenzione della critica sul valore di quest'opera. Se tuttavia le sue proposte d'attribuzione di singole parti a determinati artisti possano essere ritenute corrette o meno è questione che difficilmente può trovare risposta definitiva.I rilievi della fronte con l'episodio della Risurrezione di Napoleone Orsini e il Rogo dei libri eretici mostrano uno stile decisamente diverso rispetto alle rappresentazioni del retro con la Leggenda di s. Reginaldo e la Conferma dell'Ordine. Nella parte anteriore le figure sono possenti, emergendo quasi a tutto tondo dalla lastra marmorea. L'effetto di disposizione a scalare in profondità dei personaggi è ottenuto attraverso una sovrapposizione in verticale delle teste. All'interno di questa concezione plastica che accomuna le due raffigurazioni sono già riconoscibili, tuttavia, differenze a livello qualitativo: le snelle figure avvolte in morbidi panneggi appartenenti alla prima scena si contrappongono a quelle di destra, più serrate e poco variate nell'abbigliamento, consentendo di concludere a favore della presenza, all'interno di un unico progetto, di due distinti maestri impegnati nella sua realizzazione. Ancora più profonda è la diversità che si riscontra nei rilievi della parte posteriore: essi non sono sbalzati dal fondo con la stessa intensità, bensì appaiono piuttosto fondersi su un'unica, quasi chiusa e omogenea superficie anteriore. Alla raffinata lavorazione dei panneggi si sostituisce la tendenza verso una resa sommaria che crea, in connessione con le proporzioni tozze, l'impressione di forti volumi. L'artista che realizzò questa parte rinunciò alla disposizione delle teste secondo un ordine di sovrapposizione. In ciascuna delle due scene l'effetto generato in chi osserva è quello di un blocco chiuso in sé. Una posizione intermedia tra le due differenti concezioni del rilievo plastico si riscontra nelle lastre dei lati corti con l'Apparizione degli apostoli Pietro e Paolo e il Miracolo del pane; l'unità del rilievo è leggermente allentata rispetto alle lastre posteriori, con le quali hanno per contro in comune le proporzioni delle figure e le ampie vesti.L'identificazione degli artisti, che evidentemente lavorarono in modo del tutto indipendente, continua a muoversi nel campo delle ipotesi. Non si ritiene si possa peraltro individuare in alcuna parte la mano di Nicola. Le figure che popolano la scena della Risurrezione di Napoleone Orsini sono forse quelle che più delle altre si avvicinano al suo stile, ma anch'esse, se paragonate ai primi rilievi del pulpito del duomo senese all'incirca contemporanei, sono comunque meno ricche nella gamma delle varianti di atteggiamento, di gestualità e di resa del panneggio. Nonostante l'alta qualità, al confronto non può non notarsi un che di stereotipato nella rappresentazione bolognese.Enumerati tra le opere di N. da Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 61), i rilievi dell'architrave e della lunetta del portale sinistro di facciata del duomo di Lucca, il c.d. portale della Croce, in ambito critico sono in realtà oggetto di controversia attributiva. Il rilievo che orna l'architrave, con l'Annunciazione, la Natività e l'Adorazione dei Magi, può essere espunto dal corpus delle opere autografe di N. per il trattamento sommario dei dettagli come anche per l'accostamento in sequenza delle singole scene privo di una visione d'insieme. In questo caso si tratta di uno scultore che ha preso a prestito singoli elementi da entrambi i pulpiti di N., riunendoli insieme in un rilievo continuo.Più complessa è la questione circa l'autore della Deposizione. La scena è magistralmente inserita nel semicerchio della lunetta; l'ampiezza di variazioni nella postura delle figure e nello studio dei panneggi è di altissima qualità. Purtroppo le cattive condizioni di conservazione dell'opera rendono incerta la valutazione, ma può certamente apparire concepibile una sua realizzazione all'interno della bottega di N., nel medesimo periodo in cui si metteva mano al pulpito per il battistero pisano, ovverosia prima del 1259 (Salvini, 1967; Gnudi, 1971).Problemi analoghi si pongono per le figure della decorazione esterna del battistero pisano. Il fatto che N. abbia atteso alla decorazione scultorea del battistero non è mai stato posto in discussione. È certo però che le pessime condizioni in cui versano i pezzi (Pisa, Mus. dell'Opera della Primaziale Pisana) impediscono di fatto una più dettagliata analisi stilistica e con essa il chiarimento della questione attributiva.N. deve essere considerato la personalità di maggiore spicco nel panorama degli scultori italiani del Duecento. Nella recente ricerca, anche se talvolta posta in secondo piano rispetto alla produzione del figlio Giovanni, la sua opera ha dato corpo al più ampio ventaglio di possibilità di lettura. La sua attenzione per l'Antico appare unica all'interno delle diverse espressioni del 'protorinascimento' europeo. I due suoi collaboratori e allievi più significativi - il figlio Giovanni e Arnolfo di Cambio - devono a lui i fondamentali presupposti del loro stile: Arnolfo elevò le componenti antichizzanti dell'opera di N. a principio stilistico costitutivo della sua produzione; Giovanni sviluppò ulteriormente lo stile drammatico del racconto del padre verso una sempre maggiore apertura nei confronti del repertorio formale gotico. Sebbene Arnolfo e Giovanni si pongano dal punto di vista artistico agli antipodi, ciò nonostante le radici di entrambi affondano nel terreno comune rappresentato dalla complessa personalità di Nicola. Allo stesso tempo l'opera del maestro costituisce un'importante tappa del percorso che muove da una storia dell'arte sostanzialmente anonima propria del Medioevo verso una storia degli artisti, legata cioè alle singole personalità. Malgrado non sia più possibile ricostruire l'intero panorama della sua attività - il suo ruolo di architetto (v. Firenze; Siena) non va mai oltre la sfera dell'ipotesi - ciò non di meno si è in grado di ricostruire con chiarezza il suo profilo artistico in opere tutte del più alto significato. Anche rispetto a ciò N. si situa alle soglie di una nuova epoca.

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