CAETANI, Nicola

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 16 (1973)

CAETANI, Nicola

Marina Raffaeli Cammarota

Primogenito maschio di Onorato (III) di Sermoneta e di Caterina Orsini, nacque intorno al 1440. Nella sua prima età fu educato a cura del card. Ludovico Scarampo Mezzarota, patriarca di Aquileia, grande amico della famiglia e suo padrino di cresima. La sua vita fu segnata dalla politica paterna al tempo delle lotte fra Ferdinando I d'Aragona e Giovanni d'Angiò.

I feudi dei Caetani, estesi da Torre Astura al Garigliano, erano divisi in una doppia sudditanza - pontificia e napoletana - che metteva in serio imbarazzo la famiglia in un periodo di frequenti contrasti fra i due Stati. I rapporti fra i Caetani di Sermoneta e quelli di Fondi erano parallelamente burrascosi, riflettendo in politica quelli che erano i contrastanti interessi dinastici. Una pacificazione diplomatica fu tentata nel 1454 col progetto di matrimonio fra il C. e Bannella, figlia di Onorato di Fondi. La trattativa tuttavia non andò oltre la stipula dei capitoli matrimoniali e le due famiglie proseguirono nell'annosa lotta. Quando poi gli Angioini riproposero le loro mire sul Napoletano, il conte di Fondi si affiancò a re Ferdinando e Onorato di Sermoneta, di conseguenza, abbracciò la causa di Giovanni d'Angiò duca di Calabria, nella speranza di impadronirsi di Fondi, che reputava gli spettasse per diritto ereditario. Dimenticando così l'antica fedeltà al re, iniziò a combatterlo accanitamente fin dal 1459, favorendo in questo modo il verificarsi di uno degli avvenimenti più importanti della vita del figlio.

Il C. infatti, nel dicembre dello stesso anno, fu fatto prigioniero e rinchiuso in Castelnuovo a Napoli, dopo un arresto operato, pare, dal conte di Fondi per ordine di re Ferdinando. Questi, in un primo momento, gli usò un trattamento di tutto riguardo, forse sperando di ridurre rapidamente Onorato all'obbedienza, ma progressivamente la prigionia si fece più rigorosa e il C. fu rinchiuso nella "camera delle bombarde", dove rimase per oltre dieci mesi.

Naturalmente la famiglia del C. si impegnò subito per ottenere la sua scarcerazione, aiutata anche dal card. Scarampo, che interpose ripetutamente la sua mediazione. Invano, tuttavia, intervennero a richiedere la liberazione del C. il papa, Pio II, e il duca di Milano Francesco Sforza; e inutilmente la madre del C. fece appello all'università di Sermoneta, per raccogliere un riscatto di 2.000 ducati: re Ferdinando e il duca di Fondi erano infatti decisi a non cedere se non in cambio della sottomissione del signore di Sermoneta. Solo le vicende della guerra costrinsero Onorato a prendere l'unica decisione valida per la liberazione del figlio: asserragliato infatti nelle sue terre di Macchia e Monteroduni, minacciato di assalto, si sottomise finalmente, ultimo dei baroni, a re Ferdinando ai primi di maggio del 1464.

Solo allora il C. fu liberato, dietro pagamento di 2.000 ducati che la famiglia in dissesto dovette prendere ad usura da Giovanni de Crisci. Prima di farlo uscire di prigione re Ferdinando pretese solenni promesse: Caterina Orsini, anche a nome del marito e della popolazione di Sermoneta, si impegnò a che il C. non prendesse mai le armi contro il re e il duca di Fondi e di tale impegno, sottoscritto nell'aprile 1464, si rese garante il cugino Antonio Colonna, prefetto di Roma. Finalmente libero il C. riebbe San Felice e i feudi di Macchia e Monteroduni, già confiscati al padre, ma il loro godimento effettivo fu concesso solo nel corso del 1475.

Probabilmente nel 1466 Bartolomeo Colleoni consentì ad arruolare il C.: è certo comunque che questi nel 1467 cercò di raggiungerlo a Pesaro, dove il Colleoni combatteva con la lega italica, ma il papa, dietro richiesta di Ferdinando, glielo impedì. A nulla approdarono le suppliche del C. affinché il pontefice gli permettesse di prendere servizio con qualche condottiero di suo gradimento. Nel 1468 fece intercedere il legato card. Battista Zeno presso un condottiero veneziano, forse lo stesso Colleoni. Sembra che finalmente nel 1469 riuscisse nei suoi intenti ed entrasse agli stipendi del duca Galeazzo Maria Sforza. Da questo momento le notizie sul C. sono lacunose fino a quando, nel 1478, successe al padre nella signoria di Sermoneta.

A questa data era già stato celebrato il suo matrimonio con Eleonora Orsini, figlia di Napoleone dei duchi di Bracciano e sorella di quel Virginio contro il quale il C. combatterà per lunghi anni nel quadro della congiura dei baroni e della lotta tra Ferdinando di Napoli e papa Innocenzo VIII.

L'elezione di Giovanni Battista Cybo al soglio pontificio rovesciò infatti le posizioni fra le due fazioni principali in cui si divideva l'agitata vita romana: i Colonna furono rivalutati mentre gli Orsini caddero in disgrazia. Il C. con la sua famiglia fece parte dei colonnesi e si trovò così a combattere contro gli Orsini sia direttamente che come alleati di re Ferdinando.

Già nel luglio 1484 aveva avuto luogo uno scontro con gli Orsini, che riuscirono ad impedirgli l'ingresso a Rocca di Papa, dopo una scaramuccia che costò la vita ad alcuni uomini dei Caetani. L'anno seguente, dopo l'assedio posto a Civita Lavinia dal C. insieme ai Colonna e ai Savelli, gli assediati effettuarono una scorreria a Sermoneta, dove confiscarono circa 12.000 capi di bestiame. Depredato anche a Cisterna e a Ninfa, il C. fu costretto a mettere ipoteche sulle sue terre per risollevarsi dal colpo e aiutare gli stessi Colonna, che del pari avevano subito saccheggi. Innocenzo VIII, a questo punto, credette opportuno di intervenire personalmente, convocando le parti e promuovendo una parvenza di pace. Immediatamente dopo, nel settembre del 1485, il C. e i fratelli Colonna consolidarono i loro rapporti stipulando una lega difensiva ed offensiva che li vincolava reciprocamente per qualsiasi decisione in materia di guerre e di alleanze. La pace con gli Orsini fu, com'era prevedibile, di brevissima durata: in dicembre, dopo aver presidiato per conto del papa L'Aquila, ribelle a re Ferdinando, il C. partecipò ai preparativi per riconquistare il ponte Nomentano che si trovava in mano degli Orsini. La condotta regolare di trenta uomini che Innocenzo VIII gli aveva concesso nel maggio 1485 fu rinnovata per altri due anni nel 1487 e ancora nel 1489 finché, dopo essere stato designato alla guardia del conclave, fu nominato condottiero di sessanta uomini agli stipendi del nuovo papa Alessandro VI (1492). Sulla carriera del C. al servizio dei Borgia, d'altronde di breve durata, sappiamo solo che ebbe l'incarico di provvedere alla custodia di Velletri durante il passaggio delle truppe di Carlo VIII che ripiegava in Francia.

Tornato a Sermoneta, dove fin dal 1479 si svolgevano nuovi episodi dell'antica lotta con Sezze, vi morì, dopo aver reso testamento, il 26 luglio 1494. Suoi eredi erano il figlio Bernardino Maria - che sarà trucidato da un sicario del duca Valentino - e la figlia Roasa (o Rogasia), clarissa nel monastero dei SS. Cosma e Damiano.

Il C. morì avvelenato da Matteo da Pesaro: si può supporre una vendetta personale o una ribellione di truppe collegata con un tentennamento nella fedeltà al papa. La versione coeva della fazione borgiana attribuì invece la responsabilità dell'assassinio ai due fratelli del C., Giacomo e Guglielmo, appoggiandosi alla testimonianza tendenziosa che Giovanni Cifra rese al processo e alla sospetta esclusione dal testamento di Guglielmo.

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