Tartàglia, Niccolò

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Tartàglia, Niccolò. - Matematico (Brescia 1499 circa - Venezia 1557). T. affrontò molte questioni di matematica pura e applicata e scoprì, contendendola con G. Cardano, la formula risolutiva dell'equazione di terzo grado. A lui si deve la prima traduzione italiana degli Elementi di Euclide (1543).

Vita e opere

Forse figlio di un Micheletto "cavallaro"; T. è soprannome, che egli accettò come cognome, dovuto alla balbuzie procuratagli dalla ferita alla bocca infertagli da un soldato francese nel sacco di Brescia (1512). Fu autodidatta: si narra che, per l'estrema povertà della famiglia, poté andare alla "scuola di scrivere" solo per una quindicina di giorni, all'età di 14 anni. Per questo ebbe sempre vivo l'orgoglio per le cognizioni da lui acquisite e per le scoperte da lui fatte al di fuori delle accademie e delle università. Ciò spiega la particolare vivacità delle molte polemiche scientifiche, il suo bisogno di mettersi pubblicamente a confronto attraverso "cartelli di matematica disfida" con i massimi matematici suoi contemporanei. Egli si occupò genialmente di molti e diversi rami della matematica pura e applicata, dall'aritmetica ai problemi di massimo e minimo; nell'opera Quesiti et inventioni diverse (1546) s'interessò anche di balistica e di fortificazioni. Ma è la parte da lui avuta nella scoperta della formula risolutiva dell'equazione cubica generale che eleva il suo nome, con quello di S. Dal Ferro, di G. Cardano, di L. Ferrari, al di sopra di quello degli altri matematici della fiorente scuola algebrica italiana del sec. 16º. Le formule erano allora considerate da molti matematici come un "segreto del mestiere" e non venivano pertanto comunicate, o, per lo meno, non venivano pubblicamente dimostrate. Accadde così che Dal Ferro scoprisse (1515) la formula risolutiva dell'equazione cubica ridotta (cioè priva del termine di 2º grado), escluso il casus irreducibilis. La scoperta restò nella cerchia della scuola bolognese: T. la scoprì venti anni dopo (1535), da solo, stimolato da un "cartello di matematica disfida" di A. M. Del Fiore, al quale la formula era pervenuta senza dimostrazione. T. confidò la sua scoperta quattro anni dopo (1539) a Cardano, nella speranza di essere da lui introdotto nel mondo accademico: tenne segreta la dimostrazione, e impegnò Cardano a non pubblicare nulla prima di lui. Ma Cardano e il suo allievo Ferrari non solo trovarono in casa di Annibale Della Nave la dimostrazione di Dal Ferro, ma riuscirono a estendere la formula al caso più generale, e a gettare le basi di una teoria generale delle equazioni algebriche. Non decidendosi T. a pubblicare, Cardano si ritenne libero dall'impegno e nella sua Ars magna (1545) espose i risultati. Ne nacque così una lunga e famosa polemica con Cardano e Ferrari, con lo scambio di ben sei cartelli di disfida.

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