neutrone Particella elettricamente neutra, di dimensioni subatomiche (∿10–15 m) e massa di poco superiore a quella del protone (∿10–27 kg), appartenente alla famiglia degli adroni (➔ particelle elementari); insieme al protone, è uno dei costituenti del nucleo atomico, dal quale viene emesso in molte reazioni nucleari.
A sua volta il n., usato come proiettile per bombardare nuclei atomici, dà luogo a numerosissime reazioni nucleari, in molte delle quali vengono prodotti isotopi radioattivi, il cui studio approfondito ha permesso e permette di allargare le conoscenze sul nucleo. Il n., purché di energia sufficientemente bassa, costituisce così una sonda, unica e insostituibile, per l’esplorazione di certe proprietà della materia allo stato solido, liquido e gassoso. Esso inoltre è l’agente che inizia e mantiene le reazioni nucleari a catena che vengono utilizzate nei reattori nucleari, destinati alla ricerca o alla produzione di energia su scala industriale (➔ reattore), e nelle armi nucleari, per es. la bomba a n. (➔ nucleare).
Per quanto concerne le
La scoperta del n. ebbe origine da alcune classiche esperienze di W. Bothe e H. Becker, i quali a
Da queste prime esperienze e da altre eseguite poco dopo, fu possibile stabilire che la massa del nuovo corpuscolo, il n., era di assai poco superiore a quella del protone (v. tab.). Il fatto poi che i n. fossero emessi da nuclei di elementi leggeri sotto l’azione di particelle alfa, suggeriva un nuovo modello di nucleo. Prima della scoperta del n. si pensava infatti che i nuclei di tutti gli atomi consistessero in aggregati dei due corpuscoli elementari allora noti, protoni ed elettroni, in quantità tali da dar luogo, nel loro insieme, a un sistema dotato del giusto valore della carica elettrica e della massa. Ma con l’avvento della meccanica quantistica, di pochi anni precedente, questo modello era diventato inaccettabile: come conseguenza del
Due scoperte compiute da
Negli anni successivi, in diversi laboratori furono scoperti molti altri tipi di reazioni nucleari provocate da n., come, per es., i processi (n, 2n), (n, 3n) ecc. Particolarmente importante fu la scoperta fatta, nel 1939 a Berlino, da
Nell’ottobre del 1934, sulla base dei risultati di un’esperienza eseguita con i suoi collaboratori (ai quali si era unito
Per molti problemi, la grandezza che caratterizza il comportamento del n., più che la sua energia cinetica o la sua velocità, è la sua lunghezza d’onda di de Broglie λ, legata alla quantità di moto p dalla relazione λ=h/p, dove h è la costante di Planck. Per n. di energia non molto elevata (la cui velocità sia molto minore di quella della luce nel vuoto) si ha
[1] formula
E essendo misurata/">misurata in eV. Questa formula mette bene in evidenza le straordinarie possibilità che sono aperte allo sperimentatore che lavora con n.: per energie di 100 MeV la lunghezza d’onda è dell’ordine di grandezza delle dimensioni delle
3. Le principali proprietà del neutrone
Le principali proprietà del n. in quiete sono raccolte in tab. insieme a quelle del protone, che servono di confronto. Le masse di questi due corpuscoli sono date nella prima colonna, in unità di massa atomica, in kg e in MeV/c2. Come si vede, la differenza tra le due masse (ca. 1,29 MeV/c2) è molto piccola, in accordo qualitativo con le prime stime approssimative fatte da Chadwick. Nella seconda colonna è data la carica elettrica Q in termini della carica elettronica e, e nella terza lo spin o momento della quantità di moto intrinseco J, espresso in unità di ℏ. Il n., avendo spin semintero come il protone e l’elettrone, ubbidisce al principio di Pauli e quindi alla statistica di Fermi, cioè è un fermione. Nella quarta colonna sono i momenti magnetici, μ, espressi in magnetoni nucleari, μN (pari a 1/1836 del magnetone di Bohr). Essi sono considerati come anomali, nel senso che i loro valori differiscono da quelli prevedibili sulla base della teoria sviluppata da P.A.M. Dirac all’inizio degli anni 1930, che descrive il comportamento degli elettroni in modo soddisfacente; se si applica l’equazione di Dirac al protone e al n., si trova che il primo deve avere un momento magnetico pari a 1 magnetone nucleare e che il secondo deve avere momento magnetico nullo, avendo carica elettrica nulla. Il fatto che il protone e il n. siano dotati di momento magnetico anomalo costituisce una chiara indicazione di una struttura complessa di questi due corpuscoli. Nella quinta colonna è infine data la vita media, τ. Come si nota, il n. è instabile; il n. libero decade secondo il processo
[2] formula
ossia si trasforma spontaneamente in un protone emettendo un elettrone (e − ) e un antineutrino (ν̄ e ).
Si è parlato di n. liberi, in quanto il comportamento dei n. legati in un nucleo è determinato dall’essere soddisfatte o no certe condizioni di stabilità riguardanti il nucleo nel suo insieme. Nei nuclei stabili il precedente processo di decadimento è reso impossibile da condizioni energetiche, che invece non sono soddisfatte nei nuclei radioattivi per emissione di elettroni: in questi, uno dei n. presenti subisce tale processo con una vita media determinata dalla struttura del nucleo particolare considerato. Il n. libero è dunque una particella (debolmente) instabile che decade con una vita media di circa 15 minuti, a differenza del protone, per il quale è stato stabilito un limite inferiore della vita media di 1032 anni.
Lo studio sperimentale delle interazioni fra il n. ed elettroni di alta energia ha evidenziato che il n., pur globalmente neutro, possiede una struttura elettromagnetica; il valore del raggio quadratico medio della distribuzione di carica elettrica nel n. è risultato essere 0,33 ∙ 10–15 m, cioè dello stesso ordine di grandezza di quello del protone. Lo studio della diffusione anelastica profonda di elettroni di altissima energia su n. ha ulteriormente precisato questa struttura interna: un n. è costituito da due quark down e da un quark up (➔ quark).
4. Interazioni del n. con altre particelle
Il n. (al pari del protone) dà luogo a tutte le interazioni oggi note: interazioni gravitazionali,
Le interazioni elettromagnetiche sono in generale enormemente più intense delle interazioni deboli: l’origine di questa interazione nel caso del n. è dovuta al fatto che il n., pur essendo la sua carica elettrica totale nulla, possiede una distribuzione interna di carica.
Restano infine le interazioni forti, le quali sono, grosso modo, mille volte più intense delle interazioni elettromagnetiche. Nel caso dei n. e protoni di energia non troppo elevata esse vengono indicate con il nome di forze nucleari in quanto sono queste interazioni che, agendo fra le varie particelle costituenti il nucleo, determinano la sua energia di legame e i suoi livelli energetici eccitati, e le distribuzioni spaziali dei protoni e dei n. che lo compongono (➔ forza).
Le sorgenti usate nelle prime ricerche che portarono alla scoperta del n. e ai primi studi delle sue proprietà erano tutte basate sulle reazioni (α, n) prodotte in elementi leggeri. Nel caso del berillio, l’elemento che fornisce un’intensità particolarmente alta, la reazione è
[3] formula
Come corpi emettitori alfa si usavano allora, e anche in seguito, a seconda dei casi: 210Po, 226Ra, 222Rn, ai quali si sono aggiunti più tardi 239Pu, 241Am e 242Cm. Sorgenti di questo tipo, contenenti sostanze radioattive alfa a lunga vita media (per es., 226Ra, con periodo di dimezzamento di 1600 anni) sono rimaste in uso come sorgenti standard; una sorgente contenente Ra+Be emette, tutt’intorno, circa 1,4∙107 n. al secondo per grammo di Ra. Quando si disponga di un acceleratore che permetta di accelerare protoni, deutoni o tritoni a energie dell’ordine di almeno qualche MeV, si preferiscono altre reazioni; alcune di queste sono le seguenti
[4] formula
La scelta dell’una o dell’altra di queste reazioni dipende dall’acceleratore di particelle di cui si dispone e dallo spettro di n. (veloci) che si desidera produrre.
Per produrre n. di energia superiore a circa 50 MeV si fa ricorso a due altri tipi di processi: le reazioni di strappo (stripping) del deutone e l’urto con scambio di carica di un protone contro un n. di un nucleo. Nelle reazioni di strappo un deutone incidente, passando vicino a un nucleo, si strappa: il suo protone resta, per così dire, catturato nel nucleo, che subisce successivamente uno o più processi di disintegrazione, mentre il suo n. prosegue, in una direzione prossima a quella del deutone incidente, con circa la metà dell’energia cinetica che questo possedeva inizialmente. I processi di scambio di carica vengono usati a grandissime energie (dell’ordine del GeV e oltre) e consistono nel fatto che, a queste energie, un protone nell’attraversare un nucleo dà luogo abbastanza frequentemente a un urto con uno dei n. circostanti, molto simile a un urto elastico, salvo che le due particelle si scambiano le loro cariche elettriche. Questo processo viene facilmente interpretato nel quadro delle concezioni secondo cui il protone e il n. sono due stati diversi di una stessa particella, il nucleone: lo scambio di carica è dovuto al trasferimento di un mesone positivo dal protone incidente al n. urtato. La particella che rincula diventa un protone, mentre un n. prosegue con una quantità di moto non molto diversa, in direzione e modulo, da quella che competeva al protone incidente.
Per produrre n. lenti ci si può servire di una qualunque delle sorgenti sopra descritte, contornate da un moderatore. Le sorgenti di gran lunga più intense di n. lenti sono tuttavia costituite dai reattori nucleari (➔ reattore). Tali sorgenti sono sempre più spesso sostituite da sorgenti a spallazione che forniscono fasci neutronici di altissima qualità con intensità largamente superiori.
6. Impieghi e diffrazione dei neutroni
I n. hanno trovato numerose importanti applicazioni in campi di tipo così diverso da rendere ardua una loro elencazione. Occupano il primo posto, per gli aspetti industriali ed economici, i reattori nucleari. Si sono anche costruiti reattori nucleari dotati di caratteristiche speciali, che li rendono particolarmente adatti per produrre flussi di n. di elevata intensità nella loro regione centrale: tali flussi neutronici possono essere utilizzati in loco per produrre considerevoli quantitativi di sostanze radioattive artificiali, oppure, attraverso opportuni canali, possono essere portati all’esterno del reattore, anche a distanze notevoli, in modo da poterli utilizzare nel modo migliore per eseguire ricerche di interesse scientifico e tecnologico. In questo contesto l’espressione ‘interesse scientifico’ non si riferisce soltanto a ricerche riguardanti le proprietà dei n. o la struttura nucleare, ma a ricerche riguardanti altri campi della fisica, come la fisica dei solidi o, più in generale, degli stati aggregati, o addirittura lo studio di certi processi chimici e biologici.
Fra i molteplici impieghi dei radioisotopi, la tecnica dei traccianti ha reso possibili molti fra i più importanti progressi fatti dalla farmacologia e dalla biologia moderne a partire dagli anni 1950.
Un’applicazione dei n. degna di menzione è lo studio delle strutture molecolari di sostanze liquide e gassose, e soprattutto di sostanze cristalline, a mezzo dei fenomeni di diffrazione cui i n. danno luogo. Essa è qualitativamente simile alla diffrazione dei raggi X, nel senso che, se l’una o l’altra di queste radiazioni incide sulla superficie di un cristallo in una direzione che forma un angolo ϑ con i piani reticolari, si osserva un massimo dell’intensità della radiazione riflessa quando è soddisfatta la condizione di Bragg mλ=2dsen ϑ, dove λ è la lunghezza d’onda della radiazione, m è un numero intero positivo (detto ordine di riflessione) e d la distanza fra i piani reticolari in oggetto. Poiché d è dell’ordine di qualche ångström, per poter osservare questo fenomeno per valori di ϑ non troppo piccoli, è necessario che anche λ sia dello stesso ordine di grandezza. Come si vede dalla [1], questa condizione è soddisfatta, per es., da n. di energia dell’ordine di kT a temperatura ambiente, cioè dell’ordine di 0,025 eV, per i quali si ha λ=1,81 Å. La diffrazione dei n. lenti differisce, tuttavia, da quella dei raggi X o degli elettroni perché questi interagiscono elettromagneticamente anche con gli elettroni atomici mentre i n. subiscono la diffusione solo da parte del nucleo atomico; questo ha dimensioni piccolissime rispetto alla lunghezza d’onda dei n. e pertanto non si hanno i fenomeni di interferenza, e la diffusione subita dai n. da parte di un singolo atomo è isotropa, ossia indipendente dall’angolo di diffusione.
Quando la radiazione neutronica è diffusa da un insieme di atomi disposti regolarmente (come si verifica in una molecola o, in modo ancor più evidente, in un cristallo) e si osservano i fenomeni di interferenza cui essi danno luogo, si nota che solo una parte delle onde diffuse sono coerenti e concorrono quindi all’interferenza; la parte incoerente è dovuta alle vibrazioni termiche degli atomi attorno a posizioni di equilibrio, alla presenza di diversi isotopi di uno stesso elemento chimico distribuiti a caso (e che diffondono i n. in modo diverso l’uno dall’altro) e all’orientamento disordinato degli spin nucleari rispetto agli spin dei n. incidenti. A seconda del nuclide considerato, la parte coerente della radiazione neutronica viene diffusa senza cambiamento di fase o con cambiamento di fase di 180° rispetto all’onda neutronica incidente. Anche sotto questo aspetto, dunque, i n. mostrano un comportamento diverso da quello dei raggi X, per i quali non si ha sfasamento fra onda incidente e onda sparpagliata. Da queste brevi osservazioni è chiaro che la diffrazione dei n. può fornire, in generale, informazioni diverse da quelle che si deducono dalla diffrazione dei raggi X o degli elettroni da parte dello stesso cristallo. A differenza di questa (per la quale le sezioni d’urto crescono con il numero atomico), essa permette, per es., di localizzare gli atomi di idrogeno disposti in un cristallo fra atomi di elevato numero atomico, oppure di distinguere nuclidi dotati di numeri atomici molto vicini nella stessa matrice cristallografica, o di raffinare la conoscenza delle strutture di liquidi o solidi amorfi, e così via.
La neutronigrafia è una tecnica usata per ricavare immagini della struttura di oggetti vari, opachi alla luce ordinaria, attraversati da un fascio di n. di conveniente energia. Il termine è usato anche per indicare l’immagine ottenuta con tale tecnica.
Per la neutronigrafia si ricorre di solito a n. lenti, forniti da un reattore nucleare di ricerca o da altra idonea sorgente. I n., dopo avere attraversato l’oggetto in esame, colpiscono un convertitore, il quale può essere di due tipi: indiretto o diretto. Un convertitore indiretto è costituito da una lamina d’oro o d’iridio o di disprosio, molto sottile, in cui i n. lenti producono, attraverso un processo (n, λ), isotopi radioattivi. La radioattività indotta in ogni punto del convertitore è proporzionale all’intensità trasmessa del fascio neutronico, cosicché, dopo un’esposizione di opportuna durata, si ha una vera e propria immagine radioattiva. Tale immagine viene quindi trasferita, lontano dal fascio di n., a una pellicola fotografica particolarmente sensibile ai raggi beta, con cui il convertitore viene mantenuto in contatto per un tempo opportuno o ricostruita mediante una camera proporzionale a molti fili. In tal modo, la presenza di raggi gamma, che spesso accompagnano i n., non dà luogo ad alcun inconveniente.
Se il fascio neutronico è privo di raggi gamma, può convenire l’uso di un convertitore diretto, costituito da uno scintillatore per n. che, durante l’esposizione al fascio di n., è mantenuto a contatto con la pellicola fotografica. La neutronigrafia non è equivalente alle ordinarie radiografie con raggi X o gamma in quanto queste radiazioni, una volta fissata la loro energia, hanno un coefficiente di assorbimento che è una funzione crescente e regolare del numero atomico Z del materiale su cui incidono. Il coefficiente di assorbimento di n., invece, non è legato in modo semplice né al numero atomico né al numero di massa dei diversi nuclidi, e varia al variare dell’energia in modo irregolare e molto diverso non solo da elemento a elemento, ma anche da isotopo a isotopo di uno stesso elemento. Pertanto, scegliendo opportunamente l’energia dei n. o ripetendo la neutronigrafia successivamente con n. di diversa energia, è possibile analizzare la struttura di un oggetto ricavando informazioni complementari a quelle ottenute mediante radiografie ordinarie.