Neuroni e sinapsi

Enciclopedia della Scienza e della Tecnica (2007)

Neuroni e sinapsi

Fabio Benfenati
Ottavio Cremona

I neuroni sono i componenti fondamentali del tessuto nervoso e formano circuiti complessi in grado di ricevere, elaborare, conservare e trasmettere l'informazione con grande rapidità anche a notevole distanza all'interno del corpo umano. Nel sistema nervoso centrale dell'uomo sono presenti approssimativamente 1012 neuroni coadiuvati, nelle loro attività, da un numero dieci volte superiore di cellule gliali. Attualmente gli studi condotti su queste cellule, ritenute un mero supporto meccanico per i neuroni, stanno rivelando un'enorme complessità di funzioni che includono: guida della crescita dei neuroni, regolazione del flusso ematico regionale, funzioni immunitarie per il sistema nervoso ed elaborazione e rilascio di fattori di crescita e neurotrasmettitori. Tuttavia, i neuroni rimangono le uniche cellule in grado di operare in tempi molto brevi, necessari per garantire la sopravvivenza e l'adattamento dell'organismo al continuo e rapido mutamento delle condizioni e degli stimoli ambientali. Le cellule gliali, pur partecipando alla comunicazione nervosa, non sono capaci di segnalazione elettrica.

Il trasferimento di informazioni tra le cellule nervose è operato dai neurotrasmettitori, il cui messaggio viene riconosciuto dalla cellula ricevente e tradotto in risposte biologiche in corrispondenza di una struttura specializzata detta 'sinapsi'. Tutte le attività nervose, dalle più semplici attività riflesse alle funzioni superiori, come apprendimento e memoria, dipendono dal trasferimento di informazioni tra cellule nervose e quindi dal numero di sinapsi e dall'efficienza di ciascuna sinapsi nel rilasciare il neurotrasmettitore. La trasmissione sinaptica riveste quindi un ruolo chiave per comprendere il funzionamento del sistema nervoso. Numerose patologie neurologiche dipendono da alterazioni funzionali della trasmissione sinaptica e le sinapsi rappresentano il principale bersaglio dei farmaci attivi sul sistema nervoso. Gli studi che negli ultimi anni hanno permesso di chiarire a livello molecolare la fisiologia della trasmissione sinaptica e che stanno intensamente procedendo verso una completa descrizione dei meccanismi biochimici coinvolti sono quindi di fondamentale importanza per le neuroscienze.

Le sinapsi si possono dividere in due tipi in base alla loro struttura: sinapsi elettriche e sinapsi chimiche. Nelle sinapsi elettriche, molto comuni negli invertebrati, l'impulso nervoso presinaptico provoca un flusso di corrente ionica che penetra nella cellula postsinaptica attraverso ampi canali proteici chiamati 'connessoni', che formano le cosiddette 'giunzioni gap'. La corrente depolarizza la cellula postsinaptica ed è in genere sufficiente a raggiungere la soglia per generare un potenziale d'azione propagato. Le sinapsi elettriche trasmettono l'eccitazione molto rapidamente (il ritardo sinaptico è minimo) ma l'informazione trasferita è esclusivamente eccitatoria e non modulabile. Ci soffermeremo su due aspetti della neurobiologia, i cui avanzamenti in questi ultimi anni sono stati così cruciali da influenzare profondamente i concetti stessi di identità e funzionalità del neurone: il processo di neurogenesi durante lo sviluppo e nell'adulto e i complessi rapporti tra neuroni e glia. Questi aspetti, per molti anni considerati marginali rispetto allo studio della comunicazione interneuronale, svolgono oggi un ruolo importante non solo dal punto di vista fisiologico, ma anche per i possibili convolgimenti in vari settori della neurologia, dalla cura delle patologie degenerative, ischemiche e di sviluppo del sistema nervoso, a quella delle patologie di alterata propagazione del segnale nervoso.

Caratteristiche generali delle cellule nervose

Da un punto di vista citologico, i neuroni sono simili alle altre cellule del nostro organismo. Essi sono rivestiti da una membrana plasmatica e contengono organelli fondamentali, quali il nucleo, il reticolo endoplasmatico, i ribosomi, l'apparato di Golgi e i mitocondri. Nei neuroni però tutto è organizzato per svolgere al meglio un solo compito, quello della comunicazione nervosa, una forma molto specializzata di comunicazione intercellulare. I neuroni hanno una forma altamente asimmetrica, caratterizzata da lunghi prolungamenti e mantenuta da uno scheletro interno estremamente sviluppato (citoscheletro neuronale). Inoltre, i vari componenti cellulari e le stesse proteine della membrana plasmatica sono distribuiti in modo fortemente asimmetrico. Nella struttura polarizzata dei neuroni sono riconoscibili quattro principali compartimenti: (a) un compartimento di ricezione dei segnali costituito dai dendriti e parte del corpo cellulare (soma); (b) un compartimento di integrazione costituito dal segmento iniziale dell'assone; (c) un compartimento di trasferimento rapido del segnale elettrico (potenziale d'azione) costituito dall'assone; (d) un compartimento di trasferimento delle informazioni ad altre cellule costituito dalle terminazioni presinaptiche.

Il soma contiene il nucleo, la sostanza di Nissl (costituita da aggregati di ribosomi e di reticolo endoplasmatico rugoso) e apparati di Golgi multipli. Da esso si dipartono i vari prolungamenti. I dendriti sono prolungamenti corti (di solito 〈 700 μm), in numero molto variabile, contenenti un'impalcatura di microtubuli e neurofilamenti. Essi presentano in molti casi una specializzazione strutturale chiamata spina dendritica, che costituisce un sito privilegiato di comunicazione fra neuroni. La spina dendritica si interfaccia con un terminale nervoso (bottone terminale), che è l'estremità dell'assone di un altro neurone. L'assone è di solito un prolungamento più lungo dei dendriti (lungo fino a 1 m nel nervo sciatico). Esso inizia, dal soma, con il cono di emergenza; in questa zona vi è una eccezionale concentrazione di canali per Na+ voltaggio-dipendenti che servono a generare il potenziale d'azione del neurone. Al cono di emergenza segue un lungo segmento cilindrico riempito di citoplasma, microtubuli, neurofilamenti e piccole vescicole in transito che, in molti casi, è avvolto da una guaina discontinua, la guaina mielinica, che lo isola dai tessuti circostanti migliorando notevolmente la propagazione degli impulsi elettrici.

A differenza della maggior parte delle cellule dell'organismo, che mantengono una stabile differenza di potenziale tra l'interno e l'esterno della membrana (potenziale di membrana), i neuroni e le cellule muscolari hanno acquisito la capacità di variare in maniera assai rapida il loro potenziale di membrana invertendone la polarità, generando un segnale elettrico di brevissima durata (2÷3 msec) e in grado di propagarsi rapidamente lungo la membrana senza attenuarsi, detto 'potenziale d'azione'. Luigi Galvani chiamò questa proprietà 'forza nervea' e ipotizzò che l'elettricità fosse presente nell'organismo in uno stato di disequilibrio (un eccesso di cariche negative sulla faccia interna della membrana e di cariche positive sulla faccia esterna, generando una differenza di potenziale nota come 'potenziale di membrana'). Tuttavia, bisogna aspettare il Novecento per una completa descrizione delle basi ioniche dell'elettricità animale e delle modalità con cui il potenziale d'azione si genera e si propaga lungo i prolungamenti dei neuroni. Il potenziale d'azione è caratterizzato da un'improvvisa e rapida (1÷2 msec) inversione della polarità della membrana cellulare (il potenziale di membrana si sposta da un valore di riposo negativo di circa −80 mV a un valore positivo di circa +40 mV) generata dal passaggio di una corrente entrante di ioni sodio attraverso canali ionici voltaggio-dipendenti presenti nella membrana neuronale. L'inversione di polarità della membrana ha una brevissima durata, sia per l'interrompersi della corrente di sodio (i canali per Na+ rimangono aperti per un tempo brevissimo e poi entrano in uno stato di refrattarietà), sia per la comparsa di una corrente 'uscente' di ioni potassio determinata dalla sequenziale apertura di canali per K+ voltaggio-dipendenti che riporta il potenziale della membrana al valore di riposo. Tali canali attivi (cioè in grado di rispondere a una depolarizzazione del potenziale della membrana) rappresentano il tratto fenotipico fondamentale che distingue i tessuti eccitabili (come i neuroni) dalle altre cellule non eccitabili (come le cellule gliali).

Nei neuroni il potenziale d'azione rappresenta un segnale binario di eccitazione che viene rapidamente trasmesso a lunghe distanze. La caratteristica principale della propagazione del potenziale d'azione è che l'ampiezza del segnale non si attenua con la distanza, ma rimane sorprendentemente costante. Questo è possibile grazie al fatto che ogni successiva area di membrana genera un proprio potenziale d'azione in una precisa successione temporale dipendente dalle proprietà elettriche della membrana dell'assone. La velocità di conduzione del potenziale d'azione, che dipende dalle proprietà elettriche passive (resistive e capacitive) della membrana, è proporzionale al diametro dell'assone (che diminuisce la resistenza assiale al flusso degli ioni) e alla resistenza della membrana. Mentre la prima via per aumentare la velocità di conduzione è stata seguita soprattutto nel sistema nervoso degli invertebrati (assoni giganti), l'aumento di resistenza di membrana ottenuto rivestendo l'assone con la guaina mielinica ha permesso, nei sistemi nervosi più complessi come quelli dei Mammiferi, di ottenere alte velocità di conduzione con dimensioni delle fibre relativamente ridotte.

Neurogenesi

Per neurogenesi si intende il processo attraverso il quale vengono generati nuovi neuroni da cellule immature. Dal punto di vista della successione temporale si possono distinguere due tipi di neurogenesi: la neurogenesi durante lo sviluppo, che forma il nevrasse, e la neurogenesi nell'adulto, il cui significato è legato alla plasticità funzionale di determinate aree nervose.

Neurogenesi durante lo sviluppo

tab. 1

Lo scopo di questo processo è di creare una prima 'stesura' dei circuiti nervosi che verranno in seguito finemente rimaneggiati dall'azione plastica dell'esperienza. Questo processo procede attraverso una serie di tappe ben definite che riassumeremo sinteticamente (tab. 1).

Induzione neuronale. - Il tessuto nervoso deriva dallo stesso ectoderma da cui si originano l'epidermide e i suoi annessi. Per 'induzione neuronale' s'intende quel processo per cui cellule ectodermiche vengono determinate a diventare cellule staminali neurali. Ciò avviene come effetto di segnali intracellulari indotti da una serie di fattori rilasciati in maniera paracrina o espressi sulla membrana da cellule vicine. Le cellule ectodermiche su cui hanno agito questi fattori tendono a non rispondere più ad altri segnali che inducono percorsi differenziativi alternativi, avviandosi così definitivamente a poter diventare solo e soltanto neuroni.

Storicamente, la prima evidenza dell'induzione neuronale è venuta da studi di trapianto in embrioni di Anfibi compiuti alla metà degli anni Venti del XX secolo. In questi studi si era visto che se si trapiantava il labbro dorsale del blastoporo (zona successivamente chiamata 'organizzatore') di un embrione in gastrulazione nella regione che forma l'epidermide di un altro embrione di pari età, le cellule ectodermiche circondanti il trapianto formavano un secondo sistema nervoso completamente sviluppato. Questa osservazione ha generato l'idea che l'organizzatore sia una fonte di segnali induttivi in senso proneuronale per le cellule ectodermiche vicine.

È di questi ultimi dieci anni l'identificazione di alcuni dei segnali molecolari secreti dall'organizzatore e l'elaborazione di un modello (modello default) che ben spiega l'induzione neuronale negli Anfibi. L'idea centrale è che le cellule ectodermiche, in mancanza di altri segnali, seguano un programma spontaneo (o di default) di differenziazione neuronale, mentre sono deviate verso un programma epiteliale se in esse viene attivata la via di segnalazione dipendente da BMP (Bone morphogenetic protein). BMP è una proteina secreta ubiquitariamente da tutti i tessuti, che stimola fortemente il differenziamento in cellule epiteliali di tutte le cellule ectodermiche, sopprimendo il loro programma endogeno proneuronale. Durante la gastrulazione, l'organizzatore secerne però fattori che inibiscono l'azione di BMP (principalmente noggin e chordin), permettendo così alle cellule ectodermiche circostanti di eseguire il loro programma intrinseco di sviluppo, che è quello neuronale.

Studi successivi hanno dimostrato che l'organizzatore non è richiesto per l'induzione neuronale negli Amnioti (inclusi i Mammiferi), avvenendo questa allo stadio di blastula, prima della formazione dell'organizzatore. In generale, negli Amnioti l'induzione neuronale appare come un processo più complesso che negli Anfibi, con uno straordinario concorso di istruzioni non solo negative ma anche positive, solo in parte dipendenti dalla segnalazione di BMP. In particolare, l'azione di BMP, Wnt e del sistema di segnalazione intercellulare Delta-Notch (sistema ligando-recettore che, se espresso sulla membrana di cellule contigue, inibisce il destino neuronale) determinerebbe un destino epiteliale nelle cellule ectodermiche, mentre l'azione dei fattori di crescita FGF (Fibroblast growth factor) e IGF (Insulin growth factor) e della proteina citoplasmatica numb (che inibisce la segnalazione dipendente da Notch) favorirebbe la neurogenesi. Wnt e BMP sono segnali ricorrenti nello sviluppo neuronale, che vengono attivati nuovamente per il processo di specificazione neuronale e poi per mantenere il pool delle cellule staminali neuronali.

I geni trascritti in seguito all'attivazione delle varie vie di segnalazione neurogeniche da parte dei vari morfogeni sono poco conosciuti. Studi in Drosophila e poi nei Vertebrati hanno identificato in un piccolo numero di fattori di trascrizione della classe bHLH (Basic helix-loop-helix) alcuni dei più potenti geni proneurali. Un'altra famiglia emergente di tali fattori è quella dei geni SOX che appartengono alla superfamiglia HMG (High motility group). L'espressione di entrambi questi fattori di trascrizione in cellule ectodermiche (a) sopprime il programma di differenziamento gliale; (b) blocca la proliferazione cellulare; (c) induce l'ulteriore differenziazione neuronale; (d) stimola la differenziazione gliale nelle cellule vicine, attraverso attivazione in queste ultime della via di segnalazione di Notch.

Specificazione neuronale. - Una volta che la prima decisione è presa, e cioè che una cellula ectodermica inizia a differenziarsi in senso neuronale, le successive decisioni riguardano: (a) quale tipo di neurone tale cellula diventerà ‒ un neurone sensitivo, un neurone motorio, un interneurone o un altro tipo di neurone; (b) quale posizione occuperà nel sistema nervoso; (c) quali contatti formerà con altri elementi nervosi, andando così via via a costituire i circuiti del sistema nervoso adulto. Il processo di specificazione neuronale dipende da due sistemi di segnalazione paracrina che creano gradienti lungo i due assi principali del tubo neurale, l'asse dorso-ventrale e quello rostro-caudale. Questi due sistemi di segnalazione si intersecano lungo tutto il tubo neurale generando una griglia di stimoli posizionali. In altre parole, la posizione delle cellule progenitrici neuronali lungo gli assi dorso-ventrale e cranio-caudale influenza il loro destino, a causa della differente concentrazione e identità dei segnali induttivi a cui esse sono sottoposte.

fig. 2

La differenziazione dorsale è inizialmente indotta da segnali provenienti dall'adiacente ectoderma, mentre la differenziazione ventrale dipende da segnali del mesoderma assiale che costituisce la notocorda. Questi segnali, provenienti da tessuti non nervosi, sono rapidamente trasferiti alle cellule dorsali e ventrali del tubo neurale per induzione omogenica. Numerosi studi hanno mostrato che i segnali chiave per il differenziamento ventrale (dei motoneuroni) e dorsale (dei neuroni sensitivi) sono, rispettivamente, le proteine secrete Shh (Sonic hedgehog) e BMP. Esiste inoltre almeno un altro sistema di segnalazione dipendente dai retinoidi che serve per la specificazione di alcuni tipi di interneuroni. Il gradiente di concentrazione di Shh, progressivamente decrescente in senso ventrodorsale, reprime l'espressione di fattori di trascrizione omeodominio di classe I e induce l'espressione di fattori di classe II, permettendo così di specificare diverse classi di motoneuroni (MN) e interneuroni ventrali (V) (fig. 2). Fattori trascrizionali indotti da BMP hanno anch'essi effetti opposti, alternativamente di blocco differenziativo (il fattore della famiglia HD Msx e la zinc-finger zic) o di stimolazione differenziativa (le proteine omeodominio Math1 e Ngn1), delineando così un'intricata griglia di segnali che serve a organizzare e a determinare diversi tipi di interneuroni commissurali e associativi.

Crescita assonale. - Il prolungamento assonico è quella porzione del neurone che durante lo sviluppo va attivamente alla ricerca di altre cellule (nervose e non) allo scopo di stabilire con esse contatti sinaptici. Questi siti privilegiati di comunicazione non sono scelti a caso, ma rappresentano bersagli finemente selezionati in base all'analisi di molteplici segnali ambientali. Il compito di guidare l'assone verso i propri bersagli è svolto dal cono di crescita, una struttura specializzata, altamente mobile, posta all'estremità dell'assone. Attraverso cicli dinamici di estensione e retrazione di sottili propaggini citoplasmatiche, chiamate 'filopodi', il cono di crescita esplora i segnali ambientali e seleziona accuratamente una corretta traiettoria per giungere al bersaglio. Il meccanismo che permette il movimento del cono di crescita è il citoscheletro formato da actina, che polimerizza e depolimerizza rapidamente in risposta agli stimoli ambientali. La polimerizzazione dell'actina è regolata da una serie di molecole citosoliche poste in una lunga cascata di segnalazione che parte dall'attivazione delle proteine G monomeriche cdc42 e Rac, le quali a loro volta attivano la proteina citosolica N-WASP (Neural Wiskott-Aldrich syndrome protein) che induce la polimerizzazione de novo dell'actina attraverso l'attivazione del complesso multiproteico Arp2/3.

fig. 3

Le molecole che attivano la motilità del cono di crescita, guidandolo verso il bersaglio, possono essere divise, in base alla loro funzione, in molecole chemotattiche oppure in molecole chemorepulsive; esse possono agire a breve raggio (molecole attaccate alla matrice extracellulare o ad altre cellule) o a lunga distanza (molecole diffusibili). Fino a ora, sono state individuate quattro famiglie principali di fattori che regolano la crescita dei neuriti: netrine, semaforine, efrine, slit e loro specifici recettori appartenenti, rispettivamente, alle famiglie DCC/Unc5, plexine/neuropiline, Eph e robo (fig. 3). Netrine (legate ai recettori DCC/Unc5) e slit (legate ai recettori robo) sono, rispettivamente, molecole chemotattiche legate alla matrice e fattori solubili chemorepulsivi per assoni che passano la linea mediana; questi assoni vanno quindi a formare le vie crociate motorie e sensitive e le connessioni intercorticali. Le rimanenti molecole possono agire da fattori chemotattici o chemorepulsivi a seconda dei recettori espressi dal neurone o dei secondi messaggeri che in esso vengono attivati. Le semaforine, per esempio, sono fattori in parte secreti e in parte associati alla membrana, che hanno azioni a lungo raggio chemorepulsive, se vengono legate dai complessi recettoriali plexinaA/neuropilina, o chemotattiche se legate dal complesso recettoriale plexinaB/Met. Le efrine, invece, sono fattori legati alla membrana che, interagendo con recettori tirosina-chinasi (Trk) della famiglia Eph presenti sul cono di crescita, ne inducono il collasso con conseguente retrazione dell'assone. È di questi ultimi anni l'importante osservazione che tutte queste molecole sono anche essenziali per guidare lo sviluppo del sistema vascolare, fornendo così una base molecolare all'osservazione fatta agli albori dell'anatomia (da Andrea Vesalio) che vasi e nervi seguono percorsi comuni (si pensi, per es., ai vari fasci vascolo-nervosi che attraversano gli arti o il collo). Ai fattori descritti vanno aggiunte anche le neurotrofine, che funzionano come fattori chemotattici, e i fattori morfogenetici precedentemente descritti (Shh, Wnt e BMP) che cooperano, con funzione regolatoria, alla crescita neuritica.

Sinaptogenesi. - La formazione delle sinapsi nei Vertebrati avviene in un arco di tempo piuttosto lungo, iniziando nell'embrione ed estendendosi poi nelle fasi iniziali della vita postnatale. In alcune aree del sistema nervoso centrale la sinaptogenesi non cessa mai, continuando anche nella vita adulta. La formazione della sinapsi durante lo sviluppo è intimamente accoppiata al processo di riconoscimento del bersaglio, ossia a quel processo che permette agli assoni di neuroni localizzati in differenti regioni di trovare la corretta terminazione, formando così circuiti nervosi funzionanti. In questo processo giocano un ruolo determinante i cosiddetti 'recettori di adesione' che includono le molecole di adesione CAM (Cell adhesione molecules), appartenenti alla superfamiglia delle immunoglobuline, le caderine e le integrine. Tali molecole dirigono l'assone a selezionare il corretto bersaglio interagendo specificamente con molecole della matrice extracellulare o con molecole espresse sulla superficie della cellula bersaglio. Le CAM, che includono N-CAM, L1 e Sdk, e le caderine si legano in trans a molecole omologhe presenti sul bersaglio, mentre le integrine sono recettori eterodimerici che legano molecole della matrice extracellulare come laminina, collagene e fibronectina e attivano vie di segnalazione intracellulare che coinvolgono Trk non recettoriali. In tutti i casi, lo stabilirsi di questi legami extracellulari attiva vie di trasduzione intracellulari che regolano l'assemblaggio del citoscheletro di actina e quindi, in ultima analisi, il rafforzamento o la retrazione del contatto sinaptico. Il riconoscimento del giusto bersaglio da parte degli assoni è tuttavia un presupposto necessario ma non sufficiente per la sinaptogenesi: anche dopo che il bersaglio è stato raggiunto, le sinapsi attendono ancora giorni o settimane prima di diventare funzionali e non è detto che sopravvivano dopo aver iniziato la loro attività.

La maturazione finale del terminale nervoso è considerata un problema di traffico di membrana. È nozione condivisa che i vari componenti della presinapsi non vengono trasportati ai loro siti di azione individualmente ma in pacchetti di trasporto, ossia in vescicole che riuniscono assieme proteine e lipidi necessari a espletare specifiche funzioni. Nella presinapsi, poco prima della sua attivazione, si possono distinguere almeno tre differenti classi di vescicole. Le piccole vescicole a centro chiaro sembrano essere precursori delle vescicole sinaptiche, trasportando principalmente proteine di queste ultime. Le vescicole di 80 nm a centro scuro contengono proteine impalcatura della zona attiva (RIM, Piccolo e Bassoon) e componenti dell'apparato esocitotico (tra cui sintaxina, SNAP-25 e canali per Ca2+ voltaggio-dipendenti). Infine, le strutture tubulo-vescicolari contengono membrane di origine golgiana e precursori degli endosomi. La fusione delle vescicole di 80 nm porta alla formazione della zona attiva che precede la generazione delle vescicole sinaptiche, capaci di rilasciare ciclicamente il neurotrasmettitore.

A differenza della presinapsi, il terminale postsinaptico sembra invece formarsi per graduale accumulo di singole molecole trasportate in vescicole che poi si fondono per esocitosi alla membrana postsinaptica. Spetterebbe alla proteina impalcatura PSD-95 il ruolo di organizzatore dell'addensamento postsinaptico; essa infatti aggregherebbe i recettori per i neurotrasmettitori sulla membrana postsinaptica e poi recluterebbe, via via, diverse altre molecole postsinaptiche, determinando in questo modo la formazione dell'addensamento postsinaptico. È importante notare che le pre- e postsinapsi si sviluppano in maniera coordinata, mantenendo una stretta correlazione fra le dimensioni dei loro vari componenti (inclusi il volume del compartimento presinaptico e postsinaptico, il numero totale di vescicole sinaptiche, il numero di vescicole attaccate alla zona attiva, l'estensione della zona attiva e della densità postsinaptica). L'esistenza di questa correlazione fa supporre che vi sia un continuo scambio di informazioni fra la pre- e la postsinapsi, operato probabilmente dai complessi giunzionali che stabilizzano la sinapsi e/o da fattori secreti pre- e postsinapticamente. Il numero di sinapsi che si forma durante lo sviluppo è esorbitante, rispetto alle sinapsi presenti nell'adulto. Intrinseco alla sinaptogenesi è quindi il processo speculare di eliminazione sinaptica. Evidenze genetiche e sperimentali mostrano come l'attività sinaptica, e quindi l'uso, sia il principale mezzo di sopravvivenza dei contatti nervosi. I modelli genetici (in particolare i topi knock out per Munc18 e Munc13) mostrano al contempo che l'attività sinaptica non è richiesta per la formazione delle sinapsi, potendosi generare sinapsi normali, per numero e aspetto, anche in assenza di rilascio del neurotrasmettitore. Tali sinapsi mutanti non sono però stabili e degenereranno subito dopo la nascita, poiché inattive. Evidenze sperimentali sembrano indicare che la proteolisi ubiquitina-dipendente sia uno dei principali meccanismi di regolazione della stabilità dei componenti sia del compartimento presinaptico che postsinaptico.

Sopravvivenza neuronale. - La formazione della complessa architettura circuitale del sistema nervoso è un processo largamente antieconomico, in cui vengono non solo generate più sinapsi del necessario, ma anche molti più neuroni di quelli che poi costituiranno il sistema nervoso dell'adulto. Il processo biologico che opera l'eliminazione dei neuroni sovrannumerari è l'apoptosi, o morte cellulare programmata, un complesso programma genetico presente in tutte le cellule. Il ruolo essenziale dell'apoptosi nello sviluppo del sistema nervoso è illustrato da esperimenti genetici nel topo, in cui la mancata espressione di componenti chiave del processo apoptotico risulta invariabilmente in un'enorme sovracrescita del tessuto nervoso, con gravi alterazioni strutturali. L'effetto della mancata apoptosi negli altri tessuti è molto meno drammatico.

Dal momento in cui divengono postmitotici, i neuroni vivono in un delicato equilibrio tra sopravvivenza e apoptosi. Questo equilibrio è regolato da una costellazione di fattori trofici e/o proapoptotici che sono responsabili, legandosi a specifici recettori, di attivare i programmi cellulari della sopravvivenza, crescita e differenziamento neuronale o, viceversa, i programmi che portano all'autodistruzione o suicidio cellulare, rappresentato dalla morte cellulare programmata.

Numerose evidenze sperimentali mostrano che la sopravvivenza di un neurone dipende da una serie di fattori trofici o di sopravvivenza rilasciati dalle cellule circostanti che sopprimono attivamente il programma dell'apoptosi, mantenendo in vita il neurone. Nelle prime fasi della neurogenesi, i fattori trofici sono essenzialmente gli stessi che regolano l'induzione e la specificazione neuronale (in particolare, morfogeni e citochine) e vengono poi sostituiti da fattori di crescita secreti dalle cellule gliali come il GDNF (Glial-derived neurotrophic factor) che hanno il compito di mantenere in vita i neuroni fino al raggiungimento del bersaglio. Una volta giunto in prossimità del bersaglio, l'assone inizia a captare e a trasportare in maniera retrograda, verso il soma, nuovi fattori neurotrofici rilasciati dal bersaglio stesso che, per un periodo di tempo limitato, risultano indispensabili per la sopravvivenza del neurone. Il Nerve growth factor (NGF) è il primo identificato, più noto e meglio studiato di questi fattori; esso è essenziale per la sopravvivenza dei neuroni simpatici. I neuroni centrali necessitano invece di una costellazione di fattori neurotrofici quali il ciliary neurotrophic factor, l'IGF-1 e le neurotrofine NT-3, NT-4 e il BDNF (Brain-derived neurotrophic factor) per non andare incontro ad apoptosi nel periodo critico del raggiungimento del bersaglio. Infine, quando il neurone si inserisce in uno specifico circuito nervoso, lo stabilirsi di una efficace attività elettrica (grazie all'attività di appropriate afferenze) ha un effetto positivo sulla sopravvivenza del neurone e ne rafforza le connessioni sinaptiche.

Il programma dell'apoptosi opera incessantemente durante ogni tappa del processo di neurogenesi. Esso è tuttavia tanto più attivo quanto più i neuroni si instradano nel processo differenziativo, a suggerire che l'apoptosi operi essenzialmente un controllo di qualità atto a eliminare neuroni anomali o carenti funzionalmente. Durante l'induzione e la specificazione neuronale verrebbero quindi eliminati neuroni con difetti proliferativi, che non rispondono correttamente ai morfogeni o ne disturbano i gradienti. Poi verrebbero eliminati i neuroni i cui assoni imboccano strade errate, non raggiungono il loro bersaglio fisiologico o non si integrano correttamente nei circuiti nervosi. Il processo di selezione vero e proprio è operato attraverso l'instaurarsi di una competizione fra i vari neuroni per concentrazioni limitanti dei vari fattori trofici.

Neurogenesi nell'adulto

All'inizio del XX sec., le osservazioni di Santiago Ramón y Cajal avevano escluso che la maggior parte dei neuroni fossero capaci di riprodursi dopo la nascita. L'introduzione di tecniche specifiche di marcatura del DNA in fase di replicazione permisero di scoprire, alla fine degli anni Sessanta, che vi erano ristrettissime popolazioni di cellule in attiva proliferazione in specifiche aree del nevrasse. Queste osservazioni furono completamente ignorate per quasi quindici anni, fino a quando fu notato che tali cellule proliferanti erano perfettamente incorporate in circuiti nervosi e che l'attiva proliferazione di neuroni era fondamentale, per esempio, per il canto stagionale di alcuni uccelli. Oggi sappiamo che la neurogenesi nell'adulto è attiva in due sole aree del nevrasse: la zona subventricolare dei ventricoli laterali e la zona subgranulare del giro dentato dell'ippocampo. La neurogenesi fuori da queste due zone appare estremamente limitata nell'individuo sano; tuttavia, in seguito a processi patologici, altre aree del sistema nervoso centrale possono diventare attivamente neurogeniche.

La neurogenesi nell'adulto si sviluppa attraverso quattro fasi. Nella prima fase alcune cellule delle zone subventricolari e subgranulari, esprimenti marcatori dell'astroglia, formano una popolazione residente di cellule staminali adulte. Tale popolazione è caratterizzata da una continua e lenta proliferazione che automantiene il pool delle cellule staminali stesse e che genera, contemporaneamente, cellule che si amplificano transitoriamente (transiently amplifying cells). Nella seconda fase, queste ultime cellule vanno incontro al processo di specificazione neuronale diventando neuroni immaturi. Nella terza fase, i neuroni immaturi migrano verso le aree dove risiederanno definitivamente e si integrano nei circuiti nervosi delle rispettive aree bersaglio.

Diverse evidenze sperimentali indicano che, nell'adulto, solo il bulbo olfattivo e l'ippocampo sono aree adeguate per permettere la sopravvivenza dei nuovi neuroni. Danni ischemici, epilessia e malattie degenerative sono potenti stimoli proliferativi per aree apparentemente non neurogeniche del nevrasse. Tuttavia i neuroni che proliferano nelle aree ischemiche o colpite da processi degenerativi non sopravvivono che per brevi periodi, non raggiungendo mai la piena integrazione funzionale. L'epilessia con focus ippocampale indurrebbe invece la crescita di neuroni capaci di integrarsi funzionalmente. Si pensa che siano specialmente gli astrociti e le cellule endoteliali delle aree neurogeniche e delle corrispondenti aree bersaglio a fornire i fattori trofici necessari per la maturazione e l'integrazione dei nuovi neuroni (a differenza della neurogenesi embrionale, dove le cellule gliali si differenziano dopo gli elementi neuronali).

Il significato funzionale della neurogenesi nel bulbo olfattivo e nell'ippocampo è ancora piuttosto oscuro. Sappiamo tuttavia che l'ablazione delle cellule staminali ippocampali (a seguito di irradiazione) produce una riduzione delle prestazioni in paradigmi comportamentali che saggiano la funzionalità di quest'area. Parimenti, l'esercizio intensivo in alcuni di questi paradigmi stimola potentemente la neurogenesi ippocampale. Evidenze simili sono state ottenute anche per la funzione olfattiva, a indicare che la neurogenesi è cruciale per la plasticità funzionale di queste aree.

Sinapsi

Esistono sinapsi chimiche e sinapsi elettriche. Le sinapsi chimiche sono formate da due compartimenti, il compartimento presinaptico (o presinapsi) e quello postsinaptico (o postsinapsi), che si fronteggiano separati dalla fessura sinaptica. Nella presinapsi sono presenti organelli secretori specializzati, le vescicole sinaptiche, che contengono il neurotrasmettitore. Le vescicole sinaptiche sono concentrate lungo una specializzazione della membrana presinaptica, chiamata 'zona attiva'. L'arrivo del potenziale d'azione provoca, a questo livello, l'entrata di Ca2+ attraverso canali voltaggio-dipendenti di tipo P/Q o N e questo segnale scatena l'esocitosi del neurotrasmettitore nello spazio sinaptico. Da qui, esso diffonde verso specifici recettori posti nella membrana postsinaptica. Tali recettori possono essere: (a) proteine-canali, che traducono il segnale chimico del neurotrasmettitore in un nuovo impulso elettrico; (b) recettori metabotropici, che attivano processi di segnalazione intracellulare. Le risposte evocate dai neurotrasmettitori delle molteplici sinapsi vengono integrate nella cellula postsinaptica in risposte elettriche e/o metaboliche (variazioni funzionali e trascrizionali). Le sinapsi chimiche operano quindi un elaborato processo di trasduzione vettoriale del segnale, attraverso il quale un impulso elettrico viene convertito nel rilascio di un segnale chimico da parte della cellula nervosa che invia il messaggio, il quale viene riconosciuto e trasdotto in una risposta biologica elettrica e/o metabolica a livello della cellula postsinaptica. In questo modo, il codice digitale rappresentato dal potenziale d'azione (fenomeno 'tutto o nulla' e di ampiezza costante che si trasmette fedelmente a lunga distanza) diviene analogico, trasformandosi in un rilascio di quantità graduate di neurotrasmettitore. Mentre il linguaggio elettrico dei neuroni può solo variare in frequenza dei segnali, il linguaggio chimico possiede un repertorio di segnali più graduato e suscettibile di integrazione. In questa sinergia tra fenomeni elettrici e chimici e nell'incessante trasformazione dei segnali tra questi due mondi risiedono le formidabili capacità di percezione, elaborazione e risposta del nostro sistema nervoso.

Il ciclo delle vescicole sinaptiche

fig. 6A

La trasmissione chimica dell'impulso nervoso avviene attraverso il rilascio esocitotico di un neurotrasmettitore ‒ contenuto in pacchetti elementari detti 'quanti' ‒ in organelli specializzati, le vescicole sinaptiche. Fin dalla scoperta della neurotrasmissione è stato quindi fondamentale identificare e caratterizzare il macchinario molecolare alla base di questo processo. Le vescicole sinaptiche si dividono in due grandi classi: (a) vescicole piccole, con un diametro sorprendentemente uniforme di circa 50 nm, che contengono neurotrasmettitori non peptidici, sintetizzati in loco nel terminale nervoso e rilasciati nello stretto vallo sinaptico, e che operano un sistema di segnalazione rapido e spazialmente selettivo tra le due cellule connesse sinapticamente; (b) vescicole più grandi (100÷300 nm di diametro) a nucleo denso, che contengono neuropeptidi e che, in numero generalmente inferiore, sono localizzate in zone più periferiche del terminale e rilasciano il loro contenuto nello spazio interstiziale, operando un sistema di segnalazione di tipo paracrino, lento e spazialmente non focalizzato (fig. 6A).

Nelle vescicole sinaptiche che contengono neurotrasmettitori ad azione rapida sono presenti due classi di componenti obbligatori: (a) proteine che servono a riempire la vescicola con il neurotrasmettitore; (b) fattori implicati nel ciclo esoendocitotico (fig. 6B). Le vescicole sinaptiche accumulano il neurotrasmettitore per trasporto attivo. L'energia utilizzata per quest'operazione deriva dal gradiente elettrochimico creato dalla pompa protonica vacuolare, un complesso multiproteico che consuma ATP per spostare idrogenioni all'interno del lume vescicolare. Il neurotrasmettitore entra poi nella vescicola, attraverso uno specifico trasportatore. Vi sono quattro classi di trasportatori vescicolari, rispettivamente per glutammato, ammine biogene, GABA/glicina e acetilcolina. L'espressione di un determinato sistema di trasporto è, in molti casi, sufficiente a far sì che il neurone rilasci il neurotrasmettitore proprio di quel sistema di trasporto. I fattori che controllano il traffico delle vescicole sinaptiche costituiscono un insieme molto complesso, di natura mista proteico-lipidica, di cui si conoscono in dettaglio solo alcuni aspetti. Per ragioni di semplicità e chiarezza, ci focalizzeremo solo su quegli aspetti del processo che sono stati indagati con maggior successo in questi ultimi anni.

fig. 7

La fusione intracellulare di due compartimenti di membrana è ottenuta con l'interazione di proteine SNARE, i recettori per le SNAP presenti su entrambe le membrane che si fondono (fig. 7). L'esocitosi sinaptica è mediata da tre proteine SNARE: sinaptobrevina sulla vescicola sinaptica, sintaxina e SNAP-25 (Soluble NSF acceptor protein) sulla membrana presinaptica. Queste proteine associano spontaneamente fra loro attraverso motivi SNARE costituiti da 70 residui amminoacidici. L'associazione di quattro differenti motivi SNARE (di cui due forniti da SNAP-25 e uno ciascuno da sinaptobrevina e sintaxina) forma, attraverso un processo esoergonico, il complesso di fusione necessario e sufficiente per guidare la fusione delle membrane. La formazione di tale complesso, la cui struttura è oggi conosciuta a livello atomico, inizia dalle estremità citoplasmatiche delle proteine SNARE e procede verso le loro porzioni inserite nella membrana avvicinando la membrana vescicolare a quella presinaptica fino a farle toccare (stato di emifusione). Tale processo, per analogia con il meccanismo della chiusura lampo, è stato chiamato 'zippering'. Il ruolo determinante delle proteine SNARE nel processo di fusione è testimoniato dal fatto che sono il bersaglio dell'azione proteolitica delle tossine tetaniche e botuliniche che determinano un blocco totale e irreversibile dell'esocitosi. Se l'associazione di queste proteine fornisce l'energia per la fusione, ciò implica che esse debbano venire dissociate e riassegnate ai compartimenti di origine per permettere alle membrane vescicolare e presinaptica di riacquistare la competenza per ulteriori cicli di fusione. Poiché la loro associazione è un processo energeticamente favorito, la loro dissociazione richiede energia fornita dall'idrolisi di ATP da parte di una ATPasi solubile, l'NSF (N-ethilmaleimide sensitive factor) che, coadiuvato da proteine adattatrici SNAP, agisce nel breve intervallo di tempo che va dalla fusione al recupero endocitotico della vescicola sinaptica.

Le vescicole sinaptiche non si fondono spontaneamente con la membrana presinaptica, ma attendono l'entrata di Ca2+ nel terminale nervoso per rilasciare il loro neurotrasmettitore. All'arrivo del potenziale d'azione, il Ca2+ entra nel terminale presinaptico per l'apertura di canali per Ca2+ voltaggio-dipendenti di tipo P/Q o N. Transienti di Ca2+ intorno a 5÷10 μM per meno di 1 msec sono sufficienti a scatenare un rilascio del neurotrasmettitore indistinguibile da quello provocato dall'arrivo dell'impulso nervoso. Un modello matematico di questo processo ha fatto ipotizzare che il Ca2+ provochi l'esocitosi per interazione con uno specifico sensore dotato di cinque siti cooperativi di legame con affinità molare. Evidenze accumulate nell'ultimo decennio, in particolare utilizzando modelli genetici murini, hanno identificato nella sinaptotagmina il principale sensore per il Ca2+. La sinaptotagmina appartiene a un'ampia famiglia di proteine transmembrana ed è dotata di due domini citoplasmatici di tipo C2 (C2A e C2B), che legano complessivamente 5 atomi di Ca2+ con bassa affinità (nel range mM); tale affinità è cooperativa e aumenta drammaticamente in seguito al legame dei domini C2 con i fosfolipidi di membrana. La sinaptotagmina lega inoltre il complesso SNARE in maniera sia dipendente che indipendente dal Ca2+.

Il modello oggi proposto per spiegare l'attività di sinaptotagmina nel processo di fusione può essere così schematizzato. Il complesso SNARE è altamente instabile e, se lasciato a sé stesso, indurrebbe spontaneamente la fusione di membrana. Per questa ragione, una volta assemblato, esso deve essere stabilizzato da parte di un gruppo di proteine citosoliche, le complexine. Viene quindi reclutata sinaptotagmina la quale è in grado di legare il complesso SNARE anche in assenza di Ca2+. L'influsso di Ca2+ romperebbe questo equilibrio, facendo spostare rapidamente sinaptotagmina dal complesso SNARE verso i lipidi della membrana. La conseguente rapida perturbazione meccanica scatenerebbe il collasso del complesso SNARE, avvicinando le due membrane fino alla fusione.

In aggiunta al Ca2+ sono stati recentemente caratterizzati anche altri livelli di controllo del rilascio del neurotrasmettitore che non sono per ora integrabili nel modello precedentemente descritto. Uno dei principali livelli addizionali di controllo è quello esercitato dalle proteine SM (Munc18-1, -2, -3), la cui delezione provoca invariabilmente il blocco dell'esocitosi. Queste proteine legano la sintaxina e probabilmente aiutano la formazione del complesso di fusione agendo da proteine chaperon. Un altro livello è rappresentato dall'interazione del complesso SNARE con alcune proteine della zona attiva, come RIM e Munc13, la cui azione è anche in questo caso essenziale per l'esocitosi. Collettivamente, questi studi mostrano come la vescicola sinaptica abbia bisogno di andare incontro a un complesso processo di maturazione ('priming') prima di essere capace di rispondere al Ca2+, con la probabile funzione di migliorare il controllo sulla secrezione sinaptica.

fig. 8

Evidenze elettrofisiologiche combinate a osservazioni morfologiche hanno evidenziato che non tutte le vescicole sinaptiche hanno la stessa probabilità di fondersi con la membrana presinaptica. In base a queste osservazioni è possibile suddividere le vescicole sinaptiche in tre differenti pool in equilibrio fra loro. In seguito all'arrivo del potenziale d'azione solo le vescicole ancorate alla membrana presinaptica e preparate per la fusione hanno un'elevata probabilità di rilasciare il neurotrasmettitore: esse costituiscono il pool di rilascio (readily-releasable pool). Questo pool viene continuamente rifornito di vescicole rigenerate mediante il processo di endocitosi e ricaricate di neurotrasmettitore: esse costituiscono il pool di riciclo (recycling pool). La stimolazione prolungata mobilizza un altro pool di vescicole, più distanti dalla membrana sinaptica, chiamato 'pool di riserva', che va a rifornire il pool di rilascio (fig. 8). L'analisi ultrastrutturale ha rilevato che le vescicole del pool di riserva sono organizzate in cluster circondati da un'impalcatura di filamenti di actina che tuttavia non penetrano all'interno. Le dimensioni relative dei vari pool variano da sinapsi a sinapsi e dipendono anche dal tipo di attività neuronale. Inoltre, il rapporto fra pool di rilascio e pool di riserva varia in maniera dinamica in base all'attività pregressa della terminazione nervosa, attraverso un meccanismo che coinvolge i livelli intracellulari di Ca2+. Il Ca2+ attiverebbe quindi non solo la deplezione del pool di rilascio, ma anche il suo riempimento, in un equilibrio dinamico che determina l'efficienza della trasmissione sinaptica. Questo meccanismo offre una spiegazione molecolare dei processi di plasticità che coinvolgono un'aumentata o diminuita efficienza dei neuroni a rilasciare il neurotrasmettitore.

Il traffico delle vescicole sinaptiche tra i vari pool è regolato dall'attività di proteine G monomeriche specifiche delle vescicole sinaptiche, le proteine Rab3, e dalle sinapsine, una famiglia di fosfoproteine interagenti con il citoscheletro di actina. Le sinapsine sono proteine estrinseche della membrana delle vescicole sinaptiche che vengono codificate nell'uomo da tre geni distinti che sono trascritti in numerose isoforme. Le sinapsine si associano alle vescicole sinaptiche ad alta affinità e legano actina, quando non sono fosforilate. Queste interazioni vengono reversibilmente inibite dalla fosforilazione dipendente da parte di specifiche chinasi attivate da cAMP (PKA), Ca2+/calmodulina (CaM-chinasi I e II) e neurotrofine (MAPK, Mitogen activated protein kinase). Le sinapsine formerebbero un sistema di ancoraggio delle vescicole più esterne a questa impalcatura citoscheletrica e servirebbero anche ad ancorare fra loro le vescicole all'interno del cluster, attraverso la loro capacità di formare dimeri legati a vescicole adiacenti. La fosforilazione durante la depolarizzazione del terminale perturberebbe ciclicamente l'aggregazione del pool di riserva, mobilizzandone le vescicole verso il pool di rilascio.

fig. 9

Per sostenere il rilascio del neurotrasmettitore nel tempo, i componenti della vescicola sinaptica devono essere recuperati rapidamente ed efficientemente. Sono stati proposti due modelli per spiegare meccanicisticamente questo processo. Il primo modello ipotizza che le vescicole sinaptiche aprano un poro transitorio di fusione nella zona attiva da cui fuoriesce il neurotrasmettitore. La semplice chiusura di questo poro porterebbe al riciclo della vescicola sinaptica nella stessa zona in cui è avvenuta la fusione (ipotesi dell'endocitosi rapida o kiss-and-run). Nel secondo modello, le vescicole sinaptiche si fonderebbero nella zona attiva della presinapsi per rilasciare il neurotrasmettitore e poi sarebbero ricaptate in domini adiacenti della membrana presinaptica (zona periattiva), attraverso il processo dell'endocitosi mediata da clatrina (ipotesi dell'endocitosi lenta o mediata da clatrina). Studi elettrofisiologici e morfologici mostrano come i due modelli non siano in antagonismo fra loro ma anzi coesistano in varie sinapsi, con un 5÷20% di tutti gli eventi di esocitosi che si concludono con endocitosi rapida. Quest'ultima prevarrebbe nelle prime fasi di stimolazione, permettendo il riciclo della vescicola sinaptica in frazioni di secondo. La stimolazione prolungata risulterebbe invariabilmente in un processo di endocitosi più lento ma con maggiore capacità, con una costante di tempo di qualche decina di secondi (fig. 9).

Mentre il meccanismo molecolare che sostiene l'endocitosi rapida è in gran parte sconosciuto, grandi progressi sono stati invece compiuti nella caratterizzazione dei componenti che prendono parte all'endocitosi mediata da clatrina. Si è visto, innanzitutto, che l'apparato dell'endocitosi delle vescicole sinaptiche è simile a quello presente in tutte le cellule per l'endocitosi mediata da recettore. Tale processo inizia con il reclutamento del complesso adattatore tetramerico AP2 alla membrana della zona periattiva della presinapsi, attraverso una serie di segnali in parte proteici (sinaptotagmina) e in parte lipidici ‒ il PIP2 (fosfatidilinositolo 4,5 bifosfato). Quindi AP2 recluta la clatrina che si assembla a formare un lattice piatto; un riarrangiamento spontaneo di questo lattice e possibilmente una modificazione della composizione lipidica di membrana portano a una progressiva invaginazione della membrana. La costrizione e la fissione della membrana internalizzata richiedono l'attività della GTPasi dinamina (anch'essa ritenuta ugualmente implicata nell'endocitosi rapida). Vengono così generate vescicole libere che sono denudate del loro rivestimento di clatrina da un apposito complesso enzimatico costituito dalle proteine chaperon Hsc70 e dalla proteina auxilin. Nella presinapsi la vescicola è quindi riempita del neurotrasmettitore e riportata nel pool di rilascio o in quello di riserva, per andare incontro a un nuovo evento esocitotico.

Oltre ai componenti strutturali dell'endocitosi, è stata identificata una serie di fattori proteici e lipidici che servono a regolare e a coordinare il processo di riciclaggio vescicolare. Molti di questi fattori, chiamati collettivamente 'fattori accessori dell'endocitosi', sono prevalentemente espressi nella sinapsi. Ciò spiega perché la rapidità e l'efficienza dell'endocitosi sinaptica sono incomparabilmente superiori all'endocitosi che avviene in tutte le cellule. Funzionalmente, i fattori accessori possono essere divisi in almeno tre gruppi. Una serie di proteine adattatrici multidominio (anfifisina, endofilina, epsina, sindapina e intersectina) sono implicate nella formazione di un'impalcatura su cui vengono reclutati componenti del rivestimento di clatrina, enzimi lipidici e proteine citoscheletriche. Esperimenti genetici in varie specie hanno mostrato che il ciclo della vescicola sinaptica è regolato da un parallelo ciclo di fosforilazione e defosforilazione di fosfoinositidi. In particolare, la sintesi di PIP2, regolata dalla PIP-chinasi Iγ, è essenziale per l'efficiente reclutamento ai siti di endocitosi di vari componenti del mantello clatrinico, mentre la successiva defosforilazione del PIP2, operata dall'enzima sinaptogianina, è richiesta per la rimozione del rivestimento di clatrina. Infine, numerose evidenze sperimentali hanno implicato il citoscheletro di actina nel processo di riciclo della vescicola sinaptica, e in particolare nella propulsione di quest'ultima dalla zona periattiva alla zona attiva. Le recenti osservazioni di un'interazione diretta tra dinamina e actina suggeriscono un ruolo del citoscheletro anche nelle fasi più precoci del processo di endocitosi come la fissione.

Organizzazione dell'addensamento pre- e postsinaptico

Il processo di neurotrasmissione richiede il preciso allineamento della specializzazione pre- e postsinaptica. Le vescicole sinaptiche devono essere vicine e in parte attaccate alla zona attiva, in maniera da rilasciare rapidamente il neurotrasmettitore in un punto estremamente ristretto della membrana presinaptica. Dal lato postsinaptico, i recettori per i neurotrasmettitori devono essere raggruppati in una zona che sia alla minima distanza dalla zona attiva presinaptica, così da essere esposti ad alte concentrazioni di neurotrasmettitore e rispondere il più rapidamente possibile a esso.

fig. 10

Due classi distinte di molecole concorrono a questo compito. Da una parte, molecole di adesione che attraversano lo spazio sinaptico e mantengono in registro la pre- e postsinapsi, formando così uno dei più stabili sistemi di giunzione cellula-cellula del nostro organismo. Dall'altra, fattori solubili citosolici si associano ai fattori di adesione, in maniera da guidarne il posizionamento, favorendo intorno a essi l'aggregazione delle vescicole sinaptiche e dei recettori per i neurotrasmettitori e innescando un complesso processo di segnalazione intracellulare che andrà a modificare il funzionamento sinaptico (fig. 10). Le molecole adesive più note della sinapsi sono le caderine, proteine transmembrana che formano giunzioni aderenti negli epiteli di rivestimento e tra le zone periattive della presinapsi e della postsinapsi. Nella giunzione sinaptica vi sono due tipi di caderine: le caderine classiche, essenzialmente N-caderina, e le protocaderine. La funzione della N-caderina è legata alla stabilizzazione meccanica della sinapsi nell'adulto. Durante lo sviluppo, la N-caderina esercita invece un ruolo chiave nell'arborizzazione dendritica, nella morfogenesi delle spine e nei processi adesivi che accompagnano la sinaptogenesi. Le protocaderine sembrano esercitare un ruolo ristretto all'embriogenesi del nevrasse.

In questi ultimi anni è emerso un nuovo complesso giunzionale della sinapsi, rappresentato dall'interazione eterofilica fra due proteine, neurexina e neuroligina, appartenenti rispettivamente alla membrana pre- e postsinaptica. Studi genetici indicano come il complesso di adesione sia uno dei pilastri essenziali attorno ai quali si organizzano l'addensamento pre- e postsinaptico. La neurexina interagisce dal lato citoplasmatico con un complesso di tre proteine impalcatura MALS/Veli, CASK e Mint-1, ricche in domini di interazione PDZ. Tale complesso, a sua volta, recluta le vescicole sinaptiche che sono attaccate alla membrana presinaptica e i canali per Ca2+ necessari a scatenare l'esocitosi. Se si interferisce presinapticamente con la funzione del complesso MALS-CASK-Mint-1, si ha una severa riduzione di rilascio del neurotrasmettitore per dispersione di componenti della zona attiva. Dal lato postsinaptico, vi è un'altra proteina impalcatura contenente domini PDZ, la PSD-95, che è la più abbondante proteina della postsinapsi. PSD-95 aggrega i recettori-canale e li lega alla neuroligina. Inoltre essa lega numerose altre proteine impalcatura e molecole di segnalazione intracellulare (fig. 10). Studi genetici, elettrofisiologici e morfologici mostrano come queste interazioni regolino una complessa cascata di segnali che modificano profondamente la struttura dell'addensamento postsinaptico e la plasticità della trasmissione nervosa.

Integrazione e plasticità sinaptica

Mentre nella sinapsi neuromuscolare vengono rilasciate quantità enormi di neurotrasmettitore (acetilcolina) che sono ampiamente sufficienti a generare, in condizioni fisiologiche, una depolarizzazione intensa della cellula muscolare che provoca lo sviluppo del potenziale d'azione, la maggior parte delle sinapsi nel sistema nervoso centrale ha invece un comportamento diverso. I pochi quanti rilasciati in risposta al potenziale d'azione determinano singolarmente depolarizzazioni postsinaptiche inferiori al mV, assolutamente insufficienti a raggiungere la soglia per provocare l'insorgenza di un potenziale d'azione. È quindi necessario sommare nel tempo e nello spazio numerosissimi potenziali postsinaptici perché, a livello del segmento iniziale dell'assone (che è la zona del neurone più eccitabile, ovvero con soglia più bassa), si raggiunga la soglia per l'insorgenza del potenziale d'azione (10÷15 mV sopra il potenziale di riposo). Questo processo è indispensabile per permettere ai neuroni centrali, che ricevono normalmente migliaia di contatti sinaptici, di scatenare un potenziale d'azione solo quando il complesso dei segnali in ingresso ‒ opportunamente integrati in base alla loro influenza eccitatoria (depolarizzazione) o inibitoria (iperpolarizzazione) e secondo le caratteristiche geometriche ed elettrotoniche dell'albero dendritico ‒ produce una depolarizzazione adeguata del segmento iniziale dell'assone. Questo processo di integrazione è essenziale per le complesse potenzialità computazionali del singolo neurone e dei circuiti neuronali.

Un'altra proprietà fondamentale dei circuiti nervosi è la loro plasticità. L'efficienza con cui la sinapsi trasferisce l'informazione (forza sinaptica) non è una proprietà immutabile, ma può venire finemente regolata sulla base della storia recente del neurone e dell'ambiente biochimico intracellulare. Questa capacità di variare l'efficienza sinaptica su base puramente funzionale (variazione del software) è detta 'plasticità funzionale' ed è in genere limitata a un breve periodo di tempo dopo l'evento che l'ha prodotta (plasticità a breve termine). Questa plasticità a breve termine (che include i fenomeni di facilitazione, depressione, potenziamento post-tetanico) è generalmente integrata a livello presinaptico e si esprime in seguito a variazioni, indotte da secondi messaggeri o dai livelli intracellulari di Ca2+, nella probabilità di rilascio o nel numero di vescicole che vanno incontro a esocitosi in risposta al singolo stimolo.

Alla plasticità a breve termine segue una forma più complessa e duratura di plasticità sinaptica. Tale forma di plasticità a lungo termine (potenziamento o depressione a lungo termine) viene in genere innescata dalla coincidenza di eventi come il rilascio di glutammato in presenza di una forte depolarizzazione postsinaptica che rende responsivi i recettori NMDA (N-metil-aspartato) ed è associata a variazioni nell'espressione genica e nella sintesi di proteine coinvolte nella neurotrasmissione (proteine presinaptiche, canali voltaggio-dipendenti, recettori postsinaptici) o nel rimaneggiamento delle sinapsi (neurotrofine, molecole di adesione). Questi cambiamenti nell'espressione genica portano al rimaneggiamento di sinapsi preesistenti, alla formazione di nuove connessioni sinaptiche o alla regressione di sinapsi preesistenti, modificando permanentemente la connettività. Tale plasticità sinaptica a lungo termine può essere mantenuta per ore, mesi e anni. Nell'ambito dei circuiti nervosi, variazioni transitorie o permanenti nella forza sinaptica e nel volume di informazioni trasferite (conseguenti a variazioni nel numero di sinapsi tra neurone pre- e postsinaptico) sono in grado di incanalare il flusso delle informazioni attraverso le connessioni 'facilitate' distogliendolo dalle connessioni inibite o 'depresse'. Questo tipo di fenomeni, studiabili a livello cellulare e comportamentale, ha mostrato una stretta correlazione tra apprendimento e fenomeni di plasticità sinaptica in aree circoscritte del sistema nervoso centrale, tale da fare ritenere con ragionevole sicurezza che la plasticità sinaptica a lungo termine sia la base cellulare dei fenomeni di apprendimento e memoria.

Rapporti funzionali tra neuroni e cellule gliali

Fin dalla sua scoperta, la glia fu considerata un componente passivo, con funzioni di semplice impalcatura del tessuto nervoso. Negli ultimi dieci anni questa visione si è profondamente modificata. L'osservazione che l'oligodendroglia funzioni da guida, nell'embrione, e poi da barriera, nell'adulto, per la crescita assonale ha fornito la prima prova, sebbene indiretta, che la glia è un componente attivo del tessuto nervoso. A ciò si sono aggiunte altre osservazioni che mostrano come l'ependima (la glia che riveste le cavità ventricolari) partecipi alle funzioni neuroendocrine dell'ipotalamo e come la microglia sia fondamentale per le reazioni immunitarie nel tessuto nervoso. Oggi si hanno evidenze che anche l'ultimo e numericamente più importante contingente di cellule gliali, l'astroglia, è dotato di proprietà attive. Ci soffermeremo su due aspetti emergenti di questo rinnovato interesse sulla glia: (a) rapporti 'simbiotici' fra mielina e assone come condizione necessaria per un'efficace propagazione dell'impulso nervoso; (b) funzione regolatoria dell'astroglia sulla neurotrasmissione.

Il processo di mielinizzazione

fig. 11A

La mielina è un rivestimento discontinuo isolante che permette alle fibre nervose mieliniche di condurre il potenziale d'azione a velocità molto superiori alle fibre sprovviste di tale rivestimento. La mielina è formata da sottili prolungamenti citoplasmatici, provenienti dalle cellule di Schwann nel sistema nervoso periferico o dagli oligodendrociti nel sistema nervoso centrale, che si avvolgono a spirale attorno all'assone, formando manicotti di lunghezza variabile tra 30 e 1000 μm (in media 100 volte più lunghi del diametro dell'assone) con un rapporto tra diametro dell'assone e diametro totale della fibra (rapporto G) di circa 0,6÷0,7 (fig. 11A).

fig. 12A

Durante il processo di mielinizzazione, il citoplasma delle cellule gliali è progressivamente estruso (processo di compattazione), portando al collabimento delle facce citoplasmatiche della membrana all'interno della singola spira e delle facce extracellulari della membrana di spire adiacenti (fig. 11B). La guaina mielinica è quindi costituita da diversi strati sovrapposti di membrane cellulari. Come per le membrane plasmatiche, la guaina mielinica è composta da lipidi e proteine. I lipidi (fosfolipidi e glicolipidi) costituiscono la frazione percentualmente maggiore; essi conferiscono alla mielina la sua proprietà biofisica più importante: l'isolamento elettrico che determina l'aumento della resistenza di membrana e la diminuzione della sua capacitanza. Le proteine sono altrettanto fondamentali, in quanto ognuna delle proteine isolate dalle guaine mieliniche è in qualche modo essenziale per la formazione e/o la stabilità del rivestimento mielinico. La compattazione delle membrane mieliniche è infatti ottenuta da una serie di proteine (come la proteina P0) che si autoassociano in trans nel versante extracellulare e neutralizzano le cariche negative presenti sul versante interno della membrana. Una piccola quantità di citoplasma sopravvive in tre zone del manicotto mielinico: nei bordi della guaina mielinica, nell'ultimo giro a contatto con il neurone e nel giro più esterno. Tale citoplasma viene continuamente ricircolato attraverso un processo di slaminazione reversibile delle zone compatte (le cosiddette 'strie di Schmidt-Lantermann') che attraversa la guaina mielinica con un movimento lento e spiralare. Questo continuo flusso di materiale citoplasmatico è essenziale per mantenere il trofismo della guaina mielinica fino agli strati più interni (fig. 12A).

La formazione della guaina mielinica suddivide l'assone in zone funzionalmente differenti. Il segmento di assone a diretto contatto con la mielina compatta prende il nome di 'segmento internodale'. Esso, grazie al manicotto mielinico, è elettricamente isolato dall'ambiente circostante; ciò fa sì che la conduzione del potenziale elettrico in questo segmento avvenga come in un cavo (o per conduzione elettrotonica). Tra un segmento internodale e l'altro sono presenti zone dell'assone lassamente rivestite da prolungamenti delle cellule di Schwann che si embricano fra loro (nel sistema nervoso periferico) o da un prolungamento (piede) di un astrocita perinodale (nel sistema nervoso centrale): queste zone prendono il nome di nodi di Ranvier. In queste zone vi è una straordinaria concentrazione di canali ionici voltaggio-dipendenti (canali per Na+ e canali per K+) nella membrana dell'assone, tenuti assieme da interazioni con proteine citoscheletriche, come l'anchirina G e la spectrina, che li ancorano ai filamenti di actina del mantello corticale. I canali ionici rigenerano il potenziale d'azione in maniera da permetterne la cosiddetta 'conduzione saltatoria' da un nodo ai 4÷7 nodi successivi. Infatti, il numero dei nodi per unità di lunghezza dell'assone è ridondante, con una frequenza circa tre volte superiore a quella necessaria per rigenerare efficacemente il potenziale d'azione. Studi morfologici e funzionali hanno individuato altre due zone della guaina mielinica, comprese fra il nodo di Ranvier e il lungo segmento internodale: il paranodo e lo juxtaparanodo (fig.12B). La zona paranodale è stabilizzata da particolari sistemi giunzionali cellula-cellula, molto antichi filogeneticamente, chiamati 'giunzioni settate' e formati da complessi macromolecolari extracellulari a cui partecipano proteine dell'assone (paranodina e contactina) e della glia (neurofascina-155). La funzione delle giunzioni settate paranodali è triplice: (a) esse formano un blocco alla diffusione di ioni verso l'assone mielinizzato, favorendo così la rigenerazione del potenziale d'azione; (b) rappresentano un valido ancoraggio in cui la mielina periferica del segmento internodale si lega all'assolemma in maniera da impedirne lo slaminamento; (c) costituiscono un'efficace barriera che impedisce la diffusione delle proteine assonali e le mantiene rigidamente compartimentalizzate. La zona juxtaparanodale è una zona di transizione tra paranodo e mielina compatta dell'internodo in cui sono presenti elevate concentrazioni di canali per K+ voltaggio-dipendenti che smorzano l'eccitazione rientrante mantenendo il potenziale di riposo nell'assolemma internodale.

Solo recentemente si sono iniziati a individuare alcuni fattori che guidano la formazione della guaina mielinica e che ne regolano la precisa geometria. La selezione degli assoni da mielinizzare (in pratica tutti quegli assoni che superano 1 μm di diametro) sembra dipendere da una combinazione di segnali adesivi esposti dagli assoni e riconosciuti dalle cellule gliali, tra cui spiccano N-CAM e integrine. Studi genetici nel topo hanno inoltre dimostrato che fattori neurotrofici derivati dall'assone (come neuregulina e BDNF) regolano lo spessore della mielina. La lunghezza dei manicotti di mielina sembra dipendere da differenti segnali. Nel sistema nervoso periferico, il citoplasma che si trova nel giro più esterno della mielina non avvolge completamente l'assone, ma è organizzato in raccolte discrete chiamate 'bande di Cajal'. La perturbazione di queste bande, attraverso la mancata sintesi di fattori che le stabilizzano, porta a una notevole riduzione della lunghezza dei tratti internodali, non più proporzionati al diametro dell'assone. Nel sistema nervoso centrale non sono presenti bande di Cajal; tuttavia, se si altera il flusso assonico, si ha un blocco della crescita mielinica, la qual cosa indica l'importanza dei segnali assonici per indirizzare la crescita mielinica. Questi studi hanno evidenziato che gli mRNA per le proteine dei vari domini dell'assone sono trasportati in loco dal flusso assonico dove, complessati a microRNA e polisomi, operano la sintesi delle specifiche proteine assoniche.

Il processo di mielinizzazione si sviluppa attraverso una serie di tappe regolate da interazioni reciproche fra assone e glia. Tuttavia anche il processo di crescita assonale e lo stesso trofismo dell'assone dipendono strettamente da queste interazioni. Durante lo sviluppo, gli assoni che non vengono mielinizzati (assoni > 1μm) rimangono piccoli, si allungano molto lentamente non raggiungendo il bersaglio e vanno quindi rapidamente incontro a degenerazione. Nell'adulto sono ben note le conseguenze gravissime sulla funzione neuronale causate dalla perdita del rivestimento mielinico; si pensi alla sclerosi multipla, che rappresenta forse l'esempio tristemente più famoso di sindromi demielinizzanti. Ma forse l'aspetto più drammatico dei rapporti tra assone e glia viene evidenziato dalle patologie traumatiche e ischemiche del sistema nervoso centrale. È noto fin dall'antichità che lesioni al midollo spinale causano danni permanenti, mentre lesioni di nervi periferici possono essere recuperate mediante una rigenerazione del troncone prossimale dell'assone. Agli inizi del secolo scorso, Jorge Francisco Tello e Cajal mostrarono come assoni centrali riuscissero a crescere dentro nervi periferici, mentre non era possibile il contrario. Questi studi evidenziarono come il sistema nervoso centrale dell'adulto non sia un ambiente permissivo per la crescita neuronale e proposero un ruolo inibitorio della mielina centrale sulla crescita rigenerativa degli assoni. Anche se quest'azione inibitoria ha probabilmente una funzione stabilizzante sulla complessa struttura dei circuiti neuronali centrali, impedendo connessioni casuali che non siano state dirette dai fattori genetici ed epigenetici fisiologici, essa rappresenta un serio ostacolo alle capacità rigenerative dei neuroni centrali.

fig. 13

La ricerca di questi ultimi anni ha permesso di individuare diversi fattori responsabili dell'effetto inibitorio della mielina centrale rispetto alla mielina periferica, che includono: (a) elevati livelli di espressione o espressione selettiva di alcune proteine negli oligodendrociti; (b) elevati livelli di espressione dei recettori per tali proteine nei neuroni centrali; (c) scarsa degradazione di tali proteine da parte degli oligodendrociti; (d) scarsa downregulation di tali proteine negli oligodendrociti in seguito a lesione. Gli oligodendrociti dell'adulto espongono sulla loro superficie una serie di molecole non omologhe che includono Omgp (Oligodendrocyte myelin glycoprotein), Mag (Myelin-associated glycoprotein) e una proteina della famiglia dei reticuloni chiamata Nogo (in particolare l'isoforma neurospecifica Nogo-A, fig. 13). Queste proteine sono espresse dagli oligodendrociti in livelli molto superiori alle cellule di Schwann e convergono su un unico complesso recettoriale costituito dal recettore per Nogo (NgR) e dal recettore p75NTR per le neurotrofine. Quest'ultimo recettore che, se associato ai recettori Trk, coopera agli effetti trofici delle neurotrofine, quando viene stimolato isolatamente promuove apoptosi, depolimerizzazione del citoscheletro e retrazione dell'assone. Studi genetici e farmacologici (con anticorpi anti-Nogo e anti-NgR) hanno confermato il ruolo essenziale di Nogo e del suo recettore nell'impedire la rinnervazione del sistema nervoso centrale in seguito a lesione. Neutralizzando tale azione inibitoria, la crescita delle fibre risparmiate dalla lesione può avvenire con recupero parziale delle connessioni preesistenti o con la creazione di circuiti polisinaptici alternativi che ricreano le connessioni interrotte irreversibilmente dalla lesione.

Interazione tra astrociti e neuroni e gliotrasmissione

fig. 14

Gli astrociti formano una rete estesa di cellule che riveste i neuroni e i vasi, formandone l'impalcatura di sostegno, ma anche separandoli e isolandoli fra loro. Ogni astrocita prende contatto con decine di neuroni e migliaia di sinapsi, occupando un suo proprio territorio in cui penetrano solo poche ramificazioni di altri astrociti. Circa la metà di queste cellule ha un corpo cellulare irregolare, lunghi prolungamenti, un potenziale di membrana molto negativo, la capacità di internalizzare vari neurotrasmettitori e un forte accoppiamento funzionale tramite giunzioni gap (fig. 14). L'altra metà degli astrociti costituisce invece una popolazione cellulare eterogenea per caratteristiche morfologiche, biochimiche e funzionali.

Gli astrociti sono in contatto con i terminali nervosi sia indirettamente, concorrendo a sigillare la fessura sinaptica, che direttamente, tramite apposite sinapsi ectopiche che le cellule nervose fanno sugli astrociti. I neurotrasmettitori rilasciati a questi siti sono in grado di agire su specifici recettori accoppiati a proteine G degli astrociti. Tali recettori scatenano a loro volta una cascata di segnalazione intracellulare mediata da Ins(3,4,5)P3 che ha come effetto diretto l'aumento della concentrazione intracellulare di Ca2+, per rilascio dai depositi intracellulari (principalmente il reticolo endoplasmatico liscio). Questi transienti di calcio diffondono nella rete astrocitaria (che può essere considerata un sincizio funzionale) e provocano l'esocitosi di gliotrasmettitori che andranno ad agire sui neuroni e su altre cellule gliali e la secrezione di sostanze vasoattive, in un processo di comunicazione cellula-cellula chiamato 'gliotrasmissione'.

fig. 15A

L'effetto dei gliotrasmettitori sui neuroni è vario, come vari sono i loro recettori. In particolare, glutammato e purine regolano il livello di eccitabilità neuronale e la plasticità sinaptica con effetto inibitorio per le purine ed eccitatorio per il glutammato. Data l'organizzazione tridimensionale dei processi astrocitari e il forte accoppiamento fra astrociti vicini (tramite giunzioni gap), è stato visto che la gliotrasmissione può sincronizzare l'attività di ampie popolazioni neuronali, non connesse sinapticamente fra loro (fig. 15A). La gliotrasmissione rappresenta anche un importante meccanismo per segnalare ai vasi il livello di attività nervosa, per i necessari adeguamenti del flusso ematico: quando il livello dell'attività sinaptica sale, questa induce l'attivazione degli astrociti (transienti di calcio) e la conseguente liberazione di sostanze vasoattive (fra cui ossido di azoto ed eicosanoidi) che favoriscono la vasodilatazione, contribuendo a sostenere l'aumentato consumo energetico (fig.15B).

In conclusione, gli astrociti sono cellule 'metabolicamente eccitabili' (transienti di calcio) che prendono parte attiva nella neurotrasmissione rilasciando appositi gliotrasmettitori. A differenza dei neuroni, però, gli astrociti non sono in grado di generare potenziali d'azione (essendo privi di canali per Na+ voltaggio-dipendenti) e pertanto non sono in condizione di operare una segnalazione rapida e spazialmente definita come i neuroni. Tuttavia, la gliotrasmissione rappresenta una modalità lenta di segnalazione diffusa nei circuiti nervosi con la capacità di modulare, sincronizzare e modificare sia l'eccitabilità neuronale, sia l'elaborazione delle informazioni e il flusso ematico regionale.

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