Neuronanotecnologie

Dizionario di Medicina (2010)

neuronanotecnologie

Cinzia Severini

Ambito della ricerca scientifica e tecnologica in cui nanomateriali e strutture ingegnerizzate a livello nanometrico sono applicati alla fisiologia cellulare del sistema nervoso. L’impiego delle n. nello studio e nella manipolazione del sistema nervoso consente di interagire a livello molecolare con le strutture subcellulari che lo compongono, con modalità e precisione fino a qualche tempo fa inimmaginabili. Nonostante siano discipline assai recenti, le n. hanno indicato nuove prospettive alla ricerca clinica e di base. Nella previsione di scenari tecnologici futuri, le n. sono il mezzo ideale per realizzare le interfacce cervello computer (➔) e per imitare alcune strutture neuronali (➔ dispositivi neuromorfi). Nell’immediato, le nanoparticelle per il rilascio mirato di farmaci attraverso la barriera ematoencefalica e i nanomateriali in grado di ridurre le dimensioni dei pace-maker cerebrali e di migliorarne l’accoppiamento con il tessuto neurale (➔ neuromodulazione) sono fra le applicazioni cliniche più attese. Le n. hanno infine aperto direzioni prima inaccessibili per la microscopia cellulare in fluorescenza, la biosensoristica, la deposizione litografica a risoluzione molecolare di sostanze neuroattive e per lo studio e la manipolazione delle proprietà computazionali di reti di neuroni (➔ reti neurali) in ibridi neuroelettronici. Il termine n. è stato introdotto nel 2005, riportato nell’acronimo di un progetto internazionale coordinato da ricercatori dell’Università di Trieste, e appare oggi nella denominazione di centri accademici di eccellenza, sia nazionali sia internazionali.

Impatto nelle neuroscienze di base

L’uso di materiali semiconduttori, quali silicio e carbonio, è al centro delle scoperte in n. degli ultimi dieci anni. Fra queste vi sono i nanocristalli fluorescenti, o quantum dot (~5 nm). Essi sono caratterizzati da una straordinaria versatilità e stabilità chimica e il loro utilizzo, in luogo di composti organici convenzionali, ha rivoluzionato le metodiche di microscopia cellulare in fluorescenza, per indagini ad altissima risoluzione spaziale e temporale. A paragone con i fluorofori (molecole fluorescenti) tradizionali, queste nanosfere rispondono con intensità maggiore e minima degradazione quando se ne eccita la fluorescenza. Se la superficie dei quantum dot è modificata chimicamente per fornire siti di ancoraggio ad anticorpi, peptidi e altre biomolecole, questi nanocristalli diventano capaci di legarsi selettivamente a recettori e molecole, o di essere incorporati all’interno di vescicole e particolari classi di neuroni, di cui riconoscono l’identità genetica. Diventa possibile quindi osservare funzioni e disfunzioni delle cellule del sistema nervoso in tempo reale, tracciando dinamicamente nello spazio e nel tempo la posizione di singoli recettori di membrana e di canali proteici, o riconoscendo la classe a cui il neurone coinvolto appartiene. La plasticità (➔ plasticità neurale) delle connessioni sinaptiche, alla base dell’apprendimento e delle sue patologie, potrebbe in futuro essere visualizzata in tempo reale, osservando come i recettori sinaptici traslocano attraverso e lungo la membrana di un neurone.

Nanotubi di carbonio e neuroni

Nel primo decennio del secolo, alcuni allotropi del carbonio, quali i fullereni, il diamante e la grafite, hanno suscitato grande interesse in neuroscienze. Sebbene, come per i quantum dot, la neurotossicità dei fullereni sia ancora dibattuta, sono stati descritti risultati sorprendenti combinando neuroni e nanotubi di carbonio. Questi ultimi sono strutture molecolari cilindriche dal diametro di pochi nanometri e lunghezza dal micrometro al millimetro, con proprietà meccaniche, chimiche ed elettroniche sorprendenti, e sono allo studio anche per applicazioni aeronautiche e microelettroniche di frontiera.

neuronanotecnologie

Dopo il successo della microscopia cellulare a forza atomica, in cui i nanotubi sono usati come sensori secondo un principio simile al movimento della puntina di un grammofono sui solchi di un disco, una delle chiavi per l’uso dei nanotubi in neuroscienze è stata nel 2002 una scoperta di Maurizio Prato, un chimico organico italiano, che è riuscito a ottenere nanotubi solubili, semplificandone separazione, manipolazione e purificazione. Quando miliardi di nanotubi sono uniformemente dispersi e assemblati su un film sottile, non solo si ottiene una struttura elettricamente conduttiva come un elettrodo metallico – con un rapporto molto elevato fra superficie esposta e ingombro nel tessuto, con conseguente netto miglioramento della qualità dei segnali trasdotti –, ma si crea un’impalcatura nanoscopica che ha analogie con la matrice extracellulare. Per tale somiglianza, stanno fiorendo applicazioni per promuovere crescita, differenziamento e rigenerazione delle connessioni nervose interrotte, per es., a causa di un trauma. I nanotubi di carbonio e i nanocristalli di silicio hanno un comportamento semiconduttore, come i chip che integrano miliardi di transistori. In questo modo è possibile avvicinare la nanoelettronica (basata su nanotubi) e la nanosensoristica (basata su transistori dalle dimensioni micro- o nanoscopiche) a effetto di campo a sistemi elettricamente attivi come i neuroni. Infatti, tali film sottili conduttivi sono stati impiegati per realizzare interfacce elettroniche bidirezionali fra microelettrodi e neuroni. Infine, la possibilità di interagire selettivamente con singoli neuroni, e forse di ingegnerizzarne in futuro le caratteristiche elettriche, è lo scenario più avvincente delle neuronanotecnologie. Il genetista e neuroscienziato Edoardo Boncinelli, in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera (marzo 2009), lo ha definito come «un incrocio fantastico fra evoluzione biologica ed evoluzione culturale, un corto circuito fra natura e cultura».

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