NEUROCHIRURGIA

Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)

NEUROCHIRURGIA.

Roberto Delfini

– Chirurgia spinale. Neurochirurgia oncologica. Neuroendoscopia. Neurochirurgia funzionale. Neuronavigazione e robotica. Trattamento endovascolare. La donna neurochirurgo. Bibliografia

La n. è la branca specialistica della chirurgia che si occupa delle patologie del sistema nervoso centrale e periferico. Le strutture anatomiche oggetto degli interventi neurochirurgici sono il cranio, l’intera colonna vertebrale e i nervi periferici. Le principali categorie nosologiche suscettibili di trattamento neurochirurgico sono: tumori, traumi, malformazioni vascolari, patologia degenerativa della colonna, malformazioni cranioencefaliche e vertebromidollari, distubi del movimento, dolore cronico ed epilessia.

Tra le discipline chirurgiche la n. è quella che si avvale maggiormente del contributo delle tecnologie, tanto che le innovazioni acquisite negli ultimi vent’anni in campo scientifico, tecnologico e informatico ne hanno profondamente influenzato l’evoluzione e ampliato lo spettro delle opzioni terapeutiche. Avvalendosi delle collaborazioni con altre branche mediche e chirurgiche, combinate con i progressi in campo neuroanestesiologico, neurofarmacologico e neuroradiologico, la n. ha compiuto notevoli passi avanti in tutti i suoi campi d’interesse.

Chirurgia spinale. – L’aumento dell’aspettativa di vita si è associato a un incremento dell’incidenza di patologie degenerative spinali e della richiesta di interventi di chirurgia vertebrale. Gli sviluppi in questo campo sono legati innanzitutto ai notevoli progressi nella conoscenza della biomeccanica della colonna. Questo ha portato a comprendere meglio la fisiopatologia dei processi degenerativi che la coinvolgono e a ideare e introdurre tecniche meno invasive e più appropriate e materiali sempre più biocompatibili.

Il primo aspetto da considerare riguarda l’introduzione di approcci percutanei e mininvasivi che permettono di effettuare interventi chirurgici attraverso incisioni cutanee di qualche centimetro, riducendo al minimo il traumatismo sui tessuti molli paravertebrali. L’indicazione a effettuare la classica chirurgia open rimane in casi specifici e può avvalersi oltretutto di sistemi di stabilizzazione sia dinamici sia statici, che pur ripristinando la stabilità del segmento vertebrale coinvolto non ne aboliscano completamente l’articolarità.

L’intervento di plastica vertebrale (vertebrocifoplastica) consiste nell’inserimento di sostanze come cementi e siliconi direttamente nel corpo della vertebra, al fine di ottenerne un immediato consolidamento nella patologia sia traumatica sia osteoporotica, con abbattimento dei tempi di degenza e della necessità di terapie farmacologiche.

Tra le varie procedure quelle mininvasive sono una risposta all’esigenza di poter operare anche pazienti anziani e affetti da patologie degenerative, con la finalità di causare il minor danno tissutale possibile, al contrario degli interventi tradizionali che solitamente comportano importanti perdite ematiche e un recupero postoperatorio più lungo e doloroso. Tali procedure inoltre possono essere effettuate in anestesia locale, un vantaggio per quei pazienti che non hanno la possibilità di affrontare un’anestesia generale. Queste tecniche comportano minore fibrosi postchirurgica e riducono il rischio infettivo e le complicanze postoperatorie, determinando così una riduzione dei tempi e dei costi di degenza. Gli approcci percutanei, che sono indicati in casi selezionati per trattare l’instabilità vertebrale congenita, degenerativa e post-traumatica, si realizzano praticando minime incisioni cutanee che consentono l’inserimento di cannule di lavoro in cui si immettono gli strumenti chirurgici.

Sono stati recentemente introdotti anche approcci endoscopici per il trattamento della patologia discale in tutti i tratti della colonna.

Neurochirurgia oncologica. – Per la chirurgia cerebrale sono stati importanti l’introduzione del neuronavigatore e lo sviluppo della chirurgia a paziente sveglio. Rilevanti passi avanti in campo diagnostico hanno permesso inoltre l’utilizzo di particolari sequenze in risonanza magnetica (RM) che permettono di rilevare l’attivazione di aree corticali connesse a specifiche funzioni (RM funzionale), di visualizzare il decorso delle fibre nervose cerebrali e spinali (trattografia) o di analizzare le caratteristiche metaboliche dei tessuti esaminati (spettroscopia).

L’imaging funzionale di RM (fMR, functional Magnetic Resonance) consiste nell’esecuzione, con la collaborazione del paziente, di sequenze che permettono di determinare, in vivo e in maniera non invasiva, la localizzazione e l’eventuale dislocazione delle aree eloquenti (ossia le aree cerebrali coinvolte nello svolgimento di un determinato compito cognitivo, per es. leggere, muovere una parte del corpo ecc.).

Le sequenze di diffusion tensor imaging (DTI) vengono utilizzate per la mappatura tridimensionale delle fibre della sostanza bianca (trattografia) che veicolano le informazioni necessarie all’esecuzione di tutte le funzionalità cerebrali. La visualizzazione in 3D del percorso dei fasci di fibre consente di verificarne l’eventuale dislocazione, infiltrazione o interruzione da parte del tumore, permettendo una pianificazione chirurgica più adeguata possibile, al fine di evitare la comparsa di deficit neurologici nel postoperatorio.

La spettroscopia protonica trova applicazione nello stabilire il grading (grado di differenziazione del tumore rispetto al tessuto normale) e la caratterizzazione tumorale, nell’individuazione di un target bioptico o terapeutico, per la serie di controlli cui viene sottoposto il paziente dopo la terapia (follow up) e per la diagnosi differenziale. Si basa sulla rilevazione di particolari metaboliti, tra cui N-acetil aspartato (NAA), complesso creatina-fosfocreatina (Cr-PCr,Creatine-PhosphoCreatine) e colina (Cho, Choline), e del loro rapporto nel tessuto peritumorale e nel tumore, fornendo la possibilità di formulare ipotesi sulla natura della lesione prima dell’analisi istologica. Tutte queste informazioni consentono di pianificare un intervento di asportazione di una lesione cerebrale minimizzando i rischi di danneggiare strutture o aree eloquenti.

Negli ultimi due decenni si è avuto lo sviluppo di sistemi di imaging intraoperatorio installabili direttamente nelle sale operatorie. L’esecuzione della RM intraoperatoria è di-venuta possibile grazie all’utilizzo di magneti detti open-bore (aperti). Con lo sviluppo di apparecchiature sempre più perfezionate si è giunti ad avere a disposizione immagini ad alta definizione, che permettono al chirurgo di basarsi su dati funzionali e anatomici aggiornati durante la procedura chirurgica, registrando informazioni sulle modificazioni anatomiche del tessuto tumorale durante l’asportazione. La RM intraoperatoria permette di identificare eventuali residui di tessuto patologico, così da aumentare la percentuale di asportazione totale, mentre con l’utilizzo dell’imaging RM intraoperatorio diventa più semplice differenziare il tessuto patologico da quello sano e identificare con precisione aree eloquenti e fibre di materia bianca. Tutto questo avviene con uno scanner RM che può entrare su richiesta in sala operatoria, senza necessità di spostare il paziente dal tavolo operatorio. Ciò consente di mantenere il paziente sotto sedazione profonda e di monitorarlo preservando la sterilità del campo chirurgico.

Sono stati introdotti nell’uso clinico farmaci in grado di agire come marcatori lesionali. Il più utilizzato è l’acido 5aminolevulinico (5-ALA, AminoLevulinic Acid), preparato che deve essere assunto dal paziente qualche ora prima dell’intervento e che viene captato in maniera altamente selettiva dalle cellule ad alto indice proliferativo, come le tumorali. I metaboliti del 5-ALA risultano percepibili e di colore rossastro alla luce ultravioletta filtrata attraverso il microscopio operatorio, facilitando la discriminazione tra tessuto cerebrale sano e tumorale.

Negli ultimi vent’anni si è diffusa la chirurgia a paziente sveglio (awake surgery). Nata nella prima metà del Novecento, tale metodica ha permesso un approfondimento scientifico rigoroso delle più diverse funzioni cerebrali complesse, dal linguaggio nelle sue molteplici sfaccettature al calcolo matematico, alla percezione della musica, al riconoscimento vocale, alla percezione delle sensazioni visive e visuospaziali. La possibilità di effettuare la awake surgery è attualmente diffusa in centri specializzati che si avvalgono della collaborazione di un’équipe multidisciplinare composta da neuroanestesisti, neuropsicologi e neurofisiologi, che valutano prima dell’operazione il paziente e lo monitorano durante tutto il periodo dell’intervento. In questa maniera è possibile affrontare un intervento di asportazione di un tumore situato in aree eloquenti con elevata precisione e valutando passo dopo passo gli effetti immediati sullo stato del paziente, ottenendo così una maggiore radicalità con minori rischi di complicanze neurologiche postoperatorie.

Neuroendoscopia. – Tra gli strumenti che il neurochirurgo ha attualmente a disposizione per approcci di tipo mininvasivo e microchirurgico, di rilevante importanza è l’endoscopio. Il neuroendoscopio, sul modello derivato dagli endoscopi utilizzati nella chirurgia generale, permette, tramite l’ausilio di strumenti di forma tubulare di pochi millimetri di diametro, di raggiungere strutture profonde con un’invasività trascurabile e spesso, come per gli approcci transnasali, sfruttando orifizi naturali che permettono l’accesso senza creare traumatismi eccessivi al paziente o tramite piccoli fori praticati sul cranio. Le cannule dell’endoscopio sono dotate di sistemi di fibre ottiche e lenti che, collegati a un monitor, permettono l’esecuzione dell’intervento in videochirurgia.

La neuroendoscopia viene utilizzata per patologie riguardanti sia il sistema ventricolare cerebrale, come idrocefalo e lesioni endoventricolari di diversa natura, sia la sella turcica e la base del cranio, quali adenomi ipofisari, meningiomi sellari e parasellari, fistole liquorali e patologie della giunzione craniocervicale. Le tecniche neuroendoscopiche trovano applicazione anche nella microchirurgia tradizionale (microchirurgia endoscopio-assistita) per ottenere una migliore visualizzazione di strutture anatomiche profonde o ‘nascoste’.

Il vantaggio di un minore traumatismo nel trattamento subito dal paziente garantisce solitamente, oltre a una migliore tollerabilità della procedura, anche tempi più brevi di recupero. Recentemente è stato introdotto l’endoscopio 3D che permette una visione tridimensionale del campo operatorio annullando le problematiche legate alla bidimensionalità della videochirurgia.

Neurochirurgia funzionale. – La n. funzionale ha come obiettivo il trattamento di alterazioni della funzione di alcune strutture del sistema nervoso centrale che si manifestano con sintomi quali disturbi del movimento, epilessia, dolore cronico.

L’impianto con tecnica stereotassica di elettrodi all’interno dei nuclei della base viene utilizzato per il morbo di Parkinson, per alcune forme di distonia e nelle cefalee a grappolo farmacoresistenti. Il trattamento chirurgico dell’epilessia si avvale di molteplici tecniche mirate a demolire le aree epilettogene o a interrompere connessioni neuronali patologiche, con interventi che necessitano di un approfondito studio preoperatorio e di una pianificazione multidisciplinare. Esistono inoltre procedure per il trattamento del dolore cronico periferico che consistono nel posizionamento di elettrodi a livello del midollo spinale (SCS, Spinal Cord Stimulation) o nell’impianto di pompe per infusione intratecale continua di farmaci.

Neuronavigazione e robotica. – I progressi in campo neuroradiologico hanno portato allo sviluppo di un sistema accurato per la localizzazione delle lesioni all’interno del sistema nervoso centrale al fine di effettuare un approccio meno invasivo e più preciso a queste ultime. Il neuronavigatore è un macchinario che permette di elaborare una mappa per punti riprodotta sui tre piani cartesiani dell’encefalo, utilizzando sequenze tridimensionali sia di RM sia di TC (Tomografia Computerizzata). Il suo impiego consiste nel formulare una pianificazione accurata nell’esecuzione delle biopsie cerebrali, individuando i limiti anatomici del tessuto patologico così da limitare l’accesso craniotomico allo stretto necessario per asportare la lesione. Inoltre, nella chirurgia endoscopica transfenoidale e nella chirurgia spinale si può guidare con la massima precisione l’impianto di dispositivi di fissaggio o l’asportazione di neoformazioni.

Nella n. la robotica si applica principalmente alle procedure stereotassiche e all’endoscopia; altre applicazioni importanti le ritroviamo nella realtà virtuale, soprattutto per quanto riguarda l’insegnamento e l’apprendimento di procedure neurochirurgiche. Infatti, queste tecniche sono state messe in atto per riprodurre virtualmente l’anatomia dei pazienti e simulare l’uso di strumentazione chirurgica. L’utilizzo della realtà virtuale trova il suo principale impiego nella didattica relativa a procedure quali ventricolostomie e posizionamento di sistemi di fissaggio in chirurgia spinale, e nella simulazione di procedure microchirurgiche guidate dalle neuroimmagini (v. neuroimaging).

Tecnicamente i robot chirurgici possono essere divisi in due categorie: sistemi attivi e passivi. Il piano chirurgico viene effettuato sulla base di programmazioni usando neuroimmagini. Al momento questo genere di chirurgia viene impiegata a livello sperimentale su modelli plastici, per procedure ancora molto semplici, che comprendono l’esecuzione guidata di fori per l’inserimento di endoscopi.

Trattamento endovascolare. – Nella neuroradiologia endovascolare i più importanti progressi sono stati soprattutto quelli riguardanti il trattamento degli aneurismi cerebrali, delle malformazioni arterovenose (MAV), della stenosi aterosclerotica intracranica e delle fistole arterovenose. La neuroradiologia endovascolare dipende sia dalle innovazioni tecnologiche sia dall’abilità dell’operatore che la esegue. In futuro potrà essere effettuata da unità robotiche comandate da postazioni remote. L’introduzione di nuovi materiali e l’avanzamento nelle tecniche per il loro posizionamento rappresentano gli sviluppi attuali di questa branca. L’applicazione di materiali, utilizzabili come agenti embolici, che determinano la trombizzazione e la chiusura della sacca aneurismatica o della malformazione, ha subito diverse modifiche negli ultimi anni. Materiali di recente utilizzo sono le colle liquide a base di polimeri di cianoacrilato. Altri presidi in dotazione alla neuroradiologia endovascolare sono gli stent, gabbie di materiale metallico biocompatibile di diverse forme e dimensioni, che vengono utilizzati principalmente per determinati tipi di aneurismi e come sostegno alle colle in quanto favoriscono i fenomeni di trombizzazione e chiusura, interagendo anche con la dinamica del flusso sanguigno all’interno del vaso. I successi ottenuti incoraggiano ad ampliare il campo delle attuali indicazioni.

La donna neurochirurgo. – Un fenomeno di rilievo è la presenza, sempre più numerosa, delle donne in neurochirurgia. Erano i primi anni del 20° sec. quando Diana Back diventò la prima donna neurochirurgo, specializzandosi nel Regno Unito. Da allora il contributo femminile nella medicina in generale è stato in esponenziale aumento, anche se con numeri sempre molto limitati nella neurochirurgia. Agli inizi del 21° sec. in quest’ultimo settore il rapporto tra le donne e gli uomini è di 1 ogni 20 ed è inferiore rispetto a tutte le altre branche chirurgiche. Sebbene la carriera di neurochirurgo sia impegnativa già dal percorso di specializzazione per qualunque candidato, indubbiamente le donne sono ancora soggette a discriminazioni di genere dovute a preconcetti sociali e al ruolo della donna nella famiglia, alle esigenze legate alla maternità e all’assenza fondamentale di mentori, poiché ancora manca la presenza di donne neurochirurgo in ruoli di rilievo sia direzionali sia accademici. Per questo motivo nel 1989 è nata la società Women in neurosurgery (WINS), con la finalità di creare un punto di incontro tra le donne neurochirurgo, che rappresentano una minoranza in una branca chirurgica che è già di per sé una élite.

Bibliografia: R.F. Spetzler, Progress of women in neurosurgery, «Asian journal of neurosurgery», 2011, 6, 1, pp. 6-12; S. Peschillo, R. Delfini, Endovascular neurosurgery in Europe and in Italy: what is in the future?, «World neurosurgery», 2012, 77, 2, pp. 248-51; C. Schulz, S. Waldeck, U.M. Mauer, Intraoperative image guidance in neurosurgery: development, current indications, and future trends, «Radiology research and practice», 2012, 197364; A. Mert, L.S. Gan, E. Knosp et al., Advanced cranial navigation, «Neurosurgery», 2013, 72, 1, pp. 43-53; J.E. O’Toole, The future of minimally invasive spine surgery, «Neurosurgery», 2013, 60, 1, pp. 13-19; L.N. Sekhar, F. Tariq, L.J. Kim et al., Commentary: virtual reality and robotics in neurosurgery, «Neurosurgery», 2013, 72, 1, pp. 1-6; A. Talacchi, B. Santini, F. Casagrande et al., Awake surgery between art and science. Part I: clinical and operative settings, «Functional neurology», 2013, 28, 3, pp. 205-21; S. Yamada, Y. Muragaki, T. Maruyama et al., Role of neurochemical navigation with 5-aminolevulinic acid during intraoperative MRI-guided resection of intracranial malignant gliomas, «Clinical neurology and neurosurgery», 2015, 130, pp. 134-39.

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