Neoguelfismo

Dizionario di Storia (2010)

neoguelfismo


Forma italiana del cattolicesimo liberale, nella prima metà del sec. 19°; il termine, coniato dagli avversari (G. Pepe e G. Ferrari), fu accettato dai seguaci (i neoguelfi), fieri di richiamarsi all’età precomunale e comunale, in cui il papato avrebbe rappresentato il principio di unità e indipendenza della patria. Ne fu il massimo esponente V. Gioberti, che nel Primato (1843), capovolgendo alcune idee di J. de Maistre, propose un cattolicesimo nazionale e popolare, nel quale i termini di Italia e papato finivano per coincidere: il programma politico del n., espresso nel Primato, era la federazione dei principi sotto la guida del pontefice. Poco dopo, attraverso una celebre polemica con i gesuiti, Gioberti enucleò il concetto di civiltà liberale in contrapposizione a quello di civiltà confessionale; ma non volle fissare altri confini politici al n., che non assunse mai la forma di un partito, presentandosi invece come opinione pubblica nazionale, in polemica aperta contro il settarismo dei partiti (i migliori fra i rappresentanti del n., come A. Manzoni, C. Troya, G. Capponi, C. Balbo, preferirono significativamente chiamarsi «moderati» anziché guelfi). L’avvento di Pio IX (giugno 1846) parve sul punto di realizzare il programma neoguelfo; ma questo si infranse nell’impossibilità di conciliare l’universalismo della Chiesa con il nazionalismo italiano e con le conseguenze politiche della sua attuazione (guerra contro l’Austria, laicizzazione dello Stato romano, parlamentarismo).

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