NEGRILLI

Enciclopedia Italiana (1934)

NEGRILLI

Lidio Cipriani

L'incertezza più grande sussiste ancora riguardo agli usi e costumi dei Negrilli, i Pigmei e i Pigmoidi africani, e quanto ne venne reso noto da viaggiatori e studiosi si deve considerare in molti casi soltanto un riflesso della cultura dei loro vicini di razza negra.

I Negrilli distinguono sé stessi con parecchi nomi, di cui è dubbia in qualche caso l'origine. È chiara invece la provenienza per i nomi dati loro dalle tribù negre e intesi a significare, talora con qualche dispregio, "uomini del bosco" o "piccoli uomini", o "uomini dalla grossa testa". Limitatamente al Congo, alcune delle denominazioni dei Negrilli sono: Bafoto per la regione fra il Lopori e il Congo; Akka sull'Alto Bomokandi; Tiki-Tiki fra il Bomokandi e l'Aruwimi; Wambuti sull'Ituri; Efé sull'Alto Nepoko; Basua sul Lindi; Bafete sul Basso Lomami; Batua sul Busira, sul Lago Tumba, sul Lago Leopoldo II, sul Sankuru, sul Lukuga, sul Luama; Batambo sul Cassai; Mato sull'alto Lukenge; Batembo sul Lago Moero. Altrove si hanno nomi come: Akoa presso il Capo Lopez; Moko, Bako o Bamoko presso l'estuario del Gabon; Ajongo e Benkel nelle vicinanze del Muni; Bengiel presso il Wole; Beku verso le sorgenti dell'Aina; Guleboko a occidente del basso Ubanghi; Abango sugli affluenti di sinistra dell'Ogoué.

Perfino per la lingua si è lungi dal potere asserire che ne posseggano una propria.

Le ricerche più estese in proposito sono dovute al Trilles e allo Schebesta, ma ambedue, benché propensi per l'affermativa, restano incerti sull'esistenza di un vero e proprio patrimonio linguistico pigmeo. Comparando fra loro parecchie delle denominazioni proprie dei Negrilli si trova che, per quanto diverse appaiano a prima vista, esse derivano dalla parola fondamentale efé o efué, usata nel senso di uomo. Così lo Schebesta, secondo la tabella qui riportata, crede di poter distinguere la separazione di due gruppi di nomi negrilli, uno settentrionale, che egli chiama gruppo ke, per tribù soggette a genti sudanesi, e uno meridionale, o gruppo tua, per tribù soggette a Bantu. Stando alla seguente tabella, il confronto si può estendere anche a certi nomi di tribù boscimane:

Le derivazioni qui accennate sembrano doversi a un'antica lingua dei Negrilli, oggi allo stato di residuo fra questi e fra i Boscimani. Certo è, però, secondo il Trilles, che i Negrilli possiedono espressioni numerali loro proprie, ma senza andare oltre il 20. I numeri superiori sono compendiati nella parola "molto". Gesti particolari, assai diversi da quelli dei Negri, accompagnano l'annunzio del numero. A mezzo di nodi in cordicelle di filo di ananasso e d'intacchi in pezzetti di legno usano, inoltre, fissare concetti connessi con numeri. Hanno infine una numerazione segreta, pochissimo nota, che posseggono al pari di molte tribù negre. Oltre alla numerazione, rivelano l'esistenza di un'antica lingua pigmea certi termini ricorrenti nei canti sacri, negli esorcismi, negl'incantesimi, nonché nel linguaggio usuale, nei proverbî e nei racconti favolosi; i nomi d'individui e di specie animali e vegetali. Posseggono anche dei "clicks" molto diversi, quando vi sono, da quelli dei loro vicini di razza negra.

La generalità dei Negrilli, pure conducendo una pura esistenza di foresta, vive in uno stato da chiamarsi di simbiosi coi Negri. Esclusivamente cacciatori i primi e prevalentemente coltivatori i secondi, trovano modo di scambiarsi l'esuberanza dei prodotti con vantaggio reciproco. Come può intendersi, i Negrilli dànno carne, mentre ricevono banane, manioca o granaglie varie, impossibili ad aversi altrimenti nella foresta. Del fatto hanno approfittato i Negri per ridurre i Pigmei in uno stato di asservimento o di vassallaggio. Le occupazioni dei Pigmei, oltre alla caccia che è la principale, sono la pesca - fatta, meno per alcune specie, dalle donne - e la raccolta di frutti, radici, foglie o intere piante fornite abbondantemente dalla foresta. I veleni potentissimi con cui i Negrilli sono capaci di uccidere le più grosse specie, sanno pure procacciarseli nella foresta. Cacciatori nati, affrontano con temerità animali pericolosi, rimettendoci non di rado la vita. Così con l'elefante, al quale si portano fino sotto l'addome per immergervi verticalmente una lancia con forza incredibile, da riescire magari ad arrestarla di contro alla colonna vertebrale. La cattura degli animali minori è fatta con la freccia avvelenata, oppure con trabocchetti. Non è loro ignota nemmeno la rete da caccia, ma essa sembra scomparsa dappertutto, meno che nell'Ituri. Raramente sono seguiti alla caccia da cani, meno nelle tribù molto inquinate da incrocio e civiltà negra. L'antropafagia è ignota. Il rendimento della pesca è più modesto che quello della caccia, ma pur sempre notevole. L'uomo disprezza la pesca, perché ha orrore di ogni cosa avente nesso con l'acqua; donde anche il suo non lavarsi, ma soltanto ungersi per pulire il corpo. La maniera consueta di cucinare dei Negrilli è per arrostimento fatto direttamente sui carboni, o al vapore d'acqua, scaldando il liquido, contenuto di solito in recipienti di legno, con l'immersione di pietre infuocate. Il fuoco è acceso per confricazione di due legnetti; oppure, oggi, con la pietra focaia.

Nonostante la rudezza della loro vita, o piuttosto in rapporto a essa, i Negrilli sono sanissimi. In caso di malattia, conoscono rimedî talora assai efficaci. Curano con successo il morso dei serpenti. Una delle malattie che più temono è la lebbra, ma è rara fra essi, forse perché ne isolano con cura nella foresta i colpiti. Molti individui si coprono di piaghe, quando scarseggiano di sale. Sanno però procacciarsi sostituti di questa sostanza decantando le ceneri di varie piante. Contro le malattie portano amuleti, ottenuti dagli stregoni che hanno funzioni di medici. Alcuni Negrilli mostrano tatuaggi magici, ma sempre d'entità ridotta e sprovvisti di significato di tribù; qualche volta si depilano. Nell'Ituri le donne di varî clan praticano due fori nel labbro superiore per introdurvi due legnetti di un paio di mm. di diametro.

I Negrilli dispongono di ben pochi oggetti, perché il vestiario è quasi assente, ridotto com'è a cinture di foglie o pezzetti di scorza d'albero, mentre, a eccezione dell'arco, delle frecce e del turcasso, di loro fattura, poco altro recano con sé. Soltanto i cacciatori di elefanti posseggono una lancia, avuta per acquisto dai Negri. Da questi ricevono il poco che hanno di oggetti di ferro, perché sono incapaci di lavorare i metalli. Tanta limitazione di utensili è indispensabile per la rapida mobilità a loro necessaria nella foresta. Vivono in questa a gruppi di famiglie, di rado superiori a 40-50 individui, riuniti in accampamenti spesso rimossi. Le abitazioni, erette dalle donne, consistono in semplici ripari a forma approssimativamente emisferica.

La famiglia è alla base dell'organizzazione sociale dei Negrilli e la donna gode in essa, a differenza di quanto si ha fra i Negri, di una posizione elevata. Sono generalmente monogami e ignorano la poliandria. Avanti di sposarsi, l'uomo deve avere dato prove manifeste della sua bravura nella caccia e così di rado si ammogliano prima dei 20 anni; la donna invece a 18. Di norma si sposano fuori del proprio ristretto gruppo di famiglie. La donna non è comprata, perché non possono pagarla. Benché conviventi, i cibi sono consumati separatamente da marito e moglie. In caso di morte del marito, la vedova è accolta dal cognato, se c'è, oppure dal parente prossimo del defunto, ma può tornarsene anche presso i proprî genitori, perdendo in tale caso ogni diritto sui figli. Questi sono sempre desiderati nel numero massimo, ma non di meno sono rare le famiglie con più di quattro o cinque figli. Conoscono pratiche abortive, ma l'aborto è per essi un delitto contro la prosperità della tribù. Dei gemelli, invece, è uso di sacrificare il secondo nato. L'adulterio è raro, quantunque debolmente punito. In quasi tutte le tribù negrille i due sessi sono circoncisi.

Una buona parte delle credenze religiose dei Negrilli consiste in riti propiziatorî di caccia, di pesca o di guerra. Si crede in uno spirito supremo, avente la forma di un immenso elefante, capace di manifestarsi all'uomo a mezzo dell'arcobaleno. Spiriti diversi si vuole risiedano in altri animali, donde la necessità di cautele, indicate volta a volta dagli stregoni, per evitare di uccidere individui determinati che potrebbero suscitare malanni per la tribù. Comunque, dopo l'uccisione di un animale, si devono compiere cerimonie prestabilite per rappacificarsi con lo spirito sovrano della specie. Di solito il cuore della vittima spetta all'uccisore, mentre il fegato può essere diviso fra tutti come è per le altre parti. In relazione a questi e altri riti sono da collocarsi le credenze dei Negrilli su animali totemici e animali sacri. Non si può parlare di veri totem per i Negrilli. Essi considerano certi animali, o anche piante, come protettori soltanto di singoli individui, o al massimo di clan, ma nessuno di tutta una tribù. A differenza dei totem, gli animali sacri sono tali per una superstizione propria, quasi sempre della generalità, dei Negrilli. In quanto a credenze religiose non si va molto oltre, come in parte si è detto, a concetti e pratiche con cui si ritiene di assicurare il cibo e la salvezza all'individuo. Hanno stregoni, ma non altari, idoli o immagini sacre. Al sole e alla luna vengono dedicati riti in epoche fisse dell'anno. L'eclisse è accolta con danze e rumore di tamburi per tutta la durata del fenomeno. Le danze, però, si hanno fra i Negrilli con frequenza addirittura quotidiana, per caccia, pesca, matrimonî, nascite, morti o anche solo per divertimento. Fra tutti gl'indigeni africani i Negrilli eccellono per l'arte mimetica delle loro danze e appunto per questo sono ricercati dai loro vicini di razza negra. Fabbricano strumenti a fiato, a corda e a percussione. Hanno dei veri cantori di professione, specie di menestrelli erranti di tribù in tribù, sempre accolti con gioia. Essi sembrano i depositarî di canti tradizionali antichissimi, capaci forse, se raccolti, di rischiararci molto sul passato dei Negrilli. Incidono rozzi motivi ornamentali sull'avorio o su pezzi di scorza d'albero. Alcuni gruppi negrilli, però, come quelli dell'Ituri, mancano di qualsiasi oggetto d'avorio, benché vendano l'avorio ai Negri.

I Negrilli sono fra loro ospitalissimi. Amano vivere in buoni rapporti con tutti e oggi, certo, mai guerreggiano fra loro. Sono invece inesorabili nel vendicarsi degli affronti. Da ciò le frequenti lotte dei Negrilli coi Negri da cui vivono circondati, ricevendone noie, donde la loro continua apprensione di attacco e la loro diffidenza per gli stranieri.

A differenza delle altre popolazioni africane di piccola statura, quali i Boscimani, i Negrilli sono lungi dal trovarsi in estinzione: soltanto il loro tipo s'inquina ogni giorno di più per introduzione di elementi razziali estranei. Dispersi e separati gli uni dagli altri nella grande foresta equatoriale, esistono ancora per un numero complessivo molto grande, il quale, per la sola regione dell'Ituri, che ospita i migliori rappresentanti della loro razza, si può facilmente calcolare non inferiore ai 20 mila individui.

Antropologia. - Lo stato dell'indagine antropometrica sui Negrilli è ancora frammentario. Tuttavia per i loro gruppi più importanti e più puri, come, ad esempio, quelli dell'Ituri, si hanno già dei dati abbastanza estesi. A causa della statura, per cui essi sono i più minuscoli rappresentanti dell'umanità, sono detti anche Pigmei, in comune alle piccole genti degli altri continenti, con le quali sono certo razzialmente legati. Quest'ultima denominazione è anzi da ritenersi scientificamente la più giusta, perché mentre la parola Negrilli fa supporre dei Negri di proporzioni ridotte, in realtà essi, anche a prescindere dalla statura, differiscono nettamente dai Negri per il colore della pelle, la morfologia generale del corpo, specialmente della testa, nonché per le dimensioni proporzionali del tronco e degli arti. Nella faccia, anche a prima vista, vi è molto che differenzia i Pigmei dai Negri. Le labbra infatti sono fini nei primi, spesso appena disegnate, anziché carnose, o rovesciate, e presentano una particolare convessità nel labbro superiore dovuta a un'accentuata curvatura dei mascellari. Possono mancare inoltre di pigmento e essere rosee come nella razza bianca, all'opposto dei Negri nei quali sono sempre scurissime. La bocca è larga e può avere aspetto di sottile fessura. Nei Pigmei, la fronte è bassa, stretta, con frequenza prominente e rivela spesso forti arcate sopraorbitarie. Le sopracciglia, molto folte e larghe, tendono di solito a confluire e sporgono sugli occhi eccezionalmente mobili e non di rado grandi, ravvicinati fra loro un po' più che nel Negro e contornati da ciglia piuttosto lunghe. Manca nell'occhio pigmeo ogni accenno di plica simile a quella dei Boscimani e di molti Negri; parecchi individui hanno però una piega sulla fronte, estesa a buona parte del contorno degli occhi. L'occhio normalmente è nero o grigio, a iride bruna molto cupa marginalmente e più chiara presso la pupilla, il che non si ha mai nel Negro. La pupilla è dilatabilissima. Non mancano individui a occhi azzurri e allora i capelli possono essere anche biondi o rossastri (Cipriani, Trilles), benché sempre lanosi e talvolta disposti a glomeruli. Il capello è però di solito nero più o meno intenso, senza il vero castagno della razza bianca, e dotato di una lunghezza naturale variabile nei diversi individui.

L'orecchio è grande e somiglia molto a quello europeo; si differenzia da quello negro, che è piccolo, e da quello boscimano, in cui, oltre a una conformazione tutta speciale, si ha frequentemente l'assenza del lobulo e l'attaccatura superiore del padiglione. La faccia è di rado prognata, ma ha mento sfuggente. Con frequenza è larga, soprattutto nelle donne, e dotata di zigomi ampî e preminenti, fra cui sporge un naso larghissimo, voluminoso e talvolta trilobo, munito di narici in cui la dimensione trasversa è almeno doppia di quella antero-posteriore. Tale naso è differente, specialmente nel profilo, da quello dei Negri, sebbene, come in questi, la larghezza e l'altezza tendano a uguagliarsi. Il naso costituisce anzi una delle caratteristiche più singolari della faccia dei Pigmei. Può essere abbastanza in rilievo alla radice anziché appiattito come nel Negro, e con minore infossamento, benché con maggiore tendenza a scendere verso la bocca. Sulle guance è da notarsi in quasi tutti gl'individui una conformazione particolare dovuta al grande sviluppo dei masseteri. La mandibola, che è robustissima, ha però un diametro bigoniaco molto ridotto, il più ridotto forse, proporzionalmente, di tutte le razze umane. Questa struttura può contribuire a determinare la straordinaria forza mandibolare dei Pigmei, in unione alla natura dei loro denti, che sono grandi, sani, impiantati verticalmente in maniera solida, per cui quegli uomini riescono senza sforzo, sull'alto degli alberi, a sospendersi alle liane con la bocca, onde avere libere le mani per scagliare le frecce durante la caccia. Nel complesso la testa dei Pigmei è voluminosa rispetto alle altre razze e rotonda, ma si hanno gruppi in cui predominano i dolicocefali, o viceversa i brachicefali. La testa s'impianta sopra un collo che è tozzo e muscoloso negli uomini, mentre nelle donne è meglio conformato e più sottile. In rapporto alla statura, le spalle hanno tendenza ad essere larghe, ma senza nuocere all'apparenza armonica del corpo. Piuttosto le braccia e le gambe mostrano qualcosa di particolare. L'avambraccio è molto lungo rispetto al braccio e l'intero arto giunge quasi al ginocchio. La mano è piccolissima in molti individui e così pure il piede che è però slargato, con alluce divaricato e tallone sporgente. Per la conformazione della mano e del piede non si distaccano molto dal Negro, ma nettamente dal Boscimano. La gamba è corta, con polpaccio spostato in alto; la coscia tozza e vigorosa. Nel torace, che è ampio e in proporzione più sviluppato di quello dei Negri, hanno il diametro anteroposteriore assai lungo rispetto a quello trasverso, e sembrano presentare uno sterno alquanto ridotto. L'addome è capace di molta distensione ed è spesso prominente nei fanciulli. Il dorso è di norma arcuato tenuamente, e solo in rari casi l'insellatura lombo-sacrale si accentua quasi come nei Boscimani.

Per le loro caratteristiche somatiche sembrano doversi distinguere almeno due tipi di Pigmei, se non tre, e questo quand'anche sia da escludersi ogni impurità razziale. L'opinione si può fondare in primo luogo sull'osservazione che esistono Pigmei dolicocefali e Pigmei brachicefali. Una parte, anzi, della brachicefalia dei Negri centro-africani si può forse attribuire a miscuglio coi Pigmei, i quali in molti luoghi scomparvero soltanto perché assorbiti per incrocio dai loro più potenti vicini, onde la comparsa fra essi, in varie regioni equatoriali, anche di individui a pelosità chiara e occhi non neri. Un altro fondamento dell'asserita diversità originaria dei varî tipi pigmei si può trovare nell'oscillazione facile a constatarsi nelle serie numerose di dati antropometrici, come a esempio in quelli dello Czekanowski raccolti nella regione dell'Ituri, per cui la statura e le proporzioni del corpo divergono sensibilmente anche fra gli appartenenti a uno stesso gruppo pigmeo, senza perciò potersi elevare sospetti d'intrusioni di Negri, o d'altra razza. Sta di certo però che nei Pigmei attuali l'inquinamento dovuto a miscuglio negro è in continuo accrescimento, e diviene ogni giorno più difficile, se non impossibile, in molti luoghi, l'incontrarne di puri, perché gl'ibridi persistono nella vita di foresta propria del vero Pigmeo. Di tali gruppi, alcuni, da chiamarsi Pigmoidi anziché Pigmei, sono ormai da ritenersi caratterizzati meglio per quanto posseggono di negro piuttosto che di pigmeo. Altrettanto è per molti Batua. Per cotesti gruppi, allora, è applicabile la qualifica di Negri a piccola statura, tenendo però presente che si deve forse a incrocio negro ogni loro allontanamento dalle caratteristiche originarie di tipo pigmeo o pigmoide.

L'altra oscillazione vistosa, propria dei gruppi pigmei puri, si ha per il colore della pelle, né essa è da considerarsi meno significativa delle già accennate. Si sostiene, in genere, che dei due tipi principali il più piccolo ha colorito tendente al giallo, mentre quello a statura un po' elevata si avvicina al nero. Secondo un'osservazione del Cipriani vi sarebbe tuttavia almeno nella regione dell'Ituri, anche un tipo offrente minimi di statura, ma con pelle molto scura; fra le più scure, anzi, riscontrabili nei Pigmei. Il tipo chiaro sembra presentare individui prognati con meno frequenza e accentuazione. La pelosità pure è differente, nel senso ch'essa abbonda maggiormente nel tipo chiaro; ma è notevole tuttavia anche nel tipo scuro. Si può desumere inoltre, per il tipo chiaro, una distribuzione più settentrionale dell'altro. Tutte queste deduzioni meritano però una adeguata estensione d'indagini.

Quanto ai caratteri metrici e descrittivi dei Pigmei africani, secondo lo Czekanowski, il colore della pelle si aggira intorno ai numeri 25 e 26 della scala di von Luschan, cioè si presenta giallo bruno rossastro. Per i dati dello stesso autore la statura nell'Ituri ha i suoi minimi a m. 1,25 (caso di eccezione) e i suoi massimi a m. 1,56 (caso pure d'eccezione), con media di m. 1,42. Per lo Schebesta, la statura media è di m. 1,44 negli uomini e di 1,33 nelle donne. La statura minima (1,18) la trovò in una donna, madre di un robusto bambino di sei anni, la massima (1,57) in un uomo. Solo il caso accennato fu inferiore a 1,20, e soltanto 28 individui risultarono superare 1,50. L'oscillazione più tipica, per lo Czekanowski, si ha fra 1,30 e 1,51 con un solo e ben evidente massimo a 1,41. A tener conto dei pochi casi presentati da qualche autore come espressioni tipiche di alcuni altri gruppetti pigmei (Akka del Mangbetu, Batua studiati dal Wolff, ecc.) si dovrebbe concludere che la statura dei Pigmei africani può essere anche molto più alta, o viceversa più bassa con medie perfino di 1,30.

La grande apertura delle braccia, secondo i dati dello Czekanowski, dà un indice oscillante fra 91 e 119, con frequenze massime fra 104 e 107, e una meoia di 104,6. L'indice schelico ha minimi di 49, massimi di 55, media di 52,3, con frequenza massima intorno a 52. A differenza dei Negri, i Pigmei hanno quindi tendenza alla brachischelia; questa, anzi, fatto notevolissimo, si accentua fra i Pigmei dell'Ituri e in quelli della Sanga (Babinga) negl'individui con statura inferiore a 1,50. Le correlazioni tra grande apertura e indice schelico mostrano inoltre, che un buon numero d'individui ha una lunghezza relativa dell'arto superiore molto grande rispetto a quella dell'arto inferiore, denotando con ciò di possedere un carattere mancante di solito nei Negri. Il fatto di essere compreso nella grande apertura il diametro biacromiale non contribuisce ad attenuare l'aspetto di eccezionalità al fenomeno perhé, come s'è detto, le spalle non presentano straordinaria larghezza. La mancanza, d'altra parte, di sufficienti dati razziali sull'indice intermembrale ci costringe a essere prudenti sulle deduzioni in tal senso. Per l'indice facciale i Pigmei dell'Ituri presentano un'oscillazione molto forte, con minimi di 55 e massimi di 90, media 80,4. Sono cameprosopi, fenomeno che appare eccezionale fra i Negri. L'indice nasale ha frequenze massime tra 88 e 109 con media di 91,2, e quindi i Pigmei risultano fra i più platirrini degli Hominidae. L'indice cefalico presenta pure oscillazioni molto forti e va da 68 a 84 con media a 78 e frequenze massime fra 74 e 82.

Bibl.: The Pygmies of Equatorial Africa with an account of the race of Pygmies, in The Jour. of the Am. Geogr. Soc., II (1864), pp. 79-112; Hamy, Pygmées de l'Afrique Éequatoriale. Essai de coordination des matériaux récemment réunis sur l'ethnologie des Négrilles, in Bull. de la Soc. d'anthrop. de Paris, II (1879), pp. 7, 101, 107; De Quatrefages, Les Pygmées, Parigi 1887; Leroy, Les Pygmées, in Bull. de la Soc. R. de Géogr. d'Anvers, XXII (1898); Johnston, The Pygmies of the Great Congo forest, in Report of the Smithsonian Instit., 1902, pp. 479-491; V. Luschan, Über sechs Pygmäen vom Ituri, in Zeit. für Ethnol., 1906, fascicoli 4-5; P. Schmidt, Die Stellung der Pygmäenvölker in der Entwicklungsgeschichte des Menschen, Stoccarda 1910; Schwalbe, Schmidts Arbeit "Die Stellung der Pygmäenvölker in der Entwicklungsgeschichte des Menschen, in Globus, 1910, pp. 53-56; Poutrin, Contribution à l'étude des Pygmées d'Afrique, in L'Anthropol., 1911-12; Czekanowski, Forschungen im Nil-Kongo Zwischengebiet, IV, Lipsia 1932; Klinkhardt, in Wissenschaftliche Ergebnisse der Deutschen Zentralafrika Expedition, 1908-09, unter Führung Adolf Freidrichs, Herzog zu Mecklemburg; Schumacher, Kivu Pygmäen, in Anthropos, XX, fasc. 3-4; Schebesta, Meine Forschungsreise zu den Pygmäen v. Belg. Kongo, in Ethnol. Anzeig., III (1932), pp. 41-49; Trilles, Les Pygmées, Parigi 1932; L. Cipriani, Osservazioni sui Pigmei centro-africani, in Arch. per l'Anthrop. e l'Etnol., LXIII (1933).