Nazionalsocialismo

Enciclopedia delle scienze sociali (1996)

Nazionalsocialismo

Hans-Ulrich Thamer

Introduzione

Il nazionalsocialismo come fenomeno storico ha una duplice dimensione: specificamente tedesca da un lato, europea dall'altro. L'ascesa del movimento nazionalsocialista e il suo dominio furono una conseguenza delle tensioni politiche e sociali dello Stato nazionale tedesco 'ritardatario', ulteriormente acuite dagli sconvolgimenti politici e sociali provocati dalla prima guerra mondiale e dalla sconfitta militare del Reich nel 1918, che pesarono sulla Repubblica di Weimar sin dalla sua costituzione. La crisi politica ed economica degli anni 1930-1933 sfociò nel crollo della democrazia parlamentare e nell'affermazione del nazionalsocialismo come movimento di massa. Ma la crisi della democrazia liberale e l'ascesa della Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei (NSDAP) ebbero anche una dimensione europea. Gli sconvolgimenti provocati dalla 'catastrofe del secolo', la prima guerra mondiale, e le nuove sfide poste dalla Rivoluzione bolscevica costituiscono lo sfondo comune allo sviluppo del nazionalsocialismo tedesco e dei movimenti fascisti in Italia e in altri paesi europei. La NSDAP rappresentò la variante più radicale nell'ampia gamma dei fascismi europei, e al pari di gruppi analoghi nel resto d'Europa prese a modello sin nello stile e nelle forme d'azione politica il fascismo italiano, al potere già dal 1922. Allorché il nazionalsocialismo prese il potere, il movimento e lo Stato di Hitler divennero non solo il nuovo punto di riferimento dei movimenti e dei regimi fascisti, ma anche il fulcro della contrapposizione epocale tra forme di governo democratiche e dittatoriali, che avrebbe improntato la politica del nostro secolo.

Oltre a essere divenuti paradigmatici del contrasto tra democrazia e dittatura, il fallimento della prima democrazia tedesca e la costituzione del 'Terzo Reich' hanno pesato sino ai nostri giorni sulla memoria collettiva del popolo tedesco, e hanno segnato la cultura politica della Germania del dopoguerra. Le due Germanie hanno cercato entrambe, seppure con modalità molto diverse, di definire la propria identità politica attraverso una presa di distanza normativa dalla dittatura nazista e una contemporanea identificazione con tradizioni meno compromesse.Non sono solo queste connotazioni politico-ideologiche che caratterizzano il modo in cui l'epoca nazista viene recepita sia dagli studiosi che dall'opinione pubblica, e che spiegano la veemenza di certe controversie interpretative. Le dimensioni peculiari e mostruose della politica di conquista e di annientamento del Terzo Reich fanno sì che il giudizio storico sui dodici anni della dittatura hitleriana assuma anche una connotazione morale che pone dei limiti specifici a ogni tentativo di differenziazione analitica e di storicizzazione. Così l'aspetto morale si impone con particolare forza quando, dalla prospettiva di una storia sociale del comportamento politico, sfuma la linea di discrimine apparentemente così netta tra responsabili e vittime, quando gran parte di ciò che accadeva nella vita quotidiana del Terzo Reich appare del tutto normale nel contesto dei contemporanei sviluppi sociali in altri Stati europei. Poiché, per quanto riguarda il sistema totalitario del Terzo Reich, anche i comportamenti sociali quotidiani potevano o dovevano essere in sintonia con l'ideologia politica del regime, improntata al disprezzo per l'uomo, che godette di un ampio consenso. Il nazionalsocialismo e il suo sistema di dominio pertanto non sono stati e non sono un "normale oggetto di investigazione storica" (Broszat), per quanto le problematiche e i metodi dell'indagine storica sull'epoca nazista non differiscano ormai molto da quelli della ricerca su altri periodi storici. La peculiarità del fenomeno e il fascino negativo che da esso promana sono attestati dal posto di rilievo che le indagini sul Terzo Reich, sui suoi presupposti, sulle sue strutture e sulle sue conseguenze continuano a occupare nella letteratura storiografica, nonché dal particolare interesse che le conclusioni di tali indagini e le controversie cui danno luogo continuano a suscitare nell'opinione pubblica. L'interesse per il nazismo si è intensificato al crescere della distanza temporale che ci separa da esso; nessuna epoca della storia tedesca è stata indagata tanto a fondo quanto il periodo nazista.

L'ampliamento delle tematiche e l'affinamento dei metodi e degli esiti della ricerca storiografica hanno dato luogo a un'immagine del Terzo Reich sempre più complessa, e hanno messo in luce l'ambiguità del suo sistema di dominio. Ciò ha offerto la possibilità di un duplice approccio, che consente "una spiegazione analitica obiettiva e distaccata, ma nello stesso tempo l'immedesimazione e una comprensione soggettiva di azioni, debolezze ed errori del passato" (Broszat). Questo tentativo di contemperare comprensione e condanna ai fini di una storicizzazione del nazismo non porta affatto a minimizzarne gli aspetti negativi, ma ci fa piuttosto constatare con sgomento come in un sistema totalitario la modernità e la normalità apparenti possano coesistere e intrecciarsi con la barbarie e con una politica ideologica distruttiva.

Teorie sul fascismo e sul nazionalsocialismo

I primi tentativi di fornire un'interpretazione storico-politica del nazismo e del fascismo sono contemporanei allo sviluppo di questi ultimi. A cinquant'anni di distanza dalla caduta della dittatura nazista non si è ancora giunti a una interpretazione concorde delle cause, della struttura e delle funzioni del movimento nazionalsocialista e del suo sistema di dominio. Ciò vale per la questione se il nazismo rientri nella categoria generale del fascismo quale fenomeno storico specifico di una determinata epoca, oppure se esso sia espressione di un sistema di dominio totalitario; e vale anche per la questione se l'ascesa e il dominio del nazismo siano stati principalmente la conseguenza di interessi e crisi di tipo socioeconomico, oppure il frutto di una crisi di legittimazione politica e di processi di mobilitazione autonomi.

Le principali teorie e controversie della ricerca storiografica contemporanea si ricollegano per molti versi alle riflessioni degli anni trenta e quaranta sulla struttura e le funzioni del nazismo, sebbene nel frattempo si sia sviluppata un'intensa tradizione di ricerca condotta su basi empiriche più ampie che ha portato a un costante approfondimento e a una maggiore differenziazione del giudizio storico, e ha contribuito al riaccendersi del dibattito sul fascismo - presto peraltro degenerato - negli anni sessanta e settanta. Nello stesso tempo non poche teorie sociologiche, in particolare la teoria della modernizzazione, hanno dato un impulso decisivo allo sviluppo di una storia sociale del nazismo.

Sin dalla nascita del fascismo in Italia e ancor di più a partire dalla presa del potere dei nazionalsocialisti in Germania, le diverse posizioni politiche all'interno di uno schieramento antifascista alquanto eterogeneo, che comprendeva socialisti, comunisti e liberali, hanno dato luogo a una gamma di teorie e di interpretazioni altrettanto diversificate. In base alla tipologia proposta da Ernst Nolte tali interpretazioni si distinguono sul piano metodologico per il fatto che interpretano il fascismo ovvero il nazismo come un fenomeno di tipo o autonomo o eteronomo, ossia derivato da altri fenomeni storici; nel primo caso il fascismo viene considerato un fenomeno specificamente nazionale, mentre nel secondo caso è assimilato a un movimento politico generale, comune a tutta l'Europa. Laddove l'interpretazione comunista, in un crescente irrigidimento ortodosso, ha visto nel fascismo un mero episodio di transizione antecedente il crollo imminente della società capitalista e nello Stato fascista unicamente l'organo esecutivo del cosiddetto capitalismo monopolistico, il dibattito sul fascismo di orientamento socialista si è distinto per una differenziazione analitica assai più articolata e quindi per una maggiore aderenza alla realtà. Le principali questioni sulle quali si è incentrato tale dibattito concernevano le particolari condizioni che avevano reso possibile il fallimento della democrazia liberale e l'ascesa al potere dei partiti fascisti, le cui prospettive di successo nell'Europa scossa dalle crisi del primo dopoguerra erano peraltro molto diverse da paese a paese. Laddove Franz Borkenau vedeva nel fascismo italiano una dittatura dello sviluppo economico "al fine di creare il capitalismo industriale", e di conseguenza ancora nel 1932 escludeva la possibilità di un successo del fascismo in Germania, August Thalheimer e Otto Bauer ritenevano invece che il fascismo avrebbe avuto possibilità di affermarsi solo nelle società avanzate in cui si era creato un equilibrio di forze tra la classe borghese e la classe operaia, con la conseguente, progressiva paralisi del sistema di dominio borghese, che renderebbe possibile l'ascesa al potere dei movimenti fascisti. Thalheimer inoltre, richiamandosi alla categoria marxiana del bonapartismo, individuava nell'autonomizzazione dell'esecutivo politico una delle caratteristiche essenziali della dittatura fascista come risultato dell'equilibrio di forze tra le classi. In un'ottica completamente diversa Ernst Bloch, nel 1935, aveva cercato di spiegare il fascismo come risultato delle "irregolarità dello sviluppo capitalistico", ricollegando di conseguenza il suo successo in Germania al notevole ritardo storico con cui tale sviluppo si era verificato in questo paese.

Le interpretazioni liberaldemocratiche del fascismo si basavano su due premesse: in primo luogo, l'idea di un'affinità di fondo tra i due estremi politici del fascismo e del comunismo, visti entrambi come una minaccia per la democrazia, e in secondo luogo l'identificazione del fascismo con un movimento sociale del ceto medio in crisi, che cercava una terza via tra capitalismo e socialismo. Dalla prima premessa si sviluppò a partire dagli anni trenta la teoria secondo la quale fascismo, nazismo e bolscevismo in quanto regimi totalitari presenterebbero le stesse caratteristiche strutturali, mentre dalla tesi secondo cui il fascismo fu un movimento sociale autonomo del ceto medio derivò un modello esplicativo applicabile sia al fascismo italiano che al nazionalsocialismo tedesco.Il sociologo americano S.M. Lipset ha definito il fascismo come 'estremismo di centro', ossia dei ceti medi; questi normalmente sarebbero sostenitori del liberalismo, ma in una situazione di crisi appoggiano i movimenti antiparlamentari. Dacché gli studi nell'ambito della storia sociale hanno dimostrato che il fascismo italiano e il nazismo tedesco avevano un profilo sociale assai più differenziato, ed erano in grado di mobilitare sia esponenti del ceto medio superiore che operai e contadini, la teoria del ceto medio ha perso parte della sua validità. La teoria totalitaristica, al contrario, è stata sistematizzata nell'ambito della scienza politica (soprattutto ad opera di H. Arendt, C.J. Friedrich e Z. Brzezinski) ed è stata applicata sia al comunismo stalinista che al nazismo. Tale teoria si è affermata nell'ambito del dibattito scientifico - in particolare dopo che K.D. Bracher ha sviluppato una "differenziazione di tipi o versioni del totalitarismo" - soprattutto in quanto consentiva un approccio comparato nell'analisi delle dittature moderne. Essa peraltro si dimostra meno valida quando si tratta di spiegare la genesi dei movimenti fascista e nazista, e può essere adottata per analizzare le dittature di Hitler e di Mussolini solo "se si prende sul serio il fascismo come tale, e il totalitarismo viene considerato un suo aspetto possibile ma non necessario" (W. Schieder).

La teoria del totalitarismo ha avuto un importante sviluppo nelle ricerche di F. Neumann, che individua la componente totalitaria del regime nazista non nella razionalità globale di un dominio diretto delle masse attraverso diversi apparati, bensì in un equilibrio tra apparati antagonisti, caratterizzati da un'intrinseca tendenza all'anarchia e alla negazione dei principî e delle strutture dello Stato. Un intento critico nei confronti della teoria del totalitarismo e il tentativo di operare una differenziazione storica sono stati alla base dell'interpretazione storico-fenomenologica del fascismo di Ernst Nolte, il quale ha cercato di ridare validità al concetto di fascismo come categoria politica generale nell'ambito del filone di ricerca non marxista degli anni sessanta. Nolte distingue il fascismo dai sistemi politici che non appartengono né al tipo democratico-parlamentare né a quello comunista, senza peraltro identificarsi con le dittature militari o con i regimi conservatori. Egli mette in luce il rapporto ambivalente tra conservatorismo e fascismo, che ha definito in modo pregnante come un rapporto "di identità non identica".Sebbene le riflessioni sul fascismo di Nolte avessero scarsa risonanza per il carattere idiosincratico della filosofia della storia che faceva loro da sfondo, laddove la teoria sociologica della modernizzazione al di fuori dello schieramento marxista influenzò profondamente la ricerca successiva, con esse si offriva la possibilità di un approccio sociologico differenziato.

La stessa definizione noltiana del fascismo come opposizione alla trascendenza pratica aveva dei punti di contatto con la teoria sociologica della modernizzazione; questa venne applicata in seguito all'analisi del fascismo dal sociologo americano A.F.K. Organski, che lo interpretò come un sistema politico mirato a contrastare il processo di modernizzazione. Secondo Organski i sistemi fascisti avrebbero le maggiori capacità di mobilitazione in quelle società che si trovano "a metà strada nel processo di modernizzazione". In esse le élites tradizionali del "settore non moderno" avrebbero una posizione di rifiuto nei confronti delle forze della mobilitazione primaria, ma sarebbero ancora abbastanza potenti da "costringere le élites moderne a un compromesso politico, che esprime il contenuto più autentico del sistema fascista". Tuttavia se questo modello interpretativo può essere valido per la situazione politico-sociale dell'Italia, non si applica altrettanto bene alla più avanzata Germania del periodo tra le due guerre. Per questo motivo lo storico americano H.A. Turner ha sostenuto che si potrebbe parlare del fascismo come categoria politica generale solo se sia il fascismo italiano che il nazionalsocialismo tedesco fossero interpretabili come manifestazioni di un "antimodernismo utopico". Tuttavia, se questa componente è riscontrabile nel nazionalsocialismo, non lo è altrettanto nel fascismo italiano, del quale Turner mette anzi in evidenza gli effetti di modernizzazione.

Nuove prospettive per la ricerca sul nazismo furono aperte dalle riflessioni del sociologo tedesco R. Dahrendorf e dello storico americano D. Schoenbaum; entrambi misero in luce le contraddizioni interne del nazionalsocialismo, dovute a una "duplice rivoluzione, dei fini reazionari e dei mezzi moderni"; in ciò, a loro avviso, risiederebbe il carattere distintivo del nazismo. La 'rivoluzione dei mezzi' avrebbe obiettivamente portato alla modernizzazione della Germania, ma a essa si sarebbe sovrapposta alla fine una 'rivoluzione dei fini', con cui Hitler avrebbe perseguito i suoi obiettivi antimodernisti. Questa tesi confermava l'opinione condivisa da parecchi storici secondo cui la politica nazista era contraddistinta da una peculiare sintesi di elementi rivoluzionari e conservatori. Indagini empiriche più recenti hanno tuttavia portato ulteriori argomenti a sostegno della tesi della modernità del Terzo Reich, mettendo in discussione l'idea secondo cui il processo di modernizzazione sarebbe stato realizzato dal nazionalsocialismo suo malgrado. Tuttavia queste ricerche di dettaglio trascurano il fatto che tutti i modelli sociopolitici dei nazionalsocialisti, tutti gli sforzi di adattamento agli sviluppi della civiltà moderna valevano solo per i membri della 'comunità di popolo' tedesca, mentre ne restavano esclusi quanti non erano di sangue tedesco, e che molti dei progressi tecnico-scientifici servirono all'estromissione e all'eliminazione di questi ultimi. Soprattutto, la natura del sistema di dominio nazista contrasta con la nozione di modernizzazione in quanto contraddice sostanzialmente i principî di razionalità e democratizzazione che ne sono alla base. L'ambivalenza rimane dunque uno dei caratteri distintivi del nazionalsocialismo, che nei confronti della società tradizionale si pose in un rapporto di conservazione e di rivoluzione, di continuità e di rottura.

Presupposti storici e inizi della NSDAP

La nascita e l'espansione del nazionalsocialismo sino al 1933 sono strettamente legate alle ripercussioni politiche, sociali e psicologiche della sconfitta militare del 1918 e della rivoluzione tedesca del 19181919, che pesarono sulla Repubblica di Weimar sin dalla sua costituzione. La progressiva crisi della Repubblica di Weimar, interrotta solo da una breve fase di stabilizzazione tra il 1924 e il 1929, e il crescente successo del nazionalsocialismo sono fenomeni complementari. Dapprima una frazione insignificante all'interno dello schieramento populista-antisemita, una volta costituitasi ufficialmente in partito la NSDAP crebbe rapidamente sino al tentato Putsch di Monaco del 1923, cui seguì una fase di disgregazione e stagnazione; ma negli anni successivi, con la crisi politica ed economica del 1929-1930, il partito riprese la sua ascesa in un crescendo spettacolare, trasformandosi in un movimento di massa. Il movimento di protesta e di fede nazionalsocialista riuscì a politicizzare e a organizzare la profonda crisi di legittimazione del sistema liberal-borghese e la diffusa aspirazione a un cambiamento grazie alla sua capacità di mobilitazione propagandistica delle masse, e integrò paure e aspettative sociali, sogni di grandezza nazionale e aggressività della più diversa natura, indirizzandoli verso la figura di leader carismatico di Adolf Hitler, che prometteva salvezza e riscatto per tutti.La NSDAP nacque dalla Deutsche Arbeiterpartei, uno dei tanti gruppi di protesta dell'ambiente populista e antisemita di Monaco fondato dal fabbro Anton Drexler il 5 gennaio 1919. Nel settembre del 1919 il caporale Adolf Hitler aderì al partito.Il 24 febbraio 1920 Hitler annunciò i 25 punti del programma del partito elaborati in collaborazione con Drexler; con un'accentuazione degli elementi anticapitalistici, tale programma costituiva una sintesi del miscuglio di idee nazionaliste e populiste dell'epoca: vi si chiedeva l'annessione dell'Austria e la concessione di colonie, il ripristino del ruolo di grande potenza della Germania, l'attuazione di una riforma agraria e la statalizzazione delle grandi imprese, l'emancipazione dei livellari dai grandi latifondisti (Gottfried Feder), la confisca dei profitti di guerra, la negazione dei diritti politici agli Ebrei.

Sino a quel momento Hitler era un personaggio del tutto oscuro sul piano sia sociale che politico; a trent'anni si ritrovava ai margini della società, privo di qualunque formazione professionale specifica e senza avere alle spalle alcuna esperienza o attività politica. Gli unici orientamenti in campo politico gli erano stati forniti sino ad allora da un nazionalismo radicale di stampo populista, dalla disciplina militare e dall'esperienza della guerra. Eppure, nei successivi ventisei anni della sua vita egli avrebbe segnato la storia tedesca ed europea con il suo potere e la sua forza distruttiva - come agitatore e dittatore acclamato dalle folle, come conquistatore e autore di una politica di sterminio che avrebbe causato la morte di milioni di persone.

Per capire l'estensione e la natura del potere di Hitler occorre tener conto sia delle circostanze che lo resero possibile, sia delle sue doti di propagandista e di oratore, della sua personalità monomaniaca e delle sue ossessioni ideologiche. Come agitatore di popolo egli riuscì ad accentrare su di sé le speranze di una nazione scossa dalla guerra, incarnando agli occhi di gran parte del popolo tedesco quella figura di Führer d'eccezione e di redentore cui esso anelava. I contenuti politici e ideologici di questo potere carismatico erano determinati dalle tradizioni della cultura politica tedesca e dalla particolare situazione di crisi in cui versava la Germania nel periodo tra le due guerre. Nella figura del Führer carismatico si intrecciavano valori e modelli di comportamento di stampo militare-autoritario ed elementi di un movimento di riforma della gioventù e della vita mirato al rinnovamento e improntato al mito. Al Führer si richiedevano eroismo e spirito missionario, il ripristino della grandezza nazionale e l'azione liberatrice, un mutamento e nel contempo una conservazione delle condizioni politiche e sociali esistenti.Ma non furono né i tratti della personalità di Hitler né la coerenza delle sue idee politiche le principali cause del suo successo e della sua forza di attrazione che lo fecero assurgere al ruolo di Führer onnipotente, bensì la semplicità della sua visione dualistica del mondo e la sicurezza con cui proclamava i suoi articoli di fede, la capacità di organizzare le proprie ossessioni e angosce in una personale visione del mondo diventando con ciò il punto di riferimento di tutti coloro che erano o si proclamavano spinti e angosciati da paure e aspettative analoghe.Gli elementi ideologici della Weltanschauung di Hitler non erano né nuovi né originali, ma lo erano la tenacia con cui egli vi si attenne sino all'apice del suo potere e al crollo finale, la risolutezza dogmatica con cui mise in pratica idee e opinioni che sino a quel momento erano circolate solo in forma e in ambienti semiclandestini.

Nell'ideologia di Hitler non vi era nulla che non fosse già stato espresso altrove; la specificità della sua visione del mondo era legata alla combinazione di diversi elementi ideologici e alla radicalità con cui egli li asserì, fondando su di essi le sue pretese di dominio. Sino alla metà degli anni venti Hitler aveva costruito, a partire dai più diversi materiali tratti dalle concezioni socialdarwiniste, populiste, antisemite, nazionaliste, imperialiste, antidemocratiche e antimarxiste, una personale immagine del mondo dalla cui intrinseca coerenza egli trasse la certezza di una fede che divenne la forza propulsiva del suo attivismo e della sua politica.

Due erano gli elementi portanti della Weltanschauung hitleriana, che costituirono il nucleo essenziale dell'ideologia nazionalsocialista: un radicale, universale razzismo antisemita, e la dottrina dello 'spazio vitale'. Entrambi erano legati a una visione della storia come lotta permanente tra i popoli per lo spazio vitale, lotta che si sarebbe potuta vincere solo a condizione di preservare la 'purezza della razza'. Per la Germania ciò significava impegnarsi in un programma imperialista che doveva andare ben oltre la politica nazionalista di revisione della pace di Versailles, che mirava alla mera riappropriazione di una posizione di grande potenza. Tale programma aveva piuttosto come obiettivo la conquista del cosiddetto 'spazio vitale' a Oriente e l'espulsione degli Ebrei. Ciò avrebbe consentito nello stesso tempo di distruggere il marxismo nella forma del 'bolscevismo giudaico' nell'Unione Sovietica, salvando in tal modo il mondo germanico dal declino e da uno snaturamento irreversibile. A questi obiettivi fondamentali e tra loro collegati occorreva subordinare tutti gli altri ambiti della politica.

La dottrina della presunta lotta universale tra razze superiori e razze inferiori costituiva il fondamento dei dogmi di tutti gli altri programmi politici nazisti, in particolare quelli di politica estera. Attorno a questo nucleo dottrinale ruotavano altri contenuti ideologici, comuni peraltro ad altri movimenti nazionalisti e fascisti tra le due guerre: antimarxismo, antiliberalismo, antiparlamentarismo, anticapitalismo e persino una forma di anticonservatorismo. La controparte positiva di queste posizioni espresse in termini di negazione era rappresentata da un nazionalismo radicale di stampo populista, dall'idea di un socialismo nazionale e di una 'comunità di popolo' (Volksgemeinschaft) alla cui guida si sarebbe dovuta porre una nuova élite che si distinguesse per fede, obbedienza e volontà d'azione ovvero di lotta. Il Führerprinzip rappresentava un altro elemento costitutivo dell'ideologia e della struttura organizzativa del nazionalsocialismo, ponendosi come modello alternativo rispetto al liberalismo e alla democrazia quale strumento di legittimazione e di integrazione per il partito e per i suoi elettori. Il Führer incarnava la visione del mondo nazionalsocialista, che solo attraverso di lui acquistava realtà e determinatezza, e costituiva altresì l'elemento di coesione tra le componenti contraddittorie dei programmi e della propaganda politico-sociale del nazismo. Il ruolo di mediatore tra obiettivi antagonisti e di interprete dell'autentica dottrina nazista fu alla base della posizione di Führer assoluto che Hitler ebbe all'interno del partito.L'ideologia nazionalsocialista con la sua pretesa alla totalità non costituiva un programma di governo, né gli obiettivi della politica estera hitleriana facevano parte di un piano di conquista organico e dettagliato. Il carattere alquanto vago e a volte contraddittorio dei programmi del partito, che all'interno del gruppo dirigente conobbero notevoli variazioni, non impediva peraltro l'azione tattica e consentì a Hitler di realizzare le proprie idee sfruttando abilmente le circostanze sia interne che esterne.Hitler cominciò la sua carriera politica all'interno del partito come capo del reclutamento ('Trommler'), e in questo ruolo divenne ben presto indispensabile. Le tematiche dei suoi numerosi discorsi erano attinte senza eccezioni dal repertorio del nazionalismo di destra: il rifiuto della 'pace vergognosa' di Versailles e la lotta contro i nemici interni, che avevano 'pugnalato alle spalle' il paese compromettendo l'onore e l'ordine nazionali, nonché contro 'l'opera sovversiva' del 'giudaismo internazionale'. Ciò che distingueva Hitler dagli altri agitatori della destra era il modo di comunicare tali idee. Egli predicava l'odio, associando agli aspri attacchi contro i 'criminali di novembre' e i 'nemici del popolo' patetici appelli all'orgoglio nazionale e alle forze capaci di far rinascere la 'grande Germania'.

L'incessante attività propagandistica di Hitler mirava soprattutto a suscitare scalpore. A questo scopo, oltre alle manifestazioni di massa e alla pubblicità del "Völkischer Beobachter" - il settimanale di Monaco divenuto organo del partito - vennero utilizzati elementi del tutto nuovi: il rosso sgargiante della bandiera con la croce uncinata, introdotta nel 1920, manifesti e volantini aggressivi, e il corpo di volontari con funzioni di servizio d'ordine che portavano come distintivo la croce uncinata; essi costituirono il primo nucleo delle future SA (Sturmabteilungen), che Hitler volle trasformare in un'organizzazione paramilitare e propagandistica al fine di evidenziare l'orientamento radicale del partito attraverso lo sfoggio di una disciplina militare e la disponibilità all'uso della violenza.

L'infaticabile attività e lo zelo missionario di Hitler ben presto gli guadagnarono protettori e amici influenti nelle sfere della burocrazia, dell'esercito e della grande borghesia, che fornirono una legittimazione istituzionale e sociale all'esaltazione dell'agitatore. Il successo della sua attività di propagandista consentì a Hitler, nell'estate del 1921, di approfittare della crisi della NSDAP per liquidare Drexler, ottenendo la carica di capo del partito con poteri quasi dittatoriali. Già in questa circostanza emergeva una delle caratteristiche distintive dello stile d'azione di Hitler, che si ripresenterà costantemente in tutte le successive situazioni conflittuali e nei momenti cruciali della storia del nazismo: a guidare le sue azioni non fu mai un piano strategico preciso per la conquista di un potere dittatoriale, bensì unicamente la volontà di non sottomettersi nonché la capacità di sfruttare abilmente la situazione per raggiungere tale scopo.

Le manifestazioni di massa e le azioni spettacolari - come quella, organizzata secondo il modello delle spedizioni punitive fasciste in Italia, con cui Hitler il 14-15 ottobre 1922 fece irruzione con 800 uomini delle SA nella redazione del "Deutscher Tag" a Coburgo - fecero ben presto della NSDAP il più rumoroso e popolare tra i gruppi di agitazione antirepubblicana bavaresi e di Hitler il 're di Monaco'. Il partito conquistò aderenti dapprima tra le associazioni di ex combattenti e i disciolti corpi franchi (Freicorps), soprattutto in Baviera ma anche nella Germania orientale. Ciò contribuì a una rapida espansione delle SA, che grazie all'afflusso di ufficiali e militari di professione divennero sempre più un'organizzazione militare indipendente dal partito, sebbene soggetta a Hitler. Da un lato ciò costituiva un vantaggio in quanto le SA, al pari di altre associazioni patriottiche, potevano beneficiare degli aiuti della Reichswehr bavarese in termini di forniture di armi e di addestramento; dall'altro costituiva uno svantaggio per Hitler e per la NSDAP come movimento politico in quanto il comando militare delle SA accrebbe il suo potere, minacciando costantemente il monopolio del potere rivendicato da Hitler nel partito. La NSDAP fece poi proseliti anche tra il ceto medio - colpito dall'inflazione e dalla perdita di status sociale - che guardava con favore l'agitazione radicale contro la pace di Versailles e la Repubblica di Weimar.

Nella sua fase iniziale la NSDAP non si proponeva tanto come un partito, quanto come un movimento rivoluzionario che mirava ad abbattere l'odiata Repubblica di Weimar a partire dalla Baviera attraverso un colpo di Stato, seguendo il modello della 'marcia su Roma' di Mussolini (1922). Nell'autunno del 1923 Hitler, a conoscenza dei piani per un colpo di Stato organizzato dai nazionalisti conservatori guidati dal generale Ludendorff, credette di poter sfruttare il grave conflitto tra il governo bavarese, capeggiato dal commissario di Stato Gustav von Kahr, e il potere centrale per dare l'avvio a una 'sollevazione nazionale' contro il governo centrale e all'istituzione di una 'dittatura nazionale'. Il 'Putsch di Hitler' dell'8 novembre fallì, e il giorno successivo la polizia disperse nel sangue un corteo di dimostranti armati. La NSDAP fu dichiarata illegale e il 1° aprile 1924 Hitler venne condannato per alto tradimento a cinque anni di detenzione nel carcere di Landsberg, ma poté beneficiare del condono dopo aver scontato solo sei mesi di pena. Mentre Hitler era in carcere la NSDAP - che sebbene fosse passata nel 1923 da 15.000 a 55.000 aderenti era poco organizzata e si ritrovava ora priva di un capo, e la cui coesione era legata unicamente alla speranza di un colpo di Stato imminente - si frazionò in varie formazioni populiste. Nelle elezioni del Reichstag del 4 maggio 1924 la lista populista ottenne 1,9 milioni di voti, il 7 dicembre dello stesso anno scese a 0,9 milioni.

Il movimento di massa nazionalsocialista nella crisi politica ed economica del 1929-1933

Tenutosi al di fuori della lotta per il comando della formazione populista, dopo la sua scarcerazione Hitler poté diventare il principale punto di riferimento nel processo di rifondazione della NSDAP, che assunse un nuovo profilo mutando la propria strategia politica e la propria struttura. Dal fallimento del Putsch Hitler aveva tratto tre insegnamenti: in primo luogo, che era necessario mantenersi nella legalità abbandonando la tattica del colpo di Stato, senza peraltro rinnegare il ricorso alla violenza politica, e puntare esclusivamente sulla mobilitazione di massa; in secondo luogo, che il nuovo partito (fondato il 27 febbraio 1925) doveva ramificarsi a livello regionale e dotarsi di una più solida organizzazione a livello nazionale, distinguendosi nettamente da altri gruppi nazionalisti di stampo populista; l'organizzazione paramilitare delle SA si sarebbe inoltre dovuta subordinare al comando politico del partito; in terzo luogo, che la NSDAP doveva diventare uno strumento assoggettato incondizionatamente alla volontà del Führer. Hitler cercò di assicurarsi il ruolo di Führer attraverso un esteso scritto programmatico, Mein Kampf, di cui iniziò la stesura nel carcere di Landsberg nell'estate del 1924 (il primo volume venne pubblicato nel 1925, il secondo nel 1927).

All'inizio l'organizzazione della NSDAP si limitava al gruppo direttivo di Monaco, a un certo numero di Gaue (circoscrizioni politico-amministrative del partito, circa 30-36 tra il 1925 e il 1937) e a una serie di gruppi locali. Nel 1926 venne fondata l'associazione giovanile Bund der deutschen Arbeiterjugend (Lega della gioventù operaia), cui fecero seguito il Nationalsozialistische deutsche Studentenbund (Lega nazionalsocialista degli studenti) e la Hitlerjugend (Gioventù hitleriana). Ben presto sorsero altre organizzazioni speciali e associazioni professionali che miravano a mobilitare la massa eterogenea dei membri e dei simpatizzanti del partito rappresentando gli interessi specifici di diversi gruppi: nel 1928 l'Associazione nazionalsocialista degli uomini di legge (Bund nationalsozialistischer Juristen), nel 1929 quella dei medici (Nationalsozialistische Arztebund) e la Lega di lotta per la cultura tedesca (Kampfbund für die deutsche Kultur), nel 1930 l'ufficio per la politica agraria del partito e l'Organizzazione di cellule aziendali nazionalsocialiste (Nationalsozialistische Betriebszellenorganisation).

Se durante il periodo di rifondazione del partito, tra il 1925 e 1926, l'organizzazione e la direzione politica dei Gaue erano ancora instabili e alquanto eterogenee anche sul piano programmatico, il gruppo monacense che faceva capo a Hitler riuscì gradatamente a imporsi contro le tendenze centrifughe e a rivendicare la rappresentanza esclusiva dell'ideologia e della propaganda della NSDAP. Nel congresso tenutosi a Bamberga il 14 febbraio 1926 Hitler poté affermare con successo la sua posizione di Führer assoluto contro la comunità di Gaue della Germania nordoccidentale - fondata con la sua iniziale approvazione e guidata da Gregor Strasser -, fautrice di un vago 'socialismo tedesco' e della partecipazione della NSDAP al referendum popolare contro le indennità ai principi spodestati.La NSDAP assunse i connotati di un partito guidato da un leader carismatico, in cui la formazione della volontà si richiamava esclusivamente all'autorità personale del Führer e avveniva dall'alto, senza alcuna partecipazione democratica dei membri. Il potere carismatico di Hitler era dovuto alle sue straordinarie capacità retoriche e propagandistiche, nonché al successo della sua opera di integrazione e di consolidamento della NSDAP. Anziché coalizzarsi contro Hitler, le fazioni interne al partito cercarono ciascuna il suo appoggio nella lotta per imporsi sugli altri raggruppamenti. Per un certo tempo egli tollerò e incoraggiò la formazione di tali fazioni, che gli garantiva una posizione di arbitro supremo, intervenendo nelle numerose lotte intestine solo quando la sua autorità veniva messa in discussione. Questa tattica trovava la propria giustificazione ideologica nel principio socialdarwinistico della vittoria del più forte applicata alla lotta politica.

L'idea del Führer all'interno della NSDAP era ormai associata in modo incontestato al potere personale carismatico di Adolf Hitler, che compì in questo modo il primo passo verso la conquista del potere. Adesso si trattava solo di raggiungere un analogo consenso tra le masse.I successi politici della NSDAP negli anni della (apparente) stabilizzazione della Repubblica di Weimar rimasero tuttavia assai limitati. Nelle prime elezioni presidenziali del 29 marzo 1925 l'eroe di guerra Ludendorff sostenuto dalla NSDAP ricevette solo 285.000 consensi, ossia circa l'1% dei voti. Questo insuccesso segnò la fine politica di un rivale all'epoca ancora pericoloso per Hitler. Nelle elezioni per il Reichstag del 1928 la NSDAP ottenne il 2,6% dei voti e dodici deputati. Alla fine del 1929 in 13 diete regionali sedevano complessivamente 48 deputati della NSDAP. Maggior successo ebbe il partito nell'eliminazione di tutti gli schieramenti populisti rivali, come la Deutschvölkische Freiheitspartei (Partito Popolare Tedesco della Libertà), i cui membri finirono per aderire alla NSDAP.

A questa fase di rifondazione della NSDAP seguì a partire dal 1929-1930, sullo sfondo della crisi economica e politica del paese, la fase di trasformazione in partito di massa. Ancor prima della crisi mondiale del 1929 il sistema partitico parlamentare si era dimostrato sempre più incapace di realizzare l'integrazione politica e di garantire una stabilizzazione duratura, e ciò diede la possibilità ai conservatori, fautori di uno Stato autoritario, di prepararsi a instaurare un governo presidenziale senza la poco amata socialdemocrazia e al di fuori dei partiti e del parlamento. Il netto orientamento di destra assunto dai partiti borghesi rispecchiava il mutato umore politico dell'elettorato e trovò riscontro in una radicalizzazione dell'opposizione di destra e dei suoi gruppi tradizionali di sostegno nell'area del Nordest prussiano; a ciò contribuì anche una grave crisi agraria, che assieme a una recessione della produzione e dell'occupazione nel settore artigianale e industriale rappresentava una crisi nella crisi. Il processo di polarizzazione e di radicalizzazione politica dunque si era verificato già prima dei profondi traumi sociali causati dalla grande crisi del 1929-1930, e questo fu uno dei principali motivi per cui esso ebbe in Germania proporzioni assai più vaste ed esiti ben più letali per il sistema democratico-parlamentare che non in altri paesi i quali, pur essendo anch'essi colpiti dalla crisi, non assistettero a un crollo dei propri ordinamenti costituzionali.

Furono i nazionalsocialisti a trarre il maggior vantaggio dalla crisi di legittimazione del sistema politico e sociale, non i gruppi favorevoli a un governo presidenziale che volevano strumentalizzare la crisi ai fini di una revisione autoritaria dell'ordinamento politico-sociale. A partire dalle elezioni per il Reichstag del 14 settembre 1930, in cui ottenne 4,4 milioni di voti, ossia il 18,3% dei consensi e 107 mandati, la NSDAP divenne una grande forza politica, che con la sua agitazione radicale contribuì ad accelerare la crisi finale della Repubblica di Weimar.Nelle elezioni del 1930 la NSDAP ottenne i maggiori successi nei collegi elettorali prevalentemente rurali e luterani (Schleswig-Holstein, Pomerania e Südhannover-Braunschweig), e nelle circoscrizioni per metà rurali e per metà piccolo-industriali (Bassa Slesia-Breslau, Chemniz-Zwickau e Renania-Palatinato), con il 27-22% dei voti. L'acuirsi della crisi economica e politica segnò un'ulteriore, vistosa ascesa della NSDAP nelle successive elezioni per il Reichstag e le diete regionali: a Brema, il 30 novembre 1930 essa ottenne il 25,6% dei voti, a Oldenburg nel maggio del 1931 il 37%, in Assia nel novembre dello stesso anno il 37%. Nelle elezioni presidenziali del marzo-aprile 1932 il 36,8% dei voti andò al partito di Hitler, che ottenne il 37,8% nelle elezioni prussiane del 12 aprile 1932. Il culmine del successo fu raggiunto dalla NSDAP nelle elezioni per il Reichstag del 31 luglio 1932, con il 37,8% dei voti.Nel giro di due anni la NSDAP si era trasformata da piccolo partito radicale in un movimento di massa, che rivoluzionò la configurazione politica della Germania e soprattutto riuscì ad attirare i consensi degli elettori e degli iscritti dei partiti borghesi (DNVP, DVP, DDP, partito degli industriali, partiti dei contadini).

Contro questo fenomeno di 'risucchio' riuscirono ad affermarsi da un lato l'ambiente cattolico e il partito di centro, dall'altro l'elettorato socialdemocratico e comunista, che fino al 1933 costituirono un baluardo abbastanza stabile. La NSDAP riuscì però a mobilitare in suo favore una quota cospicua di non elettori. Il numero degli iscritti aumentò vistosamente, passando da 27.000 alla fine del 1925 a oltre 150.000 nel settembre del 1930, per raggiungere 1,4 milioni nel gennaio del 1933. Al 1° gennaio 1935 il 5,2% dei membri risultava iscritto prima del 14 settembre 1930, un altro 28,8% aveva aderito al partito prima del 30 gennaio 1933. Nel 1930 la NSDAP contava 1378 gruppi locali. Si trattava di un partito 'giovane', sia rispetto agli altri schieramenti consolidati sia per struttura d'età. Nel 1930 quasi il 70% degli iscritti alla NSDAP era al di sotto dei quarant'anni, mentre il 35% aveva meno di 30 anni; il 60% dei funzionari di partito era al di sotto dei 40 anni, e il 26% al di sotto dei 30.

La base sociale del movimento di massa nazionalsocialista era costituita soprattutto dal ceto medio borghese e contadino di confessione luterana. I lavoratori autonomi - liberi professionisti, artigiani e commercianti -, gli impiegati e i funzionari nella NSDAP erano rappresentati in misura superiore alla media nazionale. Nello stesso tempo però gli operai costituivano il gruppo sociale numericamente più consistente tra gli aderenti al partito, sebbene la rappresentanza operaia nella NSDAP fosse nettamente inferiore alla media nazionale.

Erano soprattutto i lavoratori provenienti dalle piccole e medie imprese, dall'industria domestica e dal pubblico impiego non iscritti ad alcuna organizzazione sindacale a confluire nella NSDAP. Nessun altro partito al di fuori dei tradizionali partiti operai riuscì ad attirare tanti lavoratori quanto la NSDAP. Dopo il 1930 anche i notabili cominciarono ad aderire al partito di Hitler, che ebbe uno straordinario successo elettorale tra i ceti sociali superiori e medio-alti. La NSDAP si trasformò così in un 'partito di integrazione' di tutti gli strati sociali, nel 'partito popolare nazionalista' il cui profilo sociale mutò costantemente nel corso della sua storia.

La conciliazione dei diversi interessi rappresentati dalla NSDAP e dalle sue ramificazioni od organizzazioni collaterali rese Hitler indispensabile come Führer e artefice dell'integrazione. Il suo carisma e le sue doti di propagandista compensavano la scarsa coerenza programmatica e organizzativa del partito. La forza di attrazione della NSDAP non risiedeva infatti in programmi politici e sociali concreti, ma nell'efficacia del culto di Hitler, atteso e acclamato come redentore e come innovatore. In un momento di profonda crisi sociale e psicologica il carattere radicale della comparsa del partito di Hitler contribuì ad alimentare l'ingenua fiducia nella possibilità di rinnovamento e di superamento delle divisioni di partito e di classe in una nuova 'comunità di popolo'. Assieme al culto di Hitler lo slogan della 'comunità di popolo' costituì l'elemento più efficace della propaganda nazionalsocialista. In questo modo la NSDAP si faceva interprete sia dell'aspirazione conservatrice al mantenimento di ordinamenti sociali premoderni, sia delle aspettative di mobilità sociale e di modernizzazione di altri gruppi.Con le sue associazioni e organizzazioni collaterali la NSDAP divenne una macchina propagandistica che si serviva degli strumenti più diversi e in certa misura più moderni di agitazione permanente e di regia delle folle: adunate di massa sia regionali che nazionali (come i congressi del partito), manifesti, giornali e film, bandiere, uniformi e marce, altoparlanti e aerei - ma anche violenza (risse e scontri nelle riunioni politiche e nelle piazze, tentativi di disperdere i cortei e le manifestazioni degli avversari). Alla NSDAP come movimento di protesta e di fede era sufficiente ripetere i suoi programmi ridotti a meri slogan, nonché presentarsi come partito dinamico e 'deciso'.

La tesi del marxismo volgare secondo cui il movimento nazionalsocialista poté affermarsi e conquistare il potere grazie al sostegno fornitogli dalla grande industria si dimostra del tutto insostenibile. Le imponenti campagne propagandistiche della NSDAP furono finanziate principalmente con i contributi degli aderenti al partito, e in seguito dei simpatizzanti, soprattutto piccoli e medi imprenditori. Nulla attesta l'esistenza di aiuti finanziari forniti regolarmente dalla grande industria alla NSDAP. Quanto poco il denaro sia in grado di influenzare la politica è dimostrato del resto dal fallimento cui andarono incontro i tentativi della grande industria tra il 1930 e il 1932 di fondare un partito borghese di destra o di rafforzare quello esistente. Per di più l'atteggiamento della grande industria nei confronti della NSDAP e dell'ingresso di Hitler al governo nel 1932-1933 fu tutt'altro che omogeneo; solo una piccola frazione appoggiava i nazisti. Più significativo fu invece il ruolo della grande finanza e di altre élites di potere tradizionali nella distruzione della democrazia parlamentare in vista dell'istituzione di un governo autoritario, che però alla fine non riuscì ad affermarsi di fronte all'irrompere del movimento di massa nazionalsocialista.

La presa del potere

La dissoluzione dell'ordinamento costituzionale parlamentare e del sistema partitico della Repubblica di Weimar non doveva sfociare necessariamente nella presa del potere da parte di Hitler e nell'istituzione di un regime totalitario, ma questa strada si delineò chiaramente allorché divenne evidente che un regime autoritario sostenuto dalla Reichswehr e dalla burocrazia non era più possibile in una società politica altamente differenziata e mobilitata, poiché tale sistema di dominio delle élites tradizionali da solo non possedeva la necessaria forza di integrazione politica e sociale, soprattutto in un momento storico segnato da crisi e paure profonde. È quanto dovettero constatare in particolare, tra il 1932 e il 1933, il cancelliere del Reich Franz von Papen e il generale Kurt Schleicher; con i loro modelli di Stato autoritario alla fine essi si trovarono costretti a ricorrere ai decreti d'emergenza presidenziali quale unico strumento di governo, dopo che il loro predecessore Heinrich Brüning, il quale tra il 1930 e il 1932 poteva ancora contare sul sostegno di una vasta coalizione di tolleranza dei partiti per la sua politica a metà strada tra autoritarismo e parlamentarismo, alla fine non era più riuscito a ottenere l'appoggio del presidente del Reich e delle tradizionali élites dell'esercito, della burocrazia e dell'economia.

Dopo il terremoto delle elezioni del settembre 1930 l'ingresso della NSDAP nella coalizione di governo era all'ordine del giorno politico. I partiti e i gruppi di potere della borghesia, nella loro situazione di necessità, erano disposti a una coalizione con il partito nazista nelle diete regionali, convinti di possedere nel potere centrale e nelle forze che lo appoggiavano istanze di controllo e barriere sufficienti per contrastare il movimento populistico di massa guidato da Hitler. Un primo tentativo in questo senso attuato in Turingia non ebbe esiti positivi per la NSDAP, e naufragò principalmente a causa della politica ostruzionistica di Hitler e del capo della propaganda del partito Göbbels. I tentativi di addomesticare la NSDAP attraverso coalizioni di questo tipo però continuarono a essere perseguiti, anche perché si guardava all'esempio del più moderato fascismo italiano, che all'epoca godeva della massima considerazione nella Germania borghese e conservatrice.

Sebbene dopo le elezioni per i parlamenti regionali del 1931 la NSDAP fosse diventata il partito più forte, l'ascesa di Hitler al potere non fu un processo lineare né inarrestabile. Il trasferimento del potere a Hitler non fu mai inevitabile sul piano politico-costituzionale, e pressoché nessuno dei rappresentanti dei gruppi di potere tradizionali considerava Hitler la soluzione migliore. Solo quando sembrarono esaurite tutte le altre possibilità di garantire le strutture autoritarie e di evitare un ritorno all'indesiderato parlamentarismo crebbe la disponibilità - soprattutto da parte dell'influente gruppo dei grandi proprietari terrieri - a fare un tentativo con Hitler e con il suo movimento di massa, a condizione però di disporre di sufficienti meccanismi di controllo.

La duplice strategia di Hitler - mirata a creare un movimento di massa di cui detenere il monopolio e nello stesso tempo a istituire delle alleanze tattiche con i tradizionali gruppi di potere della politica, della burocrazia, dell'esercito e dell'economia - non fu del tutto incontrastata all'interno della NSDAP e subì costantemente delle battute d'arresto a causa sia delle azioni terroristiche delle SA, sia del rifiuto opposto dai conservatori a una coalizione con la NSDAP. Espressione di questa strategia di alleanza nella 'opposizione nazionale' e contemporaneamente di presa di distanza dagli alleati fu il Fronte di Harzburg, istituito nell'ottobre del 1931. Poiché le due parti davanti alla crescente mobilitazione politica di massa e al disfacimento del potere si trovavano a dipendere l'una dall'altra, si intensificarono i legami strumentali tra Hitler e le élites di potere tradizionali. Mentre le forze conservatrici - che a partire dal 1929-1930 avevano perso buona parte dei loro potenziali consensi in favore della NSDAP - speravano di ottenere dalla coalizione con il partito elettoralmente più forte una base di massa e una legittimazione plebiscitaria del proprio programma politico-sociale autoritario, confidando di poter imbrigliare Hitler e il suo movimento radicale grazie al controllo sulla Reichswehr e sull'apparato burocratico.

Hitler dal canto suo aveva bisogno del loro appoggio per poter colmare la distanza che separava il suo partito di protesta (non ancora consolidato nonostante i successi elettorali) dalla conquista del potere, e che era causa di una crescente impazienza nella base stessa del partito. Nello stesso tempo si andò via via restringendo il margine d'azione politica delle forze costituzionali, sinché nella fase finale il governo presidenziale di Franz von Papen poté contare esclusivamente sull'appoggio dei gruppi di estrema destra e, adottando una politica di concessioni alla NSDAP, imboccò una strada sempre più impervia. Dopo le elezioni del Reichstag del 1932 fallirono le trattative per l'ingresso della NSDAP nel governo di von Papen. Hitler rifiutò la carica di vicecancelliere dopo che Hindenburg gli aveva a sua volta negato il cancellierato. L'irrigidimento di Hitler in questa politica del 'tutto o nulla' cominciò a minare la sua posizione sia all'interno del partito che sul piano della politica nazionale. Elettori e simpatizzanti delusi abbandonarono la NSDAP (che nelle elezioni del 6 novembre 1932 ottenne 11,7 milioni di voti, pari al 33,1%), nelle SA montava il fermento. Sull'opportunità della tattica hitleriana le opinioni all'interno del partito erano divise. Il cancelliere Schleicher cercò di sfruttare queste divisioni e di staccare da Hitler l'ala sinistra della NSDAP guidata da Gregor Strasser per inserirla in un fronte di governo che andasse dai sindacati alla NSDAP.

Il progetto fallì perché Hitler conservò la supremazia all'interno del partito e Strasser fu costretto a dimettersi nel dicembre del 1932.Con l'abolizione delle regole e delle garanzie costituzionali-democratiche aumentò non solo il vuoto di potere politico, ma anche il peso degli intrighi e dei contatti personali; furono questi elementi, assieme ai clamorosi errori di valutazione politica, soprattutto per quanto concerne il carattere rivoluzionario della NSDAP, a caratterizzare i mesi che precedettero la presa del potere da parte di Hitler. Il 4 gennaio 1933 nella casa del banchiere Kurt von Schröder avvenne un incontro tra von Papen e Hitler, in cui questi si vide offrire il cancellierato. Nella confusa situazione del gennaio 1933, grazie all'influenza esercitata da von Papen, uscito dal 'fronte nazionale', sul presidente del Reich, questi alla fine, il 30 gennaio, acconsentì a nominare Hitler cancelliere di un gabinetto presidenziale in cui i conservatori credevano di aver efficacemente imbrigliato i nazionalsocialisti. Tra tutte le possibili soluzioni per uscire dalla situazione in cui si erano cacciati von Papen e i gruppi di potere intorno al presidente del Reich, questa era sicuramente la peggiore; tra i numerosi errori di valutazione che accompagnarono e facilitarono l'ascesa di Hitler, questo fu il più fatale. La destra conservatrice e i gruppi di potere che la sostenevano non avevano tenuto conto del fatto che Hitler avrebbe potuto pretendere di più (ed era nelle condizioni più favorevoli per farlo), anziché appoggiare i loro interessi in una alleanza strumentale.

L'instaurazione della dittatura

All'apparente preponderanza dei ministri conservatori nel governo di 'concentrazione nazionale' istituito il 30 gennaio 1933 fece riscontro l'esaltazione propagandistica di questa giornata come momento della 'riscossa nazionale', dietro la quale si celarono in un primo tempo le tecniche di dominio e le aspirazioni al potere specificamente nazionalsocialiste. Hitler, il ministro degli Interni Frick e Göring, cui era affidato il dicastero degli Interni prussiano, detenevano però posizioni chiave nella polizia e nell'amministrazione, e se ne servirono per preparare progressivamente la presa del potere dei nazionalsocialisti attraverso una duplice strategia di violenza e di legalità, di spinta rivoluzionaria dal basso e di sanzione dell'esecutivo dall'alto, accompagnata dal terrore e dalla propaganda. Ben presto il vicecancelliere von Papen (che era anche commissario del Reich per la Prussia) e Hugenberg (esponente della DNVP), apparente uomo forte del gabinetto in qualità di ministro dell'Economia e dell'Agricoltura (sino al giugno del 1933), vennero eliminati politicamente in un processo i cui elementi essenziali furono l'azione a sorpresa, l'adattamento e gli errori di valutazione.

Già il 1° febbraio 1933 Hitler liquidava Hugenberg e in occasione delle nuove elezioni per il Reichstag poté far valere pienamente la componente plebiscitaria del suo partito e l'apparato statale. La campagna elettorale fu accompagnata dalle azioni terroristiche delle SA che, lungi dall'essere tenute a freno da un qualche potere statale, erano anzi spesso appoggiate dalla prassi pseudolegale dei decreti presidenziali d'emergenza. La conquista del potere ebbe inizio dalla Prussia dove Göring, oltre che detenere il dicastero dell'Interno, controllava anche l'apparato di polizia, cui aveva affiancato un corpo ausiliario composto prevalentemente di membri delle SA e delle SS. La repressione politica ebbe un ruolo centrale nella fase della presa del potere, ma fu esercitata solo contro i gruppi più deboli e malvisti della società, perseguitando i quali si era certi di poter contare su un vasto consenso. Le azioni terroristiche furono rivolte principalmente contro gli avversari politici, soprattutto comunisti e socialisti, e furono appoggiate dai conservatori alleati di governo e da ampi strati della borghesia, concordi con la NSDAP nel programma di abolizione del parlamentarismo e di lotta contro il marxismo. Queste forze tuttavia non si rendevano conto che la repressione delle sinistre metteva nelle mani della NSDAP lo strumento istituzionale delle leggi eccezionali, che in un secondo tempo avrebbe potuto essere rivolto anche contro i partiti e le organizzazioni borghesi. Di fatto l'eliminazione dell'opposizione contribuì in misura decisiva ad accrescere il potere di Hitler.Il principale strumento delle persecuzioni, accompagnate da una violenta propaganda antimarxista, fu la facoltà presidenziale di emanare decreti d'emergenza, riconosciuta dall'art. 8 della Costituzione di Weimar, che già ai primi di febbraio venne utilizzata per impedire le attività degli altri partiti, per limitare la libertà di stampa e per asservire l'apparato burocratico. Questi provvedimenti vennero messi in atto dalla polizia di Stato, rafforzata dall'inserimento di gruppi ausiliari di SA e SS, peraltro formalmente ancora subordinate alla polizia.Il culmine della repressione politica fu il decreto d'emergenza del 28 febbraio 1933 "per la protezione del popolo e del Reich", emanato subito dopo l'incendio del Reichstag, che costituì il pretesto formale per attuare persecuzioni sistematiche e per proclamare lo stato d'emergenza permanente; esso divenne la vera e propria 'carta costituzionale' del Terzo Reich. Tutti i diritti fondamentali vennero abrogati, e nello stesso tempo venne legalizzata l'ingerenza negli affari di competenza dei Länder.

Le elezioni del Reichstag del 5 marzo 1933, che si svolsero in un clima di violenza legalizzata, diedero alla NSDAP (43,9% dei voti, 288 mandati) in coalizione con la Deutschnationale Volkspartei (8% dei voti) una risicata maggioranza. Nonostante le gravissime difficoltà, i socialdemocratici ottennero il 18,3% dei voti e 120 seggi, la KDP il 12,3%, il Centro l'11,2% e 73 mandati, la BVP il 2,7% e 19 mandati. La NSDAP quindi non riportò mai la maggioranza assoluta nelle elezioni.Il nuovo Reichstag venne inaugurato il 21 marzo 1933 nella chiesa del presidio di Potsdam, al fine di celebrare propagandisticamente l'alleanza simbolica tra l'antica Germania imperiale e il nuovo Reich: tra Hindenburg, rappresentante della tradizione prussiana, e Hitler, Führer della giovane Germania nazista. Il nuovo Reichstag, in cui due giorni dopo dominavano le camicie brune della NSDAP e il minaccioso 'servizio d'ordine' delle SA e delle SS, ebbe per Hitler l'unica funzione di eliminare con il manto della legalità il parlamento e le restanti istituzioni costituzionali attraverso una legge sui pieni poteri (Ermächtigungsgesetz) approvata il 23 febbraio 1933, e di consolidare il proprio potere politico anche indipendentemente dal presidente del Reich e dal gabinetto. Al governo di Hitler venne riconosciuta la facoltà di emanare leggi nazionali in deroga alla Costituzione, a patto però che non venissero toccate le istituzioni del Reichstag e del Reichsrat, né i poteri del presidente del Reich. Queste pseudogaranzie si dimostrarono ben presto prive di qualunque efficacia. La legge sui pieni poteri fu approvata con la maggioranza dei due terzi solo grazie all'annullamento dei mandati di molti parlamentari comunisti e socialdemocratici - parecchi dei quali erano già stati condannati o costretti a espatriare - mentre i partiti al di fuori della coalizione di governo avevano già perso ogni influenza. Il Reichstag approvò la legge sui pieni poteri con 441 voti a favore (tra cui i voti del centro e dei partiti borghesi) e 94 voti contrari espressi dai socialdemocratici.

Con le elezioni di marzo iniziò la seconda fase della conquista del potere: l'allineamento forzato (Gleichschaltung) dei Länder e quindi del Reichsrat mediante la legge del 31 marzo, che imponeva l'adeguamento della ripartizione dei mandati nei parlamenti regionali ai rapporti di maggioranza nel Reichstag. Una seconda legge del 7 aprile annullò la Costituzione federale e insediò nei Länder i Gauleiter (capidistretto) della NSDAP - di fatto già al potere - come governatori del Reich (Reichsstatthalter) e quindi rappresentanti dello Stato unitario.

L''allineamento', che non seguì alcun piano preordinato, poté essere realizzato in modo tanto rapido ed estensivo solo grazie alla contemporanea integrazione dei più importanti gruppi e organizzazioni sociali. Si cominciò con la legge del 7 aprile 1933 sulla riorganizzazione della burocrazia, che introduceva la discriminazione razziale nel pubblico impiego e legittimava le azioni antiebraiche della base del partito. La debolezza sociopolitica e organizzativa dei sindacati, dovuta alla crisi economica e alle vecchie divisioni tra orientamenti rivali, nonché alla grave sottovalutazione del pericolo rappresentato dalla NSDAP, consentì al regime di eliminare in brevissimo tempo (2 maggio 1933), con una duplice strategia basata sulla violenza e sulla propaganda, quello che era stato il più potente movimento sindacale del mondo: i patrimoni dei sindacati vennero confiscati e al loro posto venne istituita una nuova organizzazione obbligatoria, la Deutsche Arbeitsfront (DAF). Ciò segnò anche una nuova, decisiva tappa nel processo di allineamento dei partiti, che tra il giugno e il luglio del 1933 vennero dichiarati illegali o si autosciolsero (compresa la DNVP), vittime delle proprie illusioni, di un atteggiamento rinunciatario e non da ultimo delle costanti intimidazioni da parte delle SA e delle associazioni naziste. Questo processo senza precedenti fu accompagnato e sostenuto dall'allineamento di associazioni e organizzazioni e dai primi atti di persecuzione e di boicottaggio contro i cittadini ebrei cui parteciparono soprattutto gli attivisti radicali del partito, i quali si illudevano di essere rimasti esclusi dall'assegnazione delle nuove cariche perché non si erano messi sufficientemente in luce.Il vuoto politico, sociale e organizzativo creato dall'integrazione forzata venne immediatamente colmato con l'istituzione di nuove organizzazioni obbligatorie, che miravano ad assicurare il controllo permanente e la mobilitazione propagandistica dei gruppi sociali.

Sebbene avessero anche lo scopo di soddisfare le ambizioni delle organizzazioni naziste e di legittimarne le attività, queste misure di irreggimentazione e di penetrazione della società mettevano a nudo la pretesa totalitaria del regime, anche se all'inizio ebbero effetti alquanto asimmetrici e risparmiarono ampiamente soprattutto i ceti borghesi e le vecchie élites. Questo tipo di politica, per quanto attuata in modo imperfetto e graduale, si distingueva nettamente dalla prassi dei governi autoritari, che di norma non ricorrono a queste misure di mobilitazione e di irreggimentazione della società.Un'attenzione e un controllo speciali furono riservati ai lavoratori, che il regime intendeva acquisire al consenso o perlomeno tenere a bada attraverso la tattica 'del bastone e della carota'. I sindacati vennero sostituiti dalla DAF sotto la guida di Robert Ley, che avrebbe dovuto riunire tutti i lavoratori; in un primo tempo la DAF si limitò a programmi di assistenza e di propaganda e a organizzare attività dopolavoristiche, per poi rafforzare la propria influenza sociopolitica negli anni di crescita economica e di penuria di forza lavoro. Le organizzazioni dei contadini vennero forzosamente unificate nel Reichsnährstand capeggiato da Richard W. Darré, che con una martellante propaganda all'insegna dello slogan 'Blut und Boden' ('Sangue e suolo') avrebbe dovuto spingere i contadini a una maggiore produttività distogliendo nel contempo la loro attenzione dalla crescente regolamentazione del mercato e dalla crisi di manodopera nel settore agricolo. All'irreggimentazione della cultura e della stampa provvide il neoministro della Propaganda Josef Göbbels con la Reichskulturkammer (Camera di cultura del Reich). Nel giro di sei mesi Hitler aveva spazzato via parlamento, federalismo e sistema partitico, instaurando un regime a partito unico.

La conquista del potere venne portata a termine l'anno successivo. Anche nella preparazione di quest'ultima fase Hitler in un primo tempo non seguì un piano prestabilito, ma fu piuttosto spinto dalle circostanze. Solo quando i contrasti interni divennero insanabili egli, in combutta con il comando della Reichswehr e delle SS, approfittò dell''affare Röhm', il 30 giugno 1934, per eliminare in un colpo solo i rivali interni al partito e il comandante delle SA, nonché esponenti dell'opposizione conservatrice e altre persone politicamente invise. Una legge del 3 luglio giustificò a posteriori questo assassinio di Stato: l'arbitrio politico - pur con l'ampio consenso della popolazione, che aveva accolto con favore il deciso intervento del Führer contro i presunti corrotti e le forze radicali - si sostituiva dunque ai principî dello Stato di diritto.

Le SA furono in larga misura esautorate e, cosa più importante, le SS - di cui H. Himmler fu nominato comandante supremo (Reichsführer) - divennero indipendenti dalle SA; iniziò così la loro trasformazione in un corpo direttamente soggetto al Führer, che concentrava in sé tutti i poteri di polizia e nello stesso tempo si poneva come rappresentante dei valori ideologici fondamentali del partito. Al crescente potere delle SS fu associato il decisivo processo di trasformazione del sistema di dominio nazista in un regime dittatoriale, incarnato da un corpo militare con poteri di polizia messi al servizio dell'arbitrio ideologico e della realizzazione della dottrina nazionalsocialista. L'espansione tentacolare delle SS avrebbe determinato da allora in poi la natura e l'estensione del potere di Hitler e del suo regime. Il controllo della polizia politica e dei campi di concentramento erano stati alla base della posizione speciale delle SS. Seguirono, nel 1936, l'assoggettamento di tutte le forze di polizia e l'istituzione delle divisioni combattenti delle SS (Waffen SS) in concorrenza con la Reichswehr. Quest'ultima pagò a caro prezzo l'apparente vittoria sulle SA: dopo essersi rese complici di un omicidio di Stato, alla morte del presidente del Reich von Hindenburg, il 2 agosto 1934, le truppe della Reichswehr prestarono giuramento di fedeltà a Hitler, che violando la Costituzione aveva accentrato nella sua persona le cariche di presidente e di cancelliere del Reich. Non esisteva più, dunque, alcuna istituzione costituzionale in grado di limitare il potere di Hitler, né uno spazio d'azione costituzionale per un'opposizione.

Il Führerstaat

La dittatura di Hitler venne definitivamente consolidata nell'estate del 1934. Rispetto allo Stato fascista di Mussolini, Hitler aveva affermato il suo dominio con incredibile rapidità e acquisendo poteri dittatoriali. Il regime nazionalsocialista, inoltre, era spinto da una dinamica interna che escludeva ogni bilanciamento in senso autoritario, e che scalzò via via tutti i fondamenti di uno Stato autoritario - sul quale avevano puntato nel 1933 i partners conservatori della coalizione - in favore di un governo dittatoriale. All'interno della coalizione tra il nazionalsocialismo e le élites tradizionali - la cui collaborazione era indispensabile a Hitler per consolidare il regime e per preparare e attuare la sua politica del riarmo - la preponderanza politica venne assunta in misura crescente dal nazionalsocialismo, che era penetrato ormai in tutte le sfere dello Stato e della società, e dal suo Führer assoluto Adolf Hitler.

La costruzione del Führerstaat poteva considerarsi virtualmente conclusa nel 1938, dopo l'affare Blomberg-Fritsch, allorché Hitler assunse il comando supremo della Wehrmacht, sostituì il ministro degli Esteri conservatore von Neurath con il nazionalsocialista von Ribbentrop, e liquidò definitivamente il ministro dell'Economia nazionale Schacht, assicurandosi il controllo degli ultimi centri di potere conservatori. L'eliminazione della componente conservatrice con il suo orientamento moderato tra il 1937 e il 1938 diede modo a Hitler - dotato di poteri dittatoriali e sostenuto da un consenso di massa - di orientare il corso degli eventi nei cinque anni successivi secondo le proprie idee: il risultato fu lo scatenamento di una guerra ideologica globale, l'attuazione di una politica di sterminio fondata sulla dottrina razzista e la progressiva distruzione di ogni principio dello Stato.

Hitler approfittò inoltre dei poteri assoluti riconosciuti al Führer per tradurre in realtà la sua ideologia.Nonostante il suo carattere dittatoriale il Führerstaat non fu mai un blocco di potere monolitico strutturato gerarchicamente dall'alto verso il basso, come affermava infaticabilmente la propaganda nazista. Dietro la facciata della volontà assoluta del Führer si nascondevano lotte intestine tra la NSDAP e i suoi segmenti da un lato, e le autorità statali sia nazionalsocialiste che conservatrici dall'altro, nonché fenomeni di disgregazione della tradizionale omogeneità della burocrazia statale in favore di apparati di partito e di amministrazioni speciali soggetti direttamente al Führer; questi a loro volta, si moltiplicavano sottraendo all'amministrazione centrale un numero crescente di competenze e di poteri - ad esempio nell'ambito della polizia e della giustizia. Fallì anche il tentativo di creare un'organizzazione burocratica unificata che integrasse Länder e Gaue in una struttura amministrativa unitaria con una netta delimitazione delle competenze, nonostante i tentativi in questo senso del ministro degli Interni Frick e la propagandata riforma dell'ordinamento del Reich. L'organizzazione amministrativa rimase invece in uno stato ambiguo di coesistenza e antagonismo di poteri centrali e particolari. Hitler evitò ogni decisione in materia, la qual cosa era perfettamente coerente con la sua concezione della politica e lasciava tanto più incontrollato il suo potere assoluto.

La guerra contribuì ad acuire ulteriormente il caos organizzato della struttura del potere. La centralizzazione imposta dalla guerra sfociò per lo più in conflitti di competenze e in una anarchia di autorità centrali e amministrazioni speciali tra loro in concorrenza, cosa che favorì lo sviluppo di nuovi poteri particolaristici. Le autorità centrali persero sempre più il controllo su quelle regionali, in particolare sui Gauleiter, i quali - spesso investiti anche della funzione di commissari per la difesa del Reich - durante la guerra accrebbero la loro influenza assumendo tutta una serie di poteri straordinari.Tuttavia questa policrazia delle competenze non portò al crollo del sistema di dominio, ma accrebbe temporaneamente il potere e il potenziale distruttivo del regime nazista, e consolidò la posizione di Führer assoluto di Hitler, il quale sino alla fine del regime poté farsi valere come indispensabile arbitro e punto di riferimento di tutti i gruppi di potere rivali.All'esterno gli incessanti conflitti di competenze che caratterizzavano la policrazia nazista erano mascherati dal vertice monocratico attraverso il mito del Führer. Il Führer carismatico divenne il punto di riferimento di tutte le correnti interne al partito e di un crescente consenso pubblico. Mentre il credito della NSDAP si indeboliva sempre più e i principî tradizionali dello Stato venivano sistematicamente erosi, il mito del Führer e il suo potere dittatoriale garantirono la coesione del regime, che sino alla fine godette di una notevole stabilità e poté contare sul lealismo di larghissima parte della popolazione, pur nell'intensificarsi del controllo e nel dilagare del terrore e della distruzione.

Questa concentrazione del potere era assicurata da una combinazione strategica di allettamenti e di violenza. Il rafforzamento della polizia politica (la Gestapo), completamente indipendente dalle autorità amministrative e giudiziarie e assoggettata al comando delle SS quale strumento di potere del Führer, comportò una sorveglianza sempre più stretta e capillare della popolazione nonché la persecuzione di tutti gli oppositori reali o potenziali del regime e il loro internamento nei campi di concentramento, che come spazio sottratto a ogni legalità erano anch'essi sotto la giurisdizione assoluta delle SS. A ciò si accompagnò il progressivo inasprirsi delle comminatorie e delle pene per i crimini politici e in seguito per le violazioni dell'economia di guerra. Assieme alle funzioni di controllo e di guida del partito e delle sue organizzazioni collaterali, ciò portò a una sorveglianza pressoché totale anche della sfera privata, sebbene vi fosse una netta differenziazione sociale nell'attuazione delle misure di controllo e di repressione. Anche l'efficacia di questo sistema repressivo era strettamente legata al potere carismatico del Führer.

Rispetto a un organico relativamente esiguo, la Gestapo poteva contare per le sue attività di sorveglianza e di repressione sulla collaborazione di una schiera innumerevole di delatori, che spesso erano spinti da motivi personali oltreché politici, e che attraverso le loro denunzie volevano nello stesso tempo esprimere la loro 'fedeltà al Führer'.Repressione e consenso si intrecciavano in vari modi, costituendo una caratteristica essenziale del Führerstaat. Una volta consolidatosi, il regime poté conquistare un notevole consenso grazie alla sua efficace propaganda, alle sue iniziative sociali e culturali volte a soddisfare le masse e al fatto che centinaia di migliaia di persone dovevano al partito e al suo apparato burocratico sempre più elefantiaco il posto di lavoro e un miglioramento di status sociale. Il malcontento e le critiche della popolazione inoltre erano diretti al partito, non già a Hitler.

Più importanti della 'bella apparenza' della propaganda e delle manifestazioni di massa per la nascita e la stabilità del mito del Führer e del consenso di massa - che necessitavano di un rinnovamento e di una conferma costanti - furono comunque gli innegabili successi del regime in campo economico e sociopolitico, e in misura ancora maggiore i successi in politica estera, di cui Hitler poteva a buon diritto ascriversi il merito e che lasciarono ammutoliti anche i critici delle cerchie conservatrici. La riduzione della disoccupazione di massa e la rapida crescita economica dovuta alla corsa al riarmo costituirono per Hitler solo il presupposto dell'ascesa militare e della realizzazione dei suoi dogmi politici: la conquista dello spazio vitale e l'annientamento delle razze inferiori.

Sebbene il 'miracolo economico' nazista fosse in gran parte una esagerazione e una invenzione della propaganda e delle azioni dimostrative, e gli indicatori economici più importanti - come ad esempio il livello dell'occupazione, i salari e il reddito nazionale - raggiungessero i livelli del 1929 solo tra il 1937 e il 1938, il regime riuscì ad accumulare un capitale di credito e di consenso che ignorava i segnali di una ripresa dell'inflazione - e soprattutto il fatto che il boom economico era essenzialmente il risultato della politica di riarmo - ed era sufficientemente forte da sopportare gli impegni futuri.

Pur conservando fondamentalmente intatta la proprietà privata dei beni e delle imprese, l'economia tedesca venne trasformata progressivamente in un sistema dirigistico con il controllo dell'interscambio con l'estero, il contingentamento delle materie prime, la concessione di crediti e commesse statali, le restrizioni valutarie, il controllo dei prezzi e in misura crescente del potenziale di forza lavoro. La conversione all'economia di guerra in tempo di pace fu introdotta nel 1936 con il piano quadriennale e portò all'istituzione di nuove amministrazioni speciali sotto la direzione di apparati burocratici sia statali che privati.

Nel campo della politica sociale e del lavoro l'abolizione dei sindacati liberi e dell'autonomia tariffaria, il divieto di sciopero e di serrata, l'introduzione di norme tariffarie statali, l'adozione di un diritto del lavoro ispirato a criteri autoritaristici che rafforzava la posizione dell'imprenditore rispetto ai lavoratori, l'iscrizione obbligata di pressoché tutta la popolazione attiva nella Deutsche Arbeitsfront contribuirono a creare un sistema dirigista che determinò un temporaneo aumento della produzione nell'ambito dei beni d'investimento e un calo dei consumi. Per distrarre l'attenzione della popolazione dalla perdita di autonomia politica e sociale e per allettarla con l'offerta di attività ricreative e culturali venne istituita l'organizzazione dopolavoristica Kraft durch Freude, che dava anche la possibilità di esercitare una stretta sorveglianza sui membri della 'comunità di popolo'. Le attività assistenziali delle associazioni sia laiche che religiose vennero ostacolate e limitate in favore delle organizzazioni naziste (NS-Volkswohlfahrt und Winterhilfswerk, Opera di salute pubblica e di soccorso invernale). Comunque il regime nazista, sotto la direzione e il controllo delle organizzazioni di partito, proseguì lo sviluppo dello Stato sociale, sia pure in senso dirigista, e attraverso le iniziative della DAF intraprese nuove strade con una politica sociale degli alloggi.

La politica culturale del regime perseguì l'allineamento ideologico e il controllo totale sulla stampa, sulla radio, sull'attività artistica e letteraria, sull'istruzione, sulla ricerca scientifica e sul mondo accademico. L'irreggimentazione della vita culturale venne attuata progressivamente attraverso una combinazione di repressione e persecuzione, di allineamento forzato e di incentivi finanziari, di adattamento e di opportunismo. Dopo la repressione della cultura progressista e d'avanguardia, per un certo tempo riuscirono tuttavia ad affermarsi vari indirizzi artistici e culturali sulla base di una limitata autonomia della cultura borghese, che però dopo gli anni di cesura 1937-1938 venne sempre più controllata e limitata. Nonostante l'allineamento, anche l'ambito della politica culturale ed educativa fu caratterizzato dalla coesistenza di uffici e competenze tra loro in conflitto, pur nel rispetto incondizionato della volontà del Führer, che si proclamava patrono delle arti e si ammantava volentieri del ruolo di artista-politico.

La concezione nazionalsocialista del 'diritto', secondo cui occorreva estromettere dalla 'comunità di popolo' quanti non erano di sangue tedesco, venne applicata in modo particolarmente drastico nella politica ebraica. Dopo la presa del potere le persecuzioni contro gli Ebrei si inasprirono ulteriormente. Tuttavia anche in questo caso, come accadde in altri campi della politica sia interna che estera, l'azione del regime non seguì un piano coerente. I principî razzisti e antisemiti propugnati da Hitler rimasero sempre i criteri guida, ma la loro attuazione in un primo tempo fu subordinata a considerazioni tattiche. La realizzazione del programma antisemita seguì lo stesso schema del processo di radicalizzazione della politica in tutti gli altri campi: propaganda e atti terroristici del partito dal basso, sanzionamento legislativo a posteriori dall'alto. Così alle azioni di boicottaggio dell'aprile 1933 fece seguito l'estromissione degli Ebrei dalla vita pubblica; a una nuova ondata di propaganda antisemita fecero seguito le leggi di Norimberga del 1935, che privavano gli Ebrei della cittadinanza e dei relativi diritti e proibivano i matrimoni misti, per i quali erano previste gravi sanzioni; ai pogrom del 9-10 novembre 1938 fece seguito l'estromissione dalla vita economica. Dopo la segregazione, la guerra offrì la possibilità dell'annientamento fisico di gran parte della popolazione ebraica sia tedesca che europea. Con la preparazione e poi con l'inizio della guerra contro l'Unione Sovietica vennero creati i presupposti politici, ideologici e organizzativi per realizzare la visione hitleriana di una 'rivoluzione razziale' sotto forma di un genocidio condotto secondo criteri scientifico-burocratici (la 'soluzione finale') soprattutto nei campi di sterminio dei territori orientali.

Verso la guerra: la politica estera nazionalsocialista

Anche la politica estera nazionalsocialista si sviluppò per gradi e in un primo tempo i suoi obiettivi radicali vennero celati dietro le tradizionali richieste di revisione del Trattato di Versailles e di ripristino della grandezza nazionale. Anche nella politica estera dominò in un primo tempo una policrazia di programmi e di centri decisionali. Le forze nazionalsocialiste sotto il comando di Ribbentrop (nominato ministro degli Esteri nel 1938 ma già capo dell'ufficio Esteri della NSDAP) si nascosero in un primo tempo dietro il Ministero degli Esteri e la diplomazia, per assumere un ruolo sempre più importante dopo la cesura politica del 1938. Anche il programma graduale di politica estera di Hitler, che assieme alla sua dottrina della razza divenne il criterio direttivo dell'azione politica, sulle prime rimase nascosto, sebbene egli come cancelliere del Reich influenzasse e determinasse pressoché tutte le decisioni del regime in materia di politica estera.

Nella prima fase i preparativi politici ed economici dell'aggressione militare vennero mimetizzati attraverso una strategia di autominimizzazione (ad esempio il 'discorso di pace' di Hitler al Reichstag del 17 giugno 1933; il patto di non aggressione con la Polonia del 26 gennaio 1934). Il primo atto di aggressione - il tentativo di annessione dell'Austria dopo il fallito Putsch dei filonazisti austriaci e l'assassinio del cancelliere austriaco Dollfus, avvenuto il 25 luglio 1934 - non ebbe successo e determinò un crescente isolamento diplomatico della Germania. Solo il cambiamento della congiuntura internazionale (la guerra d'Etiopia nel 1935, la guerra civile spagnola nel 1936), che intensificò l'impegno della Gran Bretagna nel Mediterraneo nonché nell'Asia orientale a seguito dell'attacco giapponese alla Cina, permise a Hitler di passare gradatamente a una politica offensiva, in un primo tempo però ancora dissimulata dall'obiettivo della revisione del Trattato di Versailles. Il primo passo in questa direzione fu l'istituzione della coscrizione obbligatoria (16 marzo 1935) cui fece immediatamente seguito l'ingresso di truppe tedesche nella Renania smilitarizzata, in violazione dei Trattati di Versailles e di Locarno. Nell'attuazione di questa politica Hitler sfruttò anche una serie di circostanze favorevoli: il contrasto tra la politica europea britannica e quella sovietica, nonché la politica di appeasement dell'Inghilterra, che a fronte di svariati problemi sia interni di ordine sociale che esterni di ordine politico mirava a evitare conflitti armati nell'Europa centrale. A ciò si aggiungeva il desiderio di pace diffuso nell'opinione pubblica europea.

Dopo il fallimento della propagandata grande intesa con l'Inghilterra, che nelle intenzioni di Hitler avrebbe dovuto costituire la base della conquista continentale, Hitler riuscì come 'seconda scelta' a coinvolgere l'Italia fascista in un'alleanza (l'asse Roma-Berlino, ottobre 1936) e a stringere un patto di cooperazione con il Giappone (patto anti-Komintern del 25 novembre 1936, al quale l'Italia aderì il 6 novembre del 1937). Dopo lo scoppio della guerra civile in Spagna la Germania si impegnò assieme all'Italia ad appoggiare militarmente gli insorti guidati dal generale Franco. L'asse Roma-Berlino venne rafforzato da un patto di alleanza militare (patto d'acciaio del 22 maggio 1939). Sull'altro fronte crollava il sistema di alleanza degli Stati europei sudorientali appoggiato dalla Francia. Alla fine dell'autunno del 1937 Hitler sfruttò le divergenze all'interno del comando militare e diplomatico per presentare i propri piani di espansione armata, e servendosi senza scrupoli di scandali e intrighi concertati (affare Blomberg-Fritsch, gennaio-febbraio 1938) riuscì a liquidare i vertici conservatori della Wehrmacht e del Ministero degli Esteri, contrari alla sua politica estera. Ciò gli schiuse l'accesso alla Wehrmacht e gli permise di avviare apertamente la sua politica espansionistica alla prima occasione favorevole.

Tale occasione venne offerta dalla crisi politica dell'Austria fomentata dai filonazisti e dalle aspettative di 'annessione' (Anschluss) diffuse nell'opinione pubblica sia tedesca che austriaca, che fornirono il pretesto per l'invasione militare dell'Austria nel marzo del 1938. Un ultimo trionfo della politica di riaffermazione della grande Germania fu costituito dall'accordo di Monaco del 29 settembre 1938, raggiunto dietro forti pressioni politico-militari, che sanciva la cessione alla Germania dei territori dei Sudeti. Nel marzo del 1939 seguì l'occupazione militare della Boemia e della Moravia, che comportò lo smembramento della Repubblica Cecoslovacca. In questo modo Hitler non solo violava l'accordo di Monaco, ma abbandonava anche definitivamente la copertura degli obiettivi puramente revisionistici dietro cui si era mimetizzata la sua politica espansionistica.Quando la politica estera del Terzo Reich si rivolse contro la Polonia, le potenze occidentali si dimostrarono decise a contrastare le mire espansionistiche di Hitler sul piano sia politico che militare. Il patto concluso con Stalin il 23 agosto 1939 lasciò tuttavia a Hitler mano libera per aprire una guerra contro la Polonia (1° settembre 1939), che due giorni dopo si trasformò in una guerra europea e nel 1941 mondiale. Tuttavia con la sua politica di aggressione Hitler nell'immediato aveva invalidato il colpo diplomatico messo a segno con il patto con Stalin e a lungo termine aveva messo quest'ultimo in una posizione tale da consentirgli di rivolgersi all'Occidente. In questa prima fase Hitler, forte dei suoi successi militari (in particolare il trionfo sulla Francia nell'estate del 1940), riuscì a rafforzare ancora una volta il suo prestigio.

Dopo aver accantonato il piano di invasione dell'Inghilterra Hitler, ormai all'apice del suo potere, diede inizio con l'attacco a sorpresa dell'Unione Sovietica (22 giugno 1941) alla realizzazione di quello che costituiva l'obiettivo centrale del suo programma di politica estera: una guerra di conquista e di annientamento dell'Unione Sovietica ispirata dall'ideologia razzista, con lo scopo di eliminare o di respingere le popolazioni slave e di costruire su basi durature un grande impero germanico dove l'utopia nazista avrebbe trovato la sua realizzazione. Nello stesso tempo, con la sconfitta del bolscevismo, si sarebbe inferto anche un colpo decisivo agli Ebrei: con i piani per la campagna di Russia iniziarono i preparativi dell'Olocausto, che a partire dall'autunno del 1941 furono attuati dalle Einsatzgruppen (gruppi d'azione) nei campi di sterminio costruiti a questo scopo in Polonia, conferendo alla guerra una dimensione interamente nuova. Il nazismo e Hitler avevano rivelato la loro vera natura in questa guerra di conquista e di annientamento, trasformando la loro presunta opera di redentori in opera di annientatori. Abbandonando gli adattamenti e le vie traverse cui era stato costretto da necessità tattiche, Hitler poteva realizzare il suo dogma. A ciò si accompagnava una dogmatizzazione degli obiettivi della politica estera e della guerra: questa doveva essere una guerra che non ammetteva alternative tra il dominio mondiale e la rovina, e quindi escludeva la possibilità di essere conclusa prima del tempo con un'intesa pacifica motivata da considerazioni di opportunità politica.

Con il fallimento della 'guerra lampo' (Blitzkrieg) e la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti nel dicembre 1941 il conflitto subì una svolta decisiva, che nonostante i ragguardevoli successi militari delle armate tedesche in Oriente nell'estate del 1942, a partire dal 1943 (Stalingrado, El Alamein) portò alla ritirata e infine alla disfatta militare e al crollo del Reich tedesco, poiché Hitler si tenne fermo ostinatamente alla sua politica del tutto o nulla.La guerra di conquista e di annientamento fu accompagnata non solo dal genocidio degli Ebrei europei, ma anche da una crescente radicalizzazione del sistema nazista di dominio e di persecuzione all'interno della Germania, da una intensificazione dell'economia di guerra attraverso il ricorso alle prestazioni di lavoro coatte di milioni di lavoratori stranieri e prigionieri di guerra, nonché da un impegno allo stremo di tutte le risorse, cui si associavano pene severissime (ad esempio per gli atti di disfattismo militare e per le trasgressioni all'economia di guerra). Il fallito tentativo dell'opposizione tedesca di abbattere il regime con un attentato a Hitler (20 luglio 1944) portò a un'ulteriore concentrazione di tutte le posizioni di potere nelle mani della cricca di dirigenti nazisti e delle SS. A partire dal settembre del 1944, quando le truppe alleate cominciarono l'avanzata nel territorio tedesco e intrapresero l'ultima ondata di bombardamenti a tappeto delle città tedesche, la disfatta totale si profilava imminente e il prestigio e l'autorità di Hitler presso la popolazione cominciarono a scemare. Sebbene le tendenze all'autoscioglimento del regime si delineassero sempre più chiaramente, solo il suicidio di Hitler, avvenuto il 30 aprile 1945 segnò il suo crollo, dopo che l'Armata Rossa era già ammassata davanti al bunker del Führer a Berlino.

L''impero millenario' durò solo dodici anni, e tuttavia ha trasformato radicalmente la configurazione della Germania e dell'Europa intera. Alla fine il nazismo, con le sue tendenze distruttive manifestate sin dall'inizio e sfociate in una politica di sterminio, ebbe effetti contrari a quelli che si era prefissato. Il Terzo Reich non divenne il redentore, bensì l'aguzzino della Germania e dell'Europa. Nell'esaltazione della sua politica di potenza europea Hitler volle condurre il Terzo Reich al dominio mondiale, ma così facendo cancellò per decenni l'esistenza di uno Stato nazionale tedesco. Egli volle dominare e organizzare il mondo a partire dall'Europa, e aprì invece l'era della supremazia americana e sovietica e di una internazionalizzazione o globalizzazione della politica. Il nazismo volle frenare la dinamica del mondo moderno, ma ha invece contribuito a intensificarla. Soprattutto attraverso la guerra di cui fu responsabile e le sue conseguenze, il nazismo ha contribuito a recidere i tradizionali vincoli nazionali, sociali e religiosi di centinaia di migliaia di persone, ad annullare i privilegi, i rapporti di potere e le differenze di ceto. Sebbene esso non abbia mai realizzato la promessa di una eguaglianza sociale e psicologica nella forma di una 'comunità di popolo', l'ha però rafforzata e legittimata come aspettativa e come principio. Sebbene non sia riuscito a creare un 'nuovo ordine' autentico e duraturo né in campo politico né in campo sociale, la sua politica di mobilitazione ha in ultima istanza stimolato il mutamento sociale, in contrasto con la staticità dell''impero millenario' cui aspirava.

(V. anche Antisemitismo; Autoritarismo; Dittatura; Fascismo; Genocidio; Millenarismo; Nazionalismo; Razzismo; Totalitarismo).

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