NAZARI di Calabiana, Luigi

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 78 (2013)

NAZARI di Calabiana, Luigi

Ennio Apeciti

NAZARI di Calabiana, Luigi. – Nacque il 27 luglio 1808 a Savigliano (Cuneo) da Filippo e da Sofia Toesca dei conti di Castellazzo.

Compaesano di Santorre di Santarosa, crebbe con una particolare attenzione alle vicende storiche italiane nelle quali erano direttamente coinvolti i suoi conterranei e delle quali aveva ben presente l’afflato mistico-civile che le accompagnava.

Dopo aver studiato nel seminario di Bra, dal 1826 frequentò come chierico esterno l’Università di Torino, avendo tra i suoi maestri l’abate Vincenzo Gioberti, di cui serbò sempre un grato e ammirato ricordo.

Negli anni torinesi frequentò l’Accademia Solariana, un cenacolo di studi promosso dal 1816 dal conte Ludovico di Villanova Solaro, per gli aderenti del quale era obbligatorio assumere il nome di un Padre della Chiesa; scelse quello di Dionigi di Alessandria, per la sua azione di pacificazione fra la Chiesa di Roma e quella della Cappadocia.

Terminati gli studi, fu ordinato sacerdote il 29 maggio 1831 e celebrò la sua prima messa nella collegiata di S. Andrea in Savigliano, della quale il padre, prima del matrimonio, era stato canonico; in virtù di un antico diritto di giuspatronato della sua famiglia, esercitò il ministero sacerdotale nella città nativa, distinguendosi per cultura e carità verso i poveri.

Dopo aver rifiutato per due volte l’episcopato propostogli da Carlo Alberto, la terza volta accettò la sede di Casale Monferrato (12 aprile 1847). L’ordinazione episcopale avvenne a Roma il 6 giugno 1847 e il 22 agosto fra festose accoglienze fece il suo ingresso nella cattedrale di Casale.

Nell’occasione lesse un’apprezzata omelia nella quale tratteggiò il suo ideale di vescovo: «Anticamente la parte del Vescovo era di opporsi ai contraddittori […] Ma nei tempi che corrono […] egli deve intendere questi movimenti degli intelletti e dei cuori; capitanare queste spedizioni nei campi della verità e dell’amore: informarvi lo spirito dell’umiltà, della religione; avvisare ai pericoli; scrutare nell’intimo ogni novità, confermarle senza passione, se buone, riprovarle senza timore, se cattive» (Castiglioni, 1942, p. 123).

Con i Savoia intrattenne sempre ottimi rapporti: Carlo Alberto lo nominò suo elemosiniere (1847), consigliere di Stato straordinario (20 gennaio 1848) e senatore (3 maggio 1848). La stessa stima ebbero per lui Vittorio Emanuele II, che lo designò commendatore dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro (28 luglio 1858), grande ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia (22 aprile 1868) e precettore dell’erede al trono, e Umberto I, dal quale ricevette prima il Gran Cordone dei Ss. Maurizio e Lazzaro (29 marzo 1881), poi il Collare dell’Annunziata (7 giugno 1887). Lo stesso re lo avrebbe visitato nell’ottobre 1893, sul letto di morte.

Percepì le due cariche di vescovo e di senatore non in senso oppositivo, ma piuttosto come unico impegno e servizio. Pertanto fu voce attiva nel dibattito parlamentare, tra quelle più ascoltate in Senato, come quando nel 1848, pur non avendo diritto di voto ma solo di parola non essendo ancora quarantenne, si espresse a favore dell’abolizione delle discriminazioni e il riconoscimento della parità di diritti civili degli acattolici (valdesi e israeliti), suscitando un entusiastico applauso. Non avvenne lo stesso nel 1850, quando durante il dibattito sulla soppressione del foro ecclesiastico e delle relative immunità ammonì che si rischiava di creare una situazione conflittuale tra la Chiesa e lo Stato, come di fatto avvenne. Più determinanti furono i suoi interventi nel 1852-53, quando levò la voce contro la legge sul matrimonio civile, ottenendo la sospensione della discussione. Nel 1854 si oppose alla legge che prevedeva il reclutamento nell’esercito di sacerdoti e religiosi, ma non ebbe successo. Nel 1855 fu al centro di quella che fu detta la ‘crisi Calabiana’, che si aprì quando la legge di soppressione degli ordini religiosi giunse in Senato (26 aprile). A nome di tutti i senatori cattolici e dei vescovi del Regno, propose che il fabbisogno di bilancio, motivo dichiarato dell’incameramento dei beni ecclesiastici, fosse coperto dalla Chiesa, senza che le fosse confiscato il patrimonio. Il governo Cavour rifiutò la proposta e, accusato di mirare non tanto al pareggio di bilancio quanto a continuare la sua politica antiecclesiastica, si dimise. A seguito di un’accesa campagna della stampa liberale contro il clero e contro Giacomo Durando, incaricato di formare un nuovo esecutivo, il 3 maggio Vittorio Emanuele II decise di richiamare alla guida del governo Cavour e nello stesso mese la legge fu approvata sia pure con una formula di compromesso. Lo strascico polemico della crisi convinse il vescovo a non partecipare più alle sedute del Senato, preferendo rivolgersi direttamente ai regnanti per le vicende che gli stavano a cuore, certo di poter essere compreso e nei limiti del possibile aiutato. Continuò così a svolgere l’azione di conciliazione e di pacificazione degli animi che fin dall’inizio del suo ministero si era proposto.

Il 27 marzo 1867, al termine di un travagliato iter, divenne arcivescovo di Milano.

La sede era vacante dal 7 maggio 1859, quando era morto l’arcivescovo Bartolomeo Carlo Romilli. Il 7 giugno, tre giorni dopo la battaglia di Magenta e un giorno prima dell’ingresso trionfale di Napoleone III e di Vittorio Emanuele II a Milano, Francesco Giuseppe aveva esercitato il suo diritto di indicare il nome del nuovo arcivescovo, scegliendo Paolo Angelo Ballerini che Pio IX confermò il 20 giugno. La nomina, però, non fu mai riconosciuta dal governo italiano, che considerò la sede ‘vacante’, mentre il papa la giudicava ‘impedita’. Seguirono anni di polemiche nella società milanese e tra il suo clero, diviso sempre più tra intransigenti e liberali, come vennero chiamati quelli che aspiravano a una pacificazione degli animi e delle intelligenze.

Nel 1865 iniziarono laboriose trattative fra la S. Sede e il governo per la nomina alle molte sedi episcopali vacanti e inizialmente si fece il nome di Nazari come arcivescovo di Torino. Nel 1866, quando dopo un’interruzione i negoziati furono ripresi dal consigliere di Stato Michelangelo Tonello e con la discreta mediazione di Giovanni Bosco, si poterono ricoprire almeno le sedi episcopali più importanti: Ballerini fu promosso patriarca di Alessandria d’Egitto in partibus infidelium e Nazari gli succedette a Milano.

Sin dall’inizio incontrò difficoltà: dovette fare un ingresso modesto in città, a causa sia dell’epidemia di colera sia delle disagiate condizioni economiche nelle quali versavano la diocesi e la mensa episcopale sia ancora per non dare ulteriore adito ai malumori degli intransigenti, sintetizzati da L’Osservatore cattolico, cui non piaceva il suo motto episcopale, significativamente non in latino ma in italiano: «Ognun mi sente», completato con una frase di s. Agostino: «in necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas».

Cercò in primo luogo di riportare la pace, soprattutto nel clero, come disse sin dal discorso del suo insediamento, il 23 giugno 1867: «Desidero che cessi fra voi ogni rancore, ogni contesa di partiti, ogni vendetta […] Desidero che su tutta quanta la mia novella spirituale famiglia risplenda perpetuo il sole della verità, della giustizia, della pace» (Apeciti, 1992, p. 98). Non fu cosa facile, anche se sin dai primi mesi fu circondato dall’affetto e dalla stima della popolazione, grazie a quella cordialità e a quella carità accogliente che lo avevano fatto amare a Casale.

Partecipò al concilio Vaticano I e fu tra i pochi vescovi che il 18 luglio 1870 non votarono per il dogma dell’infallibilità, attirandosi il disprezzo di molti intransigenti. In realtà, non lo fece per rispetto del suo clero, poiché nel seminario di Milano, come in tutti quelli lombardi e piemontesi, la questione dell’infallibilità, per scelta del corpo accademico, non veniva trattata e Nazari ritenne quindi doveroso rispettare le scelte culturali ed educative del clero della sua diocesi, che, d’altra parte, si distingueva per la fedeltà al pontefice. Aderì pubblicamente al dogma dell’infallibilità durante il solenne pontificale per la festa della Natività di Maria, cui è dedicato il duomo di Milano, e diffuse l’espressione famosa: «Ubi Petrus, ibi Ecclesia Mediolanensis». Con la stessa chiarezza e sobrietà di toni commentò il passaggio di Roma all’Italia (20 settembre 1870).

Diede impulso al restauro delle antiche chiese di Milano e alla costruzione di nuove nella periferia della città, in piena espansione demografica. Anche questo fu frutto della sua politica conciliante, per la quale ottenne i permessi civili, rifiutati spesso ad altri. Fu prezioso il restauro della basilica di S. Ambrogio con il ritrovamento nel 1871 del corpo del patrono di Milano e di quelli dei martiri Gervaso e Protaso: l’urna che li contiene fu un dono personale di Nazari per le celebrazioni del XVI centenario dell’elezione di Ambrogio, fissate per la primavera del 1874. Il divieto del governo, emanato all’ultimo momento, della processione per il trasporto diurno dell’urna dal duomo produsse un’imponente manifestazione di fede: nella notte del 15 maggio piazza del Duomo si riempì improvvisamente di migliaia di fiaccole, che, sfidando la polizia, accompagnarono l’urna di Ambrogio verso la sua basilica.

Nel suo impegno di pacificazione e di rinnovamento, favorì gli oratori, la tipica realtà educativa della diocesi di Milano, che volle fossero centri di formazione spirituale e culturale, custodi della fede e aperti al mondo, come attesta la cura che ebbe per il Circolo giovanile cattolico S. Ambrogio di Milano (6 marzo 1873) e la partecipazione cordiale all’Esposizione nazionale, che si tenne a Milano nel 1881.

Per quanto riguarda la formazione del clero, rinnovò i programmi di studio dei seminari minori (ginnasio e liceo), conformandoli ai programmi della scuola pubblica, in modo che i futuri preti avessero la stessa preparazione dei loro coetanei e, se avessero lasciato il seminario, non fossero danneggiati nei loro studi. Lo stesso impegno per una completa – e per certi versi culturalmente raffinata – formazione dei sacerdoti, lo spinse a riformare a più riprese i programmi di studio del seminario teologico e a sostenere la riapertura nel 1878 del Collegio Lombardo (oggi Pontificio seminario lombardo) a Roma; incoraggiò in diocesi la frequenza all’Istituto di perfezionamento teologico Maria Immacolata e nel 1891 ottenne che l’antica facoltà teologica di Milano, prestigioso centro di cultura, potesse tornare a conferire le lauree, prerogativa di cui era stata privata dal 1771. Favorì anche forme nuove di preparazione pastorale, sostenendo il seminario sorto a Monza per opera del barnabita Luigi Villoresi e il Seminario per le missioni (oggi: Pontificio Istituto missioni estere), una forma antesignana di quelli che oggi sono i preti fidei donum: in questo modo diffuse nella diocesi un vivace afflato missionario.

Con lo stesso spirito sostenne i molti ordini religiosi sorti nell’Ottocento e impegnati nel mondo della carità (si pensi alle Marcelline di mons. Luigi Biraghi o alle suore della Riparazione di don Carlo Salerio) e ne incoraggiò la fondazione di nuovi, soprattutto se dediti alla pastorale parrocchiale: le suore del Preziosissimo Sangue (17 maggio 1876), le suore della Sacra Famiglia del S. Cuore di Gesù di Brentana (3 gennaio 1883), le suore Misericordine di Monza (25 marzo 1891).

Non fu meno impegnato nell’animazione della vita spirituale e culturale del laicato. Se da una parte sostenne la ripresa di antiche confraternite (come quella del Ss. Rosario in duomo, fondata da san Carlo) o la fondazione di nuove, come quella del Sacro Cuore di Gesù o quella dell’Apostolato della preghiera, dall’altra parte sostenne l’Opera dei congressi e l’Unione cattolica per gli studi sociali (29 dicembre 1889), di cui fu presidente Giuseppe Toniolo. Fu anche generoso finanziatore di numerose opere di carità: amico di don Luigi Vitali, fondatore dell’Istituto per i ciechi, di don Giulio Tarra, fondatore dell’Istituto per i sordomuti poveri, di mons. Domenico Pogliani, fondatore dell’Ospizio Sacra Famiglia per gli incurabili di Cesano Boscone, di don Luigi Talamoni, fondatore delle suore Misericordine, di Luigi Monti, fondatore dell’Istituto Immacolata Concezione.

Non mancarono le umiliazioni e le delusioni, fra cui nel 1888 la decisione di Leone XIII di scorporare dalla diocesi di Milano le tre valli (Riviera, Leventina, Blennio) del Canton Ticino per fondare la diocesi di Lugano. Dovette inoltre subire le continue critiche e gli attacchi lanciati da L’Osservatore cattolico e dal suo direttore Davide Albertario, non di rado con l’appoggio di ambienti romani.

Morì a Milano il 22 ottobre 1893.

Fu sepolto nel piccolo cimitero di Groppello, ove era la residenza estiva dell’arcivescovo, perché il governo – ufficialmente per motivi igienici – non concesse che fosse deposto nel duomo come gli altri vescovi milanesi. Vi fu trasportato, per la tenacia del suo successore, Andrea Carlo Ferrari, solo il 14 novembre 1912, quando: «Di fronte a quel feretro tutti, anche quelli avversari tra loro, si inchinarono. In quell’estremo momento Nazari di Calabiana realizzò il suo compito: il compromesso della concordia» (Apeciti, 1992, p. 580).

Fonti e Bibl.: C.F. Fedele, L. N. dei conti di Calabiana, arcivescovo di Milano, cavaliere della Ss. Annunziata, senatore del Regno..., Torino 1939; C. Castiglioni, Monsignor L. N. dei conti di Calabiana arcivescovo di Milano e i suoi tempi (1859-1893), Milano 1942; A. Canavero, N. di Calabiana, L., in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980. Le figure rappresentative, III, 2, Casale Monferrato 1984, pp. 592 s.; G. Tornelli, Calabiana, L. N. di (1808-1893), in Dizionario della Chiesa Ambrosiana, I, Milano 1987, pp. 557-563; E. Apeciti, Alcuni aspetti dell’episcopato di L. N. di Calabiana arcivescovo di Milano (1867-1893). Vicende della Chiesa ambrosiana nella seconda metà del 1800, Milano 1992.

TAG

Immacolata concezione

Osservatore cattolico

Santorre di santarosa

Arcivescovo di milano

Andrea carlo ferrari