NAVE

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

NAVE (XXIV, p. 341; App. I, p. 883)

Leonardo FEA
Dante SOLIMBERGO
Leonardo FEA
Eugenio DE VITO
Sergio FERRARINI

La nave dal 1938 al 1948. - La navigazione marittima e fluviale, dopo l'avvento e il celere sviluppo dell'aeronautica non ha perduto la sua importanza tradizionale, perché il nuovo mezzo non ha sostituito ma integrato l'antico, provocando però modificazioni parziali in ciascuno dei due sistemi di navigazione, con reazioni reciproche ancora in svolgimento. Le navi si vanno adattando sempre meglio alle loro precipue funzioni, scambiando con gli aerei metodi e conquiste: quelle detengono il monopolio dei trasporti di massa (secondo alcuni, rapporto dei costi di trasporto merci 1:900), questi prevalgono quando la velocità è fattore decisivo (rapporto delle velocità 20:1).

Dal 1938 al 1948 altri grandiosi eventi si sono verificati, nei quali il naviglio ha assolto una funzione essenziale, ma dai quali ha subìto influenze immense, tanto nel campo mercantile, quanto nel militare. Tali influenze continueranno ad agire per molto tempo su vastissima scala, giacché la vita economica di tutti i popoli, compresi quelli di blocchi continentali, dipende ancora dalle comunicazioni marittime, soprattutto in un periodo di squilibrî come in questo dopoguerra, mentre i nuovi metodi di guerra aero-navale (v. marina, in questa App.), fattori oggi inscindibili, troveranno ancora nel naviglio militare una base indispensabile.

Verso il 1938-39 le costruzioni navali mercantili continuavano a segnalare un sensibile progresso, quantitativo e qualitativo, in quasi tutti i paesi, compresa l'Italia. Ma lo scoppio della guerra, che gradualmente coinvolse quasi tutte le nazioni marittime, turbò il naturale sviluppo di questa attività, rivolgendola forzatamente, sebbene in modo differente nei campi avversi, alla produzione esclusiva di naviglio adatto ai fini bellici. Da una parte la battaglia dell'Atlantico divorava incessantemente oltre un milione di t. di stazza lorda al mese e la guerra nel Pacifico richiedeva un naviglio sterminato, dall'altra i trasporti militari nelle pericolosissime acque europee obbligavano alla costruzione di un naviglio tutt'affatto speciale. Naturalmente l'attività degli Alleati venne spinta prima verso navi da carico, lente e capaci (Liberty) e poi verso navi più celeri, da carico secco (Victory) e petroliere (T. 2), infine verso unità di trasporto truppe (P2, R3), mentre da parte dell'Asse si costruivano le unità italiane tipo A, B e C (v. la tabella in basso), e in Germania le K. T. (Kriegstransport). Speciali metodi vennero adottati per accelerare la produzione del naviglio, specialmente negli S. U., fulcro della potenza industriale alleata, dove fin dal 1936 era stata creata un'organizzazione statale - la Maritime Commission - per la costruzione di una possente flotta mercantile. Colà si fondarono nuovi cantieri; si adottò su vasta scala il metodo di costruzione navale "prefabbricata"; si sostituì la saldatura alla chiodatura; si destinarono alla fabbricazione degli apparati motori navali industrie fino allora estranee a quel settore. In tal modo si raggiunsero risultati sorprendenti: poche settimane - qualche volta pochi giorni - passavano dall'impostazione al varo e all'approntamento, con ottimi risultati, salvo qualche caso sporadico. La produzione nei paesi alleati si accelerò assai più presto che nella precedente guerra. (Per le statistiche delle perdite e delle nuove costruzioni v. marina: Marina mercantile, in questa App., alla quale si rinvia anche, in linea generale; per tutte le notizie che riguardano più propriamente l'impiego della nave e la partecipazione delle singole bandiere al traffico internazionale postbellico).

Anche nella ricostruzione delle marine mercantili alleate, cobelligeranti o neutre, e delle marine vinte, gli Stati Uniti hanno - a guerra finita - dato un contributo generoso e sostanziale, cedendo a condizioni di favore naviglio costruito durante la guerra ed ora esuberante ai loro bisogni di pace (surplus ships), oltre al cospicuo tonnellaggio noleggiato, senza preoccuparsi della possibile concorrenza.

L'evoluzione delle navi mercantili 1938-48. - Al principio del decennio le costruzioni navali mercantili avevano raggiunto un'alta perfezione, dimostrata dai grandi "supertransatlantici", caratteristici del periodo tra le due guerre, dei quali stava per entrare in servizio l'ultimo esemplare, la Queen Elisabeth britannica, di 83.673 t.s.l. (dimensioni: 314,24 × 35,97 × 11,90 m.; 160.000 CV; circa 32 nodi; passeggeri 2288), nonché dalle motonavi da carico celeri che si andavano moltiplicando, come il tipo italiano Sidarma da 6340 t.s.l. e 10.320 t. di portata (dimensioni: 134,1 × 18,4 × 9,11 m.; 4800 CV; 16,6 nodi), dalle petroliere veloci, motonavi come le cisterne tipo Agip da 10.540 t.s.l. e 14.770 t. di portata (dimensioni: 150,3 × 20,8 ×11,1 m.; 6200 CV; 16,1 nodi), e vapori, come quelli americani a propulsione turboelettrica tipo E.J. Henry da 10.000 t. s. l. e circa 16.000 t. di portata (dimensioni: 158,6 × 21,3 × 8,84 m.; 5000 CV; 13,2 nodi); dai vapori da carico celeri della Maritime Commission tipo Challenge, dalle navi diesel-elettriche tedesche (le navi "elettriche") tipo Patria, ecc.

Allora si tendeva verso la specializzazione delle navi, per meglio adeguarle ai particolari servizî da compiere, e quindi si aveva una grande varietà di disegni, nei quali tuttavia si notava l'avviamento verso velocità più elevate, sicché navi da carico riuscivano più celeri di molte precedenti navi da passeggeri.

La guerra diede, almeno da principio, un impulso molto diverso, perché si manifestò il bisogno di un grandissimo tonnellaggio, anche se non molto veloce, adatto ai convogli del tempo. Nacquero così le note navi da carico secco tipo Ocean britanniche, le derivate Liberty americane a ponte di riparo ovvero a piene dimensioni (portata circa 10.000 t., 10 nodi, macchina alternativa, due caldaie cilindriche a carbone e scafi chiodati, per le prime; due caldaie a tubi d'acqua a nafta e scafi saldati, per le seconde): di queste ultime furono rapidamente costruite circa 2500 unità. Con lo svolgimento delle operazioni belliche, gli Alleati passarono al tipo Victory, di eguale portata ma più veloce (14 ÷ 16 nodi), a ponte di riparo, con o senza sistemazioni per un piccolo numero di passeggeri, quasi tutte con apparato motore a vapore, costituito da caldaie a tubi d'acqua e turboriduttori (si erano superati gli ostacoli di produzione che ne avevano impedita l'adozione sulle unità precedenti). Nello stesso tempo gli Americani moltiplicavano le cisterne a propulsione turboelettrica tipo T. 2 (oltre 500 unità) derivate dal tipo E. J. Henry, ma più veloci (6000--8000 CV) e più semplici, nonché grandi unità per il trasporto di truppe da 12.000 t.s.l., pure a propulsione turboelettrica (lungh. 185,3 m.; 20.000 CV; 20 nodi). Unità che vanno tutte ricordate, perché molti esemplari di esse si trovano in altre marine e costituiranno ancora per parecchi anni parte sostanziale del tonnellaggio mondiale. Oltre questo naviglio di carattere generale, nei paesi alleati si costruì una massa enorme di naviglio speciale per le operazioni militari di trasporto e di sbarco in Europa e nel Pacifico: decine di migliaia di unità di questo genere furono preparate, e dopo la guerra solo in piccola parte trasformate per servizî mercantili. Nell'insieme però la parte vitale prevalente delle costruzioni di guerra alleate, cioè americane, è costituita da navi adatte al traffico generale oceanico, per grandi carichi, asciutti e liquidi, meno assai a traffici speciali o da passeggeri. È qui dove si ebbe, e dura ancora, una crisi acuta in quasi tutto il mondo.

Perciò dopo la guerra è stato necessario, compatibilmente con la deficienza di materiali e con le difficoltà della manodopera, provvedere celermente al tonnellaggio specializzato, da passeggeri e da carico di linea, oltre che all'immenso lavoro di ricupero delle navi affondate, dove possibile e conveniente, e di ripristino delle navi trasformate durante la guerra per servizî militari. Questi lavori sono ancora in pieno sviluppo e saranno agevolati dall'applicazione del piano ERP e del programma italiano (legge Saragat, 1949).

Come si è visto, la guerra non ha provocato modificazioni organiche importanti nella costruzione delle navi mercantili - salvo forse lo sviluppo grandioso dei mezzi d'imbarco e di sbarco dei carichi e la diffusione nelle petroliere della propulsione termoelettrica. La necessità spinge oggi a sviluppare il naviglio da passeggeri, decimato dalla guerra, non più verso unità grandissime e di altissima velocità, come i "supertransatlantici", che resteranno senza successori per la concorrenza dell'aeronautica (infatti nel 1947, si ebbero 575.000 passeggeri sui transatlantici e ben 385.000 sugli aerei del medesimo percorso), ma verso unità di media grandezza e di moderata velocità, munite di apparati motori a vapore ovvero di motori Diesel, i quali ultimi non avevano trovato larga applicazione nelle costruzioni di guerra per la insufficienza quantitativa dell'industria americana. Del resto la moderazione nella grandezza è imposta anche da considerazioni economiche, in quanto il costo di una tonnellata di stazza lorda di nave da passeggeri sale a circa 400.000 lire - circa 50 volte l'anteguerra - e quindi un bastimento di 25.000 t.s.l. costa attorno ai 10 miliardi di lire (1948).

Tra le navi da passeggeri si segnalano: la turbonave Caronia della Cunard" da 34.000 t.s.l., la più grande del dopoguerra (dimensioni: 218 × 27,73 × 8,90 m. circa; 1000 passeggeri circa in due classi; due turboriduttori da 40.000 CV, velocità 23 nodi); la motonave olandese Willem Ruyss, da 21.300 t.s.l. (dimensioni: 185,6 × 24,1 × 16,76 m.; immers. 8,90; portata 7500 t.; 840 passeggeri; 27.000 CV, otto motori raggruppati su due eliche con riduttori a ingranaggi e giunti elettromagnetici; veloc. 21 nodi); la motonave svedese Stockholm, terza unità di questo nome, da 11.700 t.s.l. (dimensioni: 160 × 21 × 7,95 m.; portata 5500 t.; 392 passeggeri; 12.000 CV; veloc. 21 nodi).

Nel tonnellaggio da carico, data la pletora di vapori di grande portata ma lenti, si sono completamente trascurati i "tramps", e si sono sviluppate le motonavi celeri, tanto di tipo misto, cioè con sistemazioni di passeggeri anche di più dei 12 regolamentari (per concorrere a questo traffico, oggi tanto superiore ai mezzi disponibili), quanto da carico puro, che comprendono unità di velocità relativamente straordinaria - oltre 20 nodi - benché senza alcuna influenza di carattere militare.

Tra le navi miste si segnalano le motonavi italiane tipo Navigatori, da 8900 t.s.l. (dimensioni: 138,7 × 18,9 m.; immers. 7,9 m.; portata 8500 t.: 388 passeggeri; 7500 CV; vel. 16 nodi), i vapori inglesi Media da 13.700 t.s.l. (dimensioni: 152,4 × 21,3 m.; immers. 9,21 m.; vel. 18,5 nodi, 250 passeggeri). Tra le unità da carico, le motonavi francesi Algérie da 3700 t. di portata (dimensioni: 105,7 × 15,5 m.; immers. 5,82 m.; 12 passeggeri; 7000 CV; vel. 17,5 nodi); le motonavi veloci svedesi Nimbus da 8870 t. di portata (dimensioni: m. 140,21 × 18,9 × 9,14; immers. m. 7,92; 12 passeggeri; 17.900 CV; 19,5 nodi); le motonavi velocissime svedesi Seattle da 9000 t. di portata (18.000 CV, veloc. media nella traversata Anversa-Curaçao 21 nodi) e le navi americane per trasporto minerali Chilore da 24.427 t. di portata (dimensioni: 170,7 × 23,77 × 13,30 m.; dislocamento 32.450 t.; potenza 13.000 CV; veloc. 15,5 nodi).

Speciale sviluppo hanno le cisterne, perché il fabbisogno mondiale di prodotti petroliferi diventa sempre più imponente: cisterne di grandissime dimensioni, fino a più di 30.000 t. di portata, per i traffici oceanici, tra porti prestabiliti, di adeguati fondali, come quella americana della "National Bulk Carriers" (dimensioni: 187,4 × 25,6 × 13,9 m.; portata lorda 30.000 t.; propulsione a vapore con turboriduttori; una elica, 15.000 CV; veloc. 18 nodi); cisterne di dimensioni medie, fino a 15.000 t. di portata, come i tipi Agip di anteguerra, già ricordati; cisterne di piccole dimensioni, per la distribuzione tra i grandi e i piccoli porti. Il tonnellaggio complessivo delle navi cisterna è passato da 11.131.975 t.s.l. nel 1939 a 15.957.774 t.s.l. nel 1947 (di cui 2/3 delle marine anglosassoni), pari al 20% delle flotte mercantili mondiali, e nelle navi in costruzione alla fine del 1947 oltre il 18% per 742.084 t.s.l. sono petroliere di almeno 1000 t.s.l.

Circa le caratteristiche generali del naviglio mercantile, la grandezza media è in aumento, in conseguenza delle grandi costruzioni di guerra: nel 1947 il numero delle navi di oltre 4000 t. s. l. è salito a 8669 (in confronto a 3608 del 1914) e il nerbo del naviglio attuale è costituito da unità ancor maggiori, dalle 6000 alle 8000 t. s. l. (43,9% del tonnellaggio totale). Circa i sistemi di propulsione vedi a pag. 384; per le statistiche dei diversi tipi di propulsione e di combustibili, v. marina, in questa App.

Del naviglio in corso di costruzione al 1 gennaio 1948 (che secondo il Lloyd's Register, ammonta a 3.982.357 t.s.l.): 1.442.646 t. sono vapori (36,2%); 2.529.332 t. motonavi (63,5%); 10.379 t. velieri e galleggianti senza propulsione (0,3%); indice chiaro della prevalenza delle motonavi, che fuori del Regno Unito sono di numero quasi triplo di quello dei vapori. Di propulsione con turbine a gas non si hanno ancora esempî nelle marine mercantili.

Nel naviglio in costruzione alla stessa data, le grandi unità, cioè quelle di oltre 8000 t.s.l., costituiscono il 24,3% del tonnellaggio nel Regno Unito e solo il 7,5% di quello fuori di esso, il che indica da una parte quanto importanti siano le navi in costruzione nel Regno Unito e dall'altra quanto grande sia ancora la necessità di naviglio medio negli altri paesi.

Infine le cifre dimostrano il tramonto della vela: secondo il Lloyd's Register il tonnellaggio dei velieri e galleggianti da 3.963.000 t.s.l. nel 1914, è sceso a 930.000 nel 1939 e a 842.000 nel 1947; e i velieri di oltre 100 t. ammontano (1947) a 140.000 t.s.l., meno dell'1,5‰ della consistenza del tonnellaggio mondiale.

Il naviglio militare nella guerra e nel dopoguerra (v. anche marina: Marina da guerra, in questa App.). - Dopo che la conferenza del disarmo (1933) era fallita e dopo che alcune marine (prima la giapponese, 1936) si erano svincolate dalle limitazioni delle convenzioni internazionali, si era praticamente arrivati alla libertà degli armamenti marittimi e così, dopo una tregua quasi ventennale, era ricominciata la corsa generale al riarmo navale. All'inizio essa si era mantenuta nel campo quantitativo, rispettando i limiti qualitativi prima concordati (navi maggiori dislocamento 35.000 t., calibro 406 mm.; portaerei 23.000 e 155; incrociatori 10.000 e 203; sommergibili 2000 e 130); poi, rompendo anche quest'ultima remora, si era lanciata verso gli altissimi dislocamenti e i grossi calibri, giungendo gradualmente a circa 70.000 t. e 450 mm. nelle navi in servizio (Giappone) e a 140.000 t. e 500 mm. nelle navi progettate (Germania). Oggi si è forse a 85.000 t. (nuove portaerei americane).

Allo scoppio della seconda Guerra mondiale, la consistenza delle principali flotte marittime (Almanacco Navale, Ufficio stampa Ministero marina, 1940, p. XCIV) era la seguente:

Non è facile precisare la consistenza attuale delle flotte marittime militari mondiali a causa del segreto militare. La relatività delle varie marine (1948) si può tuttavia riferire alle cifre del naviglio maggiore: navi di linea, e navi portaerei (escluse le mercantili adattate), costruite o ultimate dopo lo scoppio della guerra, come nella tabella seguente:

Ma, più che queste cifre, si deve tener presente la considerazione che se i nuovi mezzi di guerra non hanno bandito il fattore "naviglio" ne hanno profondamente modificato caratteristiche e funzioni: perciò le navi "anteguerra" sono svalutate, né si possono più separare le forze aeree da quelle navali.

Evoluzione tecnica delle navi militari. - All'inizio della lotta mondiale si vide che, dati i mezzi allora conosciuti, i tipi di navi sui quali le marine s'erano concordemente orientate tra le due grandi guerre rispondevano in massima allo scopo. Ma poi fu palese che l'offesa aerea infirma la sicurezza delle basi navali permanenti - salvo forse quelle colossali, protette con montagne di cemento armato, per i sommergibili - e il naviglio deve restare in alto mare per lunghi periodi, alimentato da nuovi grandiosi servizî logistici. I traffici marittimi, insidiati da attacchi di mute di centinaia di sommergibili, capaci di navigare per settimane in grandi fondali, richiedono nuove organizzazioni di caccia e di convogli. E su tutti i mari, a distanze ognora crescenti dalle basi terrestri, l'offesa degli aerei si rivela prevalente, per sé stessa e per lo sviluppo delle armi nuove (razzi di varie specie, siluri-aerei V2 tedeschi e americani, proiettili "guidati", ecc., che agiscono a distanze multiple della massima gittata delle artiglierie) nonché della loro potenza distruttiva, che tocca, per ora, il suo apice con la bomba atomica aerea.

Le conseguenze di queste innovazioni non sono ancora tutte maturate, ma già si accenna che la nave artiglieristica possa venire sostituita dalle navi lanciarazzi o portaerei, anche se queste sembrino più vulnerabili di quelle. Cosi nei particolari concreti si discute, pur senza immediata applicazione, se la distribuzione della protezione del naviglio debba seguire i concetti tradizionali, o venire diffusa con eguale efficacia in ogni direzione su tutta la superfice dello scafo, con la conseguente scomparsa delle sovrastrutture, pur tenendo conto dell'apporto dell'acqua ambiente (navi "immergibili").

Si tenga presente che, mentre si ha qualche notizia più o meno fondata, circa la potenza offensiva delle nuove armi, non se ne ha alcuna circa la corrispondente protezione. Perciò non risulta se la corazzatura e le in cinture antimagnetiche" siano ancora efficaci contro i nuovi metodi di attacco; ovvero se debbano venire sostituite da sistemi e da materiali (alluminio?) completamente nuovi, tenendo conto, per es., dell'effetto della radioattività. Così pure non risulta quali debbano essere le difese "individuali" del personale contro gli effetti diretti e indiretti, immediati o ritardati, delle nuove forme di offesa; soprattutto, appunto, contro quelli della radioattività, tremendo mistero della guerra di domani.

Naturalmente, mentre queste idee innovatrici si evolvono e si concretano laddove si hanno le indispensabili basi scientifiche e i corrispondenti elementi sperimentali, senza i quali ogni induzione resta priva di fondamento, occorre proseguire lo sviluppo graduale degli elementi architettonici, costruttivi e meccanici basilari, per dare o conservare alla nave le fondamentali caratteristiche di galleggiabilità e di stabilità, e le buone qualità nautiche, immutabili con i tempi.

La nave da guerra 1938-48. - Le navi militari, come sono uscite dalla seconda Guerra mondiale, si possono ancora dividere in tre grandi categorie a seconda delle armi che impiegano: artiglierie e lanciarazzi; aerei; siluri; pure considerando che ciascuna di queste armi può, a sua volta, lanciare proiettili o razzi di natura diversa ("atomici" o meno, autopropulsi o meno, guidati o meno, ecc.). Accanto a queste tre categorie, si annovera una massa imponente di unità minori, di modesta potenza bellica intrinseca, ma necessarie per l'impiego bellico, per la vita stessa delle altre (incrociatori, torpediniere, motoscafi, naviscorta, dragamine e posamine, navi appoggio, navi logistiche, ecc.).

a) Corazzate. - Le grosse artiglierie - fino al calibro di 456 mm.- e, a quanto si presume, i lanciarazzi di grandi dimensioni, costituiscono l'armamento delle corazzate corrispondenti alle unità assolute dei tempi scorsi, quando la loro capacità offensiva e difensiva, superiore a quella di ogni altro tipo di nave, le designava regine della guerra sul mare. Ma una tale incolumità è infirmata dalle moderne forme di attacco da parte di navi più piccole, in modo che il concetto di nave assoluta individuale sembra per ora irraggiungibile e da sostituire con il concetto di gruppo di navi di potenza prevalente. Il che non significa che la grande nave, con potente armamento d'artiglieria o di lanciarazzi, debba scomparire, ma piuttosto che debba continuare la sua evoluzione per collaborare con le altre unità.

Le corazzate hanno perciò veduto il loro dislocamento aumentare, ben oltre la stazza di 35.000 t. della convenzione di Washington, fino alle 63 ÷ 72.000 t. delle Musaki giapponesi (i Tedeschi avevano progettato corazzate di 141.500 t.), allo scopo di trovare il peso necessario per una maggiore difesa tanto passiva (corazzatura di forte grossezza, fino a 650 mm. nelle torri e a 450 mm. nelle murate; corazza e ponti corazzati multipli; compartimentazione minuta; difesa subacquea delle murate e del fondo, con sistemi derivati da quelli tradizionali, ecc.) quanto attiva (artiglierie antisiluranti e antiaeree completamente automatiche fino a 152 mm.; mitragliere fino a 40 mm., numerosissime, in nidi corazzati, con munizionamento sovrabbondante). Contemporaneamente il loro armamento offensivo passava dai 356 mm. delle unità britanniche e 381 mm. delle italiane del 1936-38, ai 406 mm. delle americane e ai 456 mm. delle giapponesi (i Tedeschi progettavano il 500 mm.), mentre l'annamento di aerei si affermava, variamente coordinato con l'armamento artiglieristico. Nello stesso tempo la velocità, fattore difensivo ed offensivo insieme, passava nettamente oltre 30 nodi, in una fusione definitiva tra nave di linea e incrociatore da battaglia.

Tra le navi corazzate recenti: Italia (1938-42), 35 ÷ 38.000 t., lunghezza 236,20 m.; IX/381 in tre torri trinate, XII/152, circa 60 mtg., 130.000 CV, 20 nodi, protezione verticale costituita da corazzatura multipla a murata; difesa orizzontale AA di tre ponti corazzati, difesa subacquea idrodinamica, difese che, sebbene progettate prima della esperienza di guerra, sostennero con successo ripetuti attacchi subacquei ed aerei; Vanguard britannica (1942-46), 42.500 t.; 248,2 × 32,7 m.; VIII/38I, in quattro torri binate, XVI/132, 100 mtg. AA; 130.000 CV, 32 nodi; Jowa americana (1942), 45.000 ÷ 62.000 t.; 262,50 × 32,92 × 10,97 m.; IX/406, XX/127 AS e AA, 80 mtg. da 40 mm. e 50 mtg. da 20 mm. AA; 3 aerei, corazza 406 mm.; 200.000 CV, 33 ÷ 35 nodi; equipaggio 2000. Sola corazzata oggi in costruzione nel mondo è la Kentucky americana (45.000 t.s. con armamento di cannoni da 406 mm. e forse lanciarazzi). Le corazzate americane Montana da 58.000 t. non sono state ultimate, perché il Canale di Panama non è stato allargato a sufficienza.

b) Portaerei. - Gli aerei navali, cioè trasportabili a bordo, sono andati crescendo rapidamente di dimensioni e di peso (fino a 8 ÷ 10 t.) in ragione della loro potenza offensiva, mentre il numero necessario per le azioni aeromarittime è andato aumentando da decine a centinaia, in modo che ormai la nave portaerei costituisce elemento sostanziale delle flotte militari anche in mari ristretti. D'altraparte la loro protezione diretta si manifesta sempre più necessaria, pur senza prevedere il contatto balistico con l'avversario navale, ma tenendo conto degli attacchi aerei. Quindi la nave portaerei - cioè quella munita di ponte di volo - è andata aumentando di dimensioni, ed è tra le più grandi che solchino i marì - se ne progettano da 85.000 t. - benché se ne siano costruite a centinaia con una gamma svariatissima: da meno di 10.000 t. per scorta convogli a più di 45.000 t. per combattimento, oltre le navi mercantili adattate a questo servizio. Non sono conosciuti i sistemi protettivi delle grandi portaerei estere, ma essi riguardano sia il ponte di volo, di grande spessore (oltre 50 mm.), sia lo scafo (difesa contro le artiglierie di medio calibro e contro le offese subacquee), sia infine la compartimentazione interna e la difesa contro gli incendî.

Tra le portaerei recenti: Midway, americana (1945), 45.000 ÷ 55.000 t.; 295 × 41,45 (34,44) × 9,90 m.; 137 aerei; XVIII/127 AA e AS; 84 mtg. da 40 mm. e 82 mtg. da 20 mm.; 150.000 CV; 32 nodi; protezione pesante e compartimentazione minuta; Ark Royal, britannica (1944), 33.000 ÷ 40.000 t.; lung. circa 260 m.; oltre 100 aerei; XVI/114 AA e AS, circa 100 mtg. da 40 mm.; 150.000 CV; 32 nodi; protezione sconosciuta.

c) Naviglio minore. - Nel naviglio minore predominano gli incrociatori, unità destinate ancora ad assolvere tutti i compiti - anche quello contraereo - per i quali non conviene impiegare le unità maggiori. Collaboratori preziosi delle corazzate, essi si sono moltiplicati straordinariamente durante la guerra (gli Americani ne hanno ordinati più di cento, e quasi cinquanta di una sola classe), conservando, in massima, la suddivisione e le caratteristiche dell'anteguerra. Cioè: incrociatori pesanti - si potrebbe dire "corazzati" - con cannoni del calibro da 203 a 305 mm., protetti con corazza a murata e nei ponti (da 100 a 230 mm.); e incrociatori leggeri, con cannoni del calibro fino al 152 mm. e con corazzatura sottile (meno di 100 mm.) o nulla: gli uni e gli altri con velocità di 32-34 nodi. Siccome le navi maggiori - corazzate e portaerei - hanno oltre 30 nodi, gl'incrociatori hanno perduto la loro antica caratteristica di forte prevalenza nella velocità, che del resto, se ottenuta a scapito della protezione, si è dimostrata pericolosa.

Tra gli incrociatori pesanti recenti: Alaska, americano (1943), 27.500 ÷ 32.000 t.; 246,42 × 27,27 × 9,60 m.; IX/305, XII/127 AS e AA; 56 mtg. da 40 mm., 34 mtg. da 20;3 aerei; 150.000 CV; 33 nodi; protezione: murata 229/152 mm.; ponti 82/51 mm.; Des Moines, americano (1946), 17.000 ÷ 21.000 t.; 218,38 × 22,95 m.; IX/203 automatici; XVI/127 AA e AS, 60 mtg. da 40 mm.; 4 aerei a poppa; 120.000 CV; 32 nodi; protezione: murata 203/152 mm., ponti 76/51; Prinz Eugen, tedesco (1940), 19.500 t.; 210,70 × 21 ,70 × 7,50 m.; VIII/203, XII/105 AA; VI lanciasiluri; 40 mtg.; protezione: murata 80 mm., ponte 30 mm.; 132.000 CV; 32 nodi.

Tra gli incrociatori leggeri recenti: Roanoke, americano (1947), insieme unità navale e contraerea, 14.700 t.; XII/152 AA e AS in sei impianti binati nel piano diametrale della nave; XII/76 AA e AS, 68 mtg. da 40 mm.; 3 (?) aerei a poppa; 100.000 (?) CV, 32 (?) nodi; Fargo, americano (1945), 10.000-12.000 t.; XII/152 in quattro impianti tripli; XII/127 AA e AS, 24 mtg. da 40 mm. e 20 mtg. da 20 mm.; 3 aerei; protezione: murata 127/37 mm., ponti 76/51; 100.000 CV; 33 nodi; Tiger, britannico (1945), 8.000 ÷ 10.000 t.; 169,16 × 18,41 × 6,50 m.; IX/152, X/100 AA e As, 36 mtg.; VI lanciasiluri da 533; 72.500 CV; 31,5 nodi; protezione: murata 114/76 mm., ponti 51/25 (?).

Uno sviluppo quantitativo imponente ha avuto durante la guerra il naviglio sottile, dove le funzioni nettamente offensive, corrispondenti all'impiego del siluro contro il naviglio maggiore, si distinguono ormai nettamente da quelle controffensive, corrispondenti all'impiego del cannone nelle operazioni di scorta.

Si hanno così le rappresentazioni più moderne delle antiche "cannoniere", in torpediniere (patrol boats, destroyer-escort, ecc.) da circa 1.000 t., e delle tradizionali "siluranti", in velocissimi cacciatorpediniere (bis-destroyers, ovvero "incrociatori protetti") da 2000-3000 t. Senza realizzare modificazioni sostanziali, questo naviglio ha continuato nelle direttive prese tra le due guerre mondiali, perfezionando specialmente le sue qualità nautiche e i particolari costruttivi, nello scafo e nell'apparato motore.

Tra i tipi di cacciatorpediniere moderni: Attilio Regolo, italiano (1940) - piuttosto incroc. senza protezione che c. t. - 3360 ÷ 4500 t.; 135,4 × 13,6 × 3,90 m.; VIII/135, VI/65, XIV/40, VIII lanciasiluri; 120.000 CV; 41 nodi; tipo "Comandanti" italiano (1942), 2100 t.; V/135, 20/mtg. VI lanciasiluri 533; 60.000 CV; 35 nodi; tipo Z. 25, tedesco (1942), 2650 ÷ 3500 t.; V. 150 mtg. 70.000 CV; 35,5 nodi; Gearing, americano (1944), 2400 ÷ 3000 t.; VI/127 AA e AS, XVI/40, X lanciasiluri 533; 60.000 CV; 35 nodi; Daring, inglese (1946), 2610 t.; VI/114 AA e AS, X/40, X lanciasiluri 533; 50.000 CV; 34 nodi.

Tra i tipi di torpediniere moderne: Brecon, inglese (1942), 1175 t.; VI/10z AA, XII mtg.; 19.000 CV; 27 nodi; tra le torpediniere di scorta: Rudderow, americano (1943), 1450 ÷ 1780 t.; II/127, VIII mtg., III lanciasiluri; 12.000 CV; 26 ÷ 28 nodi.

Oltre le torpediniere, numerose serie di unità di vario genere furono disegnate per la ricerca e la lotta contro i sommergibili (navi pattuglia), per la scorta dei convogli, costiera e di altura (cacciasommergibili), per l'impiego dei "radar": ogni marina, e si può dire ogni periodo della seconda Guerra mondiale, ha avuto i suoi tipi da scoperta e da scorta, in relazione agli strumenti disponibili (radar, ecogoniometri, idrofoni, ecc.). Così nacquero le corvette e le fregate, derivate dal naviglio peschereccio baleniero, adatte alla scorta nei mari metropolitani e negli oceani; così si moltiplicarono i motoscafi, più o meno grandi, derivati da quelli della prima Guerra mondiale (rispettivamente Vas - vedette antisommergibili - e Mas - motoscafi antisommergibili -); mentre si susseguirono trawlers e drifters di varia grandezza.

Tra le fregate: Bay, britannico (1945), 1600 t., II/102 mtg., macchine a vapore 5500 CV; 19,5 nodi; tra le corvette: Gabbiano, italiano (1942), 650 t., I/102 AA, X mtg., II lanciasiluri; 3500 CV, doppio apparato motore: motori Diesel, 18 nodi; motori elettrici, 7 nodi; Castle, britannico (1944), 1580 t.; II/102, mtg.; 2750 CV; 16,5 nodi. Tra le Vas le germaniche "Schnellboote" (circa 100 t. e 35/40 nodi); tra i Mas, gli italiani "Baglietto" (25 t., 2000 CV, 40 nodi).

Infine, piuttosto armi che navi, i cosiddetti "mezzi d'assalto" piccoli galleggianti speciali, variamente propulsi, destinati a violare le basi navali avversarie i quali, sorti in Italia nella guerra adriatica 1915-18, si sono sviluppati in questa, con risultati spesso considerevoli (v., in questa seconda App., I, p. 284).

A lato del naviglio combattente una schiera sterminata di naviglio ausiliario, tra cui primeggiano i posamine offensivi (Latona, britannico, 40 nodi), i veloci dragamine per la difesa contro il pericolo delle mine (magnetiche, ecc.), e il naviglío logistico, che soprattutto nel Pacifico ebbe uno sviluppo eccezionalmente numeroso. E insieme tutto il naviglio per le operazioni "anfibie", per gli sbarchi, eseguiti su così vasta scala e in condizioni tanto difficili; la marina americana costruì almeno dodici serie diverse di navi destinate a questo scopo: sedi per i comandi (flagship), da carico di attacco (attack cargo ships), da trasporto celere (fast transport), da sbarco, ecc.

Progressi delle scienze navali 1938-48. - Occorre rilevare quanto le ricerche scientifiche siano state sviluppate dappertutto anche in questo campo, essendosi riconosciute universalmente quali basi fondamentali di ogni progresso legato alla sicurezza ed alla difesa delle nazioni, anche se di applicazione non immediata. In Gran Bretagna esiste una British Shipbuilding Research Ass., che coordina, sotto gli auspici del Department of Scientific and Industrial Research le attività delle università, degli istituti sperimentali e dell'industria; negli Stati Uniti si ha un'organizzazione analoga.

L'architettura navale ha continuato i suoi studî teorici, ma soprattutto quelli sperimentali, tanto nel campo della statica (comprendendo in questa lo studio della galleggiabilità e della stabilità in caso di allagamento), quanto in quello della dinamica. Essa ha proseguito le indagini nel campo della resistenza al moto e della propulsione, per ridurre la prima e per accrescere il rendimeno della seconda, rispettando il raggiungimento di qualità nautiche ottime. Nuovi istituti per esperienze di architettura sono sorti (Norvegia, Argentina, ecc.), grandiose attrezzature hanno ricevuto quelli già esistenti (Washington, Parigi). Le ricerche si orientano specialmente sulla resistenza di attrito e di forma, che superano la metà della resistenza totale, non seguono la legge di similitudine meccanica e si calcolano quasi empiricamente, nonché sul coordinamento delle forme poppiere delle carene con le appendici di vario genere (timoni, bracci, dritti, ecc.) e con i propulsori, giacché il rendimento propulsivo totale dipende in buona parte dal felice coordinamento di questi varî elementi. Rendimento ancora relativamente basso (0,55 ÷ 0,60) nonostante sessanta anni di studî e di ricerche.

Insieme sono continuate esperienze sistematiche di rimorchio su determinate forme di carena, in modo da aumentare la messe degli elementi occorrenti per la progettazione delle navi, nonché gli studî metodici di confronto fra i risultati delle prove in mare e quelli alle vasche, per precisare i rapporti che intercorrono tra essi.

Contributo interessante alle ricerche sulla resistenza delle carene e delle sovrastrutture in acqua e in aria, rispettivamente, dànno le prove nei "tunnels" aerodinamici, dove si sono eseguiti studî pure sulle forme più adatte dei fumaioli. Del resto la forma cosiddetta aerodinamica delle sovrastrutture si va diffondendo e dà alle navi moderne un profilo caratteristico in confronto con le navi del passato.

Nello stesso tempo sono proseguite le ricerche sulle qualità nautiche delle navi, specie in mare ondoso, anche al vero, e sulle loro caratteristiche manovriere (esperienze di Sabaudia, 1938-40).

Naturalmente, il lavoro degl'impianti sperimentali è stato assorbito in gran parte dagli scopi bellici, ma probabilmente anche da questo lavoro si dedurranno utili applicazioni generali, giacché l'architettura navale procede necessariamente per gradi, sulla base sperimentale.

Anche alla costruzione navale, come s'è già accennato, la guerra ha dato un contributo notevole, con la vasta estensione negli scafi della saldatura in luogo della chiodatura: superate le difficoltà iniziali, ormai milioni di t. di navi completamente saldate navigano da anni regolarmente. La saldatura, impiegata con sano criterio, porta sensibile risparmio di peso (fino al 10 ÷ 15% nell'insieme) e maggiore celerità di costruzione, se adottata insieme con il metodo di costruzione prefabbricata, cioè quando lo scafo viene costituito da grandi elementi, del peso di 20 e più t. ciascuno, fabbricati separatamente in cantiere o in altra officina anche lontana, i quali si montano poi rapidamente sullo scalo.

Queste innovazioni hanno imposto l'ulteriore studio sperimentale del comportamento in navigazione degli scafi saldati in confronto di quelli chiodati, e in Gran Bretagna sono state organizzate numerose ricerche che porteranno a conclusioni utili per la conoscenza completa del funzionamento meccanico degli scafi in mare, nonché per i metodi di calcolo e di proporzionamento delle strutture.

Nello stesso tempo si sono avuti progressi nei materiali, soprattutto nelle leghe leggere resistenti alla corrosione marina, oggi largamente prodotte dall'industria: l'impiego di esse si diffonde nelle sovrastrutture e se ne propone l'estensione anche alla costruzione di piccoli scafi, con qualche vantaggio di peso, se non di costo.

La robustezza e la leggerezza insieme, costituiscono sempre lo scopo degli studî, sebbene la durata della nave e la sicurezza impongano (per mezzo dei Registri) prudenti limiti agli ardimenti, che invece si vedono nelle costruzioni militari, con risultati anche più vantaggiosi di quelli ottenuti, per es., con materiali leggeri (ma di basso modulo di elasticità). In ogni modo ulteriori sviluppi saranno possibili, con strutture sempre più razionali e semplici, quando si conosceranno i risultati delle esperienze in mare sopra accennate, benché nel disegno generale degli scafi (strutture longitudinali e miste, paratìe ondulate, ecc.) non sembrino possibili soluzioni molto differenti da quelle già tentate, con le quali si sono raggiunti pesi inferiori a 100 kg./mc. perfino in navi mercantili da carico. Merita rilievo la graduale scomparsa degli scafi in legno anche per navi di modesta portata, e qualche costruzione sperimentale in cemento armato di tipo speciale ("ferro cementato" di P. L. Nervi).

La ricerca di alte velocità, anche per navi da carico, come nelle motonavi Nimbus svedesi (di circa 20 nodi in servizio), ha spinto a studiare carene adatte, quindi relativamente lunghe e fini (V/√L = 1,65), mentre analogo problema è stato affrontato per le grandi navi da battaglia, anche esse destinate a velocità eccessive per le loro caratteristiche geometriche (. Jowa, V/√L = 2,04).

Ma il raggiungimento delle alte velocità è stato facilitato soprattutto dal progresso degli apparati motori (v. appresso), che consentono di sviluppare potenze maggiori in relazione al peso ed all'ingombro.

Queste riduzioni di peso e di ingombro hanno influenza su tutto il progetto della nave, permettendo: un alto sfruttamento del dislocamento (in alcune petroliere veloci a vapore, la portata lorda giunge all'82% del dislocamento), ed una migliore disposizione dei locali; con motori Diesel veloci e riduttori ad ingranaggi si possono utilizzare i ponti inferiori anche sopra i locali dei motori.

Infine nell'allestimento delle navi - servizî ausiliarî di coperta e di macchina, sistemazioni di sicurezza e di abitabilità, sistemazioni per il maneggio del carico, ecc. - gli ultimi dieci anni hanno visto estendersi completamente le applicazioni dell'elettricità, specie sulle navi a propulsione termoelettrica (navi "elettriche" e "elettronavi"). L'elettricità negli impianti, con gli ausiliarî a corrente continua o corrente alternata, si è adattata ormai in pieno alle dure condizioni del servizio di bordo, anzi risolve meglio di ogni altro sistema i problemi dell'allestimento navale. La guerra ha spinto a sviluppare particolarmente i servizî del carico e della sua manovra, con la moltiplicazione dei picchi di carico e delle gru (perché è necessario accelerare le operazioni d'imbarco e sbarco, per ridurre la permanenza nei porti), come ha spinto a perfezionare i sistemi di ventilazione, refrigerazione, riscaldamento, specie sulle grandi navi adibite al trasporto di truppe, dove migliaia di soldati erano razionalmente imbarcati per molte settimane anche in climi tropicali.

I metodi di condizionamento dell'aria sono ormai entrati nell'uso ordinario perfino sulle navi da carico, per gli alloggi dell'equipaggio. Infatti, se le conseguenze economiche della guerra non consentono più di allestire con il lusso di un tempo gli alloggi per i passeggeri, esse peraltro non hanno impedito un vero progresso nelle sistemazioni, di gran lunga migliori di prima, per gli equipaggi (fino a una cabina separata per ognuno).

La sicurezza della navigazione, cioè la salvaguardia della vita umana in mare, oltre che con i recenti metodi di navigazione, ha avuto singolare apporto, dopo la tragica esperienza della seconda Guerra mondiale, dalle nuove regole stabilite a Londra nella terza convenzione internazionale, (giugno 1948), le quali rendono più severe le preesistenti disposizioni circa la costruzione e l'allestimento delle navi da passeggeri e da carico: sopra tutto avranno sviluppo le misure atte a ridurre i pericoli d'incendio e quelle contro l'allagamento e per il salvataggio del personale.

Apparati motori (XXIV, p. 341; App. I, p. 890).

Marina mercantile. - Nel 1939, allo scoppio della seconda Guerra mondiale, era ben decisa la tendenza verso un impiego sempre più largo del motore Diesel a scapito delle macchine a vapore alternative. Nel diagramma della fig. ia appare invece come dal 1939 al 1946 tale tendenza sia diminuita ed è messa in evidenza una certa maggior fortuna per gli apparati a vapore sia alternativi sia a turbine. Un'analisi fatta in base al numero di navi, anziché in base al tonnellaggio mostra però (fig. ib) che il fenomeno è meno accentuato e che vi è stata tendenza a maggiori potenze unitarie per i turboriduttori a vapore che non per i Diesel. Se infine si esamina la statistica relativa agli anni 1946 e 1947 (v. tab.) si vede che, dopo la parentesi bellica, il motore Diesel ha ripreso la sua espansione, a scapito soprattutto delle macchine alternative e dei turboriduttori.

Quanto sopra è spiegabile con le seguenti considerazioni. A causa della richiesta di maggior velocità e minor consumo la macchina alternativa venne in molti casi, negli anni precedenti il conflitto, sostituita da turboriduttori a vapore e dai nuovi tipi di motori Diesel leggeri. Ma la eccezionale richiesta di navi, in gran quantità e a rapidissima produzione (navi Liberty, ecc.) verificatasi durante il conflitto, ha ridato favore al più vecchio e semplice tipo di macchina alternativa, ritardando il naturale sviluppo degli altri tipi più moderni di macchine propulsive.

Dopo la guerra il diffondersi della propulsione con i Diesel ha ripreso con rinnovata importanza in tutto il mondo. Dalle statistiche più recenti risulta anche che è rapidamente diminuito l'impiego del carbone come combustibile e ciò soprattutto perché in Inghilterra, dopo il conflitto, si è avuto un imponente mutamento riguardo alle caldaie a nafta. La stessa Inghilterra, pur continuando a costruire un buon numero di navi con macchine alternative, sta adottando il motore Diesel in misura di gran lunga superiore al passato.

Anche le altre nazioni hanno impiegato i Diesel in maggior misura che nel periodo prebellico, ad eccezione degli Stati Uniti dove si è conservata la tendenza (sviluppata nel periodo fra le due guerre) a maggior sviluppo delle turbine con doppia riduzione, con vapore a temperatura e pressione sempre crescenti, fornito da caldaie a tubi d'acqua.

Caldaie a vapore. - La diffusione dell'uso delle caldaie a tubi d'acqua su tutti i tipi di navi mercantili è stato, decisamente, il più importante progresso in questo campo negli ultimi anni. Esse si sono sviluppate, per tali applicazioni, secondo due tipi distinti: caldaie a tubi diritti a camere d'acqua (Babcock e Wilcox) e caldaie a tre collettori con tubi diritti o curvi (Yarrow, Thornycroft, White-Foster-Wheeler).

I più recenti sviluppi hanno portato alla caldaia a due collettori con tubi curvi (p. es. caldaia del tipo "D" della Foster-Wheeler), e la caldaia Johnson. Questi tipi di caldaie, nei quali si tende a un più alto rendimento, grazie ad una più estesa superficie irradiata dei tubi e un più razionale percorso dei gas, hanno permesso di ottenere una notevole economia di peso e di usare più elevate pressioni di esercizio, che naturalmente hanno permesso il miglioramento del rendimento del ciclo termodinamico nonché maggior concentrazione di potenza. Pressioni del vapore superiori a 20 kg./cmq., che erano proibitive per le caldaie cilindriche, si sono introdotte anche nel campo della marina mercantile, da carico e mista.

Nel 1930 si avevano in servizio soltanto 504 navi, con 3.335.100 t., munite di caldaie a tubi d'acqua. Nel 1939 tale numero era aumentato a 536 navi con 4.335.623 t. Durante la seconda Guerra mondiale furono costruite negli S. U. circa 4500 navi mercantili, per oltre 35.000.000 t., tutte fornite di caldaie a tubi d'acqua. All'inizio del 1948 il numero delle navi mercantili in servizio con caldaie a tubi d'acqua era maggiore di quelle delle navi con caldaie cilindriche.

Motrici a vapore altemative. - Nelle costruzioni del periodo bellico si fece largo impiego del tipo di motrice alternativa, per ragioni di rapidità e semplicità di costruzione. Nelle nuove costruzioni, dopo il 1945, tale tipo è riservato soltanto a navi per particolari scopi (rimorchiatori, navi-traghetto, ecc.). Nelle altre applicazioni la macchina alternativa è quasi sempre abbinata con la turbina di scarico. Macchine di tale tipo, a due, tre o quattro cilindri, sono apprezzate per la grande sicurezza di funzionamento, modesto costo iniziale e basso consumo di combustibile e rappresentano un serio concorrente per i più moderni tipi di apparato motore a turbina, specie per le potenze medie (intorno ai 6000 CV per asse). Anche la motrice alternativa con riscaldamento intermedio ha avuto notevoli applicazioni negli anni più recenti a causa della notevole economia di combustibile rispetto al tipo normale. Su una nave da carico da 4200 t., con motrice da 2300 CV asse e con riscaldamento intermedio e vapore surriscaldato (19 kg./cmq. e 340°) si è ottenuto un consumo orario di nafta di 400 g. per CV asse (8 ÷ 10% meno che senza riscaldamento intermedio). Numerose navi attualmente in costruzione sono dotate di tale tipo di motrice. Si ha anche qualche tentativo di usare motrici alternative con vapore a caratteristiche molto elevate: in Germania, nel 1939, era stata realizzata una motrice a triplice espansione (accoppiata con turbina di scarico) con pressione del vapore, all'introduzione, di 56 kg./cmq. e temperatura di 550°.

Propulsione turboelettrica. - Largo sviluppo ha avuto la propulsione turboelettrica, particolarmente nel periodo bellico. Caratteristico è il caso delle petroliere del tipo T-2 costruite in gran numero (438 unità negli S. U., dal 1939 al 1945). Queste navi della potenza di 6000 CV asse, vapore a 39 kg./cmq. e 390°, diedero consumi orarî di nafta di circa 240 g. per CV asse; il peso totale dell'impianto è di 405 t. e cioè meno di 70 kg./CV; il turbogeneratore, da 5400 kW a 3715 giri, 2370 volt, 62 periodi, pesa 40 t.; il motore sincrono ha 6000 CV, 90 giri, e pesa 48 t.

Il sistema turboelettrico è preferito per le petroliere perché il generatore per la propulsione fornisce anche l'energia necessaria per gli ausiliarî, specie per i motori delle pompe di travaso nafta (nel caso delle T-2, tre pompe da 540 t./ora ciascuna). Si ha anche il vantaggio di evitare tubolature calde al di fuori del locale macchine. Sorge però il problema dell'isolamento elettrico che richiede un'accurata messa in opera e varî accorgimenti per eliminare qualsiasi possibilità di corto circuito e per le dispersioni. Quest'ultimo inconveniente si è eliminato con l'impiego di tubi al cupronichel e di quelli in lega alluminio-ottone.

Diesel. - È ormai il tipo di macchina predominante nella propulsione navale mercantile, come dimostrano le cifre. Percentuali di motonavi nel tonnellaggio mondiale in costruzione: giugno 1939 (57%); marzo 1946 (46%); giugno 1946 (49%); marzo 1947 (57%); giugno 1947 (60%); settembre 1947 (63%).

Il basso consumo di combustibile rappresenta la caratteristica più ricercata e, nonostante i grandi progressi realizzati negli impianti a turbina, rimane insuperato a tale riguardo. Oggi molti Diesel marini hanno consumi orarî di soli 160 g. per CV asse ed in navi aventi propulsione Diesel-elettrica con calderine di ricupero sui gas di scarico, il consumo per CV, compresi tutti gli ausiliarî di bordo, è spesso di soli 173 g.

I tipi di motori più usati nel campo delle medie e grandi potenze sono: a stantuffi contrapposti; a quattro tempi, semplice effetto, con o senza sovralimentazione; due tempi, a semplice effetto e a doppio effetto. Il primo tipo deve la sua fortuna ai seguenti vantaggi: grande sicurezza di funzionamento, elevato rendimento e facilità di revisione; tipo di lavaggio molto efficace (aria introdotta ad un'estremità del cilindro e scaricata all'altra) che permette un eccesso d'aria limitato e quindi migliore rendimento meccanico: ne risulta anche un'elevata temperatura dei gas di scarico e quindi possibilità di ottenere, nelle calderine di scarico, vapore a caratteristiche sufficienti per tutti i servizî ausiliarî di bordo. La pressione media indicata in tale tipo di motore è circa 6 kg./cmq. Il Diesel del secondo tipo, a 4 tempi, è spesso sovralimentato, sia con turbocompressore mosso dai gas di scarico, sia utilizzando la parte inferiore degli stantuffi come compressore. Entrambi i sistemi sono stati usati su gran numero di navi con ottimi risultati. La potenza per cilindro non supera quasi mai, nei tipi più recenti i 500 ÷ 600 CV, la pressione media indicata circa 6,3 kg./cmq. e, nel caso di sovralimentazione, 8,5 ÷ 9 kg./cmq.

Il Diesel del tipo a due tempi a semplice effetto è certamente il più diffuso, oggi. Quello a doppio effetto è invece usato soltanto quando sia richiesta una grande potenza unitaria. Esempio caratteristico sono i motori costruiti dalla Fiat per sostituire sull'Augustus i quattro motori originali MAN, pure a due tempi e a doppio effetto, che sviluppavano 6500 CV ciascuno. Ognuno dei nuovi motori è costituito da 12 cilindri, diametro 650 mm. e corsa 960 mm., ed ha potenza massima alle prove in officina di 20.000 CV, a 220 giri, con pressione media effettiva 8 kg./cmq., velocità media stantuffo 7 m/sec. Il peso dell'apparato motore completo è risultato di 5000 t., con un peso per CV di 62 kg. a massima potenza, e 96 kg. alla potenza normale di navigazione.

Nei motori Diesel marini a due tempi a semplice effetto, che sono i più largamente usati, i principali miglioramenti negli ultimi anni riguardano il sistema di lavaggio. Nella maggior parte dei casi si fanno pompe di lavaggio alternative e se ne usano due (anziché una) per motore, anche per rendere uniforme al possibile il rifornimento d'aria a tutti i cilindri. In qualche caso si hanno soffianti rotative, mosse con catena ad ingranaggi dal motore stesso o separatamente da motori elettrici.

Mentre alcuni Diesel marini usano ancora refrigerazione con acqua di mare, va divenendo quasi generale l'impiego di acqua distillata; gli stantuffi sono raffreddati con acqua distillata o olio. Per ottenere un più elevato rendimento termico si tende ad aumentare la pressione massima di combustione. Fino a qualche anno fa si avevano pressioni da 42 a 50 kg./cmq., ma oggi alcuni motori marini funzionano a 70 kg./cmq.

Nel caso di navi minori, da carico, con piccola potenza, il tipo di motore più usato è attualmente un Diesel a due tempi, a semplice effetto, non sovralimentato, a stantuffo tuffante; la potenza per cilindro varia da 50 CV con 600 giri, a 400 CV con 250 giri.

Sempre più larga diffusione ha avuto l'uso di Diesel collegati all'elica mediante riduttori di giri. L'accoppiamento elastico, sempre necessario fra il motore e il rocchetto, è in generale del noto tipo idraulico Vulcan; recentemente però ha avuto larga diffusione anche il tipo magnetico. Ad esempio, nella motonave Formosa da 9400 t., prima con due motori direttamente accoppiati alle linee d'assi. I due motori furono sostituiti con quattro motori collegati a coppie, con giunti magnetici ai riduttori. La potenza complessiva dei quattro motori è di 5120 CV asse. In conseguenza della trasformazione la velocità della nave è salita da 11,5 nodi a 14. La maggiore applicazione di questo tipo di giunti si è avuta sulla motonave da passeggeri Willem Ruyss da 23.000 t. del Rotterdam Lloyd: otto motori Sulzer a otto cilindri, a due tempi, semplice effetto, 215 giri al 1′, da 4000 CV ciascuno, collegati in due gruppi di quattro con giunti magnetici ASEA ai riduttori, su due assi che portano le eliche a 120 giri al 1′. I vantaggi rispetto alla soluzione con Diesel a doppio effetto direttamente accoppiati sono notevoli: minor altezza (sono possibili sette ponti sopra l'a.m.), 64 stantuffi e testate identici e di dimensioni ridotte, anziché pochi grandi stantuffi e testate differenti fra sopra e sotto, parti più piccole e più semplici, minor tempo per proteggere e provare le parti stesse, maggiore possibilità operativa ed elasticità di esercizio, potendosi facilmente escludere uno o due motori senza incidere fortemente sulla velocità della nave. È probabile che si avranno presto in commercio Diesel a due tempi, a semplice effetto e sovralimentati, con potenza di 400 CV per cilindro a circa 400 giri al 1.

Molte ricerche sono state fatte per l'impiego di nafta più densa e meno costosa (nafta per caldaie) per i Diesel al posto del solito "diesel-oil". Gli inconvenienti più gravi che vi si opponevano (cattiva combustione e usura delle camicie) sono stati superati in gran parte mediante l'uso di leghe speciali per le camicie, la cromatura delle superfici attive, miglioramenti nel sistema di combustione e lubrificazione, perfezionamento nella depurazione della nafta.

La saldatura elettrica ha avuto un'essenziale influenza nei progressi del Diesel marino: nei tipi recenti la struttura saldata ha sostituito quasi completamente la ghisa fusa nei basamenti, incastellature, colonne, ecc.: la importante riduzione di peso che ne è conseguita ha raggiunto il 30% circa, ad es., nel tipo di motore a stantuffi contrapposti.

Nelle seguenti tabelle è indicato come è variata la ripartizione dei varî tipi di Diesel marini usati dal 1931 ad oggi nelle marine europee, e qualche loro caratteristica più interessante:

Infine nei diagrammi delle figg. 2, 3, 4 sono confrontate le caratteristiche di peso, consumo e costo dei varî tipi di moderni apparati motori.

Marina militare. - Le novità più interessanti da segnalare in questo campo nel periodo 1938-48 sono: impiego sempre più diffuso di caldaie ad altissima pressione ed elevata concentrazione di potenza a circolazione sia naturale sia forzata, apparati motori con caldaie e motrici nello stesso locale, motori Diesel per navi da battaglia e cacciatorpediniere.

Caldaie. - La marina tedesca ha impiegato i seguenti tre tipi differenti di nuove caldaie, nelle costruzioni militari più recenti: Wagner, La Mont, Benson.

Le prime navi munite di caldaie ad altissima pressione furono le dodici navi scorta classe F, di cui le prime 6 ebbero caldaie La Mont e le altre caldaie Benson. Poi si ebbero i cacciatorpediniere classe 34 e 35 con caldaie Wagner e Benson, le navi da battaglia Scharnhorst e Gneisenau, con caldaie Wagner, e gli incrociatori Blücher, Admiral Hipper e Prinz Eugen con caldaie La Mont. Le caldaie Wagner diedero luogo da principio a gravi inconvenienti, soprattutto a causa di difficoltà di circolazione e di corrosioni nei surriscaldatori. All'inizio del conflitto (novembre 1939) la situazione era molto seria, perché le frequenti avarie rendevano spesso inutilizzabili molte unità. Individuate le cause furono applicati rimedî efficaci (soprattutto trattamento e deaerazione dell'acqua d'alimento e modifiche nei diametri dei tubi vaporizzatori). Alla fine del conflitto le caldaie Wagner (fig. 5) erano considerate dagli ingegneri della marina germanica come il tipo più soddisfacente per sicurezza di funzionamento, semplicità di costruzione e di condotta.

La caldaia La Mont fu adottata per gli incrociatori Blücher, Admiral Hipper e Prinz Eugen. Salvo qualche iniziale avaria (poi eliminata), questo tipo di caldaia risultò soddisfacente in esercizio: però è stata considerata, dai Tedeschi, più complicata della Wagner e preferibile a questa soltanto nel caso che necessità di spazio non permettano la sistemazione di caldaie del tipo-Wagner.

La caldaia Benson, installata su alcuni avvisi scorta e qualche caccia, non diede risultati molto soddisfacenti: difficoltà di condotta e di preservazione dalle corrosioni sconsigliò l'ulteriore impiego di tale caldaia nelle successive costruzioni. La pressione del vapore, nel caso delle caldaie Benson fu ridotta, rispetto ai primi progetti, da 100 ÷ 115 at. a 70 ÷ 80 at. e la temperatura a 4000. I corrispondenti valori per le caldaie Wagner e La Mont furono, quasi sempre, 70 at. e 450° (nel caso delle navi da battaglia, 55 at. e 430°).

La marina francese ha adottato, sulle sue navi da battaglia da 35.000 t. (Richelieu e Jean Bart) e su 8 torpediniere, una caldaia di tipo nuovo (la Sural), a combustione sotto pressione (1,5 kg./cmq.) e, in qualche caso, a circolazione forzata (fig. 6): la compressione dell'aria nella camera di combustione è fatta da una turbosoffiante mossa dai gas di scarico della caldaia stessa. Il vantaggio principale di tale caldaia (ideata dal gen. Norghet del Génie Maritime) sta nella notevole riduzione di peso ed ingombro, rispetto alle caldaie tradizionali: per ogni t. di vapore prodotto si ha un peso di 550 kg. e un ingombro di 1,15 mq. (contro 1000 kg. e 2 mq. rispettivamente per le caldaie del tipo classico). Rendimento: 81 ÷ 83%.

La marina americana ha mantenuto, generalmente, l'uso delle già note caldaie a tubi d'acqua e a circolazione naturale, con camera di combustione separata per il surriscaldatore.

Sistemazione dei locali per apparati motori. - L'esperienza fatta dalle marine belligeranti durante la seconda Guerra mondiale ha confermato la necessità di rendere quanto più possibile indipendenti i gruppi propulsori sistemati su una stessa nave e di ridurre il numero dei locali destinativi. Per ovviare agli evidenti svantaggi che da questo punto di vista presentano gli apparati motori a vapore rispetto ai gruppi propulsori con motori a combustione interna, si è in qualche caso adottato il sistema di porre le caldaie, con relative tubolature ed ausiliarî, nel medesimo locale in cui si trovano le motrici da esse alimentate.

Con questa innovazione, ideata per la prima volta (da quanto risulta) dal generale F. Modugno (1940), si realizzano i seguenti principali vantaggi: completa indipendenza dei varî gruppi motori, riduzione nel peso, nell'ingombro e nel costo dell'apparato motore, minor bersaglio offerto alle offese nemiche, miglioramento nelle condizioni di abitabilità dei locali di macchine, riduzione del personale di sorveglianza, più efficace sorveglianza della condotta delle caldaie, maggior sicurezza e rapidità nelle variazioni delle andature, minori aperture sul ponte, miglioramento del servizio di esaurimento delle grandi masse e di prosciugamento delle sentine. Fra i numerosi progetti di apparati motori, compilati dal Modugno secondo questo nuovo concetto per varî tipi di navi, soltanto uno si è potuto realizzare: si tratta dell'apparato motore per la portaerei Aquila, costruito e approntato alle prove nel 1943.

Diesel. - I più interessanti progressi nel campo dell'applicazione dei Diesel alla propulsione delle navi da guerra sono stati realizzati, negli ultimi dieci anni, dalla Germania. La MAN (Maschinenfabrik Augusburg Nürnberg) di Augusta ha costruito, durante la guerra, motori a due tempi a doppio effetto di eccezionale potenza, da usare per la propulsione delle navi da battaglia.

Ogni gruppo motore è costituito da due file di nove cilindri verticali affiancati, agenti su due alberi a gomito, contenuti in un'unica incastellatura e con unico basamento: l'insieme costituisce la più imponente struttura saldata, per Diesel, finora costruita. Potenza complessivadel gruppo circa 29.000 CV a 255 giri al 1: diametro e corsa dei cilindri, 650 × 950 mm. Peso per CV, del complesso, 13,5 kg.; accoppiamento alla linea d'assi con giunto idraulico. Un altro grande motore, costruito dalla stessa MAN, era costituito da 24 cilindri a V, a doppio effetto, a 450 giri. Potenza 20.000 CV; diametro e corsa, 420 × 580 mm. Non era previsto lo smorzatore di vibrazioni torsionali perché, grazie al meticoloso studio del bilanciamento non v'erano praticamente velocità critiche fra gli 80 e i 450 giri. Un terzo motore, di potenza specifica ancora maggiore, era stato realizzato per essere installato, in sei unità, come propulsore di un cacciatorpediniere per una potenza normale complessiva di 60.000 CV. Si trattava di un motore da 24 cilindri a V, provato al banco fino ad una potenza di 15.000 CV a 600 giri; diametro e corsa, 320 × 440 mm. Dalla potenza di 12.000 CV fino alla massima, il motore veniva sovralimentato mediante una turbosoffiante azionata dai gas di scarico. La sistemazione entro il caccia, dei sei motori, era così prevista: i due assi d'elica laterali mossi da un motore ciascuno, l'asse d'elica centrale mosso da quattro motori, attraverso giunti idraulici e un riduttore ad ingranaggi. Il prototipo di questi motori aveva superato con successo prove al banco di 1800 ore e alla fine del conflitto i sei motori erano in corso di montamento sul cacciatorpediniere approntato.

Turbine a gas. - Le speciali caratteristiche di questo nuovissimo tipo di macchina motrice lo rendono particolarmente adatto per la propulsione del naviglio militare. All'inizio del settembre 1947 una motocannoniera inglese, la MGB (Motorgunboat) 2000, eseguiva per prima le prove in mare mossa da una turbina a gas.

La potenza della turbina è di 2500 CV ed ha sostituito con un peso per CV di 2,46 kg. uno dei tre preesistenti motori a benzina, da 1500 CV, del peso di 3,15 kg. per CV. L'esperimento, pienamente riuscito, induce a ritenere iniziata una nuova era nel campo degli apparati motori per la marina militare. Vantaggi principali, rispetto alle turbine a vapore, prevedibili dall'impiego del nuovo mezzo in questo particolare campo: minor ingombro, minor peso, maggior semplicità di condotta, possibilità di realizzare grandissime potenze unitarie (con il tipo a circuito chiuso) con elevato rendimento e rapidità di messa in moto. Nel campo delle potenze unitarie più basse (naviglio silurante velocissimo), possibilità di realizzare potenze assai maggiori di quelle concesse dai Diesel (sia pure con rendimento minore) a parità d'ingombro e di peso. Nel gennaio 1948 la marina inglese aveva già in costruzione due altri gruppi propulsori con turbine a gas, da sistemarsi su una cannoniera e su una grossa corvetta.

Nave ospedale.

Le guerre combattute in regioni lontane dalle metropoli richiedono bastimenti adatti per il trasporto di feriti ed ammalati e anche per costituire ospedali di fortuna nei porti lontani. Nelle ultime guerre questo servizio ha assunto uno sviluppo grandioso, che ha veduto l'adattamento razionale di un cospicuo tonnellaggio, scelto generalmente tra le migliori unità da passeggeri delle varie marine mercantili.

Le innovazioni introdotte nell'allestimento delle navi ospedali, a prescindere da quelle dovute ai progressi proprî delle costruzioni navali, hanno avuto lo scopo di adeguare le caratteristiche di questi speciali impianti sanitarî a quelle degli stabilimenti di terra ferma. Notevoli progressi sono stati conseguiti nella sistemazione dei varî reparti, dei locali di accettazione, delle sale operatorie, di preparazione e di medicazione, di apparecchiatura ortopedica, degli ambulatorî, dei gabinetti radiologici e di specialità, dei disinfettorî, delle farmacie, dei magazzini, degli alloggi per il personale comandato e di tutti i servizî indispensabili.

All'inizio della seconda Guerra mondiale l'Italia disponeva di 6 navi ospedali da 700 letti (Tevere, Arno, California, Aquileia, Gradisca, Po) alle quali in seguito si aggiunsero 3 navi da 8-900 letti (Toscana, Sicilia, Virgilio) e 8 piccole navi di soccorso per naufraghi. Il servizio prestato da queste navi fu encomiabile non solo per il numero delle missioni portate a termine, ma anche per le difficoltà e i rischi affrontati: a questo proposito basterà ricordare che tre navi (Orlando, Tevere, S. Giusto) incapparano nella insidia delle mine ed altre - la stessa Orlando a Ras-Hilal, l'Arno a Napoli, la Virgilio a Tripoli, la Po a Valona, la California a Siracusa, furono oggetto di attacchi, di bombardamenti e di siluramenti.

Recupero delle navi.

Le operazioni di salvataggio (v. salvataggio, XXX, p. 580), eminentemente marinaresche, riguardano le navi pericolanti; le operazioni di ricupero, prevalentemente tecniche, riguardano le navi sinistrate e già abbandonate dall'equipaggio o addirittura sommerse. A seconda della gravità delle falle, della loro posizione, della rapidità con cui esse si sono verificate, della conformazione del fondale, ecc., la nave affondata o avariata può assumere posizioni diverse. Per conseguenza le operazioni di ricupero debbono essere condotte predisponendo caso per caso il progetto, il programma dei lavori e i mezzi da impiegare.

Enumeriamo alcuni casi tipici di ricupero, eseguiti con successo, su navi italiane.

a) Il caso più semplice è quando la nave, sia pur fortemente sbandata, rimane pressoché dritta e solo parzialmente sommersa, oppure coi suoi ponti superiori a poca profondità sott'acqua. Tamponando le falle e tutte le altre aperture accessibili e provvedendo i boccaporti o altre aperture dei ponti di garitte stagne, d'altezza tale da emergere dall'acqua, è possibile sbarcare il carico ed esaurire quei locali allagati che non siano rimasti in comunicazione col mare, fino ad ottenere il rigalleggiamento della nave (esempî i ricuperi della m/n Rossini a Savona e della m/n Caralis a Livorno).

Se, nei calcoli di bilancio delle spinte e dei pesi, la sommatoria della quantità d'acqua esauribile e degli altri pesi sbarcabili, aggiunta alla spinta di dislocamento, risulta minore della somma del peso proprio della nave e degli altri pesi solidi e liquidi che devono restare a bordo, non si può ottenere il rigalleggiamento. Diviene allora necessario far ricorso a mezzi esterni di sollevamento, quali possono essere i pontoni a biga, i cammelli (v. VIII, p. 553) o cilindri di spinta sommergibili manovrati ad aria compressa, o anche altri galleggianti attrezzati per imbarco e sbarco di zavorra liquida. L'impiego di mezzi esterni di spinta, convenientemente disposti, in funzione di organi stabilizzatori, può anche essere necessario per assicurare la stabilità della nave durante le operazioni di rigalleggiamento.

b) Se la nave, poggiante sul fondo, sbandata ma rimasta pressoché dritta, è totalmente sommersa in profondità accessibili ai palombari, è necessario ricorrere ai mezzi esterni di sollevamento, opportunamente distribuiti di fianco alla nave per non cimentarne lo scafo (specie se indebolita da fratture), disposti in modo che possano funzionare anche da organi stabilizzatori e manovrati in guisa da correggere l'assetto trasversale e longitudinale della nave. Per queste operazioni possono essere particolarmente adatti i grandi cilindri sommergibili da affiancare alla nave, senza escludere l'ausilio di potenti pontoni a biga od altri galleggianti con zavorra d'acqua manovrabile. La prima fase del ricupero è quella di riportare la nave a fior d'acqua. Ciò ottenuto, si può procedere al tamponamento delle falle, rese in tal modo accessibili in ogni zona. Il lavoro di tamponamento riesce più agevole quando è eseguito a limitate profondità. Dopodiché si può procedere come nel caso a); per es.: ricupero del piroscafo Ichnusa affondato in 15 metri a Portovenere.

c) Quando la nave poggiata sul fondo del mare non è rimasta dritta ma si è fortemente sbandata, coricandosi su di un fianco e rimanendo con l'altro fianco parzialmente emerso, o anche a fior d'acqua, solo una parte dello scafo è accessibile dall'esterno e se in essa vi sono falle o aperture conviene tamponarle. Le eventuali falle dell'altro fianco, sul quale la nave è coricata non sono ovviamente, accessibili dall'esterno e rappresentano un'incognita. Raramente vi è la possibilità di accedere ad esse dall'interno per la presenza del carico e degli impedimenti, che, nella rotazione della nave, si sono accumulati sul fianco più basso. In tali condizioni due possono essere le vie da seguire. Una è quella di far rotolare la nave sul fondo del mare per raddrizzarla, servendosi di mezzi esterni di spinta o di contrappeso, che possono anche essere costituiti, magari in parte, da carico liquido espulso o imbarcato, se vi è una compartimentazione laterale stagna su cui si possa far affidamento. E poiché sulle navi mercantili ciò difficilmente si verifica, occorre fare assegnamento su mezzi esterni eccentrici di spinta, oppure di trazione verticale, quale quella offerta verso il basso da contrappesi o verso l'alto da pontoni a biga, oppure su mezzi di trazione suborizzontali, ottenuta con paranchi e tiranti convenientemente attrezzati ed ancorati a terra o in mare, aumentandone, se del caso, il braccio mediante cavalletti montati sullo scafo. Raddrizzata la nave, i ponti superiori affiorano e le eventuali falle del fianco, su cui poggiava la nave, diventano accessibili e tamponabili; le operazioni possono proseguire come nel caso a) - per es. i ricuperi delle grandi m/n A. Vespucci e M. Polo e quello della grande m/c Fede a Sampierdarena. L'altra soluzione più brillante, ma non sempre applicabile, consiste nel far galleggiare la nave prima di raddrizzarla, tamponando le falle accessibili, i boccaporti e le altre aperture e procedendo al vuotamento dei compartimenti esauribili. Resa galleggiante la nave abbattuta sul fianco, bisogna raddrizzarla in acqua mediante sforzi eccentrici di spinta o di trazione che possono essere meno potenti di quelli della soluzione precedente. Ottenuta la nave pressoché dritta e galleggiante, sia pure a fior d'acqua e sbandata, si procede come nel primo caso (esempio: ricupero della m/n Verdi a Genova).

d) Se la nave coricata, come detto, sul fianco è completamente sommersa sotto notevole battente d'acqua, la prima operazione dopo tamponate le falle accessibili, è di raddrizzarla, facendola rotolare sul fondo del mare con mezzi eccentrici di spinta e di trazione, ove non sia possibile applicare l'altro sistema dianzi accennato. A nave raddrizzata, completati i tamponamenti, si può procedere come nel caso b); per es.: ricupero della m/n Barletta affondata in 15 metri a Bari.

e) Quando il fondale lo consenta o per profondità, o perché melmoso e cedevole, talché le più elevate sovrastrutture non costituiscano un impedimenlo, può avvenire che la nave si capovolga completamente, con la chiglia in alto. In tal caso la stessa carena robustamente tamponata in tutte le sue aperture, costituisce una enorme campana d'aria capace di sostenere, come sforzi e come tenuta, l'aria compressa in essa iniettata, mediante la quale è possibile rendere galleggiante la nave capovolta. Si avrà cura di sistemare preventivamente opportuni dispositivi per assicurare la stabilità durante e dopo il sollevamento. La nave galleggiante capovolta può essere immessa in bacino e, tamponato il suo ponte di coperta, può essere raddrizzata in acqua libera con sforzi eccentrici di spinta o di trazione utilizzando, quando possibile, gli zavorramenti d'acqua, comandati e regolabili, di locali stagni della nave, sia per creare spinte interne eccentriche, o per ridurre il braccio di stabilità della nave galleggiante capovolta fino quasi ad annullarlo per ottenere che la nave diventi più cedevole alla rotazione, o per renderlo eventualmente negativo ed ottenere in tal modo il raddrizzamento. Ovviamente questo metodo è applicabile anche se la nave capovolta è completamente sommersa fino alle profondità accessibili ai palombari, per i tamponamenti di forza e l'applicazione sul fondo dello scafo di grossi tubi elevatori di accesso che alla loro estremità superiore, emergente dall'acqua, portano le campane di equilibrio in uso nelle fondazioni ad aria compressa (es. tipico: il ricupero della Leonardo da Vinci).

Rilievi e calcoli. - Qualunque sia il caso che si presenti, prima di formulare un programma di massima delle operazioni occorre eseguire: a) accurati rilievi sui fondali circostanti alla nave, sulla natura del fondo, sulla esatta posizione longitudinale, trasversale e in profondità della nave, sulla posizione ed estensione delle falle accessibili; b) possibilmente visite anche all'interno, mediante sommozzatorì dotati di apparecchi respiratorî autonomi; c) la determinazione dei pesi e dei centri di gravità della nave, dei suoi carichi e del fango eventualmente penetrato nell'interno, delle spinte e dei centri di spinta della nave e dei volumi dislocanti, nonché dei volumi e centri di volume dell'acqua di allagamento. Ciò per determinare l'ordine di grandezza degli sforzi di sollevamento da applicare, nonché quello dei momenti di raddrizzamento da esercitare. Gli elementi raccolti sono di base per predisporre il progetto di ricupero, il programma dei lavori e i mezzi necessarî. Lo studio dovrà analizzare le condizioni critiche in cui la nave può trovarsi durante le varie fasi delle operazioni (allibo, cioè alleggerimento del carico, esaurimento, raddrizzamento, rigalleggiamento) con speciale riguardo alla stabilità, all'assetto e alla robustezza strutturale, generale e locale.

Numerose organizzazioni di ricupero sono sorte in Italia dopo la seconda Guerra mondiale contribuendo notevolmente alla ricostruzione del tonnellaggio sia in Italia sia all'estero.

Diritto (p. 432).

Il codice della navigazione, pubblicato nel 1942, dà la definizione di nave, troncando così le lunghe dispute originate, nel diritto precedente, dalla mancanza di una disposizione di legge in proposito. Secondo l'art. 136 "per nave s'intende qualsiasi costruzione destinata al trasporto per acqua, anche a scopo di rimorchio, di pesca, di diporto, o ad altro scopo". Ne risulta che due sono i requisiti perché una costruzione sia "nave": l'attitudine a galleggiare e la destinazione al trasporto, cioè alla navigazione per acqua.

Accanto alle navi il cod. nav. conosce "i galleggianti mobili adibiti a qualsiasi servizio attinente alla navigazione o al traffico in acque marittime o interne", e a questi dichiara in linea di massima applicabili le disposizioni che riguardano le navi (art. 136, ult. comma). Tali galleggianti (tra cui vanno compresi i pontoni, le draghe, le chiatte, gli elevatori, ecc.) si differenziano perciò per la loro mobilità da quei galleggianti (mulini, bagni, ecc.), che sono reputati immobili dall'art. 812 cod. civ., e dalle navi per la destinazione indiretta che hanno alla navigazione.

Le navi si distinguono in maggiori e minori (art. 136). Sono maggiori le navi alturiere, quelle cioè destinate alla navigazione marittima fuori delle acque dello stato, e minori le navi costiere, quelle del servizio marittimo dei porti e le navi addette alla navigazione interna (anche se toccano porti stranieri, come le navi dei laghi Maggiore e di Lugano).

La nave viene individuata mediante tre elementi fondamentali (ariicolo 137): a) il nome o il numero, il primo per le navi maggiori (art. 140), il secondo per le minori, che peraltro possono avere anche un nome (art. 141); b) la stazza, che si esprime in tonnellate; c) il luogo di iscrizione, che non è necessario coincida con il domicilio del proprietario (articoli 147-148).

Per essere iscritta nei registri italiani la nave deve possedere i requisiti di nazionalità prescritti dall'art. 143 e segg. cod. nav., che si riassumono in quello della prevalenza del capitale di cittadini italiani nella proprietà della nave. La nave può avere una sola nazionalità: quella dello stato nei cui registri è iscritta e del quale batte la bandiera. La nazionalità della nave è una qualificazione giuridica (soggezione alla sovranità dello stato), che costituisce il presupposto di rapporti giuridici tra lo stato e le persone che si trovano in determinate situazioni nei riguardi della nave.

Le navi maggiori sono iscritte in matricole e le minori e i galleggianti in registri d'iscrizione, tenuti dalle autorità locali della navigazione marittima o interna (art. 146 e segg.), e sono abilitate alla navigazione, rispettivamente, dall'atto di nazionalità e dalla licenza (art. 149 e segg.).

La nave è un bene mobile (art. 245), appartenente alla sottocategoria dei beni mobili iscritti in pubblici registri (art. 815 cod. civ.) o, come correntemente si dice, registrati, che hanno una disciplina per molti aspetti analoga a quella degli immobili. In particolare gli atti costitutivi, traslativi o estintivi di proprietà o di altri diritti reali su nave devono essere fatti per iscritto a pena di nullità (art. 249) e resi pubblici, per le navi maggiori, mediante trascrizione nella matricola e annotazione sull'atto di nazionalità, e per le navi minori e i galleggianti, mediante trascrizione nel registro d'iscrizione (art. 250 e segg.).

La nave è una "cosa composta", perché costituita da un insieme di parti che, nella loro indissolubile connessione, formano una cosa individua: il corpo della nave. Per essere utilmente impiegata nella navigazione la nave però abbisogna di molte altre cose, che il cod. comm. del 1882 chiamava accessorî ed ora il cod. nav., più esattamente, denomina pertinenze (articoli 246-248). Il corpo della nave più le pertinenze, la nave cioè in condizioni di navigabilità, costituisce un'unità pertinenziale.

La nave, sin dal momento in cui ne è impresa la costruzione, è assoggettata ad uno stretto controllo da parte dello stato, controllo che la segue poi durante tutta la sua vita, sino a quando cioè è cancellata dal registro in cui è iscritta, il che avviene in conseguenza di perimento della nave, di demolizione, di perdita dei requisiti di nazionalità o di passaggio sotto la bandiera di un altro stato (art. 163).

Quegli che imprende la costruzione di una nave o di un galleggiante, oltre ad essere munito di una particolare autorizzazione, deve farne denuncia all'ufficio marittimo competente per territorio. Questo prende nota della dichiarazione sul registro delle navi in costruzione (che ha funzioni di diritto privato e pubblico) e controlla l'esecuzione del lavoro (art. 232 e segg.). Quando la nave è costruita per conto di un terzo, tra quest'ultimo e il costruttore deve essere stipulato per iscritto, sotto pena di nullità, il contratto di costruzione, che deve essere reso pubblico mediante annotazione nel registro delle costruzioni dove la nave è iscritta, ed è regolato dalle norme sul contratto di appalto, integrate da particolari disposizioni del cod. nav. (art. 237 e segg.). Terminata la costruzione, la nave acquista la sua piena esistenza con il varo (art. 243) e viene passata dal registro delle costruzioni al registro delle navi (matricola o registro d'iscrizione), sul quale devono riportarsi le trascrizioni fatte nel primo registro (art. 244).

La nave, che imprende la navigazione, deve essere in condizioni di navigabilità, cioè atta - secondo le prescrizioni di norme regolamentari - all'impiego al quale è destinata per quanto attiene sia allo scafo e macchine, sia all'armamento ed equipaggiamento.

I documenti che le navi devono avere a bordo (art. 169 e segg.) si distinguono in: a) carte di bordo, che sono l'atto di nazionalità e il ruolo di equipaggio per le navi maggiori, e la licenza per le minori e i galleggianti; b) libri di bordo, che sono il giornale nautico (che consta di quattro parti: inventario, giornale generale e di contabilità, giornale di navigazione, giornale di carico), il giornale di macchina, il giornale radiotelegrafico; tali libri nella loro interezza sono prescritti solo per le navi maggiori; c) documenti di bordo, che comprendono i certificati di stazza, di classe o di navigabilità, di bordo libero, di visita, nonché i documenti doganali e sanitari. Le annotazioni sul giornale nautico, relative all'esercizio della nave, fanno prova a favore dell'armatore, quando sono regolarmente effettuate, e contro l'armatore in ogni caso, ma il loro contenuto è allora inscindibile (art. 178).

Bibl.: Per una trattazione generale del tema: A. Scialoja, Corso di dir. nav., Roma 1943; A. Graziani, Appunti di dir. nav., 2ª ed., Napoli s.d. Per i singoli argomenti: sulla definizione di nave: A. Scialoja e E. Spasiano, in Studi per la codif. del dir. nav., Roma 1940-41, pp. 1, 11, 901; sulla natura giuridica della nave: M. Casanova, in Riv. dir. nav., 1940, I, p. 159; sulla nazionalità: M. Scerni, Dir. internaz. priv. maritt. e aeronautico, Padova 1936; R. Quadri, Le navi private nel dir. internaz., Milano 1939; R. Monaco, in Studi per la codif. del dir. nav., p. 132; sulla costruzione: F. Bassi, in Il dir. mar., 1947, p. 211; A. Dalmartello, in Studi in onore di C. Ricci, Urbino 1948; sui documenti di bordo: S. Nisio, Il giornale nautico, Padova 1943.

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