Nave

Enciclopedia dei ragazzi (2006)

Nave

Giorgio Bertoni

Il mezzo che ci ha resi padroni dei mari

Dai primi tronchi di albero ai grandi galeoni, per arrivare alle portaerei, la nave ha rappresentato e rappresenta ancora oggi lo strumento con il quale l’uomo domina i mari. Nel corso della storia sono stati sperimentati modi diversi per muovere le navi: la forza delle braccia dei rematori, il vento, fino a motori di diverso tipo. Oggi però le navi subiscono la concorrenza degli aerei come mezzo di trasporto per persone e merci, mentre sono molto amate

Il primo mezzo di trasporto

L’uomo primitivo usò un tronco d’albero per poter attraversare o discendere i corsi d’acqua, dominando così un elemento che altrimenti sarebbe rimasto un ostacolo insormontabile. All’inizio i tronchi erano semplicemente portati dalla corrente dei fiumi, ma in seguito l’uomo ne migliorò le capacità di galleggiamento e la velocità, scavandoli con strumenti rudimentali o cucendo insieme pelli di animale, sostenute al loro interno da rami. Grazie al quasi contemporaneo uso di semplici pezzi di legno (poi diventati pagaie o remi) per indirizzare e governare il suo mezzo di trasporto, l’uomo degli albori poté così allargare i suoi orizzonti, colonizzare nuovi territori, scoprire zone di caccia inesplorate. L’utilizzo primordiale di tronchi e di zattere risale certamente al Paleolitico, e già intorno al 6° millennio a.C. esistevano imbarcazioni provviste di prua per tagliare meglio l’acqua e dare maggiore impulso alla velocità del mezzo.

Chiodi e corde per costruire le navi

Per arrivare a un primordiale concetto di nave si dovette però attendere alcuni secoli, quando le prime civiltà organizzate svilupparono tecnologie nuove, che permisero di costruire manufatti in legno tenuti insieme da sezioni a incastro, chiodi, corde e materiali che impedivano all’acqua di penetrare negli interstizi del fasciame e quindi all’interno. Uno sviluppo tecnologico che concorse alla nascita autonoma di due grandi aree marinare: quella dell’Estremo Oriente e quella mediterranea e mediorientale.

L’area marinara asiatica fu dominata per molti millenni dalla Cina, forte di una lunga esperienza di navigazione sui suoi grandi fiumi interni e sul mare che la divide dal Giappone e dai paesi del Sud-Est asiatico. Per millenni, fino agli albori del 20° secolo l’Asia marinara è stata caratterizzata dall’uso di navi in legno, provviste di vele.

Nell’area mediterranea e mediorientale la navigazione si affinò più lentamente, passando attraverso le civiltà assira, babilonese ed egizia prima, che utilizzarono ampiamente zattere per navigare sui canali ricavati artificialmente dai fiumi, e quella fenicia e greca poi. I Fenici furono il primo grande popolo mediterraneo a fare ampio uso delle navi, sia per la conquista di nuovi territori sia per i traffici mercantili, svolti per lo più – ma non solo – navigando sotto costa. L’abilità dei Fenici nel costruire e nel condurre le navi permise loro di percorrere in lungo e in largo il Mediterraneo, di creare seri problemi all’Egitto dei faraoni – per alcuni storici sarebbero stati fenici i cosiddetti popoli del mare, ricordati in tanti papiri egiziani come un vero e proprio flagello delle coste mediterranee –, di fondare colonie lungo le coste della Tunisia (dando origine alla potenza di Cartagine), della Sicilia, della Sardegna, del Tirreno settentrionale, delle Isole Baleari.

Greci e Romani

La prima, vera rivoluzione della navigazione mediterranea si realizzò però con la civiltà greca. Popolo di origini e di tradizioni terrestri, quello greco seppe comunque adattarsi rapidamente agli spostamenti via mare, creando modelli navali destinati – pur con le ovvie modifiche e migliorie tecnologiche – a durare per millenni e a influenzare profondamente le caratteristiche tecniche delle marinerie fino alla soglia dell’età moderna.

Due erano sostanzialmente i tipi di nave ideati dai Greci, e in particolare dagli Ateniesi: la triera e la nave tonda. La triera era la classica nave da guerra, apparsa intorno al 7° secolo a.C., lunga circa 40 m, con tre remi per banco e dotata di un solo albero centrale, con vela quadra. Agile, bassa sul mare, era in grado di sviluppare una discreta velocità grazie all’impiego dei rematori. All’inizio questi erano gli stessi soldati imbarcati, ma ben presto essi furono sostituiti da schiavi o da persone che dovevano riscattare debiti. La nave tonda era invece dotata unicamente della vela quadra. Il suo profilo sull’acqua era più tozzo e riduceva la velocità dell’imbarcazione, peraltro più pesante per il carico trasportato.

Il modello della triera fu copiato dai Romani con la trireme, dai bizantini con il dromone e dai popoli mediterranei del Medioevo con la galea. Quello della nave tonda diede origine alla nave oneraria romana, all’acazia bizantina e più tardi alla galea grossa o cocca.

Per successivi ingrandimenti, migliorie e modifiche – anche rilevanti nell’impianto velico e di bordo – da questa imbarcazione derivarono la galeotta, la nao portoghese e la caravella. Fu con due caravelle e una nao modificata che Cristoforo Colombo attraversò l’Oceano Atlantico in cerca di una rotta verso il Catai (la Cina), scoprendo – o riscoprendo, se crediamo alla teoria per cui le popolazioni vichinghe vi sarebbero in realtà arrivate ben prima di lui – l’America.

Navigare a zig-zag

Nel corso del Medioevo molte innovazioni tecniche mutarono radicalmente la costruzione di navi, sia mercantili sia da guerra. A partire dall’11° secolo, infatti, la decisa ripresa dei commerci in tutto il Mediterraneo – unita alle sempre maggiori tensioni tra il mondo occidentale e quello islamico – e il rinnovato interesse (religioso e commerciale) verso e da Bisanzio (Costantinopoli) furono alcuni dei fattori che portarono a un forte rinnovamento tecnologico di tutte le marinerie. Tra le innovazioni di maggior rilievo vi furono la vela triangolare, il timone unico e la bussola.

La vela triangolare, detta anche vela latina, per la verità era già conosciuta da tempo nelle flotte arabe ed era utilizzata prevalentemente sulle agili galee da guerra. Il vantaggio offerto rispetto alla vela quadra era di poter ‘stringere’ meglio il vento, cioè di poter utilizzare il vento proveniente da varie direzioni, mentre la vela quadra era di più facile manovrabilità e più grande ma poteva prendere il vento solo di poppa o quasi. Orientando la vela verso tribordo (destra) o verso babordo (sinistra), con angoli variabili, la nave riusciva a prendere un vento anche leggero. La navigazione, ovviamente, non era lineare, ma zigzagante; tuttavia permetteva all’imbarcazione una velocità costante. Le cocche e, più in generale, le navi da trasporto, per le quali essere agili non era fondamentale, furono a lungo dotate di uno o due alberi con vele quadre. Già due secoli dopo, però, la velatura sulle navi più grandi era diventata mista: a vele sia quadre sia latine, al fine di ottenere la migliore spinta di vento e una maggiore velocità di crociera.

Venezia e Bisanzio

Nei secoli successivi le navi non mutarono in modo sostanziale le loro caratteristiche tecniche. Crebbero invece progressivamente le dimensioni, aumentarono i ponti, gli alberi (due per le minori e tre – mezzana, maestra e trinchetto – per le navi maggiori) e le artiglierie. La politica espansionistica di alcuni paesi e le guerre tra mondo occidentale e musulmano sollecitarono la formazione di vere e proprie flotte, mercantili e soprattutto militari. Queste flotte, però, non erano di proprietà statale, come le flotte militari degli ultimi trecento anni. Erano allestite da privati e affittate agli Stati in caso di guerra. Tipico, in tal senso, il caso della Repubblica di Venezia: nonostante il costante lavoro nell’Arsenale della Serenissima, erano relativamente poche le navi dello Stato. Assai più numerose erano quelle dei mercanti, che intrattenevano continui rapporti con Bisanzio e i paesi arabi che si affacciavano sul Mediterraneo. Salvo poi, di fronte a guerre e ad azioni di pirateria (pirati, corsari e bucanieri), assalire a fini bellici quelle stesse coste dove attraccavano per vendere e comperare beni di consumo e schiavi.

Dalle galee ai vascelli

Con la scoperta dell’America, Cristoforo Colombo diede, forse inconsapevolmente, un grande impulso anche allo sviluppo della tecnologia navale. Certo, il suo primo viaggio del 1492 fu compiuto con tre piccole navi: la Santa Maria, la più grande, aveva una stazza non superiore alle 400 t. Ben presto, però, la corsa alle nuove terre e alle loro ricchezze mosse le flotte nazionali dei paesi atlantici: Spagna, Portogallo, Inghilterra, Francia e poi Olanda fecero a gara per costruire navi sempre più grandi, sempre meglio capaci di tenere un mare spesso agitato da tempeste, ma anche di trasportare grandi quantità di uomini e di beni preziosi dalle prime colonie americane, asiatiche e africane.

Alle navi del Mediterraneo, lente e non molto alte sull’acqua, si andarono sostituendo dalla fine del 16° secolo unità a tre alberi e a più ponti: era il lento tramonto delle galee – che peraltro resistettero fino al 18° secolo – e il rapido avvento dei vascelli. Se fino al Cinquecento lo sviluppo tecnologico relativo alle navi era passato per il Mediterraneo, da allora in poi l’asse si spostò nel Nord Europa. Le guerre che opposero Francia, Spagna, Inghilterra e Olanda dal 17° al 19° secolo furono un banco di prova per gli ingegneri navali di quei paesi. Lo scontro non fu solo bellico, ma anche mercantile: la nascita e il mantenimento delle colonie, americane o asiatiche, sarebbero stati impossibili senza grandi flotte di navi mercantili che facevano la spola da e per quei paesi, cariche di mercanzie e ben protette da unità da guerra veloci e dalla grande potenza di fuoco, come le fregate. Il re dei mari, in questi due secoli, fu però il vascello, che aveva detronizzato il ben più lento galeone del Quattrocento e del Seicento. Alto di bordo, con tre o più ponti, fino a cento cannoni e a mille marinai, fu il dominatore degli oceani fino alle guerre napoleoniche, di cui fu uno dei protagonisti: si pensi solo alle battaglie di Abukir (1798) e di Trafalgar (1805), entrambe vinte dall’Inghilterra sulla Francia.

La restaurazione seguita alla caduta di Napoleone registrò solo una breve frenata nello sviluppo navale. Il nuovo colonialismo occidentale, fondato sull’espansione nei paesi extraeuropei, unito a un crescente nazionalismo, portarono soprattutto allo sviluppo di nuove e più potenti navi da guerra.

Arrivano ferro e acciaio

Nei primi decenni dell’Ottocento si realizzò una seconda rivoluzione in campo navale. Il legno, da sempre il materiale principe delle costruzioni navali, cedette il posto al ferro e poi all’acciaio. La vela fu sostituita rapidamente dalla propulsione a vapore (macchina a vapore). Se si escludono rudimentali esperimenti già nella seconda metà del Settecento, fu nel 1807 che iniziò la navigazione a vapore, quando il primo battello con ruote a pale, ideato dall’americano Robert Fulton, risalì il fiume Hudson, sulla costa orientale degli Stati Uniti. Il Mediterraneo fu solcato dal primo mezzo navale di nuova generazione nel 1818, un battello costruito a Napoli. Nel 1824 comparve la prima nave in ferro, in Inghilterra. Fu una corsa tecnologica senza precedenti: in meno di settant’anni furono spazzati via secoli di marineria e di tradizioni, abitudini, modi di costruire e di far navigare le navi. Battelli sempre più grandi e veloci, civili e militari, presero il mare; il nazionalismo crescente di molte nazioni europee portò alla corsa agli armamenti navali: nacquero le prime corazzate, navi imponenti da migliaia di tonnellate, su cui venivano utilizzati ferro e acciaio per la corazzatura di ponti e fiancate. Una corsa che pareva senza limiti, fino a quando i costi esorbitanti per la gestione di queste flotte, e l’avvento di navi più piccole e veloci, e dei primi sommergibili, capaci di affondare anche le corazzate, misero in crisi queste regine dei mari.

Sul fronte civile l’avvento dei piroscafi che percorrevano in lungo e in largo le rotte oceaniche, soprattutto da e per gli Stati Uniti, fece della nave in ferro il mezzo più rapido per percorrere grandi distanze, e per trasportare milioni di diseredati europei (emigrazione) dai loro paesi d’origine verso la speranza di un nuovo futuro al di là dell’Atlantico.

La guerra contemporanea

La Seconda guerra mondiale rappresentò l’evento bellico che comportò il maggiore impiego di navi di tutta la storia dell’umanità, e vide affrontarsi massicciamente due nuovi tipi di imbarcazioni: il sommergibile ela portaerei, determinanti, forse più delle corazzate, per la vittoria finale contro i regimi nazista, fascista e nipponico. La fine del secondo conflitto mondiale segnò anche il lento ma inesorabile declino della corazzata, i cui ultimi esemplari rimasero in servizio, nella Riserva della Marina degli Stati Uniti, fino agli anni Settanta del Novecento.

La nuova regina dei mari era diventata la portaerei, grazie all’ultima rivoluzione della propulsione navale, applicata soprattutto in campo militare: l’energia nucleare. A partire dagli inizi degli anni Sessanta le più grandi unità di superficie e sottomarine di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica si sono inseguite e spiate per decenni, in missioni di settimane e nelle condizioni più estreme, grazie proprio alla propulsione nucleare, che permette navigazioni quasi senza limite se non la resistenza fisica degli equipaggi.

Le navi scompariranno?

Nonostante lo sviluppo bellico, supportato da impianti elettronici e d’arma sempre più sofisticati, la nave sta vivendo un inesorabile declino, surclassata dall’aeroplano per le lunghe distanze e dagli automezzi pesanti per le brevi. In campo civile resistono tipi ben precisi di navi da carico che utilizzano grandi scali e porti mercantili: le petroliere, le portacontainer e, in misura minore, le navi per trasporti misti. Per le rotte più brevi hanno invece avuto un grande sviluppo le navi da crociera (ora vere città galleggianti, che possono portare fino a tremila passeggeri e mille membri d’equipaggio) e le navi traghetto, che negli ultimi anni si sono trasformate da rustiche imbarcazioni per il trasporto relativamente breve di mezzi e persone in veri e propri centri di vacanze sul mare. Infine negli ultimi cinquant’anni mezzi di ogni tipo, in legno, ferro o leghe leggere, a motore, a vela, o con entrambi, di piccola o media stazza, solcano le coste di tutto il mondo: non più mezzi necessari per spostarsi da un luogo all’altro o per commerciare, ma per divertirsi e trascorrere vacanze diverse. Le navi e la navigazione nei secoli sono profondamente cambiate: immutato, per chi le usa, è rimasto l’amore per il mare.

La bussola

Tra l’11° e il 12° secolo comparve a bordo delle navi un oggetto nuovo per piloti e marinai occidentali, ma già noto da tempo a quelli cinesi e del Sud-Est asiatico: la bussola. Grazie al magnete in essa contenuto, che indica regolarmente il Nord, le navi poterono allontanarsi dalla costa e seguire rotte più lunghe. Non si sa con esattezza quando comparvero le prime bussole a bordo delle navi occidentali. Si conosce però il lungo percorso che fecero, dall’Estremo Oriente fino al Mediterraneo: per i loro commerci, gli Arabi si spingevano fino alle coste indiane, vietnamite e cinesi e da qui riportavano merci preziose, ma anche nuove tecniche marinare, poi passate, sempre attraverso scambi commerciali, alle marinerie bizantine. Queste, a loro volta, trasmisero le loro conoscenze alle marinerie mediterranee, grazie ai traffici che, gestiti

dalle Repubbliche marinare, erano fiorenti già nel 12° secolo.

Il timone

Fondamentale per il controllo e la manovrabilità della nave fu l’introduzione del timone centrale, una superficie fissata alla poppa della nave e libera di muoversi su un asse verticale in modo da orientare la direzione dell’imbarcazione.

Fino al 12° secolo le navi, mercantili e da guerra, continuando la tradizione di quelle greche e romane, disponevano infatti

di due grandi remi posizionati a poppa, uno per lato, manovrati ciascuno da uno o più marinai. Le manovre però erano assai lente e complesse. Furono le flotte del Nord Europa a intuire che un unico timone manovrato da un solo uomo, grazie a una serie di ingranaggi – che terminavano in coperta con una grande ruota di timoneria – avrebbe reso la nave assai più rapida nelle manovre, soprattutto in caso di combattimenti ravvicinati o di inseguimenti, o ancora in caso di tempeste, per evitare le onde trasversali. Dalle Fiandre e dall’Inghilterra la nuova tecnica si diffuse rapidamente nel Mediterraneo e soppiantò, in meno di un secolo, la doppia timoneria.

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