NAVATA

Enciclopedia Italiana (1934)

NAVATA (fr. nef; sp. nave; ted. Schiff; ingl. nave)

Giorgio Rosi

Nelle costruzioni la cui copertura è sorretta, oltreché dai muri perimetrali, anche da file di sostegni intermedî, si chiamano navi o navate gli spazî in cui l'intero ambiente risulta suddiviso. L'uso di sostegni intermedî è specialmente caratieristico del sistema trilitico, dove è reso necessario dalle dimensioni limitate che l'elemento orizzontale di copertura, essendo sollecitato a flessione, può raggiungere. Nelle architetture che si servirono a preferenza di tale sistema la suddivisione in navate degli spazî coperti di grandi dimensioni fu quindi d'uso corrente.

L'arte dell'antico Egitto ce ne ha lasciato l'esempio più imponente nella immensa sala ipostila di Karnak di m. 51 × 103, suddivisa in diciassette navate da sedici file di colonne; di queste le due file centrali superano in altezza le altre così che, attraverso aperture praticate nella soprelevazione che ne risulta, la parte più interna dell'ambiente riceve luce diretta, con disposizione analoga a quella adottata poi dall'arte greca, romana e specialmente medievale.

Nei periodi più antichi dell'architettura greca, probabilmente per incapacità nella costruzione delle capriate, i sostegni disposti nell'interno dei templi ne occuparono talora il centro, determinando un numero pari di navate. Questa disposizione, di cui si hanno avanzi in edifici antichissimi, fra cui i templi di Prinià (sec. VIII) nell'isola di Creta, di Termo (secolo VII) in Etolia, di Neandria (sec. VII), ebbe una grandiosa applicazione nella cosiddetta basilica di Pesto, dove sono ancora visibili al loro posto i due ordini di colonne doriche sovrapposte lungo l'asse maggiore dell'edificio.

Più generalmente però la suddivisione della cella del tempio greco si fece mediante due file di colonnati disposti parallelamente alle pareti lunghe di essa, con le quali venivano a formare due navate minori rispetto alla centrale e, nel caso di due ordini sovrapposti, due loggiati al disopra di esse.

La disposizione di una sola fila di sostegni non fu però abbandonata e divenne anzi peculiare dei grandi portici monumentali (στοαί) costruiti nei recinti dei santuarî e sulle piazze e le vie delle città, come la stoa di Attalo ad Atene, il portico di Eco e la Stoa Poikile a Olimpia, il portico di Antigono e quello detto dei tori a Delo, e tanti altri sorti specialmente nel periodo ellenistico.

Per i casi di grandi sale di riunione i Greci ricorsero pure all'uso di sostegni interni, di regola colonne, disposte su molte file in modo da permettere originali e non sempre chiari sistemi di copertura.

Tali organismi, a cui si dà oggi il nome di sale ipostile, presentano grande varietà nel numero delle colonne e delle navate: così la sala ipostila di Delo (m. 56.30 × 34.50) è divisa in sei navate longitudinali da quarantaquattro colonne disposte su cinque file; il Telesterion (m. 54.15 × 51.80) di Eleusi in sette navate da 42 colonne su sei file. In alcune di queste sale ipostile, e per la prima di quelle citate è accertato, la diversità degli ordini e delle dimensioni permetteva il declivio necessario nelle coperture a tetto, mentre la soprelevazione di una porzione centrale dell'ambiente ne assicurava l'illuminazione.

L'architettura romana, mentre col progredire della tecnica nella costruzione delle vòlte grandissime poté gradatamente liberarsi dalla necessità di dividere gli ambienti anche di maggiori dimensioni, si servì di schemi analoghi per alcuni speciali edifici, fra cui caratteristica la basilica forense.

Consistette questa in una grande sala rettangolare suddivisa in tre o cinque navate nel senso longitudinale da due o quattro file di sostegni, più spesso anche qui colonne, su due ordini sovrapposti in modo da formare al disopra di ciascuna navata laterale un loggiato aperto verso quella centrale che in altezza, come in larghezza, superava le altre. Gli esempî, del resto abbastanza rari, della realizzazione di simili schemi mediante sistemi di vòlte, apparvero solo negli ultimi tempi dell'impero e, a Roma, non ebbero gran seguito, giacché l'architettura cristiana successiva si attenne piuttosto a schemi basilicali a copertura lignea. In essi le navate minori si distinsero con denominazione tratta dalla liturgia, chiamandole a cornu epistulae quella di destra, e a cornu evangeli quella di sinistra.

Da questi schemi venne poi svolgendosi l'architettura religiosa medievale che, se talora modificò il tipo del sostegno dalla colonna al pilastro polistilo, e il sistema di copertura dal semplice tetto alla vòlta, non abbandonò la disposizione planimetrica della suddivisione in navate, sulla quale anzi adattò e perfezionò l'uso delle coperture a vòlta, in modo da raggiungere sviluppi in altezza che permettessero l'apertura di grandi finestre, matronei, gallerie, ecc.

Tali soluzioni si estesero allora dal corpo principale della chiesa ad altre parti che avevano preso sempre maggiore importanza, come il transetto e il coro che aveva sostituito l'abside e che fu spesso circondato da una vera e propria navata minore ad andamento curvo o poligonale, detta deambulatorio.

L'uso delle vòlte influì anche sulle proporzioni planimetriche degli edifici, determinando, specie nei primi tempi della sua diffusione (architettura lombarda e gotica del primo periodo), il rapporto di dimensioni fra le navate minori e quella maggiore. Allora infatti la rigida adozione delle crociere a pianta quadrata portò alla necessitì di aumentare il numero delle campate nelle navate minori rispetto a quella centrale; mentre d'altra parte, dall'opportunità di mantenere la corrispondenza fra le campate in modo da concentrare negli stessi punti le azioni di tutte le coperture spingenti, derivò la caratteristica disposizione per la quale a ciascuna crociera della navata centrale ne corrispondono due nelle laterali, le quali perciò vengono ad avere una larghezza metà di quella.

Il Rinascimento in un primo tempo semplificò gli schemi medievali per quello che riguarda il tipo di sostegno che ritornò a essere generalmente la colonna isolata, ma mantenne l'uso delle navate, fino a quando l'amore delle grandi aule coperte da vòlte riccamente decorate non diffuse il tipo della chiesa a una navata sola, caratteristico del Sei e del Settecento. Allora nei casi non frequenti di grandi chiese in cui la divisione in navate era inevitabile, il peso e le spinte delle vòlte soprastanti resero necessarî sostegni di grande superficie, veri piloni a cui si addossarono altari, nicchie, colonne, pilastri, statue e decorazioni di ogni genere.

Nel sec. XIX l'impiego del ferro come materiale da costruzione e nel successivo quello del cemento armato, permettendo sottigliezza nei sostegni e grandi portate orizzontali fra un sostegno e l'altro, hanno nuovamente dimuso gli schemi di edifici divisi in navate, talora numerosissime, come nel caso di stabilimenti industriali e di edifici pubblici (mercati, stazioni, ecc.).

V. tavv. LI-LIV.