NAVARINO

Enciclopedia Italiana (1934)

NAVARINO (Νεόκαστρον o Πύλος; A. T., 82-83)

Camillo MANFRONI
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Importante cittadina del Peloponneso, nel dipartimento della Messenia; sorge in un'amena vallata sul lato SE. della baia omonima, larga 3500 m. e lunga 5500, con fondali tra 27 e 45 m., chiusa a occidente dalla stretta e allungata isola di Sfacteria (Sfágia). La città, sorta nei primi decennî del sec. XIX, conta attualmente 2315 abitanti ed è dominata verso SO. dal monte S. Nicolò (482 m. s. m.) e ad ovest dal forte omonino, ora smantellato. Possiede una moschea con portico, ora tramutata in chiesa. La città è servita da un porticciolo ed è unita mediante rotabili con Kalámai, Modone, Kyparissía. V. anche pilo (XXVII, p. 282).

Battaglia navale. - Durante la rivoluzione greca, allo scopo di frenare le intemperanze dei soldati e dei marinai egiziani che Mohammed ‛Alī aveva mandato nella penisola ellenica in aiuto dei Turchi contro gl'insorti, tre potenze europee, la Francia, l'Inghilterra e la Russia, dopo molti contrasti diplomatici e diffidenze e schermaglie, col trattato di Londra decisero di prendere misure coercitive senza tuttavia partecipare alle ostilità fra i belligeranti (luglio 1827), per far cessare uno stato di cose nocivo al commercio europeo.

Le misure coercitive consistettero nell'invio di piccole divisioni navali, i cui comandanti, l'inglese E. Codrington, il francese H. de Rigny e il russo L. P. Heyden (Geiden) ebbero ordine di non ricorrere alla forza e di limitarsi a una dimostrazione navale. Essi, in assetto di guerra, si presentarono dinnanzi al porto di Navarino, dove il figlio di Mohammed ‛Alī, Ibrāhīm pascià, aveva concentrato le sue navi e le turche, poste sotto il suo comando, cioè 32 navi da guerra, oltre ai trasporti e a piccole unità senza valore (20 ottobre 1827), e intimarono per mezzo d'un parlamentare a Ibrāhīm di richiamare i Turchi, che scorrazzavano nella penisola devastando e incendiando.

Ma da un brulotto turco, s'ignora se per ordine d'Ibrāhīm o per iniziativa individuale, partì qualche colpo di fucileria, che mise fuori combattimento alcuni marinai di una lancia inglese. I tre ammiragli ordinarono allora il fuoco, a cui fu risposto dalle batterie della cittadella e dalle navi egiziane.

In breve tempo la superiorità bellica degli alleati ebbe il sopravvento: le navi turche furono presto messe fuori di combattimento. Secondo una notizia di fonte francese ben 27 legni furono preda del fuoco, e altri 17 vennero o affondati o gettati alla costa; ma anche gli alleati ebbero gravi danni, tanto che l'ammiraglio inglese non poté né far segnali, né mandare ordini a mezzo di imbarcazioni, perché la sua nave non aveva più né alberi né natanti. In tutte le navi degli alleati anglo-franco-russi vi furono morti e feriti.

L'esito di questa battaglia ebbe per effetto di rompere gli accordi fra le tre potenze, poiché la provocazione degli Egiziani fu messa in dubbio (anche oggi v'ha chi sostiene che la provocazione da parte di Ibrāhīm pascià non vi fu); il re d'Inghilterra dichiarò che la battaglia era stato "un disgraziato avvenimento"; il nuovo ministero (Wellington) fece sbarcare il Codrington. In Francia invece, poiché la vittoria di Navarino, dopo tanti disastri navali occorsi durante l'età napoleonica, era un lieto avvenimento per la monarchia borbonica, il Rigny fu esaltato.

I Russi presero occasione da quel fatto d'armi per intraprendere una guerra contro la Turchia (aprile 1829), i cui risultati misero l'impero turco nella necessità di accettare il protocollo di Londra, riconoscere l'indipendenza della Grecia e cedere poi col trattato di Adrianopoli a tutte le imposizioni dei vincitori.

Bibl.: Memoir and corr. of Ad. Sir Codrington, a cura di J. Bouchier, voll. 2, Londra 1873-75; C. Manfroni, Il centenario della battaglia di Navarrino, in Riv. maritt., marzo 1928.