NARSETE

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 77 (2012)

NARSETE

Giorgio Ravegnani

– Nacque nel 475-476, originario dell’Armenia persiana.

In età non precisata, ma probabilmente molto giovane, andò a vivere nel palazzo imperiale di Costantinopoli. A corte percorse una brillante carriera come dignitario eunuco passando per le funzioni di cubicularius, sacellarius et primicerius sacri cubiculi, spatharius, sacellarius et praepositussacri cubiculi; a queste aggiunse poi le dignità di patricius, conseguita verso il 559, e di console onorario (exconsul) di cui risulta titolare nel 565.

Fu uomo di fiducia degli imperatori Giustiniano e Teodora e svolse per loro importanti incarichi. Nel 530 accettò la dedizione dei fratelli persarmeni Arazio e Narsete, che disertarono dalla Persia passando nell’esercito imperiale; l’anno successivo venne inviato a prendere possesso e a portare a Costantinopoli il bottino catturato dal magister militum Doroteo in un castello persiano. Nel gennaio 532 ebbe parte attiva nella repressione della rivolta popolare di Nika, scoppiata nella capitale dell’Impero, che fu sul punto di detronizzare Giustiniano: dapprima corruppe alcuni esponenti della fazione degli Azzurri in rivolta, poi guidò uno degli attacchi contro i rivoltosi concentrati nell’ippodromo cittadino. Nell’estate del 535 Teodora lo inviò in Egitto con l’incarico di rimettere sul trono episcopale di Alessandria il patriarca monofisita Teodosio deposto dai monaci ortodossi dai quali era stato sostituito con l’ortodosso Gaiano: Narsete lo inviò in esilio e fece fronte alla violenta reazione del partito religioso avverso.

Nel 538 ebbe da Giustiniano un incarico di carattere militare che lo condusse sul teatro di guerra italiano dove i Bizantini fronteggiavano le forze ostrogote. Alla testa di 7000 uomini sbarcò sulla costa adriatica, forse in Puglia, raggiungendo quindi a Fermo il generalissimo Belisario. Assieme a lui, con un’azione condotta in mare e in terra, riuscì a liberare il magister militum Giovanni, figlio di Vitaliano, assediato a Rimini dai Goti; ma si trovò subito dopo in contrasto con Belisario in merito alla condotta delle operazioni e insieme a Giovanni lo abbandonò con i suoi uomini all’assedio di Urbino per andare a far guerra in Emilia. Il dissidio fu dannoso per il buon andamento delle operazioni e, nonostante avesse preso Urbino, Belisario non fu in grado di impedire la caduta di Milano nella primavera del 539. Informato di quanto stava accadendo, l’imperatore richiamò Narsete a Costantinopoli con i suoi uomini, dei quali però i circa 2000 mercenari eruli disertarono mettendosi in marcia verso il Nord della penisola.

Nella primavera del 541 Narsete ebbe, assieme al comes excubitorum Marcello, il compito di tendere un tranello al prefetto del pretorio Giovanni di Cappadocia, sospettato di tramare contro l’imperatore e, tra settembre 541 e settembre 542, di fare un’indagine sui motivi dell’agitazione che interessava la popolazione della capitale residente nei pressi della chiesa di S. Diomede. Nell’autunno del 545 venne inviato presso gli Eruli per arruolare soldati da inviare sul fronte italiano e, mentre si stava recando in Tracia con le truppe reclutate, sconfisse un’orda di Sclaveni intenti a saccheggiare il territorio dell’Impero. Nella stessa occasione riuscì a smascherare un barbaro della stirpe degli Anti che si faceva passare per il magister militum Chilbudio, già governatore militare della Tracia, e lo condusse prigioniero a Costantinopoli. Si perdono quindi le tracce di Narsete per alcuni anni, durante i quali potrebbe essere rimasto a Costantinopoli. Probabilmente durante questo periodo, tra 545 e 551, fondò il monastero di Rupis, in Bitinia, al quale diede una ricca dotazione erigendo anche una chiesa e un ospizio.

Nel 551 venne nominato da Giustiniano generalissimo (strategos autokrator), con pieni poteri per condurre in Italia la guerra contro gli Ostrogoti. Nella primavera dello stesso anno partì da Costantinopoli ampiamente fornito di denaro dall’imperatore. Si fermò per qualche tempo a Filippopoli per fronteggiare un’invasione di Unni e di qui raggiunse Salona nell’autunno. Nell’aprile 552 iniziò a muovere alla volta dell’Italia a capo di un consistente esercito seguendo l’itinerario terrestre a causa della scarsità di navi necessarie per il trasporto di tutte le sue truppe. Superò le Alpi Giulie ma, giunto ai confini d’Italia, non riuscì ad avanzare lungo le strade romane a causa dell’ostilità dei Franchi, che gli sbarravano il passaggio, e proseguì seguendo un itinerario costiero attraverso la laguna veneta. Il 6 giugno 552 arrivò a Ravenna e avanzò quindi alla volta di Rimini per affrontare infine l’esercito del re ostrogoto Totila, sopraggiunto da Roma, in una località definita dalle fonti Taginae o Busta Gallorum che doveva trovarsi nelle vicinanze di Gualdo Tadino o, più probabilmente, tra Fabriano e Sassoferrato. La battaglia, svoltasi fra la fine di giugno e l’inizio di luglio 552, si concluse con la schiacciante vittoria dei Bizantini, seguita a poca distanza anche dalla morte di Totila. Narsete, dopo aver allontanato dall’Italia il contingente longobardo che combatteva ai suoi ordini, a causa della eccessiva ferocia, prese la strada di Roma ancora occupata dai Goti conquistandola qualche tempo più tardi. La battaglia di Taginae non aveva messo fine tuttavia al regno ostrogoto e Narsete proseguì le operazioni contro il nuovo re Teia affrontandolo nell’ottobre dello stesso anno (la data esatta è incerta, ma potrebbe essere il 30) in prossimità dei Monti Lattari in una battaglia sanguinosa conclusasi con una seconda sconfitta dei Goti e con la morte di Teia.

Subito dopo Narsete iniziò a eliminare le ultime sacche di resistenza ostrogota cercando dapprima di espugnare senza riuscirvi il castello di Cuma; lasciò quindi un presidio ad assediare il forte, che si arrese qualche mese dopo, e con il resto dell’esercito si recò in Tuscia ottenendo la resa senza combattere di Civitavecchia, Volterra, Firenze, Luni, Pisa e ponendo l’assedio a Lucca che capitolò probabilmente nel novembre-dicembre 553. Nel frattempo, nel corso dell’estate dello stesso anno, l’Italia era stata invasa da un’orda di Franchi e Alamanni, guidata dai due fratelli Butilin e Leutharis, che avanzava devastando verso Sud. Narsete prese i provvedimenti militari necessari per controllarli: dopo aver trascorso buona parte dell’inverno a Ravenna, si recò a Rimini, sconfiggendo qui una banda di Franchi, e in seguito a Roma per passarvi la restante parte dell’inverno. A Roma ricevette forse in questa circostanza una richiesta del clero perché si rivolgesse all’imperatore per chiedere il ritorno di papa Vigilio e del suo seguito da Costantinopoli, dove erano trattenuti da qualche anno; mentre ancora si trovava in città, fu poi assieme al prefetto del pretorio Antioco il destinatario della Pragmatica Sanctio emessa da Giustiniano il 13 agosto 554 al fine di dare un nuovo assetto all’Italia riconquistata. Dopo aver accuratamente preparato l’esercito, nell’autunno del 554 Narsete si mise in marcia alla volta della Campania per intercettare le forze di Butilin, che si erano separate da quelle di Leutharis, sconfiggendole in prossimità del fiume Volturno. Tornò quindi a Roma e di qui, verso la fine del 554, andò ad assediare il castello di Conza, in Campania, in cui si erano asserragliati 7000 Goti irriducibili ottenendone la resa nella primavera dell’anno successivo. Nel 555, o poco più tardi, Giustiniano indirizzò a lui, al prefetto del pretorio e al Senato romano la lex quae data est pro debitoribus in Italia et Sicilia. Nel 556 era presente a Roma dove accompagnò papa Pelagio I in una processione solenne. In data non precisabile, ma forse già nel 556, iniziò le operazioni militari volte alla conquista del Nord, ancora in mano a Franchi e Ostrogoti, e nel 561 sottomise le ultime piazzeforti in mano ai Goti, Brescia e Verona, inviando l’anno seguente le chiavi delle due città al suo imperatore e portando con quest’ultima operazione militare il confine dell’Italia bizantina alle Alpi. Le notizie su di lui in seguito si fanno più rare: nel 565 fece restaurare il ponte sull’Aniene, lungo la via Salaria, e tra 565 e 566 condannò all’esilio in Sicilia il vescovo di Altino. Probabilmente nel corso dello stesso 566 le operazioni militari ebbero una ripresa con la rivolta degli ausiliari eruli, stanziati lungo il confine settentrionale, che fu repressa nel sangue anche con l’uccisione del loro re Sindual.

Narsete rimase in Italia continuando a esercitare i poteri assoluti ottenuti da Giustiniano per la conduzione delle operazioni militari, ma nel 568 venne rimosso dall’incarico dal nuovo sovrano Giustino II che lo sostituì con il prefetto Longino ordinandogli di rientrare a Costantinopoli. I motivi del provvedimento non sono del tutto chiari: le fonti antiche lo ritengono una conseguenza del suo malgoverno, per cui i Romani si sarebbero lamentati con Giustino II, o anche dell’ostilità nei suoi confronti da parte dell’imperatrice Sofia. Secondo una versione dei fatti, più tarda rispetto agli avvenimenti, e con ogni probabilità leggendaria, Narsete avrebbe chiamato di conseguenza i Longobardi in Italia per vendicarsi dell’affronto subito. L’HistoriaLangobardorum codicis Gothani (composta nei primi anni del IX secolo) afferma che al momento dell’arrivo dei Longobardi si sarebbe trasferito in Spagna, ma più verosimilmente si recò a Napoli, forse allo scopo di imbarcarsi per Costantinopoli, e di qui nel corso del 569 tornò a Roma, dove potrebbe essere stato richiamato da papa Giovanni III per far fronte all’invasione dei Longobardi.

Morì a Roma in data non precisabile, che però non dovrebbe essere molto posteriore, dato che nell’opera storica di Agnello ravennate si legge che al momento del decesso aveva 95 anni.

Il suo corpo, in una bara di piombo, venne inviato a Costantinopoli insieme a tutte le ricchezze di cui disponeva e fu quindi portato in Oriente per essere sepolto nel monastero da lui fondato in Bitinia.

Narsete fu probabilmente un cristiano di fede monofisita. Una notizia più tarda gli attribuisce la costruzione a Roma della chiesa e del monastero del Beato Paolo apostolo noto come «ad Aquas Salvias» e l’elargizione di molte donazioni alle chiese della capitale. L’antica cronachistica veneziana fa risalire a lui inoltre la fondazione di chiese in ambiente lagunare. Inattendibile è l’affermazione contenuta nella Storia dei Franchi di Gregorio di Tours, relativa a una sua amicizia con il re Rotari, e verosimilmente leggendaria è quella presente in Paolo Diacono secondo cui avrebbe fatto nascondere grandi ricchezze in una sua casa di Costantinopoli facendo uccidere tutti gli addetti all’operazione tranne un vecchio, il quale in seguito avrebbe svelato il segreto all’imperatore Tiberio I. Il nome di Narsete compare infine in un frammento di iscrizione non databile proveniente da Fidenae e in un signaculum latericium trovato in prossimità di Catania.

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