NAPOLEONE III, imperatore dei Francesi

Enciclopedia Italiana (1934)

NAPOLEONE III (Carlo-Luigi - Napoleone), imperatore dei Francesi

Pietro SILVA

Nato a Parigi il 20 aprile 1808, da Luigi Bonaparte e Ortensia Eugenia de Beauharnais.

La sua formazione mentale e morale si compì a fianco e sotto gli occhi della vigile madre, che un dissidio col marito, malato e di carattere stranissimo, aveva candotto a fare una vita a , il cui centro, dopo la caduta dell'impero, fu il castello di Arenenberg, luogo solitario sul lago di Costanza nel cantone svizzero di Turgovia, acquistato da Ortensia nel 1817.

Il piccolo Bonaparte già da fanciullo rivelò un carattere piuttosto chiuso in sé stesso, tanto da meritare dalla madre l'epiteto di "dolce tenebroso". Fra i precettori e i maestri che curarono la sua educazione va ricordato Filippo Le Bas, figlio di un convenzionale regicida, fervente sostenitore delle idee del 1789 che seppe sviluppare in lui l'amore per gli studî e per la cultura, ed ebbe una notevole influenza anche sull'orientamento delle sue idee. Col precettore, Luigi Napoleone compì, nel 1823, 1824, 1826, viaggi in Italia, riportando una profonda impressione delle condizioni tristi del popolo italiano e la convinzione che esse fossero dovute al predominio austriaco.

Qualche anno dopo, tra la fine del 1830 e il principio del 1831, l'Italia doveva essere il campo della sua prima attività politica, nella situazione creata dalla rivoluzione di luglio. Questa, dopo aver rovesciato i Borboni in Francia, aveva aperto in Europa un periodo di tumulti e di sconvolgimenti, in mezzo ai quali si erano risollevate anche le speranze dei bonapartisti, che volgevano il pensiero e l'animo verso il figlio dell'imperatore, il duca di Reichstadt, chiuso nella dorata prigione di Vienna.

Al momento dello scoppio dei movimenti del 1830-3I, Carlo Luigi Napoleone aveva poco più di ventidue anni, e, come il fratello Napoleone Luigi, maggiore di lui di quattro anni, era animato da un grande desiderio di azione, di fama, di gloria, tanto che negli anni precedenti, durante la guerra russo-turca (1827-29), aveva sollecitato invano dal padre, che viveva malaticcio e solitario a Firenze, il permesso di arruolarsi nell'esercito russo.

L'ora dell'azione gli parve giunta nel dicembre 1830 a Roma, dove si trovava insieme con la madre, mentre il fratello maggiore era a Firenze col padre. Entrato in rapporto e contatto con un gruppo di cospiratori carbonari, il giovane principe prese parte ai preparativi di una sommossa, che avrebbe dovuto scoppiare il 10 dicembre per rovesciare il potere temporale. Il movimento fu soffocato sul nascere; e l'11 dicembre Carlo Luigi Napoleone venne colpito da un decreto di espulsione, che lo costrinse a lasciare Roma per Firenze, dove si riunì con il fratello. Qualche settimana dopo i due fratelli, lasciata Firenze, si trovavano in Umbria e poi in Romagna impegnati in pieno nel movimento insurrezionale che era scoppiato nello Stato Pontificio, e che aveva fra i capi l'antico colonnello P. D. Armandi, già precettore di Napoleone Luigi.

L'attività rivoluzionaria e bellicosa dei due napoleonidi venne però presto interrotta da una decisione del governo provvisorio di Bologna, che li tagliò fuori dall'azione; e ciò per non insospettire Luigi Filippo, sul cui aiuto quel governo sperava. I due principi, esonerati dagl'incarichi che erano già stati loro affidati, si diressero per Forlì verso Ancona, ma a Forlì l'11 marzo Napoleone Luigi era colpito da un gravissimo attacco di rosolia che in sei giorni lo conduceva alla tomba. Con questo lutto che impressionò profondamente Carlo Luigi Napoleone e che precedette di poco il crollo delle ultime resistenze degl'insorti contro l'intervento austriaco, si chiuse la prima fase dell'attività politica italiana del futuro Napoleone III.

Fase importantissima. A essa infatti si legarono le voci, che sono da giudicare infondate, di una sua appartenenza effettiva alla carboneria, e si legarono le sue impressioni che il movimento nazionale italiano potesse accontentarsi di una soluzione quale quella che il giovine napoleonide aveva visto auspicata dai capi dell'insurrezione del 1831: l'abbattimento del vecchio regime e del predominio austriaco, da conseguirsi con l'appoggio e sotto l'influenza della Francia.

Queste impressioni dovevano agire sul suo atteggiamento a Plombières nel 1858.

Sfuggito ai pericoli di una cattura e di persecuzioni austriache, insieme con la madre che lo aveva raggiunto, egli si recò in Francia, dove il governo di Luigi Filippo negò il permesso di soggiorno; poi in Inghilterra; e finalmente ancora in Svizzera. Intanto la morte del duca di Reichstadt (22 luglio 1832) faceva di lui il capo del partito bonapartista, in un'epoca in cui il bonapartismo aveva una vigorosa ripresa in Francia, come dimostrava l'intensificato culto per le memorie dell'epoca imperiale e per la personalità di Napoleone, culto che nel 1840 doveva culminare nell'apoteosi del ritorno delle ceneri dell'imperatore da Sant' Elena e con la sepoltura solenne sotto la cupola degl'Invalidi.

Sempre più animato da desiderî di azione e di gloria nella sua posizione di pretendente al trono imperiale, pieno l'animo e l'intelletto dell'idea della missione imperiale napoleonica coltivata in lui fino dall'infanzia dalla madre, il principe si dedica alla preparazione di colpi che rendano nota ai Francesi la sua personalità. Il primo colpo è tentato alla fine d'ottobre bel 1836 con il sollevamento di un reggimento di artiglieria a Strasburgo. Fallisce clamorosamente e finisce con l'arresto del principe e dei suoi compagni, ma senza conseguenze gravi, perché i responsabili sono puniti con la sola pena del bando. Dopo quell'insuccesso il principe ritenne opportuno allontanarsi dall'Europa e si recò infatti negli Stati Uniti, donde però fece rapido ritorno nell'estate del 1837, per la notizia della grave malattia della madre, la quale si spense dolcemente, assistita da lui il 6 ottobre 1837, a 54 anni. Ma dopo la morte della madre, gli fu vietato di restare nel castello di Arenenberg. Il governo di Luigi Filippo riteneva quella località troppo vicina al confine francese e troppo propizia alla ripetizione di gesti come quello di Strasburgo, e premette sul governo svizzero per ottenere l'allontanamento dell'elemento turbolento e pericoloso.

Allora N. scelse come suo rifugio l'Inghilterra, dove trascorse due anni, facendo vita larga e dispendiosa, trovando larga accoglienza nella migliore società, ma non abbandonando, sotto le parvenze dell'attività mondana e brillante, l'attività politica e la propaganda bonapartista. Infatti, mentre alimentava a Parigi due giornali di tendenze bonapartiste, pubblicava a Londra nel 1839 l'opuscolo Les idées napoléoniennes, che esponeva il programma di una politica interna fondata sulla fusione di tutti i partiti, e di una politica estera fondata sulla confederazione dei popoli col trionfo dei diritti della nazionalità. La restaurazione del sistema imperiale era presentata come il rimedio a tutti i mali di cui soffriva la Francia; e il principe rivelava un'impressionante convinzione di riuscire a restaurare l'impero.

In questo ambiente fu preparato il secondo colpo di mano: quello dell'agosto 1840, imperniato su uno sbarco di sorpresa a Boulogne, e sull'occupazione di tale località, importantissima e debolmente presidiata. L'eccitazione di sentimento nazionale e patriottico che in quel momento regnava in Francia per le vicende della crisi d'Oriente e per il ritorno delle ceneri napoleoniche da Sant'Elena, parve al principe offrire l'atmosfera propizia al tentativo. Ma anche questa volta il colpo fallì clamorosamente e finì con l'arresto; e questa volta con conseguenze più gravi che non nel 1836.

L'opinione pubblica, anche in Inghilterra, condannò il gesto come inconsulto e stupido (il grave Times definì il protagonista un malvagio imbecille); il governo di Luigi Filippo non si limitò alle miti misure del 1836 e sottopose N. a un processo di alto tradimento davanti alla Camera dei pari.

Al processo che si svolse dal 15 settembre al 6 ottobre, l'atteggiamento del principe, abile e coraggioso insieme, modificò l'opinione pubblica in suo favore, ma la condanna fu grave: la prigionia perpetua da scontarsi nel forte di Ham, triste maniero in mezzo alle paludi della Piccardia.

Nel forte, sotto una sorveglianza molto rigorosa specialmente nei primi tempi, il principe trascorse cinque anni e mezzo dall'ottobre 1840 al maggio 1846. Fu un periodo triste, ma che giovò alla formazione della sua personalità e alla sua prodigiosa fortuna successiva; ciò perché durante gli anni di prigionia il principe ebbe agio di formarsi una cultura vasta e profonda, e perché la drammaticità della vicenda e poi il carattere romanzesco della fuga che la chiuse, circondarono la figura del giovine di un'aureola che agì potentemente a suo favore, in un'epoca e in un'atmosfera impregnata di romanticismo e di spirito avventuroso, come fu quella degli anni intorno al 1848.

Le prove dell'intensa e varia attività intellettuale e culturale del principe negli anni di Ham, sono date dai disparati argomenti ai quali s'interessò e sui quali si appassionò anche a scrivere. Si occupò di storia francese del periodo di Carlomagno, e di storia inglese del periodo degli Stuart; di questioni militari, continuando specialmente gli studî sull'artiglieria; di questioni sociali, scrivendo l'opuscolo L'extinction du paupérisme, impregnato di teorie socialiste e destinato a creare intorno al suo nome e alla sua persona forti correnti di simpatia fra le classi popolari. Studiò anche un progetto per un canale attraverso il Nicaragua dall'Atlantico al Pacifico, progetto i cui echi si dovevano ritrovare circa vent'anni dopo fra i motivi che spinsero l'imperatore all'infausta impresa del Messico. Scrisse anche una quantità di articoli anonimi sui giornali regionali, e mantenne un'attiva corrispondenza con gli amici e i seguaci, e con molti dei principali personaggi del tempo. Ebbe anche avventure galanti e amorose, tra le quali una con una giovine stiratrice, Eleonora Vergeot, che lo rese padre di due figli.

Ma a mano a mano che gli anni passavano, il desiderio della libertà e della ripresa dell'attività politica si fece in lui più intenso, spingendolo a tramare piani di fuga che ebbero successo nel maggio 1846, con l'aiuto del suo fido amico, dott. Henry Conneau, che gli stava a fianco nella prigionia. Travestito da muratore, un giorno in cui molti muratori lavoravano nel castello per riparazioni, riuscì a evadere e a riparare a Bruxelles, donde il 27 maggio 1846 ritornava a Londra. Qui lo raggiunse nel luglio 1846 la notizia della morte del padre, che lo lasciava erede di una sostanza di circa tre milioni; base importante per la ripresa sia della vita elegante e lussuosa a cui si abbandonò di nuovo, sia dell'attività politica che veniva favorita dalla crescente opposizione francese alla monarchia di luglio. Il crollo di questa monarchia, avvenuto con la rivoluzione del 24 febbraio 1848, gli permise il ritorno in patria e la tanto desiderata attività di capo e di organizzatore.

Arrivato a Parigi il 26 febbraio, fu costretto a ripartirne subito per un decreto di espulsione emanato dal governo provvisorio repubblicano. Ma l'assenza fu breve; e giovò all'aumento della sua importanza politica e della sua popolarità. Fu infatti eletto deputato in molti collegi senza che egli facesse nemmeno atto di candidatura; e di nuovo, dopo che egli aveva rinunciato alla prima elezione, venne eletto nel settembre 1848.

Allora sentì giunta la sua ora. La seconda repubblica, dopo le agitazioni e le convulsioni a tendenza estremista culminate nelle sommosse del giugno 1848, si orientava verso un indirizzo conservatore; e di tale indirizzo poteva presentarsi come esponente il principe, che, essendo rimasto lontano ed estraneo a tutte le turbinose vicende dei mesi precedenti, era libero da compromissioni e da responsabilità.

La manovra politica fu da lui sviluppata con abilità consumata. Ritornato in Francia il 25 settembre e subito convalidato come deputato, prese nell'Assemblea costituente, e nell'agitata vita politica parigina, un atteggiamento modesto e riservato, sforzandosi di parere insignificante, inoffensivo. Ma i suoi amici, improvvisamente cresciuti di numero, lavoravano per lui con attività sorprendente e seguendo le sue abili direttive. Il lavorio era condotto del pari nelle file della borghesia, a cui il napoleonide si presentava come il continuatore della tradizione di Napoleone I per l'ordine e la conservazione sociale, e nelle masse operaie e rurali, per le quali il principe era l'autore socialisteggiante dell'opuscolo sull'estinzione del pauperismo. Anche l'esercito era abilmente lavorato con il prestigio dei grandi ricordi dell'epoca imperiale.

I frutti di questo intenso lavorio apparvero impressionanti il 10 dicembre 1848, quando nell'elezione per la presidenza della repubblica, fatta col suffragio universale, N., l'uomo che gli avversarî consideravano quasi un imbecille (tale era il giudizio di Ledru-Rollin), risultò eletto con l'enorme numero di 5.572.834 voti, contro 1.469.136 dati al generale Cavaignac, e 376.000 dati a Ledru-Rollin.

Dal giorno in cui N. divenne principe-presidente fino al giorno di Sedan, e cioè dal dicembre 1848 al settembre 1870, la sua storia s'intreccia a quella della Francia (v. francia: Storia).

Appena quarantenne, l'uomo rivelò una straordinaria abilità di tattico, sfruttando tutte le possibilità che gli erano offerte sia dai congegni della nuova costituzione, sia dagli urti delle discordie e delle passioni politiche per minare la repubblica, e preparare la restaurazione dell'impero. Volle e promosse la spedizione contro la repubblica romana, che gli servì sia per accaparrarsi l'appoggio del fortissimo partito clericale francese, sia per controbilanciare in Italia l'influenza austriaca. Sfruttò la nausea del parlamentarismo e il bisogno di ordine e di autorità che gli eccessi dell'assemblea legislativa e degli estremisti avevano sviluppato in Francia. Si svincolò sempre più dal compito passivo in cui la costituzione avrebbe dovuto tenerlo, e riuscì ad aumentare l'importanza della sua persona specialmente di fronte alle masse rurali e all'esercito. Si giovò delle divisioni e dei contrasti inconciliabili che mettevano di fronte repubblicani, orleanisti, legittimisti, paralizzandone le forze e le possibilità.

Così fu preparata l'atmosfera per il colpo di stato, che fu compiuto il 2 dicembre 1851 con l'appoggio di una parte dell'esercito, e che diede a N. i poteri per riorganizzare il governo sul modello della costituzione consolare del 1800. La nuova costituzione fu promulgata il 15 gennaio 1852, dopo un imponente plebiscito che sanzionò con 7.400.000 voti il fatto compiuto. N. aveva il potere presidenziale per dieci anni, ed era fiancheggiato da tre consessi: Consiglio di stato, Corpo legislativo, Senato, la cui effettiva autorità era nulla. Fu questo l'inizio del ritorno all'impero, che venne infatti ricostituito e sanzionato da un altro imponente plebiscito nel dicembre 1852.

Il nuovo imperatore volle subito che tanto la politica interna quanto la politica estera avessero un'impronta di vigore e di grandezza. All'interno accentuò al grado estremo le tendenze autoritarie, mentre con provvedimenti di carattere economico e sociale cercava di legarsi le classi operaie e rurali, e diede impulso a un'attività di grandi lavori e di trasformazioni edilizie che ebbe le sue manifestazioni più impressionanti a Parigi per opera del prefetto della Senna G.-E. Haussmann. Si circondò di una corte opulenta e fastosa in cui brillò, bellissima, la moglie Eugenia de Montijo, giovane gentildonna spagnola da lui sposata nel 1853. La politica interna poté per lunghi anni svilupparsi senza urtare in opposizioni notevoli da parte di forze politiche costituite e organizzate, ma fu insidiata e minacciata da congiure e da attentati politici, fra cui si ricordano i tentativi di Antonio Pianori (28 aprile 1855) di Paolo Tibaldi (14 giugno 1857) e di Felice Orsini (14 gennaio 1858).

All'estero N. sviluppò una politica di attivo intervento in tutte le grandi questioni europee, mirando insieme ad aumentare l'importanza della Francia e a rompere il sistema continentale austro-russo-prussiano, sia perché attribuiva ad esso il crollo del sistema napoleonico del 1814-15, sia perché voleva ridare alla politica francese la maggiore possibilità di azione sul continente, per tentare il raggiungimento dei tradizionali obiettivi: i confini naturali e il predominio continentale. La forza nuova sulla quale intendeva basare un'attiva e vigorosa politica estera, era quella del movimento di nazionalità, che voleva sfruttare e aiutare entro i limiti degl'interessi della Francia.

A questi intenti fu informata l'azione che a fianco dell'Inghilterra esplicò contro la Russia nella guerra di Crimea, e che lo condusse a battere uno dei tre antichi avversarî continentali di Napoleone I, a favorire lo sviluppo della nazionalità romena sul Basso Danubio, e infine a fare di Parigi il centro di un grande Congresso internazionale (il Congresso di Parigi, tenutosi nel febbraio-marzo 1856) nel quale egli poté assumere la parte di arbitro e di moderatore.

La seconda fase della politica estera fu quella diretta contro l'impero austriaco, per la quale volle giovarsi dell'intesa con la Russia - ricostituita all'indomani stesso della guerra di Crimea -, delle tradizioni espansionistiche dei Savoia e del movimento nazionale italiano, che i suoi ricordi del 1831 glì facevan ritenere orientato a svolgersi in senso antiaustriaco ed entro l'orbita della politica francese.

Da ciò l'accordo col Piemonte a Plombières, l'alleanza del gennaio 1859, e infine la guerra franco-piemontese contro l'Austria nell'aprile-luglio 1859; guerra i cui sviluppi e le cui conseguenze andarono però oltre i calcoli e gli interessi napoleonici e francesi, in quanto sboccarono in meno di due anni (aprile 1859-marzo 1861) nella formazione non di vassallaggi francesi nella penisola, ma del regno d'Italia, grande stato unitario, destinato a sfuggire prima o poi all'orbita della Francia. Tuttavia anche questa fase di attività politica si chiuse con un successo morale e materiale, e cioè col prestigio delle nuove vittorie militari e con l'aumento di territorio attraverso l'annessione di Nizza e della Savoia.

A questa attiva politica estera si era accompagnata un'intensa attività anche coloniale, della quale furono campi l'Algeria, il Senegal, il Madagascar, la Cina, la Cocincina, la regione di Obock, che videro importanti occupazioni francesi, basi dell'attuale grande impero coloniale della Terza Repubblica.

Con ciò può considerarsi chiuso il primo periodo imperiale di N., fecondo di successi e caratterizzato dal consolidamento dell'autorità all'interno, e da un grande ruolo nella politica internazionale.

Col 1861 s'inizia il secondo periodo: quello del declino, che si accentua dopo il 1866 e precipita nel crollo del 1870. N. si trovò all'interno di fronte allo sviluppo di forze di opposizione che richiedevano un allentamento del sistema autoritario, e all'esterno di fronte alle nuove incognite create dalla situazione italiana in cui era sorta la questione romana, spinosissima per l'imperatore, e di fronte all'inquietante sviluppo della Prussia. Per moderare l'opposizione interna piegò a concessioni, che a poco a poco dovevano condurre dall'impero autoritario all'impero liberale; per mantenere il grande posto nella politica estera cercò di accentuare l'attività di espansione coloniale e di profittare dei movimenti di nazionalità che si delineavano in Polonia e in Germania.

Ma proprio nella politica estera si delinearono l'un dopo l'altro gravi insuccessi, preannunciatori della catastrofe finale. L'attività extraeuropea lo condusse a impegnarsi nella disgraziata impresa del Messico (1863-1867), che costò gravi perdite di sangue e di denaro e finì con un'umiliazione. La politica d'intervento a favore dei Polacchi insorti contro lo zar, politica dalla quale N. si riprometteva un rimaneggiamento della carta europea con vantaggio della Francia, ebbe il solo risultato di rompere l'intesa franco-russa, ricostituita nel 1856, e di mettere N. di fronte all'eventualità dell'isolamento.

La politica degl'interventi in Germania lo portò poi a favorire lo scoppio della guerra austro-italo-prussiana del 1866, concepita col calcolo di una vittoria austriaca contro la Prussia tale da stroncare la potenza prussiana e da permettere alla Francia ingrandimenti sul Reno, e finita invece con la vittoria e col minaccioso rafforzamento della Prussia (1866).

Si entra allora nel periodo della decadenza irreparabile, il cui corso fu accentuato anche dalla decadenza fisica e intellettuale dell'imperatore, logoro per una vita di eccessi e minato da una malattia alla vescica. Ciò mentre le corruzioni e le pecche del regime imperiale sollevavano attacchi veementi e favorivano l'aumento delle correnti repubblicane.

N. cercò di fronteggiare la pericolosa situazione creata dall'ingrandimento e dal rafforzamento della Prussia, tentando la costituzione di un sistema a tre franco-austro-italiano (1868-69). Ma il tentativo urtò e naufragò contro le complicazioni della questione romana, che proprio nel 1867 aveva determinato una grave tensione italo-francese in seguito all'intervento delle truppe francesi contro Garibaldi, alla giornata di Mentana, e alla nuova occupazione francese di Roma.

In tale periodo N. rivelò un'incertezza di azione politica che trova la sua spiegazione nella decadenza fisica e mentale, e che all'interno lo portò ad accettare anche la trasformazione dell'impero su base parlamentare, attuata nel gennaio 1870 e sanzionata in maggio da un plebiscito di sette milioni e mezzo di voti.

Questo plebiscito rappresenta l'ultimo successo politico di N. Poco più di due mesi dopo scoppiava la guerra con la Prussia, sbocco fatale di attriti che negli ultimi anni si erano andati sempre più aggravando, e del cui sviluppo era responsabile tanto la politica napoleonica, anelante a successi e a ingrandimenti verso il Reno, quanto la politica bismarckiana che nella guerra contro il "nemico ereditario" francese vedeva la via di completare e cementare l'unità germanica.

Fin dall'inizio la guerra rivelò la debolezza del sistema napoleonico. Subito le prime battaglie segnarono disastrose sconfitte che ebbero il loro tragico epilogo a Sedan (1-2 settembre 1870) con la cattura dello stesso imperatore (v. franco-prussiana, guerra). Il disastro segnò la fine del Secondo Impero.

Al crollo l'imperatore sopravvisse appena tre anni che furono di lenta agonia. Il primo periodo si svolse in prigionia nel castello di Wilhelmshöhe, in una situazione che ricordava gli anni di Ham, ma con quanta maggiore tristezza! A Wilhelmshöhe N. fu ripreso dalla mania di scrivere; e stese l'un dopo l'altro tre opuscoli sull'organizzazione militare della Germania del Nord, sulle relazioni tra Francia e Germania, e sulle cause di Sedan. Ma nutrì anche la speranza di una possibile restaurazione, speranza che non lo abbandonò nemmeno dopo la fine della prigionia, nel marzo 1871, e nemmeno durante il nuovo esilio in Inghilterra, dove si riunì con la moglie e col figlio quindicenne, mentre a Parigi ardeva l'incendio della Comune.

In Inghilterra, a Chislehurst, visse ancora due anni circa, tormentato dai calcoli vescicali, ma seguendo con occhio attento e vigile le agitate vicende della Francia, dove il suo antico ministro E. Rouher cercava di preparare le basi per un tentativo di restaurazione, profittando della fragilità delle nuove istituzioni repubblicane e delle discordie fra orleanisti e legittimisti.

Alla fine del 1872 il lavorio per il nuovo colpo che avrebbe dovuto riportare N. in Francia e sul trono pareva in pieno sviluppo, quando da Chislehurst si diffusero catastrofiche notizie circa la salute del sovrano decaduto, colpito da un nuovo attacco della sua malattia vescicale. All'attacco seguì rapida la morte, il 9 gennaio 1873.

Personalità complessa e in parte enigmatica, N. è stato oggetto di esaltazioni e di condanne del pari eccessive. Le sue costruzioni politiche e le sue combinazioni nel campo della politica internazionale, spesso basate su una errata valutazione della realtà, come nel caso della possibilità di arrestare entro certi limiti gli sviluppi nazionali in Italia e in Germania, andarono spesso incontro a insuccessi e finirono nel disastro di Sedan. Ma ciò non deve fare dimenticare che l'attività napoleonica giovò allo sviluppo economico e produttivo della Francia - per la quale il periodo del Secondo Impero fu di grande prosperità e di progresso in tutti i campi -, e gettò le basi anche della grande potenza coloniale odierna della Francia. Gl'Italiani poi non possono dimenticare che la politica di N. nel 1858-59, anche se mossa dal desiderio di assicurare alla Francia il confine delle Alpi e l'egemonia nella penisola, diede potente e decisivo impulso agli avvenimenti del 1859, capitali per il Risorgimento italiano.

Bibl.: v. francia (bibliografia relativa al Secondo Impero); M. Mazzuchelli, N. III, Milano 1930; E.A. Rheinhardt, N. III ed Eugenia, Firenze 1933; P. Queriot, Napoléon III, Parigi 1934; P. de La Gorce, Napoléon III et sa politique, Parigi 1934; M. Mazziotti, N. III e l'Italia, Milano 1927; P. Silva, La politica di N. III in Italia, in Nuova Riv. stor., 1927; A. Pingaud, Napoléon III et ses projets de Conféd. italienne, in Revue historique, 1927; O. Aubry, N. III, Parigi 1932, voll. 3.