NAMIBIA

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1993)

NAMIBIA

Paolo Migliorini
Giampaolo Calchi Novati

(v. africa del sud-ovest, I, p. 818; App. III, i, p. 43; IV, i, p. 59; namibia, App. IV, ii, p. 543)

Repubblica indipendente dal 1990, la N., al censimento del 1991, contava 1.401.711 ab., con un incremento del 35,7% rispetto al censimento precedente del 1981. Il gruppo etnico di gran lunga maggioritario era quello degli Ovambo (665.000); seguivano i Kavango (124.000), gli Herero e i Damara (100.000 unità ciascuno), e i Nama (64.000). Sempre nel 1991 la popolazione bianca ammontava a 85.000 ab. e costituiva oltre la metà della popolazione urbana, prevalentemente accentrata nella capitale Windhoek (150.000 ab.). L'agricoltura e la pesca contribuiscono alla formazione del prodotto interno lordo nella misura del 13,9% (1990), impiegando il 37% della forza lavoro. Il territorio, ecologicamente fragile e minato da una grave siccità che si è protratta dal 1978 fino alla metà degli anni Ottanta, è adatto, nella maggior parte della sua estensione, solo all'allevamento, i cui prodotti costituiscono più del 90% del reddito commerciale del settore agricolo. L'eredità coloniale incide ancora in modo determinante sull'organizzazione dell'agricoltura, che si articola in tre settori: circa 4000 grandi fattorie per l'allevamento commerciale, quasi tutte di proprietà di bianchi; 20.000 aziende in mano ad africani allevatori, inserite nelle riserve che si trovano nella parte centro-settentrionale del paese, e 120.000 famiglie nere che praticano una povera policoltura di sussistenza, disponendo di appena il 5% delle terre coltivabili, nell'estrema regione settentrionale.

Le acque costiere della N. sono una delle zone di pesca potenzialmente più ricche del mondo, ma le riserve ittiche sono state impoverite da una pesca di rapina, praticata dalla flotta nazionale ma soprattutto da flotte straniere nei confronti delle quali la N. prima dell'indipendenza non poteva in alcun modo rivalersi, poiché l'illegale occupazione del territorio privava lo stato del diritto esclusivo di pesca nell'ambito della zona economica compresa entro le 200 miglia nautiche dalla costa, riconosciuto dal diritto internazionale.

Il maggior contributo alla formazione del prodotto interno lordo proviene dal settore minerario, che concorre a formare oltre i tre quarti del valore delle esportazioni. Accanto alla tradizionale produzione di diamanti (circa il 20% del totale mondiale) la N. ha intensificato in anni recenti lo sfruttamento delle sue riserve di minerali di uranio. La miniera Rossing, la più grande del mondo − anche se di tenore estrattivo relativamente basso − è entrata in produzione nel 1976. Nel 1990 sono state estratte circa 3200 t di uranio, vendute, sulla base di contratti a lungo termine, a paesi della Comunità Economica Europea, al Giappone, a Taiwan. La N. figura ai primi posti nella graduatoria mondiale dei detentori di riserve di stagno e di litio.

Lo sviluppo del settore manifatturiero è intralciato dalle fluttuazioni nella disponibilità delle materie prime di base per l'esportazione (essenzialmente bestiame da carne e pesce), dalla ristrettezza del mercato interno, dagli alti costi dell'energia e dei trasporti e dalla mancanza di una classe imprenditoriale locale. Le infrastrutture di trasporto sono virtualmente controllate dal Sudafrica, l'unico paese con cui la N. è collegata per ferrovia, mentre Walvis Bay, l'unico porto con fondali profondi, attraverso il quale passa il 90% del commercio marittimo del paese, rimane sotto la giurisdizione sudafricana.

Per quanto dotata di risorse naturali suscettibili di assicurare la prosperità economica della nuova nazione indipendente, e benché questa abbia già ottenuto assistenza tecnica e supporto a progetti di sviluppo da parte di vari paesi europei e nordamericani (tra cui la Germania e gli Stati Uniti), è probabile che la N. continui a essere dominata economicamente dal Sudafrica per parecchi anni a venire.

Bibl.: Namibia: political and economic prospects, a cura di R.I. Rotberg, Lexington (Mass.) 1985; Ch. von Garnier, Namibie, les derniers colons, Parigi 1987; AA. VV., Namibia, in AA. VV., Africa South of the Sahara 1993, Londra 1992.

Storia. - Dopo la dissoluzione dell'impero portoghese e la conseguente indipendenza dell'Angola e del Mozambico (1975), la N., già Africa del Sud-Ovest, divenne assieme alla Rhodesia (indipendente nel 1980 con il nome di Zimbabwe) l'ultimo bastione a difesa del Sudafrica e del suo sistema razzista. Lo statuto di questo ex mandato della Lega delle Nazioni era controverso. L'ONU aveva infatti dichiarato decaduto il Sudafrica fin dal 1966, ma tutti i tentativi per imporre l'autorità della massima organizzazione internazionale andarono a vuoto. Lo stesso Sudafrica seguiva strategie parallele e fra di loro non comunicanti: trasformazione del territorio in una provincia della Repubblica Sudafricana, creazione di uno stato su basi etniche controllato da Pretoria, trattative a livello internazionale.

Per dare consistenza all'ipotesi di una soluzione ''interna'', nel settembre 1975 il primo ministro sudafricano J.B. Vorster convocò una conferenza, nota con il nome di Turnhalle dalla sala in cui si svolsero le riunioni, nell'ambito della quale nel marzo 1977 fu raggiunto un accordo su un progetto di Costituzione per un governo provvisorio in vista dell'indipendenza. Il movimento di liberazione nazionale, la SWAPO (South West Africa People's Organization), riconosciuta ufficialmente dall'ONU come rappresentante del popolo della N., non diede alcun credito all'iniziativa. I gruppi che avevano animato la Conferenza fondarono la Democratic Turnhalle Alliance (DTA), una coalizione multietnica capeggiata da un bianco, D. Mudge, e sorretta da una serie di partiti tribali. Un esponente di spicco della DTA, C. Kapuuo, capo della gente Herero, fu assassinato nel marzo 1978. Nel frattempo (settembre 1977), Pretoria aveva nominato un amministratore generale per governare il territorio, mentre si era intensificata la pressione dell'ONU e delle stesse potenze occidentali; Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Germania e Canada si costituirono nel cosiddetto ''gruppo di contatto'' per trattare informalmente con Pretoria.

Nell'agosto 1978 arrivò in N. il commissario nominato dall'ONU, ma non riuscì a tradurre in pratica i suoi poteri nominali. Nel settembre 1978 il Consiglio di sicurezza approvò la risoluzione 435 che disponeva per un processo in più tappe per giungere all'indipendenza del territorio. Il governo sudafricano continuò per la sua strada e annunciò l'elezione di un'assemblea costituente. Pretoria non poté tuttavia sottrarsi alla procedura negoziale richiesta dai suoi alleati e nel gennaio 1981 si tenne una conferenza generale a Ginevra, sotto l'egida dell'ONU, fra Sudafrica e SWAPO con la presenza del ''gruppo di contatto'' e degli stati africani detti ''del fronte''. Durò una settimana e si chiuse con un insuccesso totale per l'intransigenza del governo sudafricano, che aveva forse voluto approfittare dei possibili esiti sul piano internazionale dell'elezione di R. Reagan a presidente degli Stati Uniti. Dal 1981, in effetti, il governo statunitense face valere il principio detto del linkage, che legava l'indipendenza della N. al ritiro delle truppe cubane presenti in Angola dal 1975.

La N. era ormai uno dei punti di crisi della confrontazione globale e il Sudafrica enfatizzava il suo ruolo di pilastro antisovietico in Africa. Dissentendo da questa impostazione, nel 1983 la Francia uscì dal ''gruppo di contatto''. Il Sudafrica dimostrò di non essere in grado di far progredire la soluzione interna. Sia il governo centrale che le amministrazioni locali che aveva istituito fallirono, e tutto il potere tornò all'amministratore generale. Pretoria aveva come principale interlocutore l'Angola, alternando gli interventi militari ai negoziati. Un primo accordo con il governo di Luanda fu raggiunto a Lusaka nel febbraio 1984, ma non ebbe seguito. Gli Stati Uniti s'impegnarono a fondo nella mediazione, sempre con la clausola del linkage relativo alle forze cubane, e nel dicembre 1988 Sudafrica, Angola e Cuba stipularono un accordo complessivo secondo il quale veniva rimesso in vigore lo schema previsto dal 1978 con la risoluzione 435.

L'accordo prevedeva per la N. libere elezioni e indipendenza. Il Sudafrica avrebbe ritirato le sue truppe dall'Angola; Cuba avrebbe spostato verso nord e ridotto via via i suoi contingenti militari nello stato africano fino al completo ritiro. Su tutto il processo avrebbe vigilato l'ONU, presente con un rappresentante speciale e un corpo di ''caschi blu'' (UNTAG). Le elezioni si svolsero in buone condizioni di libertà e sicurezza nel novembre 1989: la SWAPO ottenne il 57% dei voti e 41 seggi (su un totale di 72); l'Alleanza democratica della Turnhalle, su cui avevano puntato il governo sudafricano e i bianchi, il 29% dei voti e 21 seggi. Non avendo la maggioranza dei due terzi necessaria secondo gli accordi per redigere la nuova Costituzione, la SWAPO e il suo presidente, S. Nujoma, rientrato in patria dopo quasi 30 anni di esilio, hanno avviato una politica di vaste intese, che ha assicurato alla N. una certa stabilità, sia pure a prezzo della conferma degli interessi dei grandi gruppi economici bianchi. La Costituzione è stata adottata senza opposizione in Parlamento. La vittoria della SWAPO nelle elezioni amministrative del 1992 è una garanzia dell'immutata popolarità dell'ex movimento di liberazione.

Bibl.: AA.VV., Namibia, the last colony, Essex 1981; G. Cros, La Namibie, Parigi 1983; Swapo, Political program of the South West Africa people's organisation, Lusaka 1983; Ch. von Garnier, La Namibie vue de l'intérieur, Parigi 1984; I. I. Dore, The international mandate system and Namibia, Boulder 1985; A. Du Pisani, Namibia: the politics of continuity and change, Johannesburg 1985; Namibia: political and economic prospects, a cura di R.I. Rotberg, Lexington (Mass.) 1985; K. Mbuende, Namibia, the broken shield, Uppsala 1986; S. Smith, Namibia, Oxford 1986; D. Soggot, Namibia: the violent heritage, Londra 1986; P. H. Katjavivi, A history of resistance in Namibia, ivi 1987; Ch. von Garnier, Namibie, les derniers colons, Parigi 1987; D. Herbstein, J. Evanson, The devils are among us: the war for Namibia, Londra 1989; AA.VV., Church liberation in Namibia, ivi 1989.

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