NABATEI

Enciclopedia Italiana (1934)

NABATEI (gr. Ναβαταῖοι; lat. Nabateni)

Giorgio Levi Della Vida

Popolazione e stato di origine araba, con centro nella città di Petra a SE. del Mar Morto, che negli ultimi tre secoli a. C. e nel primo d. C. ebbe notevole importanza per l'esercizio del commercio carovaniero dall'Arabia meridionale all'Egitto e ai porti della Siria. Se i Nabatei dell'età ellenistica e romana siano da identificarsi con i Nebayōt della Bibbia (come già congetturava Flavio Giuseppe) e i Nabayāti delle iscrizioni assire, è dubbio, per la differenza fra la t (semplice) della finale del nome di questi e la t (enfatica) del nome indigeno (Nabat) dei Nabatei. Comunque, è quasi certo che essi furono una popolazione araba nomade, la quale, seguendo il ritmo millenario dell'espansione degli Arabi verso settentrione (v. arabi: Storia, III, p. 823), andò gradatamente invadendo la regione già occupata dagli Edomiti e trasformandosi in uno stato sedentario, pure conservando il dominio delle zone desertiche attraversate dalle vie carovaniere. Lo sviluppo dello stato nabateo si dovette molto probabilmente (per quanto ne manchi la documentazione storica) alla decadenza del regno dei Sabei, il quale fino allora aveva avuto il monopolio del commercio arabo, esercitando un'egemonia economica anche sull'Arabia settentrionale. Resisi indipendenti, e arricchitisi con l'esercizio del commercio carovaniero, i Nabatei estesero il loro potere sulle regioni confinanti, giungendo, nel periodo del loro massimo fiore, a dominare l'intera zona a sud e a est della Palestina (l'odierna Transgiordania), un lungo tratto della costa del Mar Rosso (il paese dei Madianiti) e l'Arabia occidentale fino alla città di el-Ḥiǵr (odierna Madā'in Ṣāliḥ), estremo punto meridionale del loro regno. Le notizie che si hanno sulla storia di questo sono purtroppo frammentarie, trovandosene menzione soltanto negli storici del periodo ellenistico e romano i quali ne fanno parola a proposito dell'intervento dei Nabatei nella storia generale dell'Oriente: la più antica notizia che si riferisca a essi è quella di Diodoro Siculo (XIX, 94-100) intorno alla spedizione inviata contro essi da Antigono nel 312. La potenza dei Nabatei andò aumentando col decadere di quella dei Seleucidi e dei Tolomei, e il suo apogeo è da porsi tra la metà del sec. II a. C. e l'occupazione romana della Siria nel 65 a. C.; la prima menzione di un sovrano nabateo, Areta I (designato ancora col nome di "tiranno" e non di re),, è del 169 a. C. Com'è ovvio, la situazione geografica dei Nabatei li fece spesso entrare in conflitto col regno giudaico dei Maccabei, ond'è che quasi tutto il materiale storico relativo a questo periodo della loro storia si trova presso Flavio Giuseppe. Il più grande dei loro re, Areta III (circa 85-60 a. C.), sconfisse l'ultimo seleucide Antioco XII, impadronendosi della Celesiria e di Damasco, e intervenne nel conflitto tra Ircano e Aristobulo per il regno di Giudea, ponendo perfino l'assedio a Gerusalemme; ma l'intervento di Scauro lo costrinse a desistere. Pompeo, dopo un tentativo fallito di debellare i Nabatei nelle loro regioni inaccessibili, li lasciò sussistere. Implicati, sotto il re Molcho I, nella lotta tra Antonio e Ottaviano, ebbero scarso favore da Augusto, a vantaggio di Erode; onde una serie di guerre con questo, e di tentativi per riconquistare il favore dei Romani, nei quali si segnalò Silleo (Šullay), ministro del re Obodà II (e di fatto vero padrone del regno), che, accusato poi presso Augusto per gl'intrighi di Erode, si recò a Roma e fu giustiziato. Sotto Areta IV (9 a. C.-40 d. C.) la potenza nabatea si risollevò, grazie al favore dei Romani, non più così propensi come sotto Erode al regno giudaico (sotto lui Damasco appartenne nuovamente ai Nabatei, come risulta da un noto passo di S. Paolo, II Corinzî, II, 32), e la rivolta giudaica del 67 d. C. con la conseguente caduta di Gerusalemme giovò loro. Ma a non molti anni di distanza il regno nabateo cadde vittima della politica orientale di Traiano, il quale lo distrusse, riducendolo a provincia col nome di Arabia; sembra, da indizî non del tutto sicuri, che almeno un altro re nabateo, dopo colui sotto il quale ebbe luogo la conquista romana (Rabel I, 71-106), si sia mantenuto qualche tempo nelle regioni desertiche del mezzogiorno, con centro a el-Ḥiǵr. Tuttavia la fine dell'indipendenza politica non diminuì la prosperità economica dei Nabatei: la loro regione fu anzi dotata dai Romani di magnifiche strade e di splendidi edifici (specialmente a Bostra (v.), divenuta ora la capitale della provincia); la decadenza della Nabatea fu conseguenza, da un lato, del peggiorare delle condizioni interne dell'impero, che consigliarono di retrocedere il limes verso nord, dall'altro, del riaprirsi dell'altra grande arteria del commercio con l'Oriente, per l'Eufrate, Dura e Palmira: alla grandiosa espansione di quest'ultima, nel corso del sec. III, fa riscontro la graduale decadenza dei Nabatei, della quale è conseguenza il costituirsi di un nuovo centro, assai più modesto, del commercio arabo nella città di el-‛Ölā, poco a sud di el-Ḥiǵr, capitale dei Liḥyāniti (v. arabi: Storia, III, p. 823). Dopo il sec. III ogni traccia dei Nabatei scompare, e la loro funzione di tramite tra il mondo civile e il deserto arabo è assunta nei secoli seguenti da altri staterelli sorti dal ridursi a vita sedentaria delle tribù arabe dei confini del deserto (Ghassānidi, Lakhmidi, Kinditi), i quali sussistettero fino al sorgere dell'Islām.

Oltre che dalle notizie degli scrittori classici, la civiltà dei Nabatei ci è nota dalle monete (importanti per stabilire la lista dei re) e dalle iscrizioni, redatte in lingua aramaica (che dovette essere usata soltanto come lingua letteraria e nei testi più tardi si colora talvolta di arabismo) e in un alfabeto derivato da quello aramaico, peraltro con una tendenza alla legatura delle lettere tra loro, dal quale ebbe più tardi origine l'alfabeto arabo (v. alfabeto, II, p. 377; arabi: Scrittura). Caratteristici sono inoltre i loro monumenti sepolcrali scavati nella viva roccia (specialmente nella capitale, Pietra) e quelli religiosi, in forma di recinti all'aria aperta, con altari e cippi in forma di obelischi (betili), tipici degli antichi culti semitici. Infatti la religione dei Nabatei mantenne, anche attraverso l'adeguamento dei nomi di alcune divinità a quelle del mondo classico, un carattere arcaico, in cui al fondo arabo primitivo si accoppia l'influsso dei culti aramaici: il dio nazionale era Dusares (Dhū Sharā, probabilmente il signore della regione montuosa di Sharāh), identificato con Zeus e con Dioniso, in realtà una delle molteplici forme del dio semitico della fertilità, accanto al quale compare una paredra femminile (la panarabica Allāt) e altre divinità minori. Assai poco ci è noto della costituzione politica dei Nabatei: caratteristica è l'importanza che, accanto al re, assumono la regina e il primo ministro, designato spesso col titolo di "fratello del re" (forse per influsso tolemaico); la monarchia doveva avere un carattere semifeudale: i varî distretti appaiono sottomessi a "strateghi", sotto il quale nome greco sopravvivono probabilmente i capi delle tribù.

All'arte i Nabatei non hanno dato nessun contributo particolare: quanto dei loro monumenti non è sopravvivenza delle semplicissime forme dell'arte religiosa semitica primitiva è di origine e di carattere ellenistico e romano. Tuttavia i singolari monumenti rupestri di Petra, la cui disposizione architettonica era imposta dalla natura del luogo, hanno forse suggerito all'architettura romana del periodo traianeo alcune ingegnose applicazioni.

Bibl.: E. Schürer, Geschichte des jüdischen Volkes im Zeitalter Jesu Christi, 3ª e 4ª ed., I, Lipsia 1901-02, pp. 724-744; A. Kammerer, Pétra et la Nabatène, Parigi 1925, voll. 2, con ricca bibliografia e illustrazioni; M. Rostovtzeff, Città carovaniere, trad. it., Bari 1934, pp. 1-49; G. Cantineau, Le Nabatéen, Parigi 1930-32 (per la lingua delle iscrizioni).