Mutamento della qualificazione giuridica del fatto. Il canone jura novit curia

Libro dell'anno del Diritto 2012

Mutamento della qualificazione giuridica del fatto. Il canone jura novit curia

Carlotta Conti

Mutamento della qualificazione giuridica del fatto
Il canone iura novit curia

La materia della riqualificazione del fatto da parte del giudice è oggetto di intenso dibattito a seguito delle vicende intervenute negli ultimi anni. Con la sentenza Drassich del dicembre 2007 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato il nostro Paese ribadendo il consolidato principio in base al quale, in caso di modifica della qualificazione giuridica del fatto, all’imputato deve essere garantito il diritto al contraddittorio. La Cassazione, ben consapevole delle pronunce costituzionali sul valore della CEDU nella gerarchia delle fonti, ha tentato in più occasioni – e con varietà di soluzioni – di prospettare un’interpretazione adeguatrice dell’art. 521 c.p.p. Dal canto suo, la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla questione, ha ribadito l’imprescindibile necessità di un intervento legislativo. Siffatti rivolgimenti sono destinati a produrre effetti di trascinamento sul futuro assetto ermeneutico e normativo della materia.

La ricognizione. Il contraddittorio sulla diversa qualificazione giuridica del fatto

Una questione molto discussa, che si segnala per le difficoltà incontrate nel reperire una soluzione soddisfacente in assenza di un intervento normativo chiarificatore, concerne il mutamento della qualificazione giuridica del fatto effettuato dal giudice in forza del potere riconosciutogli dall’art. 521, co. 1, c.p.p. In proposito, la disciplina del codice si pone in contrasto con i canoni dettati dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo, così come interpretata dalla Corte di Strasburgo.

Il sistema italiano

Salve le ipotesi in cui la nuova qualificazione rientri nella competenza di un giudice superiore o ricada all’interno delle attribuzioni del tribunale in composizione collegiale, l’art. 521, co. 1, c.p.p. consente al giudice di «dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione» direttamente in sentenza e senza alcun previo contraddittorio con le parti. Una simile disciplina costituisce il retaggio di un’impostazione piuttosto arcaica, ben ipostatizzata dal brocardo iura novit curia, in base alla quale la sussunzione del fatto all’interno della fattispecie incriminatrice costituisce prerogativa del giudice1. Proprio il predetto approccio ha indotto i conditores ad articolare la disciplina codicistica su di un “doppio regime” polarizzato sulla distinzione tra quaestio facti, per definizione terreno di contraddittorio e di iniziative probatorie, e quaestio iuris, nel cui ambito alligna, sovrana, la cognizione del giudice in ossequio al principio di legalità. Da sempre la dottrina evidenzia l’artificiosità – talora l’ingannevolezza – di una simile dicotomia. Pare addirittura ozioso notare, infatti, come il mutamento della qualificazione giuridica possa comportare una variazione dei profili di rilevanza degli elementi fattuali e, dunque, non si discosti qualitativamente rispetto alle modifiche inerenti ai veri e propri profili naturalistici dell’addebito2. Soltanto negli ultimi anni, tuttavia, la giurisprudenza ha mostrato una spiccata sensibilità al problema, sull’onda – come ormai di consueto accade – delle indicazioni della Corte europea, vieppiù pressanti qualora si traducano in una condanna nei confronti del nostro ordinamento.

Le direttrici europee e la sentenza Drassich c. Italia

Invero, da tempo ormai la Corte europea afferma che il diritto ad un processo equo impone alle autorità di informare l’imputato, nel più breve tempo possibile, non solo dei fatti materiali posti a suo carico, ma anche della qualificazione giuridica ad essi attribuita così da riconoscergli un’occasione concreta ed effettiva di difendersi in relazione ad essa3. Ove, infatti, l’accusato sia messo al corrente di tale evenienza, egli, attraverso il proprio avvocato, potrà argomentare diversamente o indicare ulteriori mezzi di prova. Tuttavia, la spinta più forte verso un concreto ripensamento della materia deve attribuirsi alla sentenza del 2007 Drassich c. Italia (C. eur. dir. uomo, 11.12.2007, ricorso n. 25575/04) con la quale i giudici di Strasburgo hanno addebitato al nostro ordinamento una violazione strutturale della Convenzione dovuta alla disciplina accolta dal codice nella materia de qua. Ridotta all’essenza, la questione ha investito come un’onda il nostro ordinamento per un duplice ordine di ragioni. Per un verso, ha aggravato la problematica relativa all’assenza di uno strumento giuridico finalizzato a consentire la riapertura dei processi, onde dare esecuzione alle condanne della Corte europea. Come è noto, sul punto è intervenuta la Corte costituzionale che, con la sentenza n. 113/2011 (C. cost., 7.4.2011, n. 113), ha ampliato l’ambito applicativo della revisione. Per un altro verso, si è incastonata sul più ampio sfondo della necessaria integrazione tra l’ordinamento interno e quello convenzionale alla luce della giurisprudenza inaugurata dalla Corte costituzionale nel 2007, che ravvisa nelle norme europee una fonte normativa interposta rispetto all’art. 117 Cost. nel giudizio di costituzionalità delle leggi ordinarie. È questo secondo aspetto che interessa segnatamente nella presente sede. Infatti, poiché l’art. 521, co. 1, c.p.p. appare non allineato con le garanzie convenzionali, tale norma, ove non sia sottoposta ad una interpretazione adeguatrice, risulta votata ad una declaratoria di illegittimità costituzionale o ad un intervento del legislatore.

La focalizzazione. Lo sforzo interpretativo della Cassazione

Proprio al fine di evitare conseguenze esiziali, la Corte di cassazione, in varie occasioni, ha affermato la percorribilità di una interpretazione costituzionalmente conforme vagliando ricostruzioni ermeneutiche che valessero ad esorcizzare differenti approcci nomopoietici. Così, in una prima sentenza si è ravvisata una tutela adeguata del diritto di difesa nel consentire all’imputato di contraddire sul nomen iuris nel giudizio di legittimità4. In una diversa occasione, la Cassazione ha sostenuto che – disposta la riqualificazione nel giudizio d’appello – l’imputato aveva comunque avuto la possibilità di contraddire su tale oggetto nel corso del procedimento de libertate ove si era profilata una simile eventualità, con una singolare deriva rispetto alla consueta affermazione della impermeabilità del procedimento principale rispetto alle evenienze dell’incidentale5. Mostrando una più accentuata sensibilità alla tutela del diritto di difesa, in una più recente pronuncia, la Corte, da un lato, ha ribadito la possibilità di perseguire in via ermeneutica un’interpretazione convenzionalmente conforme dell’art. 521, co. 1, c.p.p.; da un altro lato, ha precisato che «occorre garantire all’imputato di interloquire concretamente, sin dalla fase di merito, sulla diversa definizione giuridica del fatto» e che «il diritto al contraddittorio e alla difesa anche in ordine alle questioni giuridiche di qualificazione del fatto deve essere garantito, normalmente, nella stessa fase in cui si verifica la modificazione dell’imputazione»6.

I profili problematici. Chiarezza dei fini e complicazione dei mezzi

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte è possibile affermare che, sul piano dei princìpi, è ormai pacifica la necessità di garantire il contraddittorio sulla qualificazione giuridica in ossequio alle direttrici convenzionali ma, ancor prima, in attuazione dei valori accolti dalla Carta fondamentale. Dal sistema costituzionale, infatti, si desume che la questione non interessa soltanto il diritto di difesa dell’imputato, bensì ha una rilevanza più generale ed oggettiva. Ogni modifica del nomen iuris, ancorché si risolva in una derubricazione, rileva con riguardo al diritto alla prova di tutte le parti ed alla necessaria attuazione del contraddittorio nell’ottica del miglior accertamento del fatto7. Tutti i predetti valori costituzionali, colti nel loro spirito autentico, spingono – fors’anche con maggiore intensità – nel medesimo senso indicato dalla Corte europea. Sul fronte delle proclamazioni astratte, occorre tenere presente che l’orientamento della Suprema Corte, volto a garantire l’attuazione del contraddittorio nella stessa fase in cui la riqualificazione è stata effettuata, appare senz’altro il più sensibile alle predette esigenze. Tuttavia, sul piano della concreta attuazione, più di una perplessità suscita l’«ottimismo» della Cassazione circa la possibilità di prospettare un’interpretazione adeguatrice dell’art. 521, co. 1, c.p.p. Qualcosa, infatti, nel quadro ricognitivo resta scomposto e risulta piuttosto arduo trovare – senza indulgere a forzature normative e sistematiche – una sede tipica ed adeguata nella quale collocare un vero e proprio incidente in contraddittorio sulla modificazione del nomen iuris. Non si deve dimenticare che tale modificazione può avvenire in svariati momenti caratterizzati da regole e princìpi talora divaricati (si pensi alle differenze che intercorrono tra l’udienza preliminare ed il dibattimento in primo grado o in appello). La disciplina da applicare dovrebbe consentire al giudice di palesare alle parti una siffatta eventualità pur mantenendo il connotato dell’imparzialità, che secondo alcuni potrebbe venir meno qualora si ritenesse che l’opinione sulla riqualificazione non possa prescindere dal convincimento circa la sussistenza del fatto. Al tempo stesso, le parti – e segnatamente l’imputato – dovrebbero godere di uno spazio adeguato per la piena articolazione delle rispettive difese, se del caso optando per la celebrazione di riti alternativi.

L’invito declinato dalla Corte costituzionale e la necessità di un intervento legislativo

Perfino il Giudice delle leggi, chiamato a pronunciarsi sulla parallela – e forse meno complessa questione – della riqualificazione del fatto nell’udienza preliminare, non ha sollecitato il giudice a quo ad una interpretazione conforme – come ormai di frequente accade – bensì ha sottolineato che, di fronte ad una molteplicità di alternative prospettabili, si manifesta l’imprescindibile necessità di un intervento legislativo8. Risulta, infatti, assai complesso individuare con nettezza, in via meramente ermeneutica, quali sono le sedi nelle quali il giudice – anche nell’ottica dell’esclusione di una menomazione dell’imparzialità – può e deve esternare il proprio convincimento circa la necessaria modifica, se del caso applicando in via analogica l’art. 507 c.p.p. oppure restituendo gli atti al pubblico ministero; quali sono gli strumenti attivabili a fronte di una simile eventualità, che variano dall’applicazione delle norme relative al mutamento dell’imputazione, alla regressione del procedimento al momento in cui la diversità emergeva ex actis, ad un’attivazione del contraddittorio con sospensione della deliberazione della sentenza, ad una ricerca casistica ed ex post di eventuali spazi dialettici già realizzatisi finanche nel procedimento incidentale9. Occorre altresì tenere presente che non si tratta di un problema inedito, giacché i conditores già ne avevano preso atto in sede di Relazione al progetto preliminare del codice del 1988 (119). All’epoca era stata proposta l’adozione di una disciplina analoga a quella prevista per la contestazione del fatto diverso, oppure la previsione di un dovere del giudice di rendere nota preventivamente la decisione di modificare la qualificazione giuridica, consentendo la discussione sul punto. Tuttavia entrambe le soluzioni erano state scartate sul rilievo che esse «avrebbero comportato un dispendio di attività probabilmente eccessivo e il rischio, in pratica, di indurre il giudice a conformarsi in ogni caso al nomen iuris contestato». Infine, è appena il caso di sottolineare che la questione pare destinata a riverberarsi sull’ambito applicativo dell’art. 516 c.p.p. relativo alla modifica dell’imputazione. Anche se non risultano precedenti specifici, infatti, probabilmente la necessità di garantire il contraddittorio spingerà a ricomprendere all’interno di tale norma alcune ipotesi-limite collocate sul crinale, talora sottile, che separa la modifica della qualificazione giuridica rispetto al vero e proprio mutamento del fatto.

Note

1 Capone, Iura novit curia. Studio sulla riqualificazione giuridica del fatto nel processo penale, Padova, 2010.

2 Si veda Orlandi, L’attività argomentativa delle parti nel dibattimento penale, in Ferrua-Grifantini- Illuminati-Orlandi, La prova nel dibattimento penale, IV ed., Torino, 2010, 62; Rafaraci, Le nuove contestazioni nel processo penale, Milano, 1996, 291. Sul punto, Caianiello, La riapertura del processo ex art. 625-bis c.p.p. a seguito di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Cass. pen., 2009, 1457; Kostoris, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione e obbligo di conformarsi alle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo: considerazioni sul caso Drassich, in Giur. it., 2009, 2523.

3 C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 25.3.1999, ricorso n. 25444/94, Pélissier e Sassi c. Francia; C. eur. dir. uomo, sez. I, 17.7.2001, ricorsi nn. 29900/96, 29901/96, 299902/96, 29903/96, Sadak e altri c. Turchia; C. eur. dir. uomo, sez. I, 20.4.2006, ricorso n. 42780/98, I.H. c. Austria. In argomento, Colella, La disciplina della modifica in iure dell’imputazione davanti alla Corte costituzionale per violazione del diritto di Strasburgo, in Giur. mer., 2009, 2535; De Matteis, Diversa qualificazione giuridica dell’accusa e diritto di difesa, in Balsamo-Kostoris, Giurisprudenza europea e processo penale italiano, Torino, 2008, 215; Iacobacci, Riqualificazione giuridica del fatto ad opera della Corte di cassazione: esercizio di una facoltà legittima o violazione del diritto di difesa?, in Giur. it., 2008, 2584; Mele, La diversa qualificazione del fatto operata ex officio e la tutela del diritto al contraddittorio, in Dir. pen. e processo, 2011, 77; Pierro, Equità del processo e principio di legalità processuale, in Dir. pen. e processo, 2009, 1519; Quattrocolo, Riqualificazione del fatto: una parola, ma non conclusiva, della Corte Costituzionale, in Legisl. pen., 2010, 337; Rafaraci, Poteri d’ufficio e contraddittorio sulla riqualificazione giuridica del fatto: la Consulta rimanda al legislatore, in Giur. cost., 2010, 1165; Sculco, Diversa qualificazione giuridica del fatto e prerogative difensive, in Cass. pen., 2011, 633; Ubertis, Principi di procedura penale europea, II ed., Milano, 2009, 56 ss.

4 Si tratta dello stesso caso Drassich che aveva dato luogo alla condanna da parte della Corte europea, riaperto dalla Cassazione attraverso uno strenuo e fantasioso accorgimento ermeneutico imperniato sull’art. 625 bis c.p.p. La Suprema Corte, mediante l’istituto del ricorso straordinario per errore di fatto aveva ripreso il giudizio di legittimità nel cui ambito si era verificata la diversa qualificazione che aveva determinato la violazione della Convenzione. Cass., sez. VI, 11.12.2008, Drassich, in Cass. pen., 2009, 1457. Sulla sentenza Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne al sistema processuale penale: alcune riflessioni e spunti de iure condendo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 1514; Gabrielli, Decisum del giudice europeo e parziale rimozione del giudicato, in Giur. it., 2009, 2295; Lonati, Il «caso Drassich»: continua l’opera di supplenza della giurisprudenza di fronte alla perdurante (e sconcertante) inerzia del legislatore italiano in tema di esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Cass. pen., 2011, 262; Quattrocolo, Giudicato interno e condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo: la Corte di cassazione inaugura la fase rescissoria, in Cass. pen., 2010, 2622.

5 Cass., sez. I, 8.3.2010, D.G.B., in Dir. pen. e processo, 2011, 75, relativa ad una ipotesi di derubricazione del reato da partecipazione ad associazione mafiosa a favoreggiamento.

6 Cass., sez. VI, 28.5.2010, Fadda, in CED Cass., n. 247371 e in Cass. pen., 2011, 1834 con osservazioni di Bruni. In termini, Cass., sez. I, 11.5.2011, Corsi, in CED Cass., n. 250275, che ha dichiarato la nullità della sentenza ex art. 178, lett. c) in relazione ad un’ipotesi di derubricazione. In senso restrittivo, Cass., sez. II, 13.10.2011, n. 36891, secondo cui non vi è alcun vizio quando l’originaria contestazione contenga gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza e si accerti che l’indagato ha potuto difendersi.

7 Sul punto, De Matteis, Diversa qualificazione giuridica dell’accusa e diritto di difesa, in Balsamo- Kostoris, Giurisprudenza europea e processo penale italiano, cit., 227 ss.; Rafaraci, Poteri d’ufficio e contraddittorio, cit., 1172.

8 C. cost., 17.3.2010, n. 103, in Giur. cost., 2010, 1163.

9 Per le variegate soluzioni proposte in dottrina, De Matteis, Diversa qualificazione giuridica dell’accusa e diritto di difesa, cit., 225; Kostoris, Diversa qualificazione giuridica, cit., 2521; Parlato, Riapertura del processo iniquo per modifica “viziata” del nomen iuris, in Dir. pen. e processo, 2008, 1589; Rafaraci, Poteri d’ufficio e contraddittorio, cit., 1178; Vele, Diversa qualificazione giuridica del fatto e violazione del principio del contraddittorio, ibid., 2010, 687; Zacchè, Cassazione e iura novit curia nel caso Drassich, in Dir. pen. e processo, 2009, 786.

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