ECOLOGISTI, MOVIMENTI

Enciclopedia Italiana - V Appendice (1992)

ECOLOGISTI, MOVIMENTI

Marino Sinibaldi

Negli ultimi decenni il deterioramento sempre più grave delle condizioni ambientali su tutto il pianeta, l'allarme provocato dalla profondità e irreversibilità dei guasti già prodotti e i pericoli ormai evidenti di rottura definitiva dell'equilibrio tra uomo e natura hanno favorito il formarsi e ampliato la diffusione e l'importanza di gruppi e associazioni impegnati in campo ecologico. Un'accresciuta sensibilità sociale alle tematiche della qualità della vita e dell'ambiente ha permesso ai m.e. di assumere, almeno nei paesi industrialmente più avanzati, un consistente peso nell'opinione pubblica e, di conseguenza, un significativo ruolo sia politico che elettorale. Questo processo ha comportato una profonda trasformazione delle tradizionali organizzazioni per la difesa della natura che sono all'origine degli attuali m. ecologisti.

I primi gruppi per la conservazione e la protezione della natura, espressione di una embrionale presa di coscienza sui pericoli insiti nel processo di sviluppo economico e industriale, sorsero nella seconda metà del 19° secolo. Forme di contestazione e persino di aperto rifiuto del progresso economico e delle sue conseguenze sugli uomini e la natura erano presenti da tempo nell'opera di filosofi e scrittori, per es. in buona parte della corrente romantica, soprattutto nei paesi anglosassoni e in Germania. Ma si trattava di manifestazioni isolate, anche se importanti sul piano intellettuale e di storia della cultura. Con la seconda metà dell'Ottocento nascono invece le prime associazioni che traducono quelle critiche in proposte concrete di salvaguardia dell'ambiente. Questo processo si è naturalmente sviluppato con maggiore celerità nei paesi più precocemente coinvolti dal processo di industrializzazione: in Inghilterra il gruppo ambientalista più antico tra quelli ancora esistenti, la Commons, Open Spaces and Footpaths Preservation Society, fu fondato nel 1865, e nel 1890 contava più di tremila membri. Negli anni successivi organizzazioni analoghe sorsero in Germania, Francia, Stati Uniti, Olanda, Svizzera, Italia e, in generale, ovunque lo sviluppo industriale, l'introduzione di nuovi metodi in agricoltura, la crescita demografica, l'urbanizzazione e gli altri fenomeni connessi con il progresso economico e tecnologico misero in crisi, insieme agli antichi sistemi di vita, anche le tradizionali modalità del rapporto tra uomo e natura.

Fin dai suoi inizi, il pensiero dei m.e. differì sostanzialmente da ciò che costituiva la principale critica organica allo sviluppo capitalistico, il pensiero marxista. A prima vista, infatti, i gruppi naturalisti e conservazionisti si ponevano obiettivi più limitati di quelli riformatori o rivoluzionari del movimento socialista. Ma da un punto di vista più profondo, come è apparso chiaramente negli sviluppi successivi, le posizioni dei m.e. potenzialmente contenevano motivi assai radicali di critica perché non contestavano la diseguale distribuzione delle ricchezze né la concentrazione in poche mani dei mezzi di produzione, ma i modi e le forme stesse dei nuovi processi economici e tendevano dunque a porne in dubbio i fondamenti. Quella che i m.e. hanno messo in discussione è l'idea stessa di progresso e la concezione ottimista e positiva della storia; concezione comune sia ai sostenitori dello sviluppo capitalistico che ai suoi critici marxisti.

Questa relativa ma crescente autonomia tanto dalle ideologie liberali che da quelle marxiste ha segnato la maturazione dei m. ecologisti. Dopo la fase pionieristica, negli anni a cavallo tra 19° e 20° secolo nacquero le associazioni − come il Sierra Club americano, il National Trust britannico, i gruppi olandesi e svedesi − cui si fa risalire la nascita dell'ambientalismo moderno. La sua prima fase di attività può essere sintetizzata citando alcune delle iniziative di maggiore importanza su scala internazionale, come la costituzione nel 1872 del primo parco naturale della storia, quello di Yellowstone, negli Stati Uniti, o il primo accordo per la protezione delle foche nel mare di Bering, firmato a Parigi nel 1883. Sempre a Parigi ebbe luogo nel 1895 una Convenzione internazionale sulla tutela degli uccelli benefici per l'agricoltura e nel 1909 un Congresso internazionale per la salvaguardia del paesaggio.

Questa serie di iniziative documenta l'area di sensibilità e d'interesse delle prime associazioni ambientaliste: la difesa delle bellezze naturali, la protezione delle specie animali minacciate di estinzione, la creazione di aree che limitassero l'appropriazione industriale e monopolistica del territorio. Negli stessi anni lo sviluppo delle Società di storia naturale e dei Touring Club segnalava le forme disparate che assumeva l'interesse per una dimensione della vita umana, per secoli prerogativa di artisti e comunque di gruppi limitati della società, che solo ora cominciava a coinvolgere strati e classi più ampi.

Ma agli inizi del 20° secolo questo allargamento aveva ancora dimensioni ridotte. La prima fase di formazione e attività delle associazioni ambientaliste si chiude nei primi decenni del Novecento anche per la diffusione ben più potente ed estesa delle grandi ideologie che segneranno la storia politica e culturale di buona parte del secolo. Il processo di coordinamento delle associazioni ambientaliste a livello sovranazionale venne rallentato dall'irrigidirsi delle relazioni internazionali e dalle guerre: con il Primo congresso internazionale sulla protezione della natura (Parigi 1923) e poi con l'istituzione a Bruxelles di un Bureau International pour la Protection de la Nature si era avviato un processo che negli anni successivi si arrestò per riprendere solo dopo la seconda guerra mondiale, con la fondazione nel 1948, sotto l'egida dell'UNESCO, dell'UICN (Union Internationale pour la Conservation de la Nature).

Non è un caso, invece, che negli anni tra le due guerre mondiali lo sviluppo dell'attività ambientalista sia stato maggiore nei paesi che, come gli Stati Uniti, restarono relativamente indenni dalle tensioni ideologico-politiche e dai rivolgimenti sociali che agitarono l'Europa. Soprattutto la grande depressione seguita alla crisi del 1929 e le misure decise dal governo statunitense per farvi fronte, rappresentarono per gli ambientalisti americani l'occasione di un impegno di tipo nuovo, che per certi versi anticipa la dimensione dei m.e. del dopoguerra. L'amministrazione Roosevelt adottò un programma di ricostruzione ecologica, culminato nel Wildlife Restoration Act del 1937, col quale intendeva riparare a una politica d'indifferenza verso lo stato di conservazione della natura, e in particolare delle acque e delle foreste, che era stata una causa non secondaria dei disastrosi effetti assunti da fenomeni naturali come la siccità. Il New Deal offrì dunque un'occasione d'intervento per le associazioni ambientaliste e di verifica di alcune delle loro tesi. Ma la crisi provocò anche una radicalizzazione delle posizioni ambientaliste: nel 1938 l'American Committee for International Wildlife Protection giunse a mettere sotto accusa la totalità della civiltà tecnologica, riproponendo come inconciliabile l'opposizione tra ''natura'' e ''cultura''. Questi due diversi sviluppi dell'ambientalismo americano degli anni Trenta prefiguravano le diverse opzioni che si presenteranno dentro i m.e. degli anni più recenti.

Dopo la seconda guerra mondiale associazioni e m.e. hanno assunto un ruolo più ampio e diffuso su scala mondiale. Le ragioni sono molteplici. Anzitutto si propagano, in almeno un terzo della Terra, quei metodi di produzione e quei modelli di consumo, a cominciare dalla motorizzazione, che più profondamente mutano la qualità della vita e più seriamente minacciano l'equilibrio naturale. In secondo luogo esplode, in questo caso su scala planetaria, il problema demografico. In terzo luogo si affacciano in modo sempre più prepotente alcuni problemi, come quello della produzione di energia e dello smaltimento dei rifiuti, di forte impatto ecologico. Di conseguenza, le grandi questioni ambientali assumono una stringente attualità e manifestano il loro peso direttamente sulla vita quotidiana dei cittadini.

La nuova fase dal dopoguerra fino agli anni Settanta è stata dunque contrassegnata da una graduale diffusione dei m.e. e da un allargamento della loro area di interessi. Alle tematiche tradizionali se ne sono intrecciate di nuove. Alla salvaguardia dell'ambiente e alla tutela del territorio si è aggiunta la difesa dei centri urbani dall'invasione delle automobili e la lotta contro la speculazione immobiliare che porta all'edificazione selvaggia delle periferie urbane; alla mobilitazione in difesa di habitat naturali e di specie animali minacciate di estinzione, si è unita la lotta contro l'inquinamento industriale, i lavori e i consumi nocivi. La stessa tradizione escursionistica, di scoperta e valorizzazione delle bellezze naturali, si è scontrata con la crescita distorta del turismo di massa. Questo ampio spettro di attività ha contribuito a mutare gradualmente i connotati delle tradizionali associazioni ambientaliste, fino ad allora rinchiuse, nella loro maggioranza, in un ambito naturalista e conservazionista. Questo processo ha raggiunto il suo culmine nel corso degli anni Settanta, quando i m.e. hanno definitivamente cambiato volto, moltiplicando la loro influenza.

All'origine di questo salto qualitativo ci sono stati anzitutto l'allarme e l'indignazione ampiamente diffusi per una serie di episodi che, pur diversi tra loro, convergevano nel segnalare lo stato del degrado e l'enormità dei pericoli. Nel 1972 una Conferenza dell'ONU a Stoccolma e la comparsa del rapporto commissionato dal Club di Roma al Massachusetts Institute of Technology su I limiti dello sviluppo hanno rappresentato uno spartiacque decisivo. In particolare il rapporto del Club di Roma, provenendo da ambienti non lontani da quelli della dirigenza economica, industriale e scientifica, ha avuto un enorme rilievo per la drasticità con cui ha messo in luce i danni già irreversibili e i pericoli catastrofici all'orizzonte. Apertamente in discussione, per es., vi si prospetta il mito della scienza che aveva accompagnato dal dopoguerra l'affermazione dei sistemi sia capitalistici che socialisti.

Ma è stata soprattutto una serie di eventi drammatici e di grande impatto emotivo a spostare in tutto il mondo simpatie e consensi a favore delle associazioni e dei m. ecologisti. Appena un anno dopo il drammatico rapporto del Club di Roma, la cosiddetta ''crisi del petrolio'', provocata da un aumento dei prezzi deciso dal ristretto gruppo dei paesi produttori, evidenziava la gravità del problema energetico, la fragilità e i costi del modello di sviluppo prevalente nel mondo. Una serie di incidenti e disastri ha poi definitivamente rimarcato la distorsione nei rapporti tra uomo e territorio, tra industria e natura. Il naufragio della petroliera Torrey Canyon nel 1967, col rovinoso inquinamento delle coste della Bretagna − un evento che in varie forme si è più volte ripetuto in questi anni, con esiti particolarmente drammatici nel caso della petroliera Exxon-Valdez in Alasca nel 1989 −, le fughe di gas tossici dalle industrie chimiche di Seveso, in Lombardia, nel 1976, e poi quella catastrofica di Bhopal, in India, nel 1984, gli incidenti nucleari di Three Mile Island ad Harrisburg in Pennsylvania, nel marzo 1979, e quello, di proporzioni epocali, che ha avuto luogo nell'aprile 1986 a Černobyl, nell'Ucraina sovietica, sono altrettanti drammatici passaggi lungo i quali è cresciuta, su scala mondiale, la sensibilità ai problemi insistentemente denunciati dalle associazioni ecologiste. In particolare gli incidenti connessi all'uso pacifico e industriale dell'energia nucleare hanno mostrato la debolezza di un assioma decisivo del nostro modello di sviluppo: quello della produzione d'energia a basso prezzo e su scala illimitata.

Sullo sfondo dello shock provocato da questi episodi, si è progressivamente imposta all'attenzione dell'opinione pubblica mondiale una serie di grandi minacce che con drammatica suggestione segnalano l'enormità dei guasti compiuti nella natura: le piogge acide, la polluzione dei fiumi e l'eutrofizzazione dei mari, l'assottigliarsi della fascia d'ozono e il cosiddetto ''effetto serra'' sono solo alcune di queste emergenze che hanno superato i limiti del dibattito scientifico e sono diventate elemento di presa di coscienza e di discussione collettiva, in modo perfino ossessivo per lo spazio loro offerto dai mezzi di comunicazione di massa.

L'ultima stagione dei m. e. è segnata dall'allarme generato da questi eventi e da questi problemi. L'urgenza e l'ampiezza con cui questioni del genere tendono a porsi ha provocato una radicalizzazione dei m. e. e una loro politicizzazione. Da un lato l'ecologismo è diventato una visione del mondo e un modo di vita, oltre che una corrente di difesa della natura. D'altro canto, il processo di rafforzamento dei m.e. in numerosi paesi li ha convinti, in modo più o meno sofferto, a presentarsi direttamente sul terreno politico ed elettorale. Inoltre, assai rilevante è stato in questa fase l'impegno pacifista, soprattutto nei paesi europei coinvolti dal riarmo atomico dei primi anni Ottanta.

Un altro elemento di novità dei m. e. è rappresentato infatti dai metodi di mobilitazione e di lotta. Rifiutando fino ad anni recenti il coinvolgimento diretto sul terreno elettorale, le associazioni ambientaliste hanno privilegiato da un lato l'attività di pressione sulle istituzioni politiche, dall'altro le iniziative di azione diretta su obiettivi limitati e concreti. Salvo alcune recenti e ambigue manifestazioni di cosiddetto ''ecoterrorismo'', sempre netto è rimasto nel campo ecologista il rifiuto della violenza; è anzi all'interno di questi gruppi che hanno trovato un'ampia e creativa applicazione i principi e i metodi della nonviolenza. Questo impegno pacifista ha provocato la ricomparsa di divisioni politiche, come quella tradizionale tra ''destra'' e ''sinistra'', che gli ecologisti si proponevano di superare.

Nell'affermarsi all'interno dei m.e. di una vera e propria visione del mondo alternativa a quella dominante, ha influito una serie di pensatori che, dal dopoguerra in poi, hanno progressivamente approfondito l'elaborazione critica. Nonostante le loro nette differenze di provenienza e di pensiero, intellettuali e scienziati come I. Illich, G. Bateson, B. Commoner, E. Goldsmith, F. Capra, J. E. Lovelock, A. Gorz, R. Bahro, F. Hirsch, M. Bookchin e molti altri hanno profondamente influenzato la cultura non solo ecologista degli ultimi trent'anni. La nuova generazione ecologista è di conseguenza segnata dall'intreccio tra iniziative singole e concrete e una visione generale del mondo cui non sono estranei tratti apertamente utopici.

Sintetizzata efficacemente nel popolarissimo slogan ''Pensare globalmente, agire localmente'', questa tendenza è del resto rafforzata dal modo in cui la questione ecologica si è posta in questi ultimi anni: come emergenza assoluta, dalle infinite implicazioni, che però può essere affrontata solo a partire dalle piccole dimensioni in cui concretamente s'influisce e su cui si ha potere.

Questa dichiarazione di metodo è oggi probabilmente il maggior fattore di omogeneità all'interno dei m. ecologisti. Essi comprendono infatti una vasta area di opzioni ideali e politiche, da quelle più moderate e inclini a proporre misure in grado di limitare i danni ambientali a quelle che auspicano, e qualche volta sperimentano, un radicale mutamento di valori. Questa eterogeneità è cresciuta dal momento in cui i m. e. hanno raccolto buona parte dell'eredità dei movimenti giovanili di contestazione e di critica radicale esplosi negli anni Sessanta. Soprattutto dopo la caduta delle ideologie e in particolare con la crisi del marxismo come teoria e nelle sue realizzazioni concrete, i m. e. hanno allargato notevolmente la propria base sociale e la propria rappresentanza politica. Nuove associazioni, come il WWF (World Wildlife Fund) nato nel 1961, e Greenpeace, fondata nel 1971, si sono rapidamente diffuse ricevendo adesioni da tutto il mondo e conducendo battaglie ecologiche che hanno avuto un'eco enorme.

Al di là di questa parabola generale, i m.e. mantengono alcune loro peculiarità, relative anche ai contesti e ai paesi in cui operano. La Germania è la nazione in cui lo sviluppo del m.e. è stato più sorprendente. Alla radice c'è stata la moltiplicazione delle Burgerinitiativen, ossia iniziative di cittadini che si sono mobilitati spontaneamente e autonomamente a partire da problemi concreti di ambito locale, fino a organizzare due milioni di Tedeschi occidentali. Da questo ampio terreno sono sorte le liste elettorali cosiddette ''verdi'', confluite nel 1980 in un nuovo partito federale. In generale, nel m.e. tedesco pesa positivamente l'eredità di una sensibilità ambientalista e naturalista consolidata: la principale delle organizzazioni che raccolgono questa tradizione, il Deutsche Natürschutzring, conta più di tre milioni di iscritti. In Germania la mobilitazione ecologista ha attraversato un ampio spettro di tematiche, da quelle tipiche delle battaglie ambientaliste, all'opposizione alle spese militari, ai diritti delle donne e degli omosessuali, alla sperimentazione di modelli di vita comunitaria. La disomogeneità e le divisioni interne al m.e. non si sono affatto cancellate, cristallizzandosi anzi in una contrapposizione tra ''realisti'', favorevoli a sviluppare strategie politiche più aperte e flessibili, e ''fondamentalisti'', legati all'intransigente riferimento ai più radicali valori ecologisti. In Gran Bretagna il peso direttamente politico dei m.e. è per ora assai minore, ma l'influenza delle loro tematiche è assai vasta. L'associazionismo ecologico ha una tradizione antica e una forte capacità d'intervento sulle istituzioni; tra le sue diverse anime, un ruolo importante ha quella ''animalista'', di difesa delle condizioni di vita e dei diritti degli animali. La prevalenza di un ecologismo moderato ha prodotto un fatto significativo: la Gran Bretagna è stata il primo paese occidentale a dotarsi, nel 1970, di uno specifico ministero per l'Ambiente.

Altrettanto antica e radicata è la tradizione delle associazioni ambientaliste negli Stati Uniti d'America. La capacità di pressione sulle istituzioni politiche ha portato risultati importanti nel campo della legislazione sulla protezione della natura. Nel corso degli anni Sessanta, tecnici ambientalisti hanno conquistato posizioni di rilievo negli enti governativi, ma con l'epoca della presidenza di Reagan questa strategia ha conosciuto una battuta d'arresto e il governo federale ha mostrato una scarsa sensibilità per le tematiche ecologiste. La diffusione di m.e. resta comunque molto ampia, anche in virtù di una cultura tradizionalmente sensibile ai valori della natura. Se la frammentazione indebolisce il loro peso direttamente politico, rimane notevole la capacità di mobilitazione e intervento su alcuni temi, come quello dei diritti dei consumatori.

In Italia la tradizione ambientalista è molto più recente. Una tappa importante è la fondazione, che risale appena al 1955, di Italia Nostra, con un programma che tendeva a contrastare, agli inizi del ''miracolo economico'', il saccheggio del territorio. Negli anni successivi si sono affermati numerosi gruppi d'impegno naturalista e animalista, come la federazione Pro Natura, fondata nel 1959, la sezione italiana del WWF (v. in questa Appendice), costituita nel 1966, la Lega italiana per la protezione degli uccelli. Negli anni Settanta, lo scontro politico e sociale che ha attraversato la società italiana ha in gran parte ignorato le tematiche più direttamente ecologiste; con qualche eccezione, rappresentata dalla nascita di nuove associazioni, come Medicina democratica e Geologia democratica, e dal Partito radicale, cui sono state federate associazioni come gli Amici della Terra e la Lega anticaccia.

È dopo l'incidente di Seveso (1976), con la fuga di diossina dagli impianti della società chimica ICMESA e con i primi dibattiti sulle centrali nucleari, previste in gran numero dal Piano energetico nazionale approvato dal Parlamento nel 1977, che il m.e. assume in Italia una nuova dimensione, saldando tre anime: quella conservazionista, quella ambientalista e quella legata alla cosiddetta ''ecologia politica''. La fondazione nel 1980 della Lega ambiente, federata all'Arci, l'associazione ricreativo-culturale legata ai partiti della sinistra, e i tentativi di sottoporre a referendum popolare le scelte energetiche sono stati la prima espressione di questa nuova dimensione dell'ecologismo italiano. Dopo la catastrofe di Černobyl, questo processo è culminato nei referendum antinucleari del novembre 1987, quando circa l'80% dei cittadini italiani si è pronunciato contro la costruzione di centrali a energia atomica. Parallelamente, l'impegno direttamente politico di una parte del m.e. ha dato luogo alla formazione di liste elettorali ''verdi'', presenti sporadicamente fino alla metà degli anni Ottanta e poi su scala nazionale a partire dalle elezioni amministrative e da quelle politiche del 1987; in quella occasione, pur senza il sostegno di tutte le associazioni ecologiste, i Verdi già raccolsero quasi un milione di voti.

Attualmente il m.e. italiano presenta l'aspetto di un arcipelago, in cui convivono associazioni, sensibilità e culture diverse. Nonostante le divisioni e le crisi, la sua presenza nella società italiana è tuttavia notevolmente consolidata.

Questo dato conferma del resto una tendenza internazionale. Nei paesi economicamente e socialmente più sviluppati, i m.e. hanno un peso e un ruolo insostituibili. Ma è nel resto del pianeta che con la fine del 20° secolo si apre la nuova frontiera dell'ecologismo. Nell'Est europeo la caduta della cortina di silenzio ha rivelato una situazione ambientale tragica, mentre le grandi industrie multinazionali hanno da tempo esportato i metodi e le lavorazioni più nocive nei paesi del Terzo Mondo. È nelle foreste amazzoniche avidamente disboscate che si consuma il gesto anche simbolicamente più grave di distruzione dell'ambiente. Mentre rapporti attendibili, come quello pubblicato nel 1989 dal Worldwatch Institut di Washington, sottolineano l'urgenza assoluta con cui si pone il problema della salvezza della Terra, l'aggravarsi dei problemi su scala planetaria costituirà il prossimo motivo d'impegno dei m. ecologisti.

Bibl.: F. Capra, C. Spretnak, La politica dei verdi, Milano 1986; Le culture dei verdi. Un'analisi critica del pensiero ecologista, a cura di F. Giovannini, Bari 1987; Ecologia politica, a cura di P. Ceri, Milano 1987; La cultura dei verdi, a cura di A. Russo, G. Silvestrini, ivi 1987; M. Diani, Isole nell'arcipelago. Il movimento ecologista in Italia, Bologna 1988; P. Acot, Storia dell'ecologia, trad. it., Roma 1989; J. O'Connor, D. Faber, Il movimento ambientalista negli Stati Uniti, ivi 1990.

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