MOTORE

Enciclopedia Italiana - IV Appendice (1979)

MOTORE (XXIII, p. 952; App. II, 11, p. 358; III, 11, p. 164)

Mario Medici
Mario Medici
Carmelo Caputo - Massimo Feola
Mario Carafa

Sono stati raccolti sotto questo esponente anche gli aggiornamenti relativi ai turbomotori idraulici e a vapore.

Sommario. - Motori idraulici: Turbine idrauliche; Motori idraulici a pistone. - Motori termici: Motori a combustione esterna a vapore; Motori a combustione interna alternativa; Motori a combustione interna rotativi; Motori a combustione interna dinamici. - Motori elettrici: Motori a induzione; Motori a riluttanza; Motori lineari; Motori a superconduzione.

MOTORI IDRAULICI.

Turbine idrauliche (XXXIV, p. 509; App. II, 11, p. 1036). - Nel campo delle macchine idrauliche a turbina l'innovazione più importante è stata un'affermazione crescente delle macchine a funzionamento reversibile, atte, quindi, a operare con buoni rendimenti alternativamente quali macchine motrici (turbine) e quali macchine operatrici (pompe) in impianti idroelettrici caratterizzati da fasi di pompaggio, nei periodi di minore richiesta di energia elettrica, e di generazione nelle ore di maggiore richiesta da parte delle utenze (v. idroelettrici, impianti, App. III,1, p. 838).

Macchine a funzionamemo reversibile. - La soc. Riva può considerarsi una pioniera di questo indirizzo avendo allestito nel 1933 quattro pompe-turbine per la centrale idroelettrica di Baitone; si trattò di macchine ad asse orizzontale della potenza di 420 kW ciascuna, che vennero collegate a macchine elettriche reversibili corredate di un doppio sistema polare, in relazione alle due differenti velocità di rotazione nel funzionamento quale pompe e in quello quale motori. La prima macchina reversibile a palettaggio assiale è stata quella della Escher Wyss per l'impianto di Baldney-Essen nella Ruhr (1936). Negli anni Cinquanta, a opera della Neyrpic di Grenoble, vennero ideate e costruite le macchine reversibili a bulbo con palettaggi assiali, per l'impianto maremotore della Rance in Francia, che sono suscettibili di quattro tipi di funzionamento: pompaggio diretto e invertito, e turbinaggio diretto e invertito. Nello stesso periodo vennero realizzate negli SUA, a opera di E. Jaski e dell'Allis Chalmers, macchine reversibili con girante a palettaggio radiale-misto del sistema Francis. Nel campo delle macchine idrauliche a flusso semiassiale, negli anni Sessanta, sono state progettate ed eseguite macchine reversibili del sistema Deriaz (fig.1), d'ideazione britannica, che hanno trovato applicazioni anche in impianti idroelettrici di grande potenzialità.

Con macchine reversibili monogiranti è stato possibile coprire il campo di utilizzazione di altezze idriche sin oltre i 400 m (per es., nell'impianto spagnolo di Villarino); per altezze idriche superiori, si è dovuto passare alla creazione di macchine reversibili multiple, comportanti più stadi disposti in serie; dapprima ad asse orizzontale, in seguito (sulla base di ricerche di laboratorio su macchine modello a due e tre stadi, iniziate da chi scrive nel biennio 1959-60) ad asse verticale, le quali, però, essendo corredate di un distributore a pale orientabili per il funzionamento da turbomotore soltanto nel primo stadio, hanno un funzionamento, in turbinaggio, meno elastico delle monogiranti. Gl'impianti sinora eseguiti, con macchine monogiranti, hanno superato potenzialità dell'ordine dei 470 MW, utilizzando altezze idriche non superiori ai 500 m (fig. 2); per le pluristadio è in corso di attuazione in Italia l'impianto di Chiotas, che comprenderà otto gruppi con macchine reversibili verticali, quadristadio, della potenza in pompaggio di 160 MW e in turbinaggio di 148 MW, per un'altezza idrica di 1068,8 m in pompaggio e di 1048 m in turbinaggio. Per la trattazione e l'analisi teorica delle macchine elettriche a funzionamento reversibile, v. pompa, in questa Appendice.

Sebbene non possa dirsi ancora raggiunto un valore limite superiore per la potenza di queste macchine, considerazioni di carattere economico sembrano indicare che debba esistere un valore ottimale per il costo, in relazione alla potenzialità e grandezza costruttiva. Ne è derivato l'indirizzo verso l'aumento del numero tipico di macchina, dizione introdotta in sede ISO (International Standardization Organization) nel 1970 per caratterizzare una macchina idraulica a turbina, in funzione delle tre grandezze più significative del suo funzionamento: velocità angolare ω, portata Q e altezza idrica H; la sua espressione adimensionale è nT = ωQ0,5/(g H)0,75, ove g è l'accelerazione di gravità (l'impiego di nT dovrebbe far decadere l'uso delle molteplici precedenti denominazioni: numero di giri specifico, numero di giri caratteristico e le inerenti poco razionali espressioni analitiche).

Per le macchine idrauliche reversibili va fatto riferimento al funzionamento in pompaggio e alle condizioni limiti imposte dall'evitare fenomeni cavitazionali; la scelta del coefficiente σ = NPSH/HP (ove HP designa la prevalenza in pompaggio e NPSH è una sigla, Net Positive Suction Head, indicante l'altezza netta positiva all'aspirazione) dev'essere fatta con un precauzionale margine di sicurezza rispetto al valore critico oltre il quale si ha cavitazione. Ne discende l'adozione di cospicue sommergenze con le inerenti elevate contropressioni a valle.

Nei funzionamenti in pompaggio delle macchine reversibili, le pale direttrici vengono per lo più registrate in tre diverse posizioni, a seconda del valore della prevalenza da sviluppare, fra il valor minimo e il massimo; i tempi di chiusura totale dei distributori vengono tenuti uguali per il pompaggio e per il turbinaggio e nel campo dei valori dai 30 ai 40 sec, dei quali 10 ÷ 15 sec sono di "chiusura rapida" (riducente il grado di apertura al 20% ÷ 25%) e i rimanenti di "chiusura lenta".

Perfezionamenti continui hanno luogo per le profilazioni palari, sia giranti e sia fisse o registrabili, in maniera da tenere via via in maggior conto le influenze dei flussi secondari nelle correnti operative e la possibilità di cavitazione. Per i palettaggi vengono impiegate leghe di acciaio inossidabile al Cr-Ni 13/3 oppure 13/4 di elevata resistenza all'erosione.

Con riferimento alle esperienze di esercizio sinora raccolte, le cause d'indisponibilità, in ordine di frequenza dei fuori-servizio, sono le seguenti: danneggiamenti alle saldature delle giranti, dipendenti da fenomeni cavitazionali o a fenomeni vibrazionali nei transitori, e avarie varie alle pompe di servizio o all'apparecchiatura ad aria compressa per lo svuotamento della macchina nelle operazioni di avviamento, nonché la sostituzione delle guarnizioni di tenuta in corrispondenza delle giranti. I provvedimenti da adottare per contrastare i fenomeni vibrazionali nei transitori e in condizioni operative che deviano da quella nominale di funzionamento ottimale, consistono in un aumento dell'interspazio fra palettaggio girante e palettaggio direttore-distributore, un aumento del rapporto fra lo spessore e la lunghezza di queste pale, un allungamento dell'ogiva della girante e una riduzione dell'angolo di attacco delle pale giranti in corrispondenza del diametro massimo, un'insufflazione d'aria al disotto della girante e l'adozione di strutture più nervate e più robuste per il coperchio superiore della macchina reversibile. Un'accresciuta attenzione si viene ponendo, nella progettazione del reticolo palare, più con riferimento all'ottenimento di una migliore stabilità alle vibrazioni che al conseguimento di un più elevato rendimento fluidodinamico. Sperimentazioni di laboratorio su macchine modello sono indispensabili per definire le condizioni ottimali per la profilazione delle giranti, per la più efficiente geometria del diffusore/distributore e dei condotti di ritorno della corrente fluida nelle macchine multistadio, nonché del tubo di aspirazione/scarico profilato a gomito. È risultato necessario situare quanto più è possibile lontano dall'imbocco della voluta-spirale la valvola di regolazione della macchina reversibile operante quale turbomotore.

L'esperienza ha segnalato due alternative principali per effettuare l'avviamento di macchine reversibili quali pompe: a) l'accoppiamento diretto della turbina ausiliaria con la pompa svuotata d'acqua; b) l'avviamento sincrono, a frequenza ridotta, con la pompa piena d'acqua. La scelta dipende dalle condizioni specifiche e dalle disponibilità di turbogruppi nell'impianto; le condizioni possono variare considerevolmente da impianto a impianto e, quindi, comportare soluzioni differenti. Se sono richiesti tempi molto brevi per il passaggio dal funzionamento in turbinaggio a quello in pompaggio, i giunti debbono essere innestabili in movimento e quest'esigenza ouò imporre l'impiego di un turbomotore ausiliario per la manovra di lancio in pompaggio. I supporti di spinta delle macchine idrauliche reversibili debbono essere atti a funzionare in entrambi i sensi di rotazione e, quindi, operare con valore 0,5 per il rapporto caratteristico, richiedendo una costruzione simmetrica. I carichi, che i supporti debbono sopportare nelle odierne macchine reversibili di grandissima potenzialità, sono dell'ordine delle migliaia di t.

Recenti progressi nella costruzione delle turbine. - A fine 1975, le macchine idrauliche di maggiore potenza unitaria erano le seguenti:

nel campo delle turbine a getto libero, tipo Pelton, i turbomotori ad asse verticale della potenza di 270 MW ciascuno progettati dall'Hydroart (Riva-Tosi-Asgen) per l'impianto ENEL di Chiotas-Piastra;

nel campo delle turbine Francis, macchine della potenza di 750 MW (in numero di 52 in progetto, delle quali alcune in corso di costruzione) verranno installate nell'impianto idroelettrico di Grand Inga nello Zaire ed elaboreranno una caduta idrica di 135 m; le giranti avranno un diametro esterno di almeno 8 m e un peso dell'ordine di 300 t;

nel campo delle turbine a flusso semiassiale del sistema Deriaz, le macchine dell'impianto idroelettrico di Zeya sul fiume Amur, ciascuna con una potenza di 215 MW, elaborando una caduta idrica di 402 m, e con un diametro esterno della girante di 7,80 m;

nel campo delle turbine Kaplan ad asse verticale, le macchine Hydroart dell'impianto idroelettrico iugoslavo di Djerdap-Iron Gates, con una potenza, ciascuna, di 178 MW, elaborando una caduta idrica di 34,6 m; il diametro esterno delle giranti è di 9,5 m;

nel campo delle turbine-bulbo (o turbine tubolari a palettaggi assiali), le macchine Neyrpic dell'impianto statunitense di Rock Island, sviluppanti ciascuna una potenza di 54 MW; il diametro esterno di girante è di 7,40 m.

Le indicazioni precedenti valgano a illustrare il fortissimo aumento intervenuto nel periodo 1950-75 per la potenza unitaria, per le diverse classi di turbine idrauliche e, dipendentemente, il grandissimo accrescimento delle dimensioni di queste macchine. Questi aumenti sono stati accompagnati da un progressivo, crescente impiego di turbine Kaplan anche nel campo di cadute idriche precedentemente elaborate in turbine Francis (cadute idriche dell'ordine di 80 e più m) e di turbine Francis nel campo di cadute idriche sin verso i 680 m, per le quali in precedenza erano impiegate soltanto turbine Pelton (fig. 3). La caduta idrica più elevata, elaborata con turbine Francis, è attualmente di 672 m nell'impianto idroelettrico austriaco di Rosshag; si tratta di turbine della potenza di 58 MW ciascuna, che ruotano con 12,5 giri/sec ed elaborano una portata d'acqua di 9,04 m3/sec.

Per impianti di bassa caduta idrica, l'adozione di un gruppobulbo, in luogo della classica soluzione Kaplan ad asse verticale, permette di conseguire un risparmio nell'ingombro d'installazione (fig. 4).

Il campo d'impiego per le diverse classi di turbine idrauliche, definito dai valori del rapporto fra la caduta idrica e la portata d'acqua, è sinteticamente raffigurato nella fig. 3. Con le maggiori portate d'acqua, nell'intercorso periodo di tempo, si è passati da valori dell'ordine dei 350 m3/sec a valori sin verso 540 m3/sec per le turbine Kaplan, da valori dell'ordine di 150 m3/sec a valori sino a 870 m3/sec per le turbine Francis e si sono raggiunti valori da 20 a 24 m3/sec per le turbine Pelton. I rendimenti massimi hanno raggiunto valori dell'ordine del 95% per i turbomotori Kaplan e Francis, e dell'ordine del 93% per i turbomotori Pelton e, circostanza molto interessante, si è teso a renderne le curve dei valori in funzione delle portate e delle potenze meno ripide sia per le turbine Francis, sia per quelle Pelton.

È stato possibile conseguire questi cospicui risultati attraverso un continuo graduale affinamento delle conoscenze scientifico-tecniche, sia sul piano degli studi teorici e sia, principalmente, attraverso una sistematica sperimentazione in laboratorio e con l'impiego di apparecchiature d'osservazione e di misurazione man mano più perfezionate. Il passaggio a velocità più elevate ha consentito di ridurre le dimensioni delle macchine, sia idrauliche che elettriche e, quindi, gl'ingombri, i pesi e i costi unitari, superando non lievi difficoltà idrotecniche, meccaniche e tecnologiche.

Turbine Pelton. - Il diagramma di fig. 5 indica qual è stato l'aumento intervenuto per il numero tipico nT e quale la diminuzione del peso unitario Pu, a partire dal 1960, per i turbomotori Pelton ad asse verticale con 4, 5 o 6 introduttori a spina Doble (fig. 6), che si tende a preferire nel campo dei valori più elevati per il numero tipico, mentre nel campo dei valori intermedi vengono adottati turbomotori ad asse orizzontale con uno o due introduttori e due giranti dislocate in parallelo e poste a sbalzo ai due lati sull'albero dell'alternatore (fig. 7) o anche ad asse verticale e con due introduttori posti a 180°; nel campo dei valori più bassi per il numero tipico s'impiegano turbomotori a un solo introduttore e monogiranti.

I diagrammi di fig. 8 mostrano le correlazioni fra le caratteristiche idrotecniche principali: numero tipico nT e numero delle pale giranti z con il rapporto D/d (diametro girante/diametro getto liquido); numero degl'introduttori i, numero tipico nT, prodotto n • i del numero dei giri per il numero degl'introduttori, coi valori della caduta idrica H.

Alle forme precedenti curvilinee si sono sostituiti introduttori rettilinei affusolati, molto più compatti ed efficienti, talvolta conglobanti in un unico complesso costruttivo anche la valvola di chiusura della condotta forzata, e quindi consentendo utili riduzioni d'ingombro e di escavazione nel caso delle centrali in caverna.

La fig. 9 mostra un esempio d'introduttore rettilineo per turbina Pelton ad asse orizzontale. Nelle tavv. f. t. è illustrato un collettore dal quale si dipartono i singoli introduttori a spina Doble rettilinei per una turbina Pelton ad asse verticale. A monte del collettore viene posta una valvola di chiusura a doppia tenuta; i tegoli di regolazione dei diversi introduttori vengono azionati mediante servomotore oleodinamico dal complesso di regolazione del turbomotore. Odiernamente si tratta di un dispositivo di regolazione elettrico impiegante un attuatore per ogni introduttore della turbina.

Le esigenze via via più spinte per quanto concerne potenzialità, prestazioni e affidabilità di esercizio, vanno imponendo nuove soluzioni idrotecniche per i turbomotori Pelton, in ispecie per quelli ad asse verticale con 5 o 6 introduttori; i problemi da risolvere riguardano la scelta dei profili palari (da bene adeguare ai valori della caduta idrica e da rendere compatibili con gli spessori richiesti da elevate sollecitazioni meccaniche), degl'introduttori, della forma e dimensioni della cassa, nonché del raccordo al canale di scarico, da perfezionare con riferimento a risultati sperimentali ottenibili su macchine-modello. L'iniezione di aria compressa nella cassa (resa stagna) consente di far funzionare i turbomotori Pelton con livelli a valle superiori al valore critico e, anche, sotto battente idrico, ossia a contropressione. Le ricerche sinora eseguite al riguardo hanno accertato che la quantità d'aria richiesta al compressore è dell'ordine del 2% della portata d'acqua attraversante il turbomotore in assenza di fughe e con canale di scarico ben protetto; altrimenti può salire sin verso il 15%.

Turbine Francis. - Il campo di applicazione delle turbine Francis è doppiamente esteso sia per quanto concerne la variabilità della portata Q, sia per quanto attiene al numero dei giri n. I programmi di costruzione in serie (per macchine di piccola e media potenzialità) comprendono, quindi, una successione di tipi e di profilazioni per la ruota-girante e per il palettaggio distributore, riprodotta in diverse grandezze secondo le regole della similitudine geometrica (fig. 10A). La gamma dei tipi spazia nel campo fra 3,6 e 16 per il numero tipico di macchina nT (corrispondente al campo fra 20 e 90 per il numero caratteristico nq) e trova una suggestiva rappresentazione grafica nel "diagramma-mosaico della serie" (fig. 10B), nel quale le linee di ugual numero tipico (o caratteristico) sono delle rette inclinate di 45° sull'asse delle ascisse e quelle di isodiametro delle linee curve, quali quelle segnate nella fig. 10B. Per la serie esemplificata nelle figg. 10A e 10B, i diametri delle giranti di uno stesso tipo seguono una progressione geometrica di ragione 1,06, che corrisponde all'adozione di un rapporto fra i valori unitari della portata, massimo e minimo, uguale a 1,062 = 1,12, mentre il rapporto fra i valori unitari, massimo e minimo, del numero dei giri, è uguale a 1,22.

Il continuo, fortissimo aumento per la potenzialità e per le dimensioni delle Francis richieste dalle odierne utilizzazioni idroelettriche ha imposto l'introduzione e lo sviluppo di nuove soluzioni costruttive per i vari organi della macchina, che hanno richiesto la messa a punto di accurati procedimenti di saldatura per l'attacco delle pale al mozzo e alla corona della girante, per la giunzione di mozzi eseguiti in più settori parziali, per i palettaggi dei distributori e dei predistributori e per le volute-spirali, eseguite per i tronchi connessi fra loro mediante saldatura. Si tratta di giunzioni saldate a completa penetrazione, interamente controllate mediante ultrasuoni e la cui esecuzione contempla un trattamento termico finale di distensione delle zone contigue alle saldature. Le zone della girante esposte a eventuali fenomeni cavitazionali vengono, inoltre, sottoposte a placcatura in acciaio inossidabile al Cr-Ni, allorquando il mozzo e le pale giranti sono eseguiti in acciaio al carbonio (percentuale massima di C, 0,23%) e la corona di ricoprimento in lamiera d'acciaio a grana fine e di caratteristiche tecnologiche adatte. Le saldature vengono eseguite con procedimento semi-automatico usando CO2 quale agente protettivo e un arco stretto e corto; l'apporto di calore viene limitato a valori dell'ordine di 10.000 J/cm e la differenza di temperatura fra le diverse passate a 250 °C. Le prime passate vengono ispezionate al magnetoscopio e con polvere asciutta in maniera da non dovere ridurre la temperatura di preriscaldamento del metallo al disotto degli 80 °C.

Nel campo di possibile impiego misto delle turbine Pelton e delle turbine Francis (fig. 3), ovunque le caratteristiche dell'acqua lo consentono (acque non sabbiose), l'adozione delle Francis assicura minore ingombro, minore costo e facilità d'installazione in ispecie in caverna; richiede, però, un placcaggio al Cr per gli anelli di tenuta e l'impiego di acciai legati al 13% di Cr e dall'i % al 4% di Ni, per i palettaggi distributori.

Turbine Kaplan. - Nell'analisi fluidodinamica odierna sul comportamento delle turbine assiali a elica (a pale giranti in posizione fissa) e Kaplan (a pale giranti registrabili in posizione durante il funzionamento) si cerca di tener conto dell'assetto tridimensionale della corrente fluida operativa imponendo, in prima approssimazione, la condizione (fig. 11) che la variazione in direzione radiale della componente meridiana cm delle velocità di flusso soddisfi all'equazione dell'equilibrio radiale. La distribuzione delle componenti periferiche delle velocità di flusso (fig. 11B) è esprimibile con una relazione della forma seguente: cu = kRm nella quale m = − 1 se la corrente fluida è a vortice libero e irrotazionale, mentre ha valori diversi se la corrente è rotazionale e, quindi, dotata di vorticità. Quest'ultima può essere ingenerata da una variazione della circuitazione Γ lungo le pale giranti (Γ = 2πRcu/z per ciascuna pala). Allorquando il prodotto Rcu non ha valore costante, la conseguente variazione della circuitazione induce vortici, che si liberano dal bordo d'uscita delle pale giranti e, non appena a valle del sistema palettato viene a stabilirsi l'equilibrio fra le forze radiali, le componenti del vettore vorticità nelle due direzioni, meridiana e a questa normale, risultano legate alle velocità della corrente dalla relazione cu = kRm. Le distribuzioni delle componenti assiali delle velocità della corrente, a monte e a valle del palettaggio girante, non sono costanti (quali si hanno nelle condizioni di vortice libero); all'ingresso il valore di ca diminuisce dal mozzo verso la periferia della girante per effetto della "vorticità forzata indotta nella corrente dal sistema palettato e all'uscita di esso l'effetto risulta esaltato. Per i valori di m diversi da −1, la corrente fluida nell'attraversare il palettaggio girante modifica la propria vorticità e il palettaggio è di tipo "a vortice forzato". Il valore dell'esponente m va scelto con riferimento al tipo di distribuzione della velocità assiale, che si desidera a valle; i valori possibili sono: −1,5 e −0,5. Se a valle permane una considerevole variazione lungo il raggio, si dà luogo a perdite idrauliche dovute alla vorticità residua della corrente. Una volta individuato l'andamento della componente meridiana cm della velocità di flusso fra il mozzo e la periferia esterna del palettaggio girante, e definiti i valori angolari λS e β in base al tracciamento dei probabili diagrammi triangolari delle velocità, è possibile determinare i valori del rapporto fra la lunghezza l del profilo palare e il passo palare t in funzione dei valori del coefficiente di spinta (o portanza) dell'azione fluidodinamica sulla schiera di profili palari cPS = f • cP∞, ove f designa il coefficiente di mutua influenza ossia tiene conto dell'effetto di schiera palare, per ciascuna delle diverse striscie cilindriche di altezza ΔR nelle quali viene suddivisa la girante ai fini delle calcolazioni e della progettazione. λS indica (fig. 11C) l'angolo compreso fra le direzioni dell'azione fluidodinamica A e quella della spinta S, e β "designa l'angolo d'inclinazione relativo alla direzione della "corrente indisturbata" (c si assume per convenzione uguale alla media dei valori delle velocità assolute ci e ce della corrente fluida a monte e a valle della girante); β assume il valore β′ quando la spinta S si annulla.

Con riferimento a eventuali possibili fenomeni cavitazionali è necessario che il rapporto l/t in prossimità della periferia esterna del palettaggio girante non discenda al disotto di valori limiti precauzionali; precisamente per numero di pale z = 4 il rapporto l/t dev'essere compreso fra 0,7 e 0,64; per z = 5 fra 0,96 e 0,90; per z = 6 fra 1 e 1,10; per z = 7 fra 1,20 e 1,16; per z = 8 fra 1,28 e 1,24 e così via.

Molto importante è un accurato raccordo fra i profili palari dal mozzo alla periferia della girante. Per turbine Kaplan elaboranti cadute idriche relativamente molto elevate, vengono adottate sino a 10 pale giranti (turbine Kaplan-Nechleba).

Nel corso degli anni Settanta si sono venute affinando le modalità e i procedimenti di ricerca concernenti le turbine Kaplan e, in particolare, le indagini su modelli in scala ridotta per una determinazione più precisa delle sollecitazioni nel piano e nello spazio dei palettaggi giranti, specialmente per quelli delle macchine che debbono elaborare cadute idriche relativamente elevate nel campo precedentemente coperto coi turbomotori Francis (fig. 3). Vengono riprodotti in laboratorio gli stati di sollecitazione prevedibili in tutta la gamma delle condizioni intervenibili nell'impiego industriale, e, separando la considerazione dei carichi oscillanti da quelli medi costanti, F. Schweizer ha ideato e messo a punto un dispositivo di commutazione, rotante col palettaggio girante, il quale consente una scelta dei punti di misura sulle superfici palari giranti senza richiedere l'arresto dell'albero. Importanti ricerche su modelli sono state eseguite per una più esatta determinazione dei coefficienti d'attrito nei cuscinetti a pattini oscillanti dei giganteschi supporti reggispinta del tipo Mitchell, a camere di compensazione idraulica, richiesti dai turbomotori Kaplan di grandissima potenzialità (si tratta di sopportare spinte di diverse migliaia di t), per meglio definirne le altezze di meato e i valori delle pressioni e delle temperature nelle diverse condizioni operative e nei transitori.

Turbomotori a bulbo (o tubolari). - Anche nel campo dei turbomotori a bulbo, aventi palettaggi assiali (v. in tav. f. t. il turbogruppo-bulbo Riva della centrale idroelettrica di S. Floriano Nuova, che sviluppa una potenza di 9 MW elaborando una caduta idrica di 16,5 m e una portata d'acqua di 62 m3/sec, alla velocità di 3,125 giri/sec) si sono compiuti recenti perfezionamenti. I più significativi consistono nella soppressione del moltiplicatore di velocità a ingranaggi, intermediario fra il turbomotore e l'elettrogeneratore, caratteristico delle esecuzioni iniziali. Questa soppressione, e quindi il collegamento diretto, dà al gruppo turbogeneratore maggiore compattezza, minore ingombro e minor costo; la fig. 12 ne raffigura un esempio; si tratta di gruppi-bulbo Escher Wyss-Brown Boveri per centrali idroelettriche svizzere. Lo statore dell'elettrogeneratore fa parte integrante del bulbo ed è situato fra una calotta sferica e il turbomotore idraulico; il giunto è tale da consentire le dilatazioni in direzione assiale. Lo statore è fissato mediante flangia all'involucro del turbomotore, che è collegato alle opere di fondazione; la carcassa è in costruzione saldata, resa molto rigida. Nella porzione conica è situato il reggispinta. L'alternatore è completamente immerso in acqua, che assolve la funzione di refrigerante degli avvolgimenti, mentre il complesso viene refrigerato a mezzo di una corrente d'aria insufflata mediante una soffiante. I refrigeratori aria-acqua sono situati all'interno della calotta; la soffiante dell'aria è una macchina a palettaggio registrabile in posizione in maniera da poterne adeguare l'inclinazione ai valori delle prestazioni idrotecniche richieste al turbomotore-bulbo.

Dispositivi di regolazione. - Durante gli anni Cinquanta e Sessanta per la regolazione dei turbomotori sono stati impiegati sia complessi di regolazione a sola azione tachimetrica e asservimento temporaneo (ma perfezionati a seguito dell'adozione di un servomotore ausiliario per la registrazione dello statismo transitorio e del grado di acceleramento della regolazione tachimetrica, di un freno smorzatore oleodinamico a cateratta e di dispositivi separati per la registrazione del grado di irregolarità permanente e di quello transitorio, al fine di elevarne la sensibilità e la prontezza d'intervento) e sia complessi di regolazione ad azione combinata accelero-tachimetrica, A = KTω2KA dω/dt. I primi esplicano un'azione regolatrice proporzionale, i secondi un'azione regolatrice proporzionale e derivativa, e per essi è denominato dosaggio accelerometrico l'intervallo di tempo alla fine del quale la porzione dell'azione regolatrice relativa all'azione derivativa (KA dω/dt) uguaglia quella inerente all'azione proporzionale (KT ω2) essendo KT la costante tachimetrica, KA quella accelerometrica, ω la velocità angolare, t il tempo e dω/dt l'accelerazione angolare. Nella fig. 13 sono schematicamente raffigurati i due complessi di regolazione costituiti da un gruppo C, del tutto simile nei due casi, e dai rivelatori (A, quello per la sola azione tachimetrica e B, quelli per l'azione combinata accelero-tachimetrica); vi sono indicati oltre ai principali componenti anche il turbomotore idraulico a e il generatore elettrico b da esso azionato. Si ha, quindi, una corrispondenza definita fra la posizione degli organi di regolazione e il numero dei giri del turbogruppo, il quale decresce di valore da un massimo n0 nella marcia a vuoto a un minimo nc al carico massimo continuo: il rapporto s = (n0nc)/nn, ove nn è il numero di giri nominale, è chiamato statismo. Esso dà la misura dello scarto permanente percentuale di velocità fra le condizioni estreme dianzi precisate (le variazioni medie per lo statismo vanno per i turbomotori idraulici dal 2 all'8%). Il complesso di regolazione assolve, inoltre, alla funzione d'impedire che, divenendo zero la coppia resistente, il turbogruppo possa raggiungere il numero di giri nf detto "di fuga" (nf = 1,8 nn per le Pelton, 1,9 ÷ 2 nn per le Francis e 2,6 ÷ 3,4 nn per le Kaplan).

Al complesso di regolazione si richiede una regolazione astatica o isodromica pei turbogruppi operanti in centrali idroelettriche a servizio separato oppure se eroganti energia a frequenza costante sulla rete elettrica, mentre per quelli operanti in parallelo sulla rete è richiesta una regolazione statica o ipodromica, la quale consente una razionale distribuzione del carico elettrico. I tempi per le manovre di regolazione sono considerevolmente più brevi per le manovre di chiusura (da 2,5 a 3 sec) che per quelle di apertura dei distributori (da 5 a 8 sec).

Nel biennio 1959-60 ebbero diffusione complessi di regolazione elettromagnetici; si sono poi venuti affermando complessi di regolazione elettro-oleodinamici, sia nel campo della regolazione delle macchine reversibili, sia per la regolazione di centrali idroelettriche telecomandate o a funzionamento con avviamento e arresto automatico dei turbogruppi. I dati tecnici più significativi di un recente complesso di regolazione della Voith sono i seguenti: scarto permanente della velocità da 0 a 6%; scarto temporaneo da 0 a 120%; costante di tempo dello smorzatore da 0,5 a 25 sec; dead band 0,005%.

Valvole di manovra. - I macchinari degli odierni impianti idroelettrici richiedono un corredo di valvole di manovra e di guardia, che hanno raggiunto anch'esse dimensioni e pesi considerevoli (v. tav.).

Motori idraulici a pistone. - Trovano impiego in diverse applicazioni idrotecniche; una delle più recenti è quella nel settore delle macchine irrigue semoventi, che irrigano i terreni per striscie laterali e vengono alimentate in continuo da tubo flessibile; il m. idraulico monocilindrico è ad asse verticale ed è generalmente corredato di una valvola di regolazione di velocità d'avanzamento (fig. 14). Esistono m. idraulici pluricilindri con cilindri e pistoni radiali e versione detta "a flangia" che ne consente il collegamento assiale alla macchina da azionare, e m. idraulici a pistoni assiali, più adatti per servizi pesanti e applicabili mediante flangia oppure su piastra di base; l'albero, di solito, non viene collegato direttamente alla macchina da azionare, salvo nei casi di accoppiamenti a riduttori (in applicazioni industriali nelle quali sono richieste coppie torcenti elevate a basse velocità di rotazione); i riduttori sono in generale a rotismi planetari. Le applicazioni più frequenti sono nel campo dei servomeccanismi e dei servomotori.

Bibl.: M. Medici, Contributo al perfezionamento di una teoria pluridimensionale per le turbomacchine a fluido, in La Ricerca scientifica, 1958, n. 6; L. Quantz, K. Meerwarth, Wasserkraftmaschinen, Berlino 1963; M. Medici, Un quarantennio di studi e ricerche nel campo delle macchine idrauliche (1924-1963), in La Ricerca scientifica, XXXIV, parte I, vol. 4, n. 12, pp. 441-72; id., Corso di macchine, Padova 1967; J. Raabe, Hydrailische Maschinen und Anlagen, Berlino 1968; G. Ventrone, Il metodo del vortice forzato nella progettazione delle pompe assiali, in Tecnica italiana, 1969, n. 4; id., Le turbomacchine, parte I, Padova 1975; M. Medici, Motori primi idraulici, in Elettronica, dal 1958 al 1975; Th. Bovet, Publications de l'Institut de machines hydrauliques de l'École Fédérale de Lausanne.

MOTORI TERMICI.

Motori a combustione esterna a vapore. - L'evoluzione dei turbomotori a vapore (v. turbina, XXXIV, p. 503, App. II, 11, p. 1035; termoelettrici, impianti, App. III, 11, p. 941), a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, ha registrato considerevoli sviluppi: a) un cospicuo accrescimento delle caratteristiche termodinamiche del ciclo operativo e gl'inerenti aumenti di rendimento (v. il diagramma in fig. 15); b) un'adozione generalizzata del sistema monoblocco comportante un solo generatore di vapore e un solo turbomotore (a uno o più corpi, fig. 16), e gl'inerenti macchinari e apparecchi ausiliari per sezione di centrale; c) i risurriscaldamenti del vapor d'acqua lungo la sua elaborazione nel turbomotore (fig. 15); d) una più spinta rigenerazione termica (preriscaldamento dell'acqua di alimentazione del generatore di vapore) mediante 6 ÷ 8 estrazioni di vapore in varie zone del turbomotore con cospicui benefici pel rendimento termico di ciclo (figg. 15 e 17); e) un aumento cospicuo della potenzialità unitaria (sino a 1300 e più MW).

Nella fig. 18A è raffigurato il circuito termico per una sezione termoelettrica sviluppante una potenza di 660 MW e nella fig. 18B il turbomotore a vapore inerente, avente 4 corpi in linea e tutti a flusso bilaterale per il vapore (costruzione Franco Tosi); il corpo di alta pressione (AP) viene alimentato con 584 kg/sec di vapore a 242 bar e a 538 °C; il vapore a 41 ,75 bar passa al risurriscaldamento; rientra nel corpo di media pressione (MP) a 37,95 bar e 538 °C e vi si espande sino a 10,88 bar; fluisce poi ai due corpi di bassa pressione (2 BP), operanti in parallelo, e si eroga al condensatore a pressioni di 0,05 ÷ o,042 bar; il condensato ritorna al circuito. L'acqua di alimentazione, costituita dal condensato principale, da eventuale acqua d'apporto e dai condensati dei quantitativi di vapore estratti in varie zone del turbomotore per la rigenerazione termica, viene riscaldata sino a 290 °C prima di essere introdotta nel generatore di vapore.

Si è teso e si tende a ottenere quote-parti più elevate per l'energia utilizzabile riducendo la quota-parte di anergia (energia di qualità degradata, difficilmente utilizzabile a generare lavoro meccanico). Il flusso dell'energia utilizzabile avviene in maniera similare al flusso di calore e a quello massico (o ponderale) lungo il circuito operativo. È opportuno, quindi, affiancare al h bilancio termico" un "bilancio entropico dell'energia utilizzabile" (v. tabella).

L'evoluzione della teoria dei turbomotori a vapore. - Una classificazione razionale dei turbomotori a vapore attuali dev'esser fatta in base al "grado medio di reazione i con il quale essi operano, essendo il rapporto fra le aree delle sezioni di flusso del vapore all'uscita dei condotti del distributore e della girante il parametro che ne fissa il valore. Dall'esame della fig. 19 emerge il fatto che, una volta fissata la base u pei diagrammi triangolari delle velocità (c è la velocità assoluta della corrente fluida, w la velocità relativa della corrente e u la velocità periferica del palettaggio girante) è possibile, spostandone il vertice V lungo una linea parallela alla base u, porre in evidenza le variazioni di valore del "grado di reazione" εr. Un'ulteriore classificazione differenzia i turbomotori corredati di palettaggi assiali da quelli a palettaggio radiale oppure da quelli misti (radiali per la porzione di alta pressione e assiali per la bassa pressione).

I turbomotori con palettaggi assiali sono i più diffusi e vanno suddivisi in: classe1, turbomotori multicellulari a dischi giranti (fig. 20), e classe 2, turbomotori aventi rotori palettati a tamburo (fig. 18B).

L'evoluzione delle conoscenze teoriche ha teso e tende a ricercare le condizioni di "flusso ottimale" in schiere rettilinee palari assimilabili ai palettaggi dei turbomotori (fig. 20) mediante procedimenti di calcolo fluidodinamici. Si seguono attualmente due indirizzi. Col primo di essi si pone a base delle calcolazioni una successione di schiere palari sostitutiva dei palettaggi del turbomotore, supposta formata con pale aventi tutte lo stesso profilo nella sezione mediana (a metà lunghezza palare l in direzione radiale) in maniera da potere attribuire ugual valore per il rapporto caratteristico R/S (indicando con R la resistenza e con S la spinta fluidodinamica), schiere caratterizzate da una deviazione moderata per la corrente. Importante è la scelta iniziale del valore della componente assiale ca della velocità assoluta della corrente, poiché tutte le altre velocità vengono riportate alla ca; essa viene assunta uguale per tutte le schiere in considerazione.

In base all'ipotesi semplificativa di una "finezza fluidodinamica media" uguale per tutti i profili palari delle schiere, C. Seippel ha dedotto per la perdita energetica la seguente relazione:

nella quale ctu e cti designano le componenti tangenziali delle velocità assolute della corrente fluida. Il lavoro meccanico sviluppabile L è dato da

e in cui ct3 e ct4 designano le velocità assolute nel tronco diffusore a valle delle schiere. Ponendo, per il caso più semplice di due soli stadi di macchina,

le velocità tangenziali delle schiere palari rotanti possono indicarsi con (x1ū) e (x2ū). Le variabili x1, x2, x3, x4 sono le cotangenti degli angoli d'incidenza all'ingresso e all'uscita delle schiere palari rotanti e fisse del sistema bistadio in considerazione.

Se ?ζa designa la somma delle perdite energetiche divise per c²a, il problema viene ridotto a ricercare quali sono i valori delle variabili x che rendono minimo ζa soddisfacendo nel contempo la condizione seguente:

Definendo una funzione f = ζa − λLa, nella quale λ indica un moltiplicatore ancora incognito, e seguendo il procedimento di Lagrange, si possono porre uguali a zero le quattro derivate parziali di detta funzione rispetto alle variabili x1, x2, .x3 e x4 predette. Le equazioni inerenti consentono di conoscere i valori di x1, x2, x3 e x4 che, introdotti nella relazione [1], consentono di eliminare λ e, quindi, di esprimere x1, x2, x3, x4 in funzione di ζa. Il calcolo esige che sia nota la relazione ζa(xi, xu), che lega la dissipazione di energia ai valori della cotangente degli angoli d'incidenza all'ingresso e all'uscita delle schiere palari in considerazione. La dissipazione energetica deve comprendere tutte le cause determinanti perdite e, cioè, sia quelle lungo le superfici palari, sia quelle alle estremità e nei giochi. In base a questo procedimento di calcolo, designato "della finezza media di profilo", l'espressione analitica delle perdite energetiche, per una macchina bistadio, è esprimibile con la relazione seguente:

Per una schiera palare rotante vale:

e per il tronco diffusore a valle delle schiere palari:

Mediante le equazioni [2] e [3] si può determinare la somma delle perdite energetiche in una macchina a due stadi, attribuendo alla prima schiera palare una "finezza media di profilo" (R/S)1 alquanto diversa da quella delle successive schiere, poiché si tratta di una schiera fissa, incastrata a entrambe le estremità, senza giochi (palettaggio distributore fisso); precisamente, valgono le relazioni seguenti:

Mediante le relazioni [4] e [1] si possono calcolare le derivate parziali della funzione ζa − λLa, uguagliarle a zero e ordinarle secondo le potenze decrescenti di x

Le equazioni [5] e [1] consentono di eliminare il grado di reazione cinematico e di calcolare, per ciascun valore di Ln, le velocità x1 ... x4 corrispondenti.

Supposto, a titolo di esemplificazione, che siano (R/S)1 = o,025 e R/S = 0,05 (corrispondente a un valore del rapporto fra il gioco radiale e la lunghezza palare l uguale a 0,015), ζwt = 1 e u = 2 ca, i valori ottimali per le velocità tangenziali di uscita delle quattro schiere palari in considerazione sono quelli indicati nel diagramma in fig. 21. Dal suo esame emerge la circostanza che i valori di x2 e di x3 risultano simmetrici rispetto a un asse orizzontale di valore u/(2ca). Questo fatto è dovuto alla simmetria dei profili palari nella schiera fissa (distributore) e in quella rotante (girante) per palettaggi di turbine operanti con un grado di reazione 0,5, e questa condizione vale indipendentemente dal tasso del lavoro sviluppabile col palettaggio L/(2 u2). La velocità assoluta della corrente fluida all'uscita dell'ultima schiera palare del sistema, in generale, non è diretta in direzione assiale, nelle condizioni operative ottimali, come veniva ritenuto in passato.

Una turbina a vapore avente n stadi (il numero degli stadi aumenta all'aumentare del grado di reazione con il quale operano i diversi stadi) può concettualmente considerarsi come composta da un assieme, che contiene tutti gli elementi caratteristici di una turbina ottimale monostadio e n − 1 tronchi, dei quali ciascuno comprende riordinati gli elementi di uno stadio periodico. Nel caso, per es., di una macchina a 4 stadi e per un valore di L/(2 u2) uguale circa a 2, risultano i seguenti valori ottimali per il "grado di reazione cinematico" εrc nei diversi stadi: 0,284 nel primo stadio, 0,5 nel secondo e terzo stadio e 0,346 nel quarto stadio, e la seguente distribuzione ottimale per il lavoro motore L/(2 u2) che è 2,40 nel primo stadio, 2 nel secondo e terzo stadio e 1,64 nel quarto stadio. Si evidenzia il fatto che per un elemento periodico di turbomotore a vapore a palettaggio assiale della classe 2 (palettaggi su rotori a tamburo) i valori ottimali sono εrc = 0,5 e L/(2 u2) = 2.

Per la turbine a vapore assiali della classe 1 (le multicellulari a dischi giranti, fig. 20) occorre, invece, differenziare la "finezza fluidodinamica media di profilo" per le schiere palari fisse (distributori) e per quelle rotanti (giranti) e deve prendersi in considerazione quale espressione del "grado di reazione" la seguente: (R/S)D/[(R/S)D + (R/S)G]. Nel caso, molto frequente, di un gioco costruttivo radiale del palettaggio dell'ordine dell'un per mille del diametro medio D valgono, per es., i seguenti valori:

Le cifre precedenti confermano l'opportunità di accrescere progressivamente il valore del grado medio di reazione all'aumentare di valore pel rapporto l/D e, quindi, procedendo dalla porzione di AP verso quella di BP nei turbomotori a vapore della classe1. A parità di valore per L/(2 u2), le turbine multicellulari (classe1) sarebbero caratterizzate da minori perdite energetiche rispetto a quelle con rotori a tamburo (classe 2), ma in dipendenza delle limitazioni d'ingombro in direzione assiale esse sono costrette a operare con valori considerevolmente più elevati per L/2 u2 e questa circostanza determina un considerevole aumento delle perdite energetiche. Il diagramma in fig. 22 pone a confronto gli andamenti del rendimento η in funzione del "coefficiente di portata" Q/(r2 u), pei palettaggi delle due classi di turbomotori a vapore 1 e 2 e ne precisa i campi di più adatto impiego.

L'analisi teorica precedente è valida, a rigore, soltanto per le condizioni semplificative messe a base della trattazione (palettaggi di forma cilindrica, schiere palari formate con pale aventi tutte lo stesso profilo e uguale finezza fluidodinamica media, e altre condizioni vincolative). In realtà i palettaggi dei turbomotori a vapore sono di forma conica e non cilindrica, poiché il diametro medio palare D varia lungo i diversi stadi del turbomotore. Talvolta, varia anche il valore della componente assiale ca della velocità assoluta della corrente di vapore. Spesso, la lunghezza radiale l del palettaggio e la componente ca della velocità assoluta aumentano di valore proporzionalmente all'accrescimento del diametro D, il che equivale a un aumento dei tre parametri D, l e ca, proporzionale alla radice cubica della portata Q in volume della corrente di vapore.

Riferendosi a un elemento generico del turbomotore z, se si pone x2 = ctz/caz e uz/caz costante, seguendo il procedimento di C. Seippel, si possono ritrovare equazioni simili alle [5] e, quindi, analoghe soluzioni. A pari valore pel rapporto R/S, le schiere palari fisse e quelle rotanti presentano gli stessi angoli d'inclinazione all'uscita, mentre non essendo più rigorosamente uguali le espansioni del vapore nelle schiere palari distributrici e giranti, il valore del grado di reazione cinematico risulta lievemente diverso da 0,5. La velocità terminale di uscita della corrente dall'ultima corona palare del sistema nelle condizioni operative ottimali, non risulta avere direzione assiale.

L'adozione di procedimenti di calcolo del tipo proposto da Seippel può prestarsi a critiche da parte dei fautori del secondo indirizzo: quello basato sulla determinazione delle perdite energetiche facendo ricorso ai più recenti sviluppi della "teoria dello strato limite". Questi sviluppi consentono di calcolare sia le forze fluidodinamiche agenti su schiere palari rettilinee e la deviazione che esse impongono alla corrente fluida, e sia, in linea approssimativa, l'entità delle perdite energetiche e il rendimento dei palettaggi a esse assimilabili. La corrente fluida viene considerata bidimensionale, omogenea e incompressibile, però soggetta a perdite fluidodinamiche. Il coefficiente adimensionale di perdita viene espresso mediante una relazione della forma seguente: ζp = Δpt/(ρ/2)]w²n, essendo wn la velocità relativa di flusso misurata nella direzione ortogonale a quella della schiera palare. Il rapporto Δwn/wn = ctg β2 − ctg β1 è un coefficiente adimensionale, che indica la deviazione imposta alla corrente fluida dalla schiera palare. L'obiettivo della ricerca è di determinare la schiera palare di comportamento ottimale, che, quindi, consenta di ottenere la maggiore deviazione per la corrente fluida con le minori perdite energetiche. Mediante una correlazione fra i valori di z (numero delle pale) Δwu/wu, βi (angolo d'ingresso della corrente nella schiera palare) e le altre grandezze geometriche, che caratterizzano la schiera, si procede al calcolo dello strato limite in regime turbolento al contorno di un profilo generico della schiera in considerazione, seguendo dei procedimenti semiempirici basati sui principi dell'impulso e della conservazione d'energia. Con il procedimento sviluppato da H. Schlichting ed E. Truckenbrodt (uno dei più elaborati) vengono presi in considerazione tre distinti spessori per lo strato limite: precisamente, uno spessore di costipamento sc, uno spessore dovuto alla perdita d'impulso si e uno spessore dovuto a perdite energetiche per dissipazioni vorticose sv. La condizione di distacco per lo strato limite è dato dalle relazioni:

Il numero di Reynolds relativo allo spessore si è (Re)si = w si/ν.

Le equazioni che esprimono i due principi dell'impulso e della conservazione d'energia prendono le forme seguenti:

nelle quali w(x) indica la distribuzione teorica potenziale della velocità lungo il contorno del profilo palare e wl(x, y) quella nello strato limite, τ0 la tensione tangenziale alla parete palare e τ(y) la dissipazione di energia per vorticosità nello strato limite. La τ0 e la τ(y) vengono determinate mediante le seguenti relazioni di deduzione empirica:

le quali forniscono l'andamento dello spessore si e quello del fattore di forma sc/si lungo il contorno del profilo palare; in tal modo viene individuato il punto di distacco dello strato limite. Le perdite energetiche sono di triplice natura; precisamente: a) perdite qualora non intervenga il distacco dello strato limite; b) perdite addizionali dovute al distacco dello strato limite; c) perdite dovute al rimescolio vorticoso a valle della schiera palare. La determinazione della schiera palare di comportamento ottimale è resa, quindi, dipendente dal calcolo di queste tre perdite energetiche, in ispecie da quella per il distacco dello strato limite. Le perdite d'energia complessive sono proporzionali al prodotto cR(l/t), essendo cR il coefficiente adimensionale di resistenza del profilo palare e l/t il rapporto fra la lunghezza l del profilo palare e il passo t della schiera; l'andamento dei valori di cR(l/t) in funzione dei valori di l/t è curvilineo e presenta un punto di minimo, che definisce la condizione della schiera palare di comportamento fluidodinamico ottimale.

Le ricerche sperimentali sinora eseguite su schiere bidimensionali di profili palari hanno mostrato che il valore del coefficiente di perdita ζP dipende fortemente dai valori di βi e del rapporto Δwn/wn. Esiste, infatti, soltanto un breve campo di valori per questo rapporto nel quale le perdite energetiche sono di moderata entità: il campo entro il quale la corrente fluida aderisce a tutto il contorno del profilo palare.

Negli ultimi stadi dei turbomotori a vapore (le ultime corone palari dei corpi di BP) a causa della limitata disponibilità di superficie metallica a contatto con la corrente fluida, che li attraversa, e di germi estranei, non risulta possibile l'adeguamento alle condizioni di equilibrio termodinamico, quale indicato dal diagramma entalpie/entropie (diagramma di Mollier, fig. 23); il fenomeno reale si svolge come se la porzione del diagramma entalpie-entropie relativa al campo del vapore surriscaldato fosse estrapolato nel campo del vapore umido. Ne segue che l'espansione del vapore prosegue in questo settore d'instabilità termodinamica per poi subirvi uno shock di condensazione; si tratta di un fenomeno molto complesso caratterizzato dalla formazione di piccolissime gocce (del diametro dell'ordine di 104 -4m) e che tendono a rievaporare spontaneamente se il loro raggio è inferiore a un valore critico di equilibrio (definito dai valori della temperatura, della pressione, della tensione superficiale e del grado di sottoraffreddamento del vapore), mentre assumono, invece, il ruolo di "nuclei di condensazione" favorendo il rapido accrescimento delle dimensioni delle gocce (fenomeno di autonucleazione-condensazione spontanea), se le gocce superano i valori critici istantanei. Nei turbomotori a vapore di elevata potenza il fenomeno viene a essere esaltato dal fatto che vi si tende a elaborarvi grandi cadute entalpiche. In dipendenza degli scambi termici nella nebbia non in equilibrio termodinamico e, anche, delle alterazioni di flusso nella corrente, si manifestano perdite energetiche addizionali di un ordine dallo 0,3 allo 0,8% per stadio di macchina e per % di umidità del vapore, a seconda della grandezza delle gocce d'acqua. In generale, le lamine d'acqua fluiscono lungo le pareti di delimitazione dei palettaggi distributori verso i bordi di uscita delle pale, dai quali si vengono a distaccare grandi gocce (aventi diametri dell'ordine del mm). Negl'interspazi palari esse si frantumano in gocce più piccole (diametro 0,1 ÷ 0,01 mm) sia per effetto della scia di vapore e sia in dipendenza della diminuzione di pressione. Per evitare gli urti liquidi sui bordi d'ingresso delle corone palari giranti sono necessari efficaci dispositivi di drenaggio e di proteazione (scudi in stellite). Le pale vengono rastremate e svergolate in direzione radiale.

L'importanza dell'ultimo stadio di BP sul comportamento operativo e sul rendimento dei turbomotori a vapore è cospicua, in quanto un aumento della porzione di caduta termodinamica da elaborarvi ha notevoli conseguenze: a) consente di situare l'estrazione del vapore per il primo gradino di rigenerazione termica dinanzi all'ultimo stadio; b) riduce il numero complessivo di stadi; c) abbassa alquanto il grado di umidità nella corrente di vapore; d) abbassa le dimensioni delle aree di flusso delle corone palari del penultimo stadio; e) consente di ridurre alquanto i valori degli angoli d'inclinazione delle linee di corrente, rendendo più agevole una buona profilazione del palettaggio girante. Per un prestabilito numero di pale z, viene accresciuta la lunghezza dei profili palari di estremità e l'area di tutte le sezioni cilindriche palari, sicché, a pari valore per il grado di reazione al piede palare, risultano accresciute le forze agenti in direzione periferica e in direzione assiale sulle pale giranti; f) per un dato rapporto D/l, risulta accresciuta la differenza fra i numeri di Mach in corrispondenza alla periferia esterna e al piede palare e questo fatto impone l'adozione di un maggior numero di profili palari, variati lungo il raggio. L'ultimo stadio opera con numeri di Mach variabili. Lo svergolamento palare deve indirizzarsi verso una soluzione ottimale nei riguardi dell'entità della perdita energetica allo scarico; si tratta di un'esigenza importante, dato che le velocità assiali di flusso del vapore allo scarico delle corone palari giranti dell'ultimo stadio raggiungono e superano valori dell'ordine dei 300 m/sec. Data la complessità del problema, si fa ricorso all'impiego combinato del calcolo analitico e dell'esperimentazione, sia su schiere palari cilindriche e sia su prototipi di stadi di turbine a vapore. Nella trattazione analitica si seguono procedimenti iterativi con successivi gradini di approssimazione al calcolatore elettronico. Vengono assunte distribuzioni varie per le velocità di flusso, per le portate specifiche, pei valori angolari e per le perdite energetiche in direzione radiale. A ciascun campo di velocità nella direzione radiale vengono a corrispondere differenti modelli di schiere palari, ciascuna delle quali può risultare ottimale nel proprio specifico campo d'impiego. Le singole zone di corone palari (tre, cinque o più zone), singolarmente progettate, debbono venire controllate per i necessari raccordi e verificate sperimentalmente, in specie nei riguardi dello strato limite e per quanto attiene all'effettiva struttura delle onde d'urto.

Regolazione. - Il vapore viene introdotto nei turbomotori a vapore fluendo dapprima attraverso una valvola generale di intercettazione (che regola la portata di vapore per laminazione) e, successivamente, attraverso 8,6 o 4 valvole di distribuzione (a seconda della potenza del turbomotore) a singoli settori del palettaggio distributore del primo stadio, con apertura e chiusura sequenziali. Un sistema in corso di esperimentazione e sviluppo per macchine di grande potenza, designato vortex admission control, si ripromette di combinare il vantaggio di una regolazione unica mediante laminazione alla valvola generale (maggiore affidabilità e semplicità) con quello del migliore rendimento ai vari carichi parziali, caratteristico della regolazione ad aperture sequenziali di più valvole di distribuzione del vapore al primo stadio (elemento di regolazione del turbomotore). La dislocazione di queste valvole è diversa a seconda del loro numero e della potenzialità della turbina: ai due lati del corpo di AP, oppure disposte simmetricamente metà nella porzione superiore e metà in quella inferiore del corpo di AP e, nei turbomotori di piccola potenza, in alto e trasversalmente. Sono valvole con otturatore detto "a tappo" e a sede unica. A base del proporzionamento viene posto il riferimento a punti-base (A,B,C,D,E,F....) del diagramma di funzionamento a piena apertura per le singole valvole. La caduta di pressione è dell'ordine del 4%.

Un procedimento interessante, al fine di ridurre i consumi termici specifici ai carichi parziali, consiste nell'esercizio dei turbomotori a pressione iniziale variabile. Vengono accorciati i tempi di avviamento e si ottiene un risparmio energetico nella fase di avviamento del turbomotore.

L'adozione per il primo stadio di un palettaggio con frazionamento a due gradini di velocità (fig. 20) consente di elaborare una maggiore caduta entalpica nell'elemento di regolazione e di ridurre l'ingombro assiale del turbomotore, ma importa una perdita di rendimento rispetto all'adozione di soli elementi semplici.

Numeri caratteristici. - Per le turbine monostadio, un numero caratteristico è il rapporto u/ci fra la velocità perilerica del palettaggio girante e la velocità assoluta del vapore; per le pluristadio (turbine multiple) la "cifra di qualità" q, una cifra-indice convenzionale, espressa dal rapporto fra Σu2 e il prodotto f • ΔHad essendo f il fattore di recupero termico (rapporto fra la sommatoria delle cadute entalpiche dei vari stadi e la caduta entalpica adiabatica complessiva). Esiste una correlazione abbastanza precisa fra i valori di q, i valori del rendimento del palettaggio e i valori di un altro numero caratteristico, indice delle condizioni termofluidodinamiche operative, chiamato "cifra caratteristica di funzionamento"

nella quale le pressioni, iniziale pi e finale pf, sono espresse in N /cm2, la portata di vapore Mv in t/h e la caduta termodinamica adiabatica ΔHad in kcal/kg.

Le gamme di valori di adozione usuale per la "cifra di qualità" q sono rispettivamente: 1300 ÷ 2100 per stadi di turbina operanti con basso grado di reazione, 2800 ÷ 3200 per stadi di turbine operanti con grado di reazione uguale a 0,5 e 300 ÷ 700 per elementi di turbine con frazionamento a due gradini di velocità. I valori da prescegliere, nella gamma di quelli tecnicamente ammissibili, sono tanto minori, quanto maggiore è il valore della "cifra caratteristica di funzionamento", ossia minore la portata massica o ponderale di vapore fluente in turbina, minore la potenza sviluppabile, più elevata la pressione iniziale e più bassa quella finale del vapore.

Rendimenti. - Il rendimento al giunto di accoppiamento del turbomotore a vapore con la macchina utilizzatrice (generatore elettrico o altra macchina operatrice) è il "rendimento effettivo" e si suole indicarlo con il simbolo ηe; esso ingloba la considerazione di più rendimenti parziali: un "rendimento medio dei palettaggi" ηpm, un "rendimento meccanico" (o organico) ηm che tiene conto di tutte le perdite supplementari esterne (perdite energetiche nei supporti, nelle tenute, per radiazione e conduzione del calore verso l'esterno nelle camere di introduzione e di scarico del vapore e i fabbisogni di energia pei macchinari ausiliari), un "rendimento inerente alle perdite supplementari interne" (per frizione, ventilazione e volumetriche in tenute interne), indicate in valore percentuale con ζsi. Vale la relazione:

Per il rendimento medio dei palettaggi una formula molto impiegata è la seguente:

nella quale il rendimento del palettaggio in presenza di vapore d'acqua di titolo x = 1 viene moltiplicato per la somma di due termini, dei quali il primo indica il miglioramento di rendimento inerente alla porzione di caduta entalpica, che viene elaborata nel campo del vapore surriscaldato ΔHads essendo Δt la differenza di temperatura fra quella iniziale del vapore surriscaldato e la temperatura di saturazione (il coefficiente numerico ks è mediamente uguale a 0,001) e il secondo termine il peggioramento di rendimento inerente alla porzione di caduta entalpica che viene elaborata nel campo del vapore umido (xf designa il titolo del vapore alla fine dell'espansione nel turbomotore e ΔHadu la porzione di caduta entalpica nel campo del vapore umido); ζvr designa la perdita energetica per velocità di scarico del vapore al condensatore (espressa in % della ΔHad coma plessiva).

L'espressione del rendimento termodinamico esterno (rendimento effettivo) in funzione dei valori della potenza Pe sviluppata (espressa in kW), della portata massica di vapore Mv elaborata (in kg/sec) e della caduta entalpica elaborata (espressa in kJ/kg) è la seguente: ηe = Pe/ (Mv • ΔHad) e se si designa con (ct)T il consumo termico specifico del turbomotore (espresso in MJ/MWsec), il rendimento termico del turbomotore è uguale all'inverso di (ct)T ossia: (ηt)T =1/(ct)T

Turbine a vapore per centrali nucleotermoelettriche. - I turbomotori a vapore degl'impianti nucleotermoelettrici presentano particolari esigenze per quanto attiene alla loro ideazione e progettazione, che derivano dalle più basse caratteristiche termodinamiche iniziali e dai valori percentualmente molto più elevati dell'umidità del vapor d'acqua che vi viene elaborato. Si tratta di turbomotori di potenza molto elevata (da 400 a 1800 MW e più), a più corpi (3 o 4), tutti a flusso bilaterale per il vapore, i quali ruotando a velocità uguale alla metà (25 giri/sec) di quella impiegata pei turbomotori delle centrali termoelettriche brucianti combustibili fossili, hanno grandissime dimensioni e pesi molto cospicui. Le portate di vapore, sia all'introduzione e sia allo scarico del turbomotore, sono molto maggiori. Queste caratteristiche impongono delle costruzioni più onerose, molto più ingombranti e pesanti, con complicazioni per il trasporto e pel montaggio sul luogo d'installazione, a pari potenzialità della macchina.

Il circuito operativo dei turbomotori degl'impianti nucleotermoelettrici prevede dei separatori di umidità e dei surriscaldamenti intermedi del vapore sia negl'impianti di sigla PWR (reattori nucleari del tipo ad acqua pressurrizzata) e sia in quelli di sigla BWR (reattori ad acqua in ebollizione); il surriscaldamento del vapore vi ha luogo in due stadi, corredati di valvole d'intercettazione del flusso di vapore e di valvole di regolazione intermedia, aventi essenzialmente la funzione di evitare velocità troppo elevate nel caso di perdite di carico oppure di blocco del turbomotore, che potrebbe intervenire a causa dei volumi di vapore contenuti nei separatori di umidità, nei surriscaldatori di vapore e nelle tubazioni di collegamento.

Il primo stadio del turbomotore è in generale uno stadio funzionante con un basso grado di reazione; il valore ottimale della pressione del vapore allo scarico del corpo di AP è dell'ordine del 18% della pressione iniziale, ma si adotta in generale una pressione lievemente più alta di quella ottimale. Allo scarico dei corpi di BP si consente una perdita d'energia cinetica pari a circa il 3% della caduta entalpica elaborabile nel turbomotore (in luogo del 2% abituale pei turbomotori degl'impianti termoelettrici tradizionali) allo scopo di dar luogo a un dimensionamento meno oneroso dei corpi di BP.

Fra le corone palari degli ultimi stadi del turbomotore vengono ricavati efficaci dispositivi di drenaggio e le corone palari vengono distanziate così da consentire che le goccioline d'acqua trascinate dalla corrente di vapore siano ridotte a formare una fine nebbia negl'interspazi fra pale distributrici e pale giranti, oppure le pale giranti vengono corredate con scanalature sul bordo palare d'ingresso al fine di captare e smaltire le gocce d'acqua. Le zone più vulnerabili dei bordi palari vengono protette mediante strisce di stellite. I drenaggi intermedi comportano dei lievi smaltimenti di vapore, che funge da fluido traente per le goccioline d'acqua, ad analogia con gli eiettori a vapore, verso ambienti a pressione inferiore; le perdite di lavoro meccanico per tale fatto sono lievi e più che compensate dal vantaggio inerente alla riduzione del grado di umidità per la corrente principale di vapore. Nella fig. 24 sono presentate alcune raffigurazioni schematiche illustranti la postazione dei separatori di umidità e dei surriscaldatori intermedi del vapore. Importante è la scelta della velocità di flusso del vapore nei separatori di umidità perchè essa è determinante ai fini di un'efficace separazione delle gocce d'acqua dalla corrente di vapore. La percentuale di umidità viene abbassata all'i % in separatori a rete a maglie fini e di materiale inossidabile; ciascuno di essi viene racchiuso in unica cassa con l'inerente surriscaldatore del vapore. Vi s'impiega vapore alle condizioni termodinamiche d'ingresso nel corpo di AP del turbomotore nel primo surriscaldatore intermedio e vapore derivato dalla prima estrazione rigenerativa per il secondo surriscaldatore intermedio; le temperature del vapore in essi surriscaldato sono di circa 270° e 235 °C. Con due stadi di surriscaldamento intermedio del vapore si ottengono dei miglioramenti nel consumo termico specifico che vanno dall'1,8% al 3%, a seconda delle circostanze; i quantitativi di vapore richiesti dai surriscaldatori intermedi sono dell'ordine del 6 ÷ 7% del vapore inviato dal reattore nucleare al turbomotore.

Il peso per unità di potenza sviluppabile dai turbomotori per impianti nucleotermoelettrici delle categorie PWR e BWR risulta accresciuto dal 50% al 60% rispetto ai turbomotori a vapore degl'impianti termoelettrici tradizionali e la lunghezza pei corpi di BP risulta aumentata del 70%. Il costo è, quindi, considerevolmente maggiore, e sussistono anche delle difficoltà pratiche per l'approvvigionamento di corpi di AP di grandi dimensioni. Le maggiori dimensioni unitarie (per unità di potenza sviluppabile) comportano, però, dei vantaggi nei riguardi del rendimento interno dei palettaggi pei seguenti fatti: minori giochi assiali e minore influenza percentuale dei giochi; possibilità di sistemazione di un maggior numero di tenute radiali nelle turbine multicellulari a diaframmi intermedi; minore influenza della ruvidità superficiale delle pareti dei condotti palettati e una minore influenza percentuale delle perdite secondarie dei palettaggi. Il miglioramento complessivo è dell'ordine dell'i %. Pei corpi di AP sono state escogitate anche soluzioni costruttive comportanti una cassa interna, ottenuta per fusione, e una esterna in lamiera d'acciaio saldata. I gruppi-valvole comportano forze e corse degli otturatori tali da richiedere l'adozione di un fluido ad AP per l'azionamento dei servomotori di comando; quest'adozione consente di contenere i tempi d'intervento entro i limiti desiderati e anche di ridurne alquanto le dimensioni.

La grande complessità del fenomeno influenzante il pericolo di erosione dei palettaggi di BP non è dovuto esclusivamente alle condizioni d'umidità del vapore, ma anche a diverse altre circostanze operative e d'ambiente all'interno dei corpi di BP del turbomotore, nei quali, in dipendenza dei bassi livelli di pressione, avviene la formazione di gocce d'acqua di cospicue dimensioni, che si distaccano dal bordo di uscita dei palettaggi distributori, anche in dipendenza dei depositi d'acqua nel loro interno, poiché solo parte dell'acqua aderisce alle pareti metalliche di questi palettaggi. Fra i parametri influenzanti il fenomeno rientrano: l'entità della caduta termodinamica entalpica nell'elemento, il grado medio di reazione con cui esso opera, la portata di vapore fluente, la forma del palettaggio e la velocità periferica delle pale. Si suole, quindi, far riferimento a una "cifra-indice d'erosione", espressa da relazioni del tipo seguente, la cui derivazione si basa sulla considerazione di una dimensione delle gocce d'acqua considerata rappresentativa del fenomeno in termini parametrici, dell'assunzione di una zona palare girante rappresentativa del fenomeno (quella relativa al decimo esterno della lunghezza radiale delle pale giranti), del numero di Weber

(ove ρv è la densità e cv la velocità della corrente di vapore, dg il diametro delle gocce d'acqua e σg la loro tensione superficiale), del numero di Knuds en

(ove μv è il coefficiente di viscosità dinamica, Tv la temperatura del vapore, p la pressione e r il raggio medio delle gocce d'acqua all'ingresso del distributore) e su di un calcolo approssimativo dell'energia di impatto parametrica, per unità di superficie palare e per un precalcolato numero di gocce d'acqua che impattano al secondo sulle pale giranti:

ove λ è la frazione della quantità d'acqua che si deposita sulle pale distributrici, x1 il titolo del vapore a monte del distributore, m la portata di vapore fluente nel decimo esterno del palettaggio, l la lunghezza totale delle pale giranti, d il diametro delle gocce, R il raggio relativo al 95% della lunghezza radiale del palettaggio, wa la velocità relativa dell'acqua rispetto al palettaggio girante al raggio R; θ l'angolo geometrico della zona del dorso palare sottoposta all'impatto rispetto alla direzione tangenziale; βg l'angolo relativo d'ingresso delle gocce d'acqua rispetto al palettaggio.

A titolo di esemplificazione, per il turbomotore a vapore della centrale nucleotermoelettrica di Caorso dell'ENEL l'indice di erosione è stato calcolato m 2,22 • 10-10, essendo m = 52.300 kg/h, p = 0,198 bar, x1 = 6,8%, d = 1,034 • 10-3 mm (a monte), la frazione di acqua depositata sul palettaggio distributore 0,02%, il diametro delle gocce a valle uguale a 0,114 mm e la velocità assoluta dell'acqua all'uscita del palettaggio distributore pari a 88,6 m/sec.

Considerevoli sono, infine, i problemi tecnici inerenti al proporzionamento dei rotori di BP, che sono, in generale, a dischi calettati sull'albero, in relazione alle condizioni di temperatura stabilizzate e di quelle transitorie e anche con riferimento alla determinazione delle velocità critiche flessionali.

Data la variabilità delle situazioni, si pongono a base delle calcolazioni le due condizioni seguenti: a) dischi supposti applicati con forzamento nullo; b) dischi supposti applicati con un forzamento molto elevato (analogia coi dischi di un rotore monoblocco). Passando dalla condizione a) alla b) si ottiene:

per rotore singolo:

1ª velocità critica flessionale 15%; 2ª velocità critica flessionale 48%; per rotore accoppiato:

1ª velocità critica flessionale 5%; 2ª velocità critica flessionale 10%.

In linea generale la prima velocità critica flessionale interviene in un campo compreso fra il 65% e l'85% della velocità nominale di regime (25 giri/sec).

La freccia d'inflessione statica nelle condizioni a) e b) differisce di circa il 25% e di questa differenza va tenuto conto nella verifica dei giochi in fase di montaggio del turbomotore.

L'adozione di pale giranti aventi lunghezze radiali superiori al metro nelle ultime corone palari dei corpi di BP pone notevoli problemi di carattere vibrazionale, in quanto la snellezza di queste pale ne abbassa la frequenza propria di vibrazione a valori che sono multipli molto bassi della frequenza di rotazione; l'analisi dinamica deve essere effettuata per il disco palettato in corrispondenza delle cui frequenze proprie di vibrazione le pale giranti assumono le maggiori ampiezze di vibrazione, sicché maggiori divengono le sollecitazioni dinamiche. Il calcolo delle frequenze di risonanza deve venire eseguito per varie configurazioni di diametri nodali, tenendo conto dei modi principali di vibrazione tangenziale e assiale (diagramma di Campbell).

In relazione all'importanza che il comportamento operativo dei pezzi in considerazione ha sull'affidabilità della macchina, è usuale l'esecuzione di prove sperimentali di controllo su prototipo e, anche, di ripetizione di esse su una certa percentuale della produzione successiva.

Turbine a vapore endogeno. - Dal 1968 l'utilizzazione del vapore endogeno negl'impianti geotermoelettrici viene effettuata con l'introduzione diretta del vapore surriscaldato proveniente dai soffioni geotermici in turbomotori a condensazione (condensatori a miscela, fig. 25) o a recupero termico totale (a contropressione).

La scelta delle caratteristiche termodinamiche all'introduzione in turbina avviene in base a curve che indicano i valori della portata di vapore, della sua temperatura e della percentuale di incondensabili presenti in funzione dei valori della pressione alla bocca del pozzo geotermico. In base a esse viene dedotta la "curva energetica", la quale indica i valori delle potenze nette ricavabili ai morsetti del gruppo turboalternatore per varie condizioni allo scarico della turbina e definisce il valore della pressione ottimale di utilizzazione iniziale della sorgente vaporifera. A partire dall'inizio della coltivazione di un campo geotermico, la quantità di fluido erogato da un soffione vaporifero segue una legge di variazione che conduce asintoticamente a una stabilizzazione. Accrescendo il numero delle perforazioni si giunge a una situazione di superamento della potenzialità del bacino geotermico, sicché da quel momento la portata e la pressione del vapore endogeno iniziano a decrescere nel tempo sino ad annullarsi, mentre la temperatura aumenta di valore lentamente sino a stabilizzarsi. Il contenuto in gas del vapore endogeno ha un'evoluzione anomala.

Considerazioni economiche hanno consigliato, per i campi geotermici italiani, l'adozione di turbogruppi a condensazione con vuoti al condensatore dell'ordine del 94%, sviluppanti potenze varianti dai 6 ai 30 MW, in quanto la portata dei pozzi vaporiferi è mediamente di 15 ÷ 20 t/h e la densità dei pozzi dell'ordine di un pozzo a km2, sicché occorre collegare una quindicina di pozzi per potere alimentare un turbogruppo da 30 MW. I turbogruppi degl'impianti funzionanti a recupero termico totale (a contropressione) sviluppano potenze da 1 a 15 MW. Le impurezze del vapore endogeno producono fenomeni d'incrostazione e corrosione nei palettaggi percorsi da vapore umido; questo fatto impone particolari accorgimenti di esercizio e l'adozione di condensatori del vapore a miscela con scarichi barometrici. Vi si è progressivamente perfezionata e migliorata la postazione degli spruzzatori dell'acqua condensatrice, in maniera da ridurre le cadute pneumatiche lungo il circuito di condensazione e poter accrescere il grado di vuoto ottenibile. L'estrazione dei gas commisti al vapore endogeno, che può passare dal 4% in peso all'8% nella durata industriale di un pozzo, avviene mediante estrattori centrifughi pluristadio (tre o 4 stadi) per portate varianti da 24 a 100 m3/sec di gas saturo a 30 °C e 0,08 bar alla bocca d'introduzione dell'estrattore e pressione di 1,04 bar alla mandata (fig. 25).

Gli estrattori possono venire anche azionati dal turbogruppo principale e nelle esecuzioni più recenti vengono corredati di predistributori a pale orientabili di posizione entro la gamma di regolazione richiesta per la portata gassosa.

Mancando spesso nelle aree geotermiche acqua fluviale o marittima disponibile per la condensazione del vapore endogeno (si richiedono mediamente 500 dm3 di acqua condensatrice per kWh da generare) è necessario far ricorso a torri di refrigerazione (in generale, a tiraggio naturale) per l'acqua condensatrice. Le elettropompe occorrenti sono ad asse verticale, bistadio, con palettatura girante elico-ceritrifuga e a portata regolabile mediante predistributore a pale orientabili; la portata nominale è dell'ordine dei 3 m3/sec. Il costo delle torri di refrigerazione dell'acqua condensatrice incide per circa il 10% sul costo totale d'impianto. L'incidenza del costo dell'impianto sul costo del kWh geotermico, prodotto in centrali a condensazione del tipo dianzi specificato, è all'incirca dello stesso ordine di grandezza dell'incidenza sul costo del kWh generato in centrali termoelettriche brucianti i combustibili fossili tradizionali; il costo è di un ordine di grandezza metà per le centrali geotermiche a scarico atmosferico del vapore endogeno. Il costo del vapore endogeno ha un'incidenza inferiore, mentre gh altri oneri sono all'incirca dello stesso ordine. Il consumo specifico di vapore endogeno è circa di 6,5 ÷ 7,5 kg/kWh. In definitiva, il costo dell'energia geotermoelettrica è attualmente inferiore alla metà di quello dell'energia termoelettrica prodotta bruciando combustibili fossili. L'elevata rumorosità dei soffioni di vapore endogeno e degli scarichi liberi all'atmosfera (si hanno intensità sonore dell'ordine di 120 ÷ 130 e più phon nello spettro di frequenze dai 1000 ai 3000 Hz) può venire contenuta entro i limiti consentiti per legge (circa 85 phon) mediante l'adozione di efficaci silenziatori di svariati tipi.

I criteri per la progettazione delle turbine a vapore endogeno sono sinteticamente i seguenti: a) l'adozione di palettaggi atti a consentire un funzionamento con buon rendimento in condizioni termodinamiche differenti nel tempo, in specie con differenti valori per la pressione iniziale; b) una sovraccaricabilità dell'ordine del 30%; c) per i turbomotori operanti con pressioni iniziali del vapore endogeno da 7 a 11 bar e con temperature da 235 °C a 285 °C, a recupero termico totale oppure con scarico libero all'atmosfera, l'adozione di macchine monoblocco, di costruzione semplice e poco costosa, sviluppanti potenze nella gamma di valori: da 1 a 1,2 MW, da 3 a 3,5 MW e da 5 a 6 MW.

Si sono sviluppati anche turbogruppi a vapore endogeno trasportabili, di rapida installazione, richiedenti ridotto spazio d'ingombro e aventi basso peso, ma sufficiente rigidezza; lo statore dell'alternatore viene conglobato con l'incastellatura dei supporti e con la piattaforma metallica di basamento. L'avviamento ha luogo mediante un eiettore a vapore.

Turbine a vapore marine. - Gli apparati motori a vapore navali più potenti sono odiernamente quelli richiesti dalle navi delle marine militari: portaerei, superportaerei, navi da battaglia e incrociatori, richiedenti lo sviluppo di potenze-asse che vanno dai 60 ai 120 MW e oltre, con pesi unitari varianti dai 45 ai 75 kg/kW-asse. Negl'incrociatori leggeri, esploratori e cacciatorpediniere, e nelle naviausiliarie, si scende coi pesi unitari degli apparati motori a vapore sin verso i 10: z0 kg/kW-asse e anche meno. Le navi rompighiaccio richiedono apparati motori a vapore aventi potenze-asse di 32 ÷ 36 MW, in generale su tre assi portaeliche.

Per la propulsione a vapore vengono impiegati odiernamente generatori di vapore a tubi sottili d'acqua, di tipo alleggerito, aventi pesi unitari di 15 ÷ 30 kg/kW, di ridotto ingombro e operanti a pressioni di 50 ÷ 100 bar e temperature di 450 ÷ 480 oC e in qualche caso anche di 540 °C; la regolazione della combustione è automatica; la temperatura dell'acqua di alimentazione è di solito uguale a 180 °C. I carichi termici specifici della camera di combustione vanno da 2000 a 3250 kJ /m3; i flussi termici medi per le pareti di schermatura da 650.000 a1,1 milione di kJ /(m2 • h) e le vaporizzazioni specifiche da 45 a 50 kg/(m2 • h). I consumi specifici di olio residuale sono dell'ordine di 0,34 kg/kWh, quelli termici specifici di 13.800 kJ/kWh, corrispondenti a rendimenti termici dell'ordine del 26%. Il circuito termico operativo comporta cinque gradini di rigenerazione termica mediante cinque estrazioni non regolate di vapore dal turbomotore (per es., rispettivamente a 18,5 bar e 353 °C; 9,9 bar e 293 °C; 3,9 bar e 213 °C; 1,25 bar e 144 °C; 0,9 bar con titolo x = 0,978). Il vuoto al condensatore, in condizioni nominali di progetto, è del 95% (temperatura dell'acqua condensatrice di 24 °C).

Il primo stadio (elemento di regolazione) del corpo di AP delle turbine marine è, in generale, un elemento Curtis a due gradini di velocità ed è seguito da una ventina di elementi semplici a basso grado di reazione. Il corpo di MP comporta 24 o 25 elementi semplici per la marcia avanti e un elemento Curtis a 3 gradini di velocità per la retromarcia. Il corpo di BP è, in generale, a doppio flusso per il vapore e viene formato con 15 o 16 stadi per lato per la marcia avanti e di un elemento Curtis a tre gradini di velocità per la retromarcia. In posizione sottostante viene situato il condensatore di vapore, che è di solito corredato con un eiettore a vapore a tre stadi.

Se il numero di giri delle eliche è di 140 giri /min a una velocità di navigazione di 23 nodi, esso è di circa 160 giri/min alla massima velocità contrattuale di navigazione. Per potenze-asse superiori ai 10 MW, la propulsione ha luogo abitualmente su due linee d'albero tramite riduttori di velocità a ingranaggi, uno per linea d'albero; i turbomotori vengono di solito formati con tre corpi, dei quali uno di AP, uno di MP e uno di BP a duplice flusso per il vapore, dislocati affiancati e collegati mediante un giunto a denti al riduttore di velocità.

L'aumento del tonnellaggio e quello della velocità di navigazione hanno caratterizzato l'evoluzione recente delle costruzioni navali mercantili; il primo ha consentito di abbassare la potenza richiesta all'apparato motore per tonnellata di portata; il secondo ha imposto invece l'adozione di apparati motori via via più potenti.

Bibl.: M. Medici, Rassegne annuali su Motori primi termici, in L'elettrotecnica, annate dal 1958 in poi; H. Schlichting, Application of boundary layer theory in turbomachinery, Annual meeting of ASME (American Society of Mechanical Engineers), New York 1-5 dic. 1959; M. Medici, Le macchine per impieghi speciali, Padova 1965; id., La progettazione delle macchine termiche, ivi 1966; id., Corso di macchine, ivi 1967; id., Energia utilizzabile ed energia nei blocchi termoelettrici, a vapor d'acqua, in L'elettrotecnica, vol. LIV, n. 4 (1967); M.E. Deic, B.M. Trojanovskij, Untersuchungen und Berechnung axialer Turbinenstufen, Berlino 1973; ENEL Studi e Ricerche n. 4, L'energia geotermica, Milano 1974; Energia geotermica, Comunicazioni alla Giornata di studio FAST sull'energia, 7 giugno 1974, ivi 1974; C. Seippel, Sur le degré de réaction des turbines, in Revue Brown Boveri, n. 3 (1975), pp. 92-98; M. Medici, Sulla determinazione ottimale dei profili palari per gli ultimi elementi dei turbomotori a vapore degli impianti nucleari, in Atti dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Venezia, tomo CXXXIV (1975-76); G. Bonzani, F. Martelli, R. Senis, Su taluni aspetti della progettazione delle grandi turbine a vapore saturo per centrali nucleari, in La termotecnica, vol. XXX, n. 3 (1976), pp. 123-36; W. Traupel, Thermische Turbomaschinen, Berlino 19773.

Motori a combustione interna alternativi. - L'evoluzione tecnica subita da questa categoria di m. è da attribursi a una molteplicità di problemi conseguenti alla loro sempre maggiore diffusione nella trazione terrestre e nella propulsione navale. A tale sviluppo, infatti, ha fatto riscontro da un lato l'insorgere del problema dell'inquinamento atmosferico e dall'altro l'accentuarsi dell'esigenza di un più razionale sfruttamento delle fonti naturali di energia; il che ha comportato sostanziali modifiche tecniche al m. a combustione interna alternativo tali da alterare notevolmente, talvolta, la sua fisionomia iniziale.

Motori ad accensione comandata. - Si è assistito a un generale assestamento dei valori delle principali grandezze caratterizzanti le prestazioni dei m. sia a due tempi sia a quattro tempi, che può così brevemente riassumersi.

a) Potenza. Occorre fare una netta distinzione tra i m. a due tempi destinati prevalentemente al settore dei motocicli e della propulsione marina, e quello dei m. a quattro tempi destinati, invece, soprattutto all'autotrazione. Mentre per i primi non è stato generalmente superato il limite dei 150 kW, per i secondi si è raggiunto il valore di circa 370 kW recentemente realizzati da taluni m. destinati alle competizioni sportive. È da rilevare che siffatte prestazioni sono state accompagnate da un generale aumento della frequenza massima di rotazione del m. attestatasi su valori intorno ai 6000 ÷ 7000 giri/min per m. da turismo e di 12.000 giri/min per m. da competizione.

b) Consumo specifico di combustibile. Grazie ai progressi realizzati nei sistemi di accensione e di alimentazione della miscela, si è pervenuti a una sostanziale riduzione del consumo specifico di combustibile, che ha raggiunto valori minimi prossimi ai 0,3 kg/kWh nei m. a quattro tempi e di circa 0,35 kg/kWh in quelli a due tempi.

c) Pressione media effettiva. Non si sono rilevati sostanziali discostamenti dal limite massimo, valevole per m. non sovralimentati, di 10 ÷ 12 daN/cm2.

L'evento più determinante ai fini dello sviluppo tecnico dei m. ad accensione comandata è stato certamente l'insorgere del problema dell'inquinamento atmosferico dovuto all'emissione di sostanze nocive allo scarico e determinato dalla sempre maggiore diffusione che essi hanno ricevuto principalmente nella trazione terrestre.

La produzione delle sostanze inquinanti è essenzialmente dipendente dal meccanismo di formazione della miscela. Infatti, la dosatura viene regolata verso la realizzazione di miscele ricche (contenenti cioè combustibile in eccesso rispetto al valore stechiometrico) allo scopo di conferire ai m. doti di elasticità e di ripresa. Di conseguenza, durante il processo di combustione delle molecole di carbonio e idrogeno del combustibile in difetto d'ossigeno contenuto nell'aria comburente, si vengono a formare (e vengono successivamente immessi nell'atmosfera attraverso il sistema di scarico) prodotti innocui sotto il profilo tossicologico, quali l'anidride carbonica e l'acqua, e altri dovuti a combustione incompleta, quali l'ossido di carbonio e gl'idrocarburi incombusti, che si rivelano invece nocivi per la salute dell'uomo. L'ossido di carbonio, infatti, una volta immesso nel sangue attraverso la funzione respiratoria, trasforma l'emoglobina in carbossiemoglobina, impedendo l'assimilazione dell'ossigeno da parte dell'organismo; gl'idrocarburi incombusti, invece, secondo un meccanismo di reazione dovuto ad Haagen-Smit, danno luogo, sotto l'azione dei raggi ultravioletti del sole (smog fotochimico), alla formazione di idrocarburi della serie del benzopirene di riconosciute proprietà cancerogene. All'ossido di carbonio e agl'idrocarburi incombusti si accompagna poi sempre la formazione di altri inquinanti, quali gli ossidi di azoto NOx (costituiti da una miscela di NO e NO2) la cui produzione è dovuta alla reattività che, alle alte temperature regnanti nella camera di combustione, esplica l'ossigeno nei riguardi dell'azoto. L'effetto nocivo attribuito agli ossidi d'azoto consiste in un'azione irritante sulle mucose degli esseri viventi e in particolare dell'uomo. Inoltre, accanto agl'inquinanti principali sopracitati (CO, CxHy, NOx) vengono prodotti allo scarico del m. altri componenti nocivi (aldeidi, chetoni, piombo volatile) che, almeno per ora, sono considerati con minore interesse rispetto ai primi in quanto viene reputato non determinante il contributo che essi apportano al problema dell'inquinamento atmosferico.

Le limitazioni sempre crescenti imposte nei vari paesi ai livelli delle concentrazioni di inquinanti emessi dai m. hanno comportato una revisione profonda dei criteri ai quali deve soddisfare un'accurata progettazione, in passato per lo più rivolta ad assicurare al m. requisiti di massima potenza ed economia, e oggi piuttosto a contemperare tali esigenze con le necessità di assicurare modesti livelli di emissioni allo scarico (v. anche autoveicolo, in questa Appendice).

I provvedimenti tecnici limitativi, impiegati per ridurre le emissioni degl'inquinanti allo scarico dei m. ad accensione comandata, si possono ricondurre ai seguenti tre fondamentali: a) varianti ai dispositivi di accensione e di alimentazione del combustibile; b) modifiche alla camera di combustione; c) dispositivi di conversione delle sostanze inquinanti applicati ai condotti di scarico. Questi ultimi provvedimenti si limitano a distruggere i prodotti tossici; gli altri si propongono invece, più razionalmente, di prevenirne la formazione.

a) Varianti ai dispositivi di accensione e di alimentazione del combustibile. Comprendono una serie di provvedimenti tecnici, che limitano le emissioni di sostanze nocive agendo su due importanti variabili di funzionamento del m.: il rapporto aria-combustibile α e l'anticipo all'accensione θ. Tali variabili, infatti, come provato dall'esperienza, sono in grado di esercitare una notevole e benefica influenza nei riguardi delle emissioni di inquinanti, ma d'altra parte influenzano profondamente la potenza e il consumo specifico di combustibile del motore. Ne consegue pertanto che una regolazione di α e θ intesa a minimizzare le emissioni di sostanze nocive può essere incompatibile con il raggiungimento di adeguati valori delle prestazioni, per cui la soluzione ottimale va ricercata principalmente nella scelta di un opportuno compromesso tra prestazioni ed emissioni.

I sistemi di alimentazione a iniezione di benzina si sono dimostrati più idonei di quelli a carburazione al controllo da parte di un qualsiasi dispositivo di regolazione. Nei carburatori, infatti, ove si escludano quelli a spillo, non è possibile svincolare la portata del combustibile da quella dell'aria, come si può fare invece nelle pompe d'iniezione, allo scopo di consentire una regolazione del rapporto α entro una gamma di ampiezza adeguata alle esigenze di una qualsiasi ottimazione. A questo vantaggio sostanziale dei sistemi d'iniezione si aggiunge quello di una maggiore prontezza di risposta e quindi di un miglior comportamento nelle fasi transitorie di funzionamento del motore. Tra le realizzazioni più notevoli al riguardo è da annoverare il sistema d'iniezione elettronica Bosch (fig. 26), nel quale la regolazione della quantità di combustibile iniettata per ciclo avviene per variazione del tempo di apertura dell'ago degl'iniettori. Questi ultimi sono delle vere e proprie valvoline elettromagnetiche, cui il combustibile perviene a pressione costante da un circuito chiuso, sul quale lavora una speciale pompetta elettrica di alimentazione. L'istante di apertura degl'iniettori è invece comandato elettricamente da un generatore di impulsi azionato dallo spinterogeno. La regolazione della durata di apertura degl'iniettori è affidata a due parametri fondamentali: la pressione p regnante nel collettore di aspirazione e la velocità angolare n del motore. Queste due grandezze, tradotte in segnali elettrici a mezzo di opportuni trasduttori, vengono elaborate in un vero e proprio minuscolo calcolatore da cui proviene, in definitiva, il segnale di regolazione del tempo di apertura dei suddetti iniettori. Si può fare quindi in modo che a ogni determinata coppia di valori p, n (e quindi della portata d'aria aspirata) venga iniettata una certa portata di benzina che realizzi il rapporto α voluto.

I particolari sistemi di accensione della miscela comprendono dispositivi che: 1) dànno luogo, solitamente per via elettronica, a scintille a tensione e frequenza molto elevate, atte a provocare l'accensione di miscele molto povere e quindi scarsamente inquinanti; 2) provvedono a diminuire l'anticipo durante il funzionamento al minimo, costituendo tale diminuzione un efficace mezzo per contenere le emissioni di idrocarburi.

b) Modifiche alla camera di combustione. Consistono in una riduzione del rapporto superficie/volume della camera di combustione allo scopo di minimizzare il fenomeno, denominato quenching, dello spegnimento della fiamma sulle pareti relativamente fredde: questo fenomeno è il principale responsabile della presenza di idrocarburi nei gas di scarico.

Ciò è stato conseguito soprattutto agendo sulla forma della camera, sulla ripartizione della cilindrata totale nel minimo numero di cilindri possibile, sul rapporto di compressione, sul rapporto corsa/alesaggio.

c) Dispositivi di conversione applicati ai condotti di scarico. Comprendono tutti quei dispositivi che, attraverso l'aggiunta nei gas di scarico di aria secondaria (così detta per distinguerla dall'aria primaria aspirata dal m.) operano la conversione degl'idrocarburi e dell'ossido di carbonio in prodotti innocui di combustione completa (anidride carbonica e acqua). Tali dispositivi sono essenzialmente di due tipi: reattori omogenei e reattori catalitici.

I reattori omogenei sono costituiti da speciali collettori coibentati di aspetto molto vario, applicati allo scarico dei m., nei quali le sostanze ancora incombuste (CO e CxHy) sono messe in grado di reagire con aria iniettata nelle immediate vicinanze delle luci di scarico, ove la temperatura molto elevata dei gas favorisce un rapido svolgimento delle reazioni di ossidazione. L'adduzione dell'aria secondaria, necessaria per la reazione, viene assicurata attraverso apposita pompa d'aria azionata direttamente dall'albero motore, per es., mediante trasmissione a cinghia. L'efficacia della conversione è notevole a temperature dei gas di scarico comprese tra i 600 e i 1000 °C, ma il loro impiego si rivela inadeguato al di sotto di tali valori per la modestissima entità delle reazioni di conversione.

I reattori catalitici comprendono particolari tipi di marmitte, collocate lungo il sistema di scarico del m., nelle quali, per effetto della presenza di sostanze catalizzatrici (acceleratrici della velocità di reazione) e dell'aggiunta di aria secondaria, vengono promosse le reazioni di conversione delle principali sostanze inquinanti. Tale dispositivo è idoneo a operare la conversione del gas di scarico anche alle temperature relativamente modeste (150 ÷ 200 °C) che si hanno all'avviamento e ai bassi regimi e carichi del motore; di contro presenta il grave inconveniente che il catalizzatore (platino, palladio, ecc.) subisce un progressivo processo di avvelenamento da parte del piombo contenuto nella benzina, per cui l'efficacia viene a diminuire col tempo; l'impiego di questo sistema, che richiede quindi una costante manutenzione, si presenta meno affidabile dei reattori omogenei, che al momento godono il maggiore favore dei costruttori di autoveicoli.

Motori ad accensione per compressione (Diesel). - L'evoluzione subita nelle principali caratteristiche può essere così brevemente sintetizzata.

a) Potenza. Mentre per i m. del tipo a quattro tempi si è assistito a un assestamento intorno ai valori di 200 ÷ 300 kW realizzati dai m. destinati alla trazione stradale pesante (autocarri, autobus, ecc.), si è ulteriormente accresciuto il limite della potenza massima dei grandi m. a due tempi che, specialmente nelle monumentali versioni marine, hanno raggiunto il valore massimo di circa 2800 kW (4000 CV) per cilindro, come nel m. 1060 S della Grandi Motori - Trieste (GMT).

b) Consumo specifico di combustibile. Si può parlare di un progressivo stabilizzarsi su valori minimi di circa 250 g/kWh (190 g/CVh) per quanto riguarda i m. per la trazione stradale pesante a quattro tempi, cui si contrappone il valore di circa 190 g/kWh (140 g/CVh) raggiunto invece da taluni grandi m. a due tempi sovralimentati.

c) Pressione media effettiva. Si può parlare, per m. sovralimentati, di un generale assestamento su valori prossimi a 15 daN/cm2 per i m. a quattro tempi e di 10 daN/cm2 per i grandi m. a due tempi.

Anche i m. Diesel contribuiscono al problema dell'inquinamento atmosferico, ma con modalità che si differenziano notevolmente da quelle dei m. ad accensione comandata. Nei m. Diesel, infatti, il rapporto di massa aria/combustibile, pur largamente variabile in relazione al carico del m., si conserva sempre più elevato (fino al 100%) di quello stechiometrico; il che si traduce in una reazione con eccesso di ossigeno in camera di combustione. Quest'ultima circostanza, che comporta l'assenza praticamente completa dell'ossido di carbonio nei gas combusti (ma piuttosto la presenza di carbonio), favorisce, invece, una cospicua formazione di ossidi di azoto, la cui produzione è dovuta, nonostante la minore temperatura massima rispetto ai m. ad accensione comandata, al forte eccesso di ossigeno nella reazione e all'elevata temperatura locale che si produce in prossimità delle goccioline di combustibile infiammate. Inoltre la non uniforme distribuzione del combustibile, iniettato sotto forma di piccolissime goccioline nella camera di combustione, è causa di forti arricchimenti a livello locale della miscela, che favorisce la formazione sia degl'idrocarburi incombusti sia del carbonio grafitico allo stato amorfo. Quest'ultimo, una volta immesso nell'atmosfera attraverso il sistema di scarico, determina il fenomeno della fumosità del m. Diesel particolarmente rilevante agli elevati carichi.

Motori a combustione interna volumetrici rotativi. - Sebbene in passato molte versioni di m. di questo genere siano state studiate, provate e abbandonate, sono proseguiti anche in questi ultimi quindici anni gli sforzi tendenti verso la realizzazione di m. ad accensione comandata di tipo rotativo, che fosse in grado di competere per potenza, consumo di combustibile ed emissioni, col m. a lternativo.

Tra le varie proposte, l'unico m. che ha sinora riscosso una notevole affermazione, passando dallo stadio di sperimentazione a quello di produzione, è stato il m. Wankel. Quest'ultimo è costituito (fig. 27) da una camera a di forma cilindrica, non circolare, entro la quale si muove un membro rotante (rotore b) dotato di moto eccentrico (planetario) attorno a un ingranaggio c connesso solidalmente all'albero motore d e rotante a sua volta, rispetto a esso, con velocità tre volte maggiore. Anche in questo caso, come nei m. alternativi a quattro tempi, vi sono le fasi di aspirazione, compressione, espansione e scarico.

Dall'esame delle figg. 27A, 27B, 27C, 27D è evidente che, dal momento che il rotore viene a individuare tre porzioni di fluido ermeticamente separate (corrispondenti al fluido compreso in tre cilindri distinti), s'individuano tre fasi utili per ogni rivoluzione completa del rotore e quindi per giro dell'albero motore.

I requisiti principali del m. Wankel sono: la ragguardevole potenza che si può ottenere da un m. di dimensioni considerevolmente ridotte e quindi di notevole leggerezza; la semplicità di realizzazione, connessa al minor numero di parti costituenti il m. (manca del tutto la distribuzione), che si traduce anche in un minor costo complessivo; l'assenza di forze d'inerzia alternative, il che rende estremamente agevole il bilanciamento e assicura al m. una notevole dolcezza e silenziosità di funzionamento.

Per contro, i principali svantaggi sono rappresentati da: un severo problema di usura delle tenute rotoriche esposte a continue sollecitazioni termiche e meccaniche; l'elevato rapporto superficie-volume della camera di combustione, che non consente una buona combustione e favorisce la formazione di idrocarburi incombusti nei gas di scarico; la difficoltà di raggiungere elevati rapporti di compressione, con i conseguenti riflessi sul consumo specifico di combustibile.

In siffatto contesto di pregi e difetti il m. rotativo, che qualche anno addietro riscuoteva, specie oltreoceano (General Motors) notevole entusiasmo, è oggi considerato con molte perplessità, quale succedaneo del m. alternativo.

Motori a combustione interna dinamici. - Rientra in questa categoria di m. la turbina a gas, che ha subìto in questi ultimi quindici anni un costante e progressivo sviluppo, tale da confermare ulteriormente la propria superiorità nel campo della propulsione (v. in questa App.) aeronautica e da estendere sensibilmente il proprio campo d'impiego in altri settori, quali la produzione di energia elettrica e la propulsione terrestre e marina, dominati per il passato dalle turbine a vapore e dai m. a combustione interna alternativi.

Le cause di un tale sviluppo sono numerose; tra esse sono da annoverare: un ridotto rapporto peso/potenza rispetto a tutti gli altri tipi di m. alternativi e al più basso costo attualmente realizzabile del kW installato; un consumo specifico di combustibile in rapido miglioramento per effetto dello sviluppo tecnologico dei materiali e della tecnica costruttiva dei compressori e dei rigeneratori; un basso potere inquinante, connesso con l'alto rendimento della combustione che ne caratterizza il funzionamento.

Turbine a gas per la produzione di energia elettrica. - L'impiego delle turbine a gas per la produzione di energia elettrica ha subito un notevole progresso in questi ultimi quindici anni, portando il valore della potenza installata nel mondo, dai 2500 MW del 1960 ai quasi 75.000 MW del 1975. Le attuali linee di sviluppo sono indirizzate verso la realizzazione di impianti adibiti a soddisfare esigenze di carichi di punta e di carichi intermedi, ma non mancano anche progetti di impianti destinati a coprire la base dei carichi dell'utenza.

Per quanto concerne le configurazioni degl'impianti preposti ai carichi di punta, le maggiori preferenze delle case costruttrici sono andate verso gli schemi a semplice o doppio asse operanti secondo il ciclo di Joule semplice o rigenerativo (fig. 28). In tale settore le potenze unitarie hanno subìto un forte incremento: un impianto con turbina a ciclo di Joule semplice a singolo asse della potenza unitaria di 100 MW, quale il TG 50 C, è stato realizzato in collaborazione dalle società FIAT e Westinghouse. Con simili impianti, grazie ai progressi ottenuti sia nel rapporto di compressione (12), sia nelle temperature massime (1405 °K) del ciclo, è stato possibile pervenire a un rendimento globale dell'ordine del 30%, considerevole per questa categoria di m., che non impiega i convenzionali metodi adoperati per migliorare il rendimento delle turbine a gas.

Per quanto riguarda invece le applicazioni per carichi intermedi sono state ancora impiegate le soluzioni gas-vapore allo scopo di limitare ulteriormente il consumo specifico di calore. Al riguardo le preferenze dei costruttori sono andate verso la realizzazione di schemi nei quali il calore di scarico della turbina a circuito aperto viene utilizzato per alimentare il focolare di una caldaia facente parte di un preesistente impianto a vapore.

Turbine a gas per la propulsione aerea: v. propulsione, in questa Appendice.

Turbine a gas per la propulsione navale. - Sulla base dell'esperienza acquisita nel settore della propulsione aeronautica e degl'impianti fissi, in questi ultimi anni alcune case costruttrici, specialmente nell'URSS, negli Stati Uniti e nel Canada, hanno adattato all'impiego in campo navale precedenti modelli di turbine a gas già dimostratesi soddisfacenti sotto il profilo dell'esercizio e dell'affidabilità di funzionamento. Gli schemi proposti prevedono l'adattmmento o di un gruppo generatore di gas aeronautico a una turbina di potenza (che a sua volta aziona l'elica mediante un riduttore di giri) oppure direttamente (fig. 29) l'accoppiamento di un gruppo (destinato alla produzione di energia elettrica) a un riduttore che trasmette il moto all'elica. Quest'ultima, grazie ai progressi tecnici, è del tipo a passo invertibile in quanto è noto che una delle maggiori difficoltà avutesi in passato alla diffusione delle turbine a gas nel campo navale è stato proprio l'impossibilità di realizzare l'inversione di marcia con i sistemi usualmente impiegati nelle turbine a vapore. Tra i vantaggi che presenta l'impiego delle turbine a gas sono da annoverare: minori problemi di peso o d'ingombro rispetto agl'impianti a vapore, nei cui confronti risultano oggi competitivi anche sul piano del rendimento; maggiore semplicità d'installazione nei confronti del m. Diesel, cui si associa una minore presenza dei fenomeni vibratori.

Gl'inconvenienti sono: la necessità d'impiego di combustibili di migliore qualità rispetto agli altri due tipi di m.; un consumo specifico ancora decisamente superiore a quello dei grandi m. Diesel.

Turbina a gas per la trazione terrestre. - L'attuale direzione di sviluppo è soprattutto orientata verso l'applicazione alla trazione pesante (autobus, autocarri, ecc.), laddove l'impiego della turbina a gas si presenta competitivo con quello dei m. Diesel. Solo, infatti, in questo campo di potenze, a differenza di quanto avviene nel settore dell'autotrazione, le turbine a gas possono essere costruite con rendimenti e consumi specifici apprezzabili. Inoltre, dal momento che il peso delle turbine non cresce proporzionalmente alle potenze ne scaturisce che quelle di più grosse dimensioni hanno un più favorevole rapporto peso/potenza di quelle impiegate nel campo delle potenze più modeste.

Inoltre la turbina a gas non presenta buone caratteristiche di accelerazione, per cui il suo impiego si dimostra più conveniente nel campo della trazione pesante che in quello della trazione automobilistica. Gli schemi proposti dalle principali case costruttrici prevedono l'impiego di un gruppo generatore di gas che alimenta una turbina libera, collegata all'albero di trasmissione tramite un riduttore a ingranaggi.

Dal momento che una siffatta configurazione presenta, per la modesta entità dei rendimenti dei componenti (compressore, turbina, ecc.), un valore del consumo specifico inaccettabile, vengono solitamente impiegati, al giorno d'oggi, dalle case costruttrici di m., taluni accorgimenti che consentono di migliorare il rendimento.

Le società Chrysler e General Motors hanno realizzato una versione, basata sullo stesso schema di turbocompressore della fig. 28, nella quale è previsto l'inserimento di un preriscaldatore rigenerativo rotante sul percorso dei gas combusti prima del loro scarico nell'atmosfera; la Ford, invece (fig. 30), ha realizzato un modello nel quale è previsto, unitamente alla rigenerazione, anche l'impiego della postcombustione e della rigenerazione intermedia. Una tale soluzione offre la possibilità di una più contenuta riduzione delle prestazioni del m. ai carichi parziali rispetto alla soluzione precedente. Infatti, risultando possibile regolare la potenza del m. per sola variazione della mandata di combustibile nel secondo postcombustore, non si rende necessario né modificare la velocità di rotazione ottima del gruppo compressore-turbina di alta pressione, né variare la temperatura massima del ciclo; fattori questi ultimi da cui dipende strettamente il rendimento globale del motore.

Bibl.: J. Kruschik, Die Gasturbine, Berlino e Vienna 1960; F. Schmidt, The internal combustion engine, Londra 1965; A. W. Judge, Moderne engines, ivi 1965; id., Moderne petrol engines, ivi 1965; E. F. Obert, Internal combustion engines, ivi 1965; L. C. Lichty, Combustion engine processes, New York e Londra 1967; Sawyer's gas turbine, catalogo 1970, Stamford 1970; F. C. Taylor, The internal combustion engine in theory and practice, Cambridge, Mass., 1970; D. J . Patterson, N. A. Henein, Emission from combustion engines and their control, Ann. Arbor, Mich., 1972; J. W. Sawyer, Sawyer's gas turbine engineering handbook, vol. II, Stamford 1972.

MOTORI ELETTRICI.

I m. elettrici sono in continua evoluzione. I tipi già noti si perfezionano nella costruzione e nelle prestazioni, mentre nuovi tipi si affacciano alla ribalta delle applicazioni pratiche, alcuni di concezione completamente nuova, anche se basati su principi e sistemi già utilizzati nei tipi classici, altri derivati direttamente dai tipi già noti, ma con modifiche sostanziali di alcune loro parti fondamentali.

Motori a induzione. - Il m. a induzione è certamente il più interessante per le applicazioni, data la grande semplicità del suo funzionamento e la sua grande robustezza che riduce la manutenzione a limiti difficilmente valicabili (v. dinamoelettriche, macchine, XII, p. 891; v. motore, App. II, 11, p. 362; III, 11, p. 171). D'altronde presenta lo svantaggio di essere un m. a velocità pressoché costante e di richiedere per il suo avviamento sotto carico particolari accorgimenti che sono stati motivo di innumerevoli soluzioni. Attualmente con l'ausilio di sistemi elettronici, quale per es. l'invertitore statico, utilizzante diodi allo stato solido controllati (tiristori), è stato possibile alimentare tali m. con tensioni e frequenza opportunamente variabili in modo da superare le difficoltà di avviamento e quelle della regolazione, la più ampia possibile, della sua velocità. Con tale soluzione non occorrono variazioni alla struttura della macchina asincrona, che pertanto resta quella già nota.

Su tale struttura invece s'interviene seguendo un altro indirizzo, il quale richiede una modifica dell'avvolgimento statorico. Questo indirizzo, già noto fin dal 1897 per opera di R. Dahlander è stato ripreso in questi ultimi anni ed è in progressivo perfezionamento.

L'idea di Dahlander consisteva sostanzialmente nella seguente osservazione: dato che il campo magnetico rotante, generato staticamente da un sistema polifase di correnti alternate, ha una velocità angolare uguale a 2πf/p (dove f è la frequenza delle correnti alternate e p è il numero delle coppie dei poli magnetici), per variare la velocità del campo rotante e quindi quella dell'albero di rotazione del m:, basta, a parità di frequenza delle correnti, cambiare il numero p delle coppie di poli.

Se il sistema delle correnti è trifase, lo statore della macchina dev'essere dotato di un avvolgimento trifase, cioè di tre distinti avvolgimenti uguali ma sfasati, nel loro alloggiamento, l'uno rispetto all'altro, di uno stesso angolo uguale a 2π/3p (avvolgimenti chiamati anche "fasi" dell'avvolgimento trifase) in ciascuno dei quali fluisce una delle tre correnti del sistema. Detti avvolgimenti debbono essere costruiti in modo da generare, quando sono attraversati da una corrente alternata, un campo magnetico alternativo avente lo stesso numero p di coppie di poli magnetici che è richiesto per il campo rotante risultante.

I tre campi magnetici alternativi, generati dai tre avvolgimenti, sommandosi dànno luogo al campo rotante risultante che, come già detto, presenterà lo stesso numero di coppie di poli p che possiedono ciascuno dei tre campi alternativi componenti.

Per cambiare la velocità angolare del campo magnetico risultante (campo rotante) basta variare, mediante dei contattori, il collegamento tra i vari conduttori attivi degli avvolgimenti statorici, in modo da ottenere per ciascuno di essi un diverso numero delle coppie di poli magnetici. Con questo sistema Dahlander otteneva una variazione della velocità da 1 a 2.

Per chiarire il procedimento ci riferiamo a un caso molto semplice. Nella fig. 31 A sono indicati in sezione, schematicamente, lo statore e il rotore di una macchina asincrona. Nello statore è visibile uno solo dei tre avvolgimenti statorici a cui si è sopra accennato. Si tratta di un avvolgimento in grado di generare un campo alternativo a due coppie di poli (p = 2).

Detto avvolgimento è formato da due matasse i cui lati attivi, che trovano posto nelle cave (o canali) dello statore, si vedono in sezione nella fig. 31A e contrassegnati con un punto (al centro di detta sezione) per indicare che la corrente (in un certo istante) è diretta in essi nel senso che va verso l'osservatore (cioè dalla parte posteriore verso quella anteriore), oppure con una crocetta se la corrente è diretta nel senso opposto, cioè quello che si allontana dall'osservatore (dalla parte anteriore verso quella posteriore). I lati attivi sono collegati tra loro dalle connessioni frontali anteriori e posteriori (fig. 31, A e B).

Nella fig. 31B si dà una rappresentazione "rettificata" di tale avvolgimento, immaginando di distenderlo sopra un piano insieme alla superficie cilindrica ideale (supposto di averla tagliata lungo una generatrice) sulla quale può considerarsi appoggiato sia con i suoi lati attivi, sia con le sue connessioni frontali.

Supponendo in un primo tempo che le due matasse siano collegate in serie e alimentate tra i morsetti estremi P e Q, come indicato in fig. 31B è facile rendersi conto che negl'istanti in cui il verso della corrente è quello indicato nella fig. 31, A e B, il campo magnetico generato da tale avvolgimento presenta linee di forza (linee in bianco) con l'andamento e il verso riportati nella stessa fig. 31A. Da tale andamento si deduce che detto campo magnetico presenta quattro poli (cioè p = 2) dato che la zona interposta tra rotore e statore, detta interferro (o traferro) può dividersi in quattro zone lungo le quali, alternativamente, il campo è diretto dal rotore allo statore (poli sud S di statore) ovvero nel senso opposto (poli nord N di statore).

Se invece dette matasse sono alimentate in parallelo, com'è indicato nella fig. 32B, il verso della corrente resta invariato nella matassa di sinistra, mentre viene invertito in quella di destra. Il campo magnetico assume allora l'andamento indicato delle linee in bianco della fig. 32A da cui si deduce che ora i poli magnetici sono soltanto due (cioè p = 1). Si conclude che nella situazione indicata nella fig. 32 il campo rotante presenta una velocità angolare doppia di quella che si aveva nel caso della fig. 31.

Nelle figg. 31C e 32c sono riportati i grafici che indicano con evidente simbolismo il segno e l'intensità dell'induzione magnetica nel traferro nei due casi considerati. È chiaro che il campo magnetico presenta quattro poli (p = 2) nel primo caso e due poli (p = 1) nel secondo. Si osservi che nella fig. 31C a causa della rappresentazione "rettificata", uno dei poli sud si presenta diviso in due parti, che invece nella realtà sono riunite insieme a formare un unico polo.

L'andamento dell'induzione in entrambi i casi si discosta alquanto dalla forma sinusoidale, che è quella ideale per la composizione dei campi generati dai tre avvolgimenti dello statore. Il risultato migliora notevolmente impiegando avvolgimenti più complessi, per es. utilizzando invece di due sole matasse, come qui indicato, due gruppi di matasse in modo che i lati attivi dell'avvolgimento risultino distribuiti in più cave.

Con il metodo ora esposto si possono ottenere anche quattro diverse velocità di rotazione. Basta sistemare nello statore due avvolgimenti trifase (distinti fra loro e funzionanti separatamente) in modo da ottenere due velocità con uno di essi e altre due con l'altro. Per es., si può fare in modo che il primo di detti avvolgimenti trifase generi un campo magnetico rotante con 12 poli oppure con 6 poli (a seconda della posizione dei contattori), mentre il secondo avvolgimento trifase generi un campo rotante con 8 poli oppure con 4 poli. Se indichíamo con n il numero dei giri al minuto di valore minimo, cioè di quello che ha il campo rotante dotato di 12 poli, allora con 8,6 e 4 poli detto numero di giri al minuto avrà rispettivamente i valori: 1,5 n, 2 n, 3 n.

Si può generalizzare il metodo Dahlander ottenendo tre diverse velocità con un solo avvolgimento, cambiando in tre modi diversi il verso della corrente in alcune delle matasse che formano l'avvolgimento stesso.

Riferendoci sempre a una sola delle fasi che compongono l'avvolgimento trifase in questione, nella fig. 33A è riportato l'andamento dell'induzione magnetica generata da detta fase nella prima posizione dei contattori, in corrispondenza della quale si ha un campo magnetico con 8 poli.

Da 8 poli si può passare a 4 poli invertendo il senso della corrente in alcune delle matasse dell'avvolgimento com'è stato chiarito prima (seconda posizione dei contattori). Il risultato è riportato nella fig. 33B, in cui, a causa della "rettificazione", uno dei poli nord viene rappresentato diviso in due parti, mentre nella realtà queste sono riunite a formare un unico polo.

Nella fig. 33C infine è indicato chiaramente come bisogna cambiare il segno degli 8 poli della fig. 33D per ottenere un campo a 6 poli (terza posizione dei contattori). Anche in questo caso i due poli nord agli estremi nella realtà rappresentano due metà dello stesso polo.

Si consideri ora la funzione discontinua rappresentata nella fig. 33D e si osservi che moltiplicando le ordinate del grafico della fig. 33A per quelle di pari ascissa della fig. 33D si ottiene come risultato il grafico della fig. 33B. Per analogia con ben noti concetti introdotti nella tecnica delle comunicazioni, si usa dire attualmente che il grafico della fig. 33B è ottenuto per "modulazione di ampiezza" del grafico della fig. 33A mediante la funzione modulante della fig. 33D. Analogamente il grafico della fig. 33C si ottiene modulando in ampiezza il grafico della fig. 33A con la funzione modulante rappresentata nella fig. 33E.

Un ulteriore progresso è stato ottenuto, oltre che cambiando opportunamente il segno dei poli, come sopra si è detto, anche variandone l'intensità in modo da produrre un'induzione magnetica con andamento più vicino a quello sinusoidale. Questo ulteriore perfezionamento si raggiunge impiegando funzioni modulanti più complesse di quelle qui indicate.

Per quanto si è detto, il metodo ora esposto, seguendo il quale è possibile ottenere m. a induzione con diverse velocità di rotazione, è chiamato il metodo della "modulazione dell'ampiezza dei poli".

Motori a riluttanza. - Si tratta di m. a induzione sincroni (App. II, 11, p. 363), cioè di m. a induzione il cui rotore ha dei poli salienti analoghi a quelli di un m. sincrono vero e proprio, ma, a differenza di quanto si verifica in quest'ultimo tipo di m., non sono dotati né di circuito di eccitazione in corrente continua, né di magneti permanenti (caso dei piccoli m. sincroni).

Per molto tempo i m. a riluttanza hanno avuto un impiego molto limitato dato il basso valore della coppia e del fattore di potenza. Attualmente si sono raggiunti dei sensibili perfezionamenti sia per quanto riguarda la coppia, paragonabile a circa il 90% del corrispondente m. a induzione semplice, sia per il fattore di potenza che ha raggiunto il valore di 0,74. Spieghiamo anzitutto in modo schematico il funzionamento di tali m. nella forma che hanno avuto fino ad alcuni anni fa.

Consideriamo, per es., una macchina trifase il cui statore (dotato di un sistema trifase di avvolgimenti) generi un campo rotante a due poli e il cui verso di rotazione sia quello orario. Nella fig. 34 è indicata in un certo istante generico t1, la posizione dei due poli del campo rotante statorico. Il rotore in ferro laminato presenta lo stesso numero di poli del campo magnetico statorico. Come si è già detto, questi poli (a e b in fig. 34), del tipo prominente o saliente, sono analoghi a quelli di un rotore per m. sincrono vero e proprio. Per il momento supponiamo che in tale rotore non vi siano avvolgimenti di alcun tipo (né magneti permanenti).

Se nell'istante t1 i poli del campo rotante generato dallo statore e quelli del rotore a e b si trovano nella reciproca posizione rappresentata nella fig. 34, detti poli rotorici a e b saranno magnetizzati in modo da risultare rispettivamente nord e sud, dato che le linee di forza del campo magnetico dovendo seguire la strada a minore riluttanza avranno l'andamento indicato dalle linee in bianco. Anche se varia la posizione relativa del rotore rispetto a quella del campo rotante, il nome dei poli rotorici non cambia, purché detta variazione non sia molto grande e in ogni caso tale da lasciare ciascuno dei poli rotorici sempre affacciato allo stesso polo del campo statorico.

Così finché il polo a, per es., (che nell'istante t1 considerato è un nord) si sposta dalla posizione indicata nella fig. 34 restando tuttavia dentro l'arco

che delimita, nell'istante t1, il polo sud del campo rotante, esso conserva il nome di nord. L'intensità di magnetizzazione del polo a è minima nelle posizione estreme 1 e 3, e massima al centro dell'arco

cioè nella posizione 2 corrispondente proprio alla zona centrale del polo sud del campo rotante. Analogamente per il polo b la magnetizzazione è massima quando si trova affacciato al centro dell'arco

cioè nella posizione 4, zona centrale del polo nord del campo rotante, ed è minima nelle posizioni estreme 3 e 1.

Si può inoltre dire che finché i poli a e b restano affacciati rispettivamente al polo sud e al polo nord del campo rotante statorico, sono sempre attirati: il polo a verso la parte centrale 2 del polo sud e il polo b verso la parte centrale 4 del polo nord.

Immaginiamo ora di fare ruotare il rotore con un azionamento esterno nello stesso verso orario del campo rotante statorico a una certa velocità angolare Ω′ leggermente inferiore a quella Ω di detto campo rotante. Tale azionamento sia realizzato in modo che se da un certo momento in poi il rotore è sollecitato da altre forze a ruotare a una velocità maggiore di Ω′ esso si sganci automaticamente dal dispositivo di movimento.

Per fissare le idee supponiamo che sia inferiore a Ω per un valore corrispondente alla velocità di rotazione di 1 giro al secondo. In queste ipotesi il rotore girerà rispetto al campo rotante con la velocità di 1 giro al secondo nel verso antiorario e un osservatore ideale stabilmente collegato al campo rotante vedrà il polo a muoversi nel verso 1, 2, 3 e il polo b nel verso 3, 4, 1. Come si è già detto, il polo a è attirato verso la posizione 2 e il polo b verso la posizione 4; tuttavia poiché le forze di attrazione nella posizione (2,4) sono mediamente dirette in senso radiale, la coppia torcente dovuta a tali forze e che sollecita il rotore è ivi praticamente nulla; i due poli a e b superano quindi la posizione (2, 4). Superata questa posizione rinasce la coppia torcente che ora è diretta in modo da frenare il movimento di rallentamento del rotore rispetto al campo rotante. Detta coppia raggiunge il valore massimo quando il polo a viene a trovarsi in una certa posizione intermedia tra 2 e 3 e il polo b, corrispondentemente, tra 4 e1. Se tale coppia è capace d'impedire ai poli a e b del rotore di raggiungere la posizione (3,1) il rotore non può più rallentare rispetto al campo rotante e pertanto resta agganciato con i suoi poli a quelli del campo rotante, raggiungendo così la velocità Ω di sincronismo. Il motore diventa quindi s in crono.

La velocità Ω′, alla quale l'azionamento esterno porta il rotore, dev'essere sufficientemente vicina a Ω, in modo che la coppia torcente che nasce tra campo rotante e rotore sia in grado di compiere, nella fase di agganciamento, il lavoro necessario per compensare l'aumento di energia cinetica occorrente per fare passare il rotore dalla velocità angolare Ω′ alla Ω. Per rendere poi il m. indipendente dal suddetto azionamento esterno, oltre ai poli salienti il rotore è dotato di un avvolgimento analogo a quello di un m. a induzione di tipo normale polifase o a gabbia.

Per piccole potenze lo statore può anche essere monofase con avvolgimento ausiliario, per l'avviamento, del tipo con capacità in serie o del tipo a spire cortocircuitate. Un m. così costruito si avvia come un comune m. a induzione (o asincrono). Una volta che il rotore ha raggiunto la velocità angolare massima Ω′, che sappiamo discostarsi da quella Ω di sincronismo soltanto per qualche percento, intervengono i fenomeni che abbiamo prima descritto e i poli salienti del rotore vengono agganciati da quelli del campo rotante e quindi il m. diventa sincrono. È chiaro che al sincronismo l'avvolgimento rotorico non è percorso da correnti. Queste torneranno a fluire per qualsiasi spostamento relativo tra rotore e campo rotante statorico.

Per aumentare la coppia di un m. a riluttanza della forma ora descritta bisogna aumentare l'ampiezza dei poli rotorici dato che così aumenta la forza di attrazione tra detti poli e quelli del campo statorico. D'altronde un aumento dell'ampiezza dei poli provoca una diminuzione del fattore di potenza della macchina. Occorre quindi trovare un compromesso tra le due esigenze, in modo da ottenere un valore sufficientemente elevato della coppia insieme a un fattore di potenza non troppo basso.

Per rendersi meglio conto dei perfezionamenti moderni apportati a tale tipo di m. conviene aggiungere qualche altra nozione al riguardo.

Gli assi dei poli del rotore sono detti "assi diretti" mentre gli assi delle zone interpolari (cioè quelle comprese tra polo e polo) sono detti "assi in quadratura".

Nel funzionamento sincrono il campo rotante statorico può sempre considerarsi (in modo univoco) come risultante di due distinti campi rotanti: il primo (detto "campo diretto") i cui poli hanno i loro assi coincidenti con gli assi dei poli del rotore (assi diretti), il secondo detto "campo in quadratura" i cui poli hanno gli assi coincidenti con quelli interpolari del rotore (assi in quadratura); nella fig. 35 sono riportate in bianco alcune linee di forza dei due campi.

Quanto sopra si è detto sul funzionamento del m. a riluttanza, può ora precisarsi affermando che per aumentare la coppia occorre ridurre la riluttanza che incontra il flusso generato dal campo diretto, per aumentare invece il fattore di potenza occorre aumentare la riluttanza che incontra il flusso in quadratura.

Nel rotore di tipo convenzionale descritto (rappresentato nelle figg. 34 e 35 se si aumenta l'ampiezza dei poli si riduce la riluttanza che incontra il flusso del campo diretto (perché si aumenta la sezione del circuito magnetico in cui esso fluisce), ma conseguentemente si riduce anche la riluttanza del flusso in quadratura (perché si riduce mediamente il percorso in aria di tale flusso, come si vede dalla fig. 35), il che comporta, come si è detto, una diminuzione del fattore di potenza.

Esporremo ora brevemente due soluzioni moderne per aumentare in modo sensibile, sia la coppia e sia il fattore di potenza. Consideriamo un m. dotato di rotore a poli "segmentati" come è rappresentato nella fig. 36A. Il rotore è praticamente formato da due archi di ciambella ab′ e ab″, i quali sono magnetizzati in modo che il polo N è ora formato dai due mezzi archi a′ e a″ e il polo S dai due mezzi archi b′ e b″. Il campo diretto incontra una piccola riluttanza, quindi il flusso relativo è grande e la magnetizzazione del rotore è intensa. Invece il campo in quadratura incontra una grande riluttanza dovendo attraversare dei traferri molto estesi. Quindi il fattore di potenza è elevato.

I due archi di ciambella ab′ e ab″ che formano il rotore sono collegati tra loro e all'albero di rotazione della macchina, mediante un sistema meccanico di sostegno (che non interviene nei fenomeni magnetici) quanto più leggero possibile, compatibilmente con la necessaria robustezza.

Risultati analoghi possono ottenersi con il rotore dotato di "barriere di flusso". Si riprende in esame un rotore della forma già rappresentata nelle figg. 34 e 35 ma con i poli molto più ampi (fig. 36B). Inoltre i lamierini che compongono il rotore sono stati tranciati in modo da presentare degl'intagli (barriere di flusso) che seguono con una certa approssimazione l'andamento delle linee di forza del campo diretto. Tale campo, passando tra barriera e barriera, trova una strada a riluttanza abbastanza bassa (anche se lo spessore delle barriere riduce un po' la sezione utile al passaggio del flusso). Il campo in quadratura invece incontra ortogonalmente le barriere di flusso e quindi trova una riluttanza molto grande. I vuoti lasciati dalle barriere di flusso nei lamierini vengono riempiti con materiale conduttore (generalmente alluminio) che può costituire, da solo o insieme ad altri conduttori, l'avvolgimento a gabbia necessario per l'avviamento del m., secondo quanto si è prima chiarito.

Con l'aumentata potenza e il miglioramento del fattore di potenza i m. a riluttanza incontrano applicazioni sempre più ampie nei sistemi di trasporto impiegati nell'industria tessile, in quella siderurgica e in quella dei materiali plastici. Un altro uso interessante di tali m. consiste nell'azionamento, mediante giunto meccanico, di alternatori destinati, per es., all'alimentazione di grandi calcolatori elettronici, data l'elevata stabilità di funzionamento che si raggiunge con tale sistema.

Motori lineari. - Sono m. elettrici capaci di produrre direttamente un movimento rettilineo. Sebbene il m. lineare sia stato inventato verso la fine del 1800, tanto che i relativi brevetti sono ormai scaduti da molti anni, tuttavia soltanto intorno al 1950 è tornato di attualità ed è in continuo sviluppo.

Tutti i m. elettrici di tipo convenzionale che producono un movimento rotatorio (macchine elettriche rotanti) possono essere opportunamente trasformati in modo che detto movimento diventi rettilineo.

Come le macchine rotanti, così i corrispondenti m. lineari possono distinguersi in m. lineari in corrente continua e in corrente alternata, e questi ultimi suddividersi ancora in m. asincroni e sincroni. La parte fissa, o statore, e quella mobile, o rotore (indotto rotante), di un qualsiasi m. elettrico di tipo convenzionale finora impiegato nelle applicazioni elettriche, possono considerarsi aventi grosso modo la forma di due anelli coassiali, dei quali quello esterno è lo statore e quello interno è il rotore. Nel "lume" centrale di quest'ultimo passa l'asse (o albero) di rotazione (in generale di acciaio) che è opportunamente fissato al rotore stesso (fig. 37A).

Se ora immaginiamo di tagliare detti "anelli", come indicato nella fig. 37A, e poi di aprirli e distenderli (come se fossero di gomma) in modo da dare loro la forma rettilinea rappresentata sommariamente nella fig. 37B, si ottiene, come vedremo, un m. lineare.

Motori lineari in corrente continua. - Un m. in corrente continua del tipo convenzionale, con lo statore a due poli, sezionato e "rettificato" come si è prima detto, assume la forma che in modo semplificato è indicato nella fig. 38. Il campo magnetico statorico è ottenuto alimentando in corrente continua le due bobine di cui sono dotati i due poli. Il rotore "rettificato" è formato da una sbarra di materiale ferromagnetico (indotto lineare) a sezione rettangolare. Sull'indotto lineare viene avvolto uniformemente un avvolgimento di rame (isolato) che viene così a costituire un solenoide lungo quanto la sbarra. Gli estremi P e F di detto avvolgimento non sono collegati tra loro (come si verifica per l'avvolgimento indotto della macchina convenzionale) né con altri circuiti. Ogni spira del suddetto avvolgimento solenoidale è evidentemente formata da quattro tratti rettilinei di conduttore (isolato). Il tratto orizzontale superiore è il conduttore attivo, perché è il lato della spira che quando con il movimento della sbarra viene a trovarsi affacciato all'uno o all'altro dei poli statorici, viene investito nel modo più intenso dal campo magnetico e reagisce con questo dando luogo all'insorgere di una forza meccanica che contribuirà al movimento della sbarra.

Il flusso magnetico generato dai poli dello statore segue mediamente il percorso indicato dalla linea punteggiata nella fig. 38.

Immaginiamo poi che nella parte superiore dell'avvolgimento dell'indotto lineare, cioè quella che si affaccia allo statore, l'isolamento del conduttore sia stato parzialmente asportato in modo che le spazzole elettriche A, B, C, toccandolo, siano in grado di permettere in esso il passaggio di una corrente continua. Tale corrente sarà diretta nei conduttori attivi compresi tra A e B in un senso, per es., com'è riportato in fig. 38 verso l'osservatore (indicato nella sezione con un punto) e in quelli compresi tra B e C nel senso opposto (indicato nella sezione con una crocetta).

Per effetto del contatto strisciante tra conduttori attivi e spazzole elettriche, quando l'indotto lineare viene spostato, per es., da sinistra verso destra, i conduttori attivi passano, uno alla volta, dalla zona polare N a quella S e il verso della corrente che li attraversa s'inverte automaticamente. In tal modo, secondo la legge dell'induzione elettromagnetica, detti conduttori saranno sollecitati da una forza meccanica diretta sempre nello stesso verso che, con il senso della corrente scelto in fig., sarà proprio quello che va da sinistra verso destra.

Allora con il contributo delle forze che verranno ad agire nello stesso senso su tutti i conduttori attivi percorsi da corrente, l'indotto lineare si muoverà nel senso medesimo. Tale movimento proseguirà fino a che la lunghezza dell'indotto permetterà il contatto tra spazzole e conduttori attivi. Se s'inverte il senso della corrente nelle bobine statoriche, lasciando inalterato quello della corrente addotta alle spazzole (o viceversa), l'indotto lineare sarà sollecitato da una forza meccanica diretta in senso opposto a quello precedente e pertanto, se libero di muoversi, ripercorrerà in senso inverso il cammino fatto prima.

Nelle realizzazioni pratiche, il contatto tra spazzole e conduttori è affidato a un collettore a lame che può immaginarsi ottenuto da quello di un normale m. in corrente continua per "rettificazione", nel senso già chiarito sopra. Le cosiddette "lame" del collettore possono ora essere realizzate con dei blocchetti (parallelepipedi) di rame affiancati l'uno all'altro su tutta la lunghezza dell'indotto e isolati tra loro con sottili straterelli di mica.

Ogni blocchetto verrà poi collegato elettricamente in un punto opportuno dell'avvolgimento in modo che tra un collegamento e l'altro cada sempre lo stesso numero di spire. Se si realizzasse l'esempio della fig. 38 mediante un collettore a lame (o a blocchetti), tra due collegamenti successivi verrebbe a cadere una sola spira.

È evidente che l'indotto lineare dotato di un collettore del tipo ora descritto è costoso e pertanto non può avere una grande lunghezza. Ne viene che il m. lineare in corrente continua è impiegato per spostamenti brevi come quello richiesto, per es., per aprire o chiudere una porta. Spesso nelle applicazioni l'indotto è fermo, mentre lo statore è mobile. In tale caso le spazzole A, B, C si spostano insieme allo statore al quale sono rigidamente unite, e quindi tutti i conduttori collegati alla sorgente di alimentazione e che adducono corrente, sia alle spazzole e sia alle bobine di eccitazione statorica, debbono essere molto flessibili in modo da seguire senza difficoltà lo spostamento dello statore.

Per utilizzare meglio l'indotto lineare nella forma descritta si può disporre nella parte inferiore un secondo statore identico al primo e a questo in posizione simmetrica e contrapposta in modo da raddoppiare l'azione motrice con l'intervento di tutti i conduttori della faccia inferiore dell'indotto.

Uno dei pregi più importanti del m. lineare in corrente continua è quello di fornire degli sforzi notevoli con spostamenti lenti e graduali.

Motori lineari asincroni. - Consideriamo lo stesso m. a induzione (o asincrono) rappresentato schematicamente in sezione nella fig. 31A e del quale nella fig. 31B è rappresentata una delle tre fasi che formano l'avvolgimento statorico.

Come si è già detto nel paragrafo sul m. a induzione, quando le matasse che formano ciascuna delle tre fasi sono collegate in serie, come indicato nella fig. 31B, il campo rotante risultante presenta quattro poli (p = 2).

Nella fig. 39 è rappresentata in modo schematico la posizione dei poli in un certo istante. Le frecce indicano il verso delle linee di forza magnetica in prossimità della superficie cilindrica che limita lo statore all'interno, cioè verso il traferro che lo separa dal rotore.

Detta superficie cilindrica, che nella sezione della fig. 39 ha per traccia la circonferenza di raggio r, può pensarsi divisa in quattro zone uguali corrispondenti ciascuna a un polo del campo rotante (zone polari).

Esse sono attraversate in ogni loro punto dalle linee di forza del campo sempre nello stesso senso, che sarà quello uscente (dallo statore verso il rotore), se il polo a esse corrispondente è N, nel senso entrante (nello statore, dal rotore) se è S.

Nella rotazione del campo magnetico con velocità angolare 2πf/p le zone polari si muovono sulla suddetta superficie cilindrica (per es., nel senso orario) con velocità periferica uguale a 2πrf/p (prodotto della velocità angolare 2πf/p per il raggio r della superficie cilindrica). Se indichiamo con τp il passo polare, cioè l'arco di circonferenza di raggio r corrispondente a un polo (ovvero uguale all'arco compreso tra gli assi di due poli consecutivi), detta velocità periferica si può esprimere con 2τpf, essendo f la frequenza delle correnti del sistema trifase che alimenta lo statore.

Immaginiamo ora di tagliare lo statore in tutto il suo spessore (radiale) e di "rettificarlo", nel senso chiarito prima per il m. lineare in corrente continua.

Eseguiamo contemporaneamente la stessa operazione di rettificazione per l'avvolgimento trifase disposto sullo statore. Naturalmente il taglio suddetto deve scegliersi con un particolare criterio per non rendere inservibili le fasi componenti l'avvolgimento stesso.

Tale criterio equivale in sostanza a disporre nello statore rettificato tre fasi uguali a quella rappresentata nella fig. 31B, l'una di seguito all'altra, con lo stesso sfasamento che avevano nello statore nella forma originaria e che in termini di arco della circonferenza di raggio r può assumersi uguale a τp/3. Nella fig. 40 si vede lo statore in sezione con i conduttori attivi delle tre fasi rettificate.

Con un cerchietto sono indicati i conduttori della 1ª fase, con un quadrato quelli della 2ª, e con un triangolo quelli della 3ª. I punti e le crocette nelle sezioni dei conduttori indicano un verso di percorrenza delle tre fasi, in base al quale si può definire un "principio" P e una "fine" F degli avvolgimenti medesimi, che in figura sono stati distinti con le lettere P1 e F1, P2 e F2, P3 e F3, rispettivamente per la 1ª, 2ª e 3ª fase.

Mentre le tre fasi dello statore di tipo convenzionale da cui siamo partiti, alimentate da un sistema trifase di correnti alternate, generano un campo magnetico rotante, ora invece le stesse fasi disposte nel modo anzidetto nello statore rettificato generano un campo magnetico che viene detto "progressivo", perché le relative zone polari non si muovono più sopra una superficie cilindrica, ma sopra un piano, linearmente e con velocità costante avanzando sempre verso destra o sempre verso sinistra (secondo il modo d'inviare le correnti nelle tre fasi). Le zone polari hanno la. stessa lunghezza di prima, cioè τp, e la velocità (moto rettilineo uniforme) è ancora esprimibile con 2τpf. Si deve tener conto in più di un fatto sostanzialmente nuovo rispetto al caso rotante. Infatti nel movimento del campo magnetico progressivo, per es. da sinistra verso destra, i relativi poli finché si trovano nella zona centrale dello statore lineare conservano invariata sia l'ampiezza (uguale a τp, come si è già detto) sia il valore dell'induzione magnetica nei vari punti (con andamento sinusoidale, nullo ai bordi del polo e massimo al centro), ma quando arrivano a toccare l'estremo destro dello statore, non potendo esistere, per ovvi motivi, al di fuori di esso (salvo che in una piccola zona, dove d'altronde il campo è molto debole), la loro ampiezza si riduce, con la stessa velocità con cui il polo avanza, fino a scomparire del tutto. Naturalmente, mentre un polo scompare all'estremo destro, un altro ne sorge all'estremo sinistro, così com'è indicato schematicamente nella fig. 41 dove è riportata la posizione e la relativa ampiezza dei vari poli a intervalli di 1/8 di periodo. Se a questo statore pensiamo poi di affacciare, dalla parte in cui sono sistemati gli avvolgimenti, una sbarra massiccia rettilinea (fig. 42), comunque lunga, di materiale conduttore (rame o alluminio) allora in questa il campo progressivo indurrà delle correnti (più esattamente un campo di corrente) le quali, reagendo con lo stesso campo che le ha indotte, dànno luogo all'insorgere di forze meccaniche che sollecitano e muovono la sbarra conduttrice (indotto lineare) nello stesso verso del campo progressivo, così come nel m. a campo rotante questo trascina con sé il rotore nel suo stesso verso di rotazione.

L'indotto lineare si muoverà di moto uniforme, con velocità un po' inferiore a quella del campo progressivo, e sarà in grado di compiere un certo lavoro.

Nella fig. 42 al disotto dell'indotto lineare, in corrispondenza dello statore, è stato disposto un nucleo ausiliario di materiale ferromagnetico (laminato) privo di avvolgimenti, che serve soltanto a ridurre la riluttanza magnetica e a ottenere quindi, a parità di condizioni, un campo magnetico più intenso. Per aumentare la potenza del m., si può sostituire il nucleo ausiliario con un altro statore identico al primo (m. lineare a doppio statore).

Numerose sono le applicazioni pratiche in cui trova impiego il m. lineare a campo progressivo; in alcune lo statore è fermo mentre l'indotto lineare (detto anche "sbarra di reazione") è mobile, in altre accade l'inverso.

Movimento di nastri trasportatori. Un nastro trasportatore costruito in tutto o in parte con materiale conduttore può formare l'indotto di un m. lineare. Lo statore viene sistemato nel percorso di ritorno del nastro, dove questo non è caricato e dove quindi può meglio assumere la forma rettilinea e mantenersi con sufficiente regolarità a distanza calibrata sia dallo statore, sia dal nucleo ausiliario (o dal secondo statore). Con i m. asincroni convenzionali il movimento si ottiene facendo girare i rulli di appoggio del nastro stesso e utilizzando l'attrito tra nastro e rulli, il che richiede la creazione di un'opportuna tensione del nastro in modo che l'aderenza non scenda al di sotto di un certo valore limite oltre il quale si provocano slittamenti (come può presentarsi, con una certa facilità, in seguito a improvvisi sovraccarichi) dando luogo a un esercizio irregolare e a una rapida usura del nastro. Si deve inoltre tenere presente che l'attrito non permette di superare un certo sforzo massimo di trascinamento, indipendentemente dal valore della potenza del m. o dei m. di azionamento, che pertanto non giova aumentare oltre il limite fissato da detto sforzo massimo.

Con il m. lineare invece i rulli che sostengono il nastro trasportatore non hanno alcuna funzione trascinante e l'attrito meccanico è sostituito da un sorta di "attrito" magnetico (tra nastro e campo magnetico progressivo) che può aumentare insieme alla potenza del m. praticamente senza limiti e di più eliminando l'eventualità di slittamenti e consentendo anche di frenare il moto del nastro con azione morbida, ma pur energica.

Un'applicazione analoga a quella ora considerata consiste nell'utilizzare il m. a campo progressivo come pompa elettromagnetica per il trasporto di metalli liquidi nei circuiti di raffreddamento dei reattori nucleari. In questo caso il circuito di metallo liquido sostituisce il nastro trasportatore.

Anche nel campo della trasformazione diretta dell'energia termica di un plasma in energia elettrica (magnetoidrodinamica) il m. lineare è ricco di promesse e numerose sono le ricerche al riguardo.

Movimento di veicoli. La possibilità di risolvere il problema dell'aderenza tra ruota e rotaia (o tra ruota e strada) ha aperto nuovi orizzonti soprattutto nel campo della trazione elettrica e più generalmente della locomozione comunque guidata ad alta velocità. Infatti l'attrito tra ruota e rotaia non consente di superare velocità dell'ordine dei 250 ÷ 300 km/h, dato che, andando oltre, lo slittamento delle ruote può presentarsi in modo del tutto irregolare, creando situazioni anomale e pericolose. Con il m. lineare si spera invece di raggiungere e superare la velocità di 400 km/h senza pericolo di slittamenti e con possibilità di frenatura graduale e sicura.

Nella trazione elettrica conviene impiegare il m. lineare in modo inverso a quello usato per i nastri trasportatori, cioè tenendo fermo l'indotto lineare e facendo muovere lo statore, il quale è montato a bordo del locomotore. Se prima tenendo fermo lo statore l'indotto si muoveva verso destra, ora bloccando l'indotto e lasciando libero lo statore, questo si muoverà verso sinistra. L'indotto lineare (o sbarra di reazione) è realizzato con una sbarra continua di alluminio o di rame fissata al centro del binario su tutta la sua lunghezza (fig. 43). Lo statore lineare b, del tipo doppio, abbraccia l'indotto a e mantiene da questo, da entrambe le parti, una distanza costante e ben calibrata, mediante rulli di appoggio ad asse verticale. Ciò è importante sia dal punto di vista elettromagnetico, per una maggiore eficienza del m., sia per la sicurezza, dato che un eventuale contatto tra statore e sbarra di reazione potrebbe causare danni gravissimi.

Da quanto si è già spiegato, è chiaro che ora alle rotaie è affidato soltanto il compito del sostegno e della guida del convoglio ferroviario, ma non quello di fornire l'aderenza necessaria al moto.

Per quanto riguarda l'alimentazione del m. lineare installato sul locomotore, alle velocità più elevate si dovrà abbandonare il sistema delle prese di corrente striscianti (linea di contatto fissa e pantografo mobile, portato dal locomotore) a causa della rapidissima usura e dell'instabilità del contatto per le grandi correnti in gioco e per le vibrazioni meccaniche elevate. In questi casi si ricorre infatti alla generazione dell'energia elettrica a bordo dello stesso locomotore, mediante turbina a gas, per es., azionante un alternatore trifase, il quale a sua volta alimenta lo statore trifase del m. lineare.

Motori lineari sincroni. - Con questi m. il movimento relativo tra statore e indotto lineare ha la stessa velocità di traslazione del campo magnetico progressivo (velocità di sincronismo). Ciò permette di ottenere, nel caso della trazione elettrica, una marcia a velocità rigorosamente costante. Tuttavia la loro attuazione pratica presenta dei problemi non ancora risolti in modo soddisfacente.

Per quanto riguarda l'applicazione più importante di questo tipo di m. e cioè la trazione elettrica, accenniamo brevemente al m. lineare sincrono omopolare, che prevedibilmente avrà maggiore successo in avvenire. Nel m. omopolare lo statore, del tipo doppio, è identico a quello del m. lineare asincrono, per quanto riguarda la creazione del campo magnetico progressivo, ma è in più dotato di un elettromagnete supplementare eccitato in corrente continua che abbracciando con le sue espansioni i due statori crea un campo magnetico unidirezionale costante che si sovrappone al campo magnetico progressivo. L'indotto lineare è formato da una sbarra continua costituita da una successione di blocchetti di materiale ferromagnetico disposti a distanza uguale l'uno dall'altro e tra i quali viene interposto un materiale non magnetico e non conduttore. Questi blocchetti corrispondono ed equivalgono ai poli salienti di un m. sincrono convenzionale. Quando con il movimento del locomotore un blocchetto ferromagnetico entra tra le due branche dello statore doppio, viene magnetizzato dall'elettromagnete eccitato in corrente continua con intensità e verso costanti per tutta la lunghezza dello statore, presentando quindi sempre un polo N verso uno dei due statori e sempre un polo S verso l'altro. I poli magnetici del campo progressivo possono quindi agganciarsi a quelli che, come si è detto, vengono a manifestarsi all'estremità dei blocchetti magnetizzati e lo statore pertanto sarà sollecitato a muoversi alla stessa velocità del campo progressivo (nel verso relativamente opposto). Per superare la ben nota difficoltà di avviamento dei m. sincroni, nonché per ottenere la frenatura elettrica, sembra attualmente che la soluzione migliore consista nell'alimentare il m. lineare omopolare, mediante un invertitore statico, con un sistema trifase di tensioni alternate di valore e frequenza variabili a piacere con continuità in un campo molto esteso. All'avviamento, dato che il moto dev'essere lento, si utilizzeranno i valori più bassi della frequenza (v = 2τpf), in marcia quelli più alti. Si otterrebbe così un avviamento regolare di cui potrebbe anche graduarsi a volontà l'accelerazione, insieme con una velocità di marcia costante, da scegliersi in un campo abbastanza ampio. L'esperienza dirà se le previsioni corrisponderanno alla realtà.

Motori a superconduzione. - Sono m. in parte ancora nello stadio sperimentale, dato che in tutto il mondo ne sono stati costruiti pochi esemplari. Tuttavia i vantaggi notevoli che presentano, specie nel caso di potenze molto grandi, rispetto ai m. di tipo convenzionale, fanno prevedere per essi un'importanza crescente nel prossimo futuro.

È noto che alcuni corpi conduttori formati da un solo elemento (come, per es., il piombo e l'alluminio) oppure da una lega di più elementi (come, per es., alcune leghe di niobio e stagno, o niobio e zirconio), presentano il fenomeno della superconduttività che si manifesta con l'annullarsi della loro resistività, allorché la temperatura scende al disotto di un valore particolare Tc, detta temperatura critica del corpo (v. superconduttività, in questa Appendice).

Generalmente le temperature critiche sono molto basse. Per es., per il piombo Tc è di 7,7 °K e per una lega di niobio-stagno è di 18 °K.

Con l'impiego dei superconduttori si ottengono due risultati fondamentali: la possibilità di raggiungere densità di corrente di alcune centinaia di volte superiori a quelle ottenibili con i conduttori di tipo normale, e la riduzione, praticamente a zero, della potenza perduta per effetto Joule. Con i superconduttori si è così raggiunto il risultato eccezionale di generare campi magnetici la cui induzione già supera i 4 T e si prevede che potrà raggiungere anche i 10 T. Tali valori d'induzione superano di gran lunga quelli ottenibili con l'ausilio dei materiali ferromagnetici (valori non superiori a 2,3 T). In altre parole con i superconduttori le macchine elettriche non hanno più bisogno di nuclei ferromagnetici, e l'uso di tali materiali è limitato soltanto a funzioni di schermatura magnetica.

Lo spazio che nei m. convenzionali era occupato dal ferro, può ora utilmente impiegarsi per aumentare le dimensioni degli avvolgimenti e quindi la potenza. Tutto ciò porta in definitiva ad aumentare i rapporti potenza/peso e potenza/volume fin al punto che già nei pochi esemplari costruiti si sono raggiunti miglioramenti rispetto ai m. convenzionali di circa 8 ÷ 10 volte.

Tuttavia, dato che il sistema di raffreddamento degli avvolgimenti superconduttori richiede un isolamento termico molto sofisticato, una manutenzione accurata e complessa, e l'impiego di fluidi refrigeranti come l'elio liquido (temperatura di 4,2 °K) la cui produzione è alquanto costosa, ne consegue che la convenienza dell'impiego dei superconduttori è, almeno per ora, limitata o a macchine di grandissima potenza, come quelle impiegate per la propulsione di grandi navi, oppure a macchine di potenza non molto elevata, ma per le quali si richiede un'elevata leggerezza, come nel caso di applicazioni a bordo di aerei.

Dato poi che, come l'esperienza insegna, la temperatura critica Tc di un corpo superconduttore non è una costante, perché infatti decresce al crescere dell'induzione del campo magnetico che lo investe, e dato che i corpi superconduttori attualmente noti perdono la proprietà di superconduzione se sono investiti da campi magnetici alternativi, con frequenza anche di poche decine di Hz, come sono quelle industriali normalmente usate (50 Hz in Europa, 60 Hz negli Stati Uniti), i superconduttori nelle macchine elettriche sono utilizzati soltanto per costruire avvolgimenti in corrente continua destinati alla creazione di campi magnetici stazionari (avvolgimenti di eccitazione o di campo).

I m. elettrici a superconduzione che finora sono stati costruiti (in pochi esemplari come già si è detto) rientrano nel tipo sincrono, per quelli in corrente alternata, e nel tipo omopolare, per quelli in corrente continua. In entrambi i tipi i superconduttori sono utilizzati per creare un campo magnetico induttore e sono alimentati in corrente continua.

Motori sincroni. - Costruttivamente non differiscono dai corrispondenti generatori. I maggiori successi sono stati raggiunti realizzando macchine che presentano, come quelle convenzionali, l'avvolgimento in corrente alternata (generalmente trifase) immobile e l'avvolgimento di campo, in corrente continua, rotante. Quest'ultimo è realizzato con materiale superconduttore e pertanto tutto il sistema rotorico è tenuto a bassissima temperatura e isolato termicamente da un gigantesco dewar.

Per impedire che il campo magnetico generato dall'avvolgimento in corrente alternata statorico possa influenzare le proprietà superconduttrici dell'avvolgimento rotorico, questo è protetto da uno schermo (o più di uno), di forma cilindrica e di materiale conduttore, che lo avvolge completamente in modo da opporsi, con le correnti indotte di cui può essere sede, al passaggio attraverso esso di eventuali campi magnetici variabili. L'assenza del ferro permette, come già si è detto, di destinare tutto lo spazio utile sia dello statore, sia del rotore all'alloggiamento dei rispettivi avvolgimenti. Il sostegno degli avvolgimenti e il loro ancoraggio, necessario per trasmettere gli sforzi di natura elettromagnetica che nascono tra statore e rotore, sono ottenuti con materiali non magnetici di varia natura, tra i quali trovano largo impiego materie plastiche opportunamente armate con fibre di varia natura e struttura.

Motori in corrente continua. - Come per i m. sincroni anche per quelli in corrente continua la convenienza dell'impiego dei superconduttori si manifesta per le grandi potenze.

Il tipo prescelto attualmente nelle applicazioni effettivamente realizzate è quello omopolare, basato sul principio del disco di Faraday. Il campo magnetico induttore è ottenuto con un avvolgimento superconduttore, alimentato in corrente continua, senza l'ausilio di ferro.

La corrente di carico, che scorre nel disco in senso radiale, viene inviata, nel disco medesimo, con un collettore doppio (del tipo ad anelli) le cui spazzole elettriche sono realizzate, per le potenze più grandi (alcune migliaia di kW), con metallo liquido (mercurio, o leghe gallio-indio, oppure amalgama di mercurio con gallio o con indio).

Per aumentare la tensione elettrica della macchina e quindi la sua potenza, sono state sperimentate varie generalizzazioni del m. a disco, per es. disponendo più dischi sullo stesso asse di rotazione, investendoli con il campo magnetico generato da un unico solenoide (che abbraccia tutto il complesso dei dischi), realizzato con superconduttore e collegando detti dischi l'uno all'altro in serie con una successione di spazzole elettriche e conduttori di collegamento (immobili insieme alle spazzole). Un ulteriore perfezionamento si basa sulla divisione del disco di Faraday (trasformato in alcuni casi in tronco di cono o in cilindro) in molti settori uguali (disco "segmentato"), isolati l'uno dall'altro sul supporto di sostegno e poi collegati elettricamente, mediante collettori parziali e spazzole elettriche (il tutto realizzato con metallo liquido), in serie l'uno all'altro in modo che ci sia continuità elettrica tra il bordo esterno di un settore e il bordo interno (cioè quello vicino al centro del disco) del settore adiacente successivo.

Si può così ottenere una tensione di macchina 20 volte superiore a quella utilizzabile con un disco semplice. Nella realtà le spazzole elettriche toccano contemporaneamente più di un settore alla volta (i settori sono così collegati in serie a gruppi e quelli di ogni gruppo sono tra loro collegati elettricamente in parallelo), in modo che la commutazione da segmento a segmento provochi soltanto piccole variazioni dell'intensità della corrente. Vedi tav. f. t.

Bibl.: P. J. Lawrenson, L.A. Agu, Theory and performance of polyphase reluctance machines, in Proceedings of the IEE, CXI (agosto 1964); B.V. Jayawant, Induction machines, Londra 1968; V. B. Honsinger, The inductances Ld and Lq of reluctance machines, in IEEE Transactions on power apparatus and systems, XC, n. 1 (1971); E.-Rummich, État de développement et possibilités d'application de moteurs linéaires, in Bulletin SEV, LXIII (1972); C. J. Mole, W. C. Brenner, e H. E. Haller, Superconducting electrical machinery, in Proceedings of the IEEE, LXI, n. 1 (gennaio 1973).

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