MOTORE

Enciclopedia Italiana - II Appendice (1949)

MOTORE (XXIII, p. 952)

Pericle FERRETTI
Giovanni DI VITO

Motori a combustione interna. - Raffreddamento dei motori a c. i. - Mentre nei motori a vapore si cerca (p. es. mediante circolazione di vapore intorno ai cilindri) di evitare ogni passaggio di calore dalle pareti verso l'esterno, nei motori a combustione interna si provvede (mediante la circolazione di un adatto fluido refrigerante intorno ai cilindri) ad asportare calore dalle pareti dei cilindri. Tale asportazione di calore è indispensabile al fine di rendere possibile il regolare funzionamento del motore, rispondendo a due distinte necessità: per le pareti del cilindro, quella di evitarne l'eccessivo riscaldamento in modo che il lubrificante con esso a contatto conservi una viscosità sufficiente per rimanere interposto tra il cilindro e lo stantuffo; per la parete della camera di combustione, quella di evitare l'eccessivo riscaldamento dei seggi delle valvole, che ne comprometterebbe la tenuta e la durata, e (nel caso dei motori a carburazione) la formazione di punti caldi da cui deriverebbero l'accensione prematura e la detonazione.

Limitazione nelle dimensioni dei cilindri. - Dalla necessità di soddisfare alle due esigenze di funzionamento sopraddette deriva la impossibilità di oltrepassare determinati valori limiti nelle dimensioni dei cilindri, limitazione particolarmente onerosa e di fondamentale importanza per l'architettura dei motori a combustione interna, qualora sia necessario realizzare - come è ormai caso frequente nelle più moderne applicazioni - elevati valori della potenza. Si dimostra infatti che, in relazione alle condizioni di funzionamento del motore (sistema di raffreddamento, numero di giri, andamento della combustione, spessore delle pareti, ecc.), non è possibile oltrepassare un certo valore limite nelle dimensioni dei cilindri, che è tanto maggiore quanto minore è la temperatura massima del fluido motore.

È per tale ragione che i cihdri dei motori a carburazione non raggiungono normalmente 200 millimetri di diametro, mentre quelli dei motori ad autoaccensione (Diesel), nei quali si hanno minori temperature massime, principalmente per la impossibilità di funzionamento senza eccesso di aria, raggiungono anche un metro di diametro e quelli dei motori a vapore, per i quali il limite non è imposto dall'efficacia del raffreddamento (che non esiste) ma soltanto da considerazioni di resistenza o di rigidezza, raggiungono valori ben superiori (per es., anche maggiori di due metri).

Effetti del raffreddamento sul rendimento e sulla potenza utile. - L'operazione del raffreddamento esercita un notevole effetto sul rendimento specifico, sul rendimento organico e sul rendimento volumetrico e quindi sul rendimento totale e sulla potenza sviluppata da esso.

Sul rendimento specifico il raffreddamento influisce innanzi tutto per il calore sottratto al fluido motore durante lo svolgimento del ciclo. Tale effetto è però molto meno importante di quello che a prima vista potrebbe sembrare, per quanto la quantità di calore asportata dal fluido refrigerante sia sempre molto notevole (dello stesso ordine di grandezza di quella trasformata in lavoro utile): ciò perché circa metà di questo calore (nei motori a 4 tempi) si può ritenere sottratto al fluido durante la fase di scarico, cioè dopo ultimato il ciclo motore, e perché all'altra metà (supposto che potesse restare tutta nel fluido motore) corrisponderebbe un limitato aumento di rendimento specifico, in conseguenza appunto del limitato rendimento col quale tale calore verrebbe trasformato in lavoro. Se consideriamo un motore nel quale, a titolo d'esempio, su 100 calorie fornite dalia combustione 30 siano trasformate in lavoro utile, 5 in lavoro d'attrito, 30 cedute al fluido refrigerante e 35 allo scarico, supponendo possibile abolire il raffreddamento, la maggior parte delle 30 calorie andrebbero ad aumentare la perdita allo scarico e solo una piccola parte (circa 5) verrebbero trasformate in lavoro utile: con che il rendimento totale del motore risulterebbe aumentato appena del 17%.

Nel caso dei motori a carburazione, oltre che per il calore sottratto al fluido motore, l'operazione del raffreddamento influisce sfavorevolmente sul rendimento specifico anche per la minore omogeneità della miscela, in conseguenza della minor temperatura delle pareti del cilindro: da essa infatti deriva una meno completa evaporazione delle goccioline di combustibile che inevitabilmente, per la insufficiente efficcacia del carburatore, durante la fase di aspirazione, si depositano sulle pareti interne del cilindro: in molti casi (e in special modo nei motori veloci) questa seconda circostanza è più importante della prima.

Sul rendimento organico l'azione di raffreddamento influisce per la minore temperatura del lubrificante interposto fra stantuffi e cilindri. Fino ad un certo valore di tale temperatura l'influenza del raffreddamento è favorevole perché evita il pericolo che il lubrificante crakizzi, formando depositi carboniosi, o che, in conseguenza dell'aumentata fluidità derivante dall'elevata temperatura, esso non rimanga interposto in sufficiente quantità tra le superfici dotate di moto relativo. Ma, abbassando eccessivamente la temperatura, l'influenza diventa sfavorevole perché l'aumentata viscosità fa aumentare le resistenze di attrito degli stantuffi: ovviamente tale aumento è tanto più importante, quanto maggiori sono le forze d'inerzia alternate (cioè le masse in moto altemo ed il numero di giri), si che per es. ad una diminuzione di 50 °C della temperatura delle pareti corrisponde nei motori veloci un aumento delle perdite per attrito che arriva fino al 3% ÷ 8%, con stantuffi rispettivamente di lega leggera o di ghisa.

L'operazione del raffreddamento influisce favorevolmente sul rendimento volumetrico della fase di aspirazione, e tale favorevole effetto atte. nua, nei riguardi della potenza, lo svantaggio derivante dalla diminuzione del rendimento specifico. In conseguenza della minor temperatura delle pareti, diminuisce infatti la temperatura del fluido aspirato e quindi, a parità di perdite di carico, ne aumenta il peso e perciò la potenza sviluppata: per es. ad una diminuzione di 50 °C delle pareti si può ritenere corrisponda un aumento del rendimento volumetrico di circa il 3%.

Nel caso dei motori aeronautici, oltre ai già discussi effetti si deve in generale considerare la diminuzione di rendimento propulsivo dell'apparecchio che deriva necessariamente dalla operazione del raffreddamento. Salvo casi speciali infatti la resistenza frontale del radiatore (per motori raffreddati ad acqua od a glicoletilene) o del gruppo dei cilindri (per motori raffreddati ad aria) rappresenta un notevole incremento della resistenza alla propulsione dell'apparecchio al quale corrisponde l'assorbimento di una importante percentuale della potenza del motore. Tale percentuale raggiunge in alcuni casi persino il 10% con motori raffreddati ad acqua, il 15% con motori raffreddati ad aria e cappottati ed il 20% con motori raffreddati ad aria senza cappottatura. Le più recenti tendenze sono però rivolte ad adottare per il raffreddamento una circolazione forzata di aria intorno alle superfici da raffreddare del radiatore o delle alette dei cilindri, onde ridurre la suaccennata diminuzione di rendimento propulsivo o addirittura aumentarlo (Meredith) utilizzando il calore trasmesso all'aria mediante un adatto condotto a reazione.

Varî sistemi di raffreddamento. - Il raffreddamento nei motori a combustione interna serve a trasferire una certa quantità di calore dalle pareti dei cilindri all'atmosfera: tale trasferimento può avvenire direttamente facendo circolare l'aria intorno alle superfici da refrigerare o indirettamente facendovi circolare un fluido intermediario e raffreddando poi questo con aria per mezzo di adatto apparecchio (radiatore).

Il raffreddamento diretto, per i maggiori pregi di semplicità, di sicurezza e, in alcuni casi, di leggerezza, è senza dubbio preferibile; ad esso infatti sembra indirizzarsi la tecnica moderna non soltanto, come è logico, per le applicazioni aeronautiche ma anche, in alcuni casi, per i motori per autoveicoli o addirittura per motori fissi (nei paesi coloniali).

Il flusso di aria necessario viene per lo più ottenuto, nelle applicazioni aeronautiche, utilizzando il vento relativo derivante dallo spostamento dell'apparecchio o la corrente generata dall'elica (Magni) con adatte superfici di avviamento che servono a condurre opportunamente l'aria in modo da ottenere un raffreddamento più che possibile uniforme (sia nei motori a stella che nei motori con cilindri in linea od a V). Tale sistema, come sopra detto, richiede però generalmente una notevole dissipazione di potenza per il corrispondente aumento della resistenza complessiva alla propulsione, nonostante adatti dispositivi (cappottatura): esso può anche realizzarsi (come qualche volta nei motori di trazione e nei motori fissi) mediante circolazione di aria a mezzo di apposito ventilatore (raffreddamento soffiato) o aspiratore (raffreddamento indotto) assorbendo una percentuale abbastanza piccola della potenza (≤ 3%) e ottenendo un più favorevole funzionamento del motore per la più razionale disposizione delle alette di raffreddamento.

Nei sistemi a raffreddamento indiretto il fluido intermediario che serve di veicolo del calore è generalmente l'acqua che viene riscaldata al disotto della temperatura di ebollizione (raffreddamento ad acqua): l'acqua si riscalda di pochi gradi (Δt = 10 ÷ 20 °C) a contatto della parete da rattreddare e si raffredda poi nel radiatore cedendo il calore all'aria. Dovendosi, in media, asportare dalle pareti dei cilindri 10 ÷ 20 Cal/CV • min (rispettivamente per motori d'aviazione o per auto) occorrono nei due casi circa 1 ÷ 2 litri d'acqua/CV min (supposto Δt ≅ 10 °C). Se, l acqua viene riscaldata fino alla temperatura di ebollizione (raffreddamento evaporativo) l'effetto refrigerante dell'acqua (anche per effetto del fenomeno Martin) è molto maggiore che col sistema precedente (onde maggior leggerezza per il minor peso di acqua necessaria), la temperatura dei punti caldi è minore (onde minor pericolo di detonazione), la temperatura media dei cilindri è più elevata (onde maggior rendimento specifico del motore).

Il fluido intermediario può essere olio, come per es. nel raffreddamento degli stantuffi di alcuni motori Diesel, ed in tal caso si deve tener conto del minore calore specifico (~ 0,5) in confronto all'acqua e del pericolo di depositi carboniosi (crakizzazione) se la temperatura in qualche punto aumenta troppo. Il fluido intermediario può essere anche glicoletilene CH2OH, chiamato pure prestone, come per es. in acuni motori di aviazione per realizzare maggiore leggerezza (potendosi riscaldare oltre i 150°C essendo 197°C la sua temperatura di ebollizionee) ed avere maggior rendimento del motore (per la maggior temperatura dei cilindri). I] corpo intermediario può essere infine solido (raffreddamento delle valvole di scarico) usandosi in alcuni motori di aviazione riempire lo stelo cavo delle valvole di scarico con un tondino di metallo buon conduttore di calore (es. alluminio) oppure introducendovi una piccola quantità di sali anidri (es. di magnesio) che fondano per effetto del calore: si ottiene in tal modo la conduzione del calore dal fungo della valvola all'estremità superiore dell'asta e quindi all'aria ambiente.

Bilanciamento dinamico (v. anche equilibramento, in questa App.). - Si chiama bilanciamento dinamico il bilanciamento delle forze di inerzia.

Per ogni manovellismo, indicando con:

Mr la massa rotante ridotta al punto B; Ma la massa alternativa ridotta al punto C; m la massa della biella (supposta uniformemente distribuita); r la lunghezza della manovella; ω la velocità angolare dell'asse motore; μ il rapporto delle lunghezze della biella e della manovella; θ l'angolo generico descritto dalla manovella, le forze d'inerzia delle masse costituenti un manovellismo si possono con sufficiente approssimazione ridurre (fig. 1) a:

una forza d'inerzia rotante applicata in B:

una forza d'inerzia alternativa applicata in C:

due forze d'inerzia alternative eguali applicate in B ed in C:

Da tale complesso di forze possono derivare sollecitazioni dinamiche non trascurabili nel basamento della macchina e nelle strutture di sostegno ad esso collegate: la forza rotante Fir, scaricandosi attraverso l'albero a manovella sui cuscinetti di banco, dà origine ad una sollecitazione rotante con la manovella; la forza alternativa Fia, trasmettendosi anch'essa attraverso il manovellismo, dà origine ad una sollecitazione variabile in grandezza e segno ma costante in direzione, e la coppia b2 c2 scaricandosi sull'incastellatura e sul basamento dà origine ad una azione ribaltante ed a una sollecitazione variabile con legge sinusoidale.

Per quanto le sollecitazioni indotte dalle su citate azioni siano in generale notevolmente inferiori al carico di rottura del materiale, può tuttavia derivarne un vero pericolo per la integrità della macchina dato il loro carattere di sollecitazioni periodiche ripetute. Se infatti il loro valore risulta superiore al limite di fatica del materiale, è inevitabile che, dopo un numero sufficiente di ripetizioni, esse determinino la rottura del materiale: se poi, pur essendo il loro valore inferiore al limite di fatica, la loro frequenza coincide (o quasi) con la frequenza delle oscillazioni libere della struttura sulla quale esse si esercitano, realizzandosi in tal modo le condizioni di risonanza, è inevitabile che, per quanto lo consentono le azioni di estinzione, vengano ad amplificarsi le deformazioni e le sollecitazioni del materiale fino a produrre la rottura delle strutture stesse.

È quindi necessario provvedere, per quanto possibile, al bilanciamento delle forze d'inerzia: trascurando, in prima approssimazione, le b2 e c2 si dovrà considerare per ogni manovellismo la forza di inerzia rotante

e le due forze d'inerzia alternative

delle quali si può immaginare composta la Fia.

Nel caso di motore monocilindrico si può bilanciare soltanto la Fir, applicando un contrappeso dalla parte opposta del bottone di manovella: nel caso di motore policilindrico è possibile invece, in alcuni casi, bilanciare tutte le forze d'inerzia (ed i relativi momenti) senza bisogno di contrappesi, ma solo scegliendo opportunamente gli angoli di calettamento e le distanze assiali delle varie manovelle.

Consideriamo varî casi, supponendo - come è il caso più frequente - eguali le masse e le distanze assiali dei varî manovellismi.

a) Cilindri in linea (fig. 2);

una manovella: è equilibrabile la sola Fir mediante contrappeso;

due manovelle a 180°: risultano equilibrate solo le Fir e Fia (e non i relativi momenti);

tre manovelle a 120°: risultano equilibrate tutte le forze (e non i relativi momenti);

quattro manovelle disposte come in fig. 2: risultano non equilibrate soltanto le Fia che dànno origine ad una risultante 4 Fia″ parallela agli assi dei dei cilindri;

sei manovelle a 1200: tutto equilibrato;

otto manovelle disposte come in fig. 2: tutto equilibrato.

b) Cilindri a V a 90° (fig. 3):

una manovella: sono equilibrabili con contrappeso la Fir e le Fia; non equilibrabili le Fia che dànno origine ad una risultante √2 Fia normale alla bisettrice dell'angolo dei cilindri;

quattro manovelle disposte come in fig. 3: risultano non equilibrate soltanto le Fia che dànno origine ad una risultante 4 √2 Fia normale alla bisettrice dell'angolo dei cilindri;

otto manovelle disposte come in fig. 3: tutto equilibrato.

c) Cilindri a stella (fig. 4):

una manovelia e z cilindri: sono equilibrabili con contrappeso la Fir e le Fia, sono equilibrate (per z > 3) le Fia.

Da quanto precede risulta che in alcuni casi è possibile realizzare (entro i limiti delle approssimazioni accettate: per b2 e c2 trascurabili) un completo bilanciamento delle forze d'inerzia e relativi momenti, scegliendo opportunamente gli angoli di calettamento delle manovelle.

In molti casi però da tali angoli di calettamento, data la forma del ciclo di funzionamento del motore, può derivare un andamento eccessivamente irregolare del momento motore in funzione del tempo e in conseguenza una pericolosa variazione della sollecitazione torsionale dell'albero della macchina. A parte la possibilità di rottura per fatica in conseguenza alle sollecitazioni variabili ripetute specie quando coesistono particolari condizioni sfavorevoli (spigoli scarsamente raccordati, inizio di ossidazioni, impurità occluse nel materiale, ecc.), tali variazioni periodiche del momento motore possono portare (indipendentemente, in teoria, dall'ampiezza di tali variazioni) alla rottura dell'albero quando sussistano le condizioni di risonanza tra queste variazioni periodiche del momento motore e le oscillazioni torsionali libere del sistema. È perciò che in alcuni casi si preferisce adottare una disposizione delle manovelle alle quali non corrisponde il migliore bilanciamento dinamico pur di limitare le variazioni periodiche del momento motore e, quel che più conta, realizzare una frequenza di tali variazioni che assicuri dal pericolo di risonanza con le oscillazioni torsionali libere dell'asse.

Differenze costruttive tra i vari tipi di motori. - È nell'uso comune considerare, come uno dei più importanti elementi determinativi del tipo di motore, il modo di utilizzazione della potenza sviluppata, distinguendo motori per impianti fissi, motori marini, motori per automobili, motori per aviazione; tale distinzione in effetti non è funzionale (ciò che sarebbe veramente importante) ma costruttiva e spesso soltanto formale o convenzionale: in moltissimi casi le differenze tra motori della medesima categoria sono molto più importanti e sostanziali delle differenze che sussistono tra motori di diverse categorie. Ciò perché, come si è già detto, i progressi della tecnica vengono, come è giusto, egualmente utilizzati in tutte le costruzioni, indipendentemente dal modo di impiego della potenza, sì che tutti i motori, sia dal punto di vista termodinamico che (in molti casi) anche dal punto di vista costruttivo, tendono, per quanto è possibile, ad identificarsi.

Ciò premesso, si possono indicare quelli che, allo stato attuale, rappresentano i differenti criterî ai quali si ispirano, appunto in relazione al modo di utilizzazione della potenza, le varie costruzioni.

a) Motori per impianti fissi. - Nella maggior parte dei casi si tratta di motori ad autoaccensione (Diesel). Data la possibile concorrenza degli altri tipi di motori (a vapore, elettrici, idraulici) è, ovviamente, l'economia di impianto e specialmente di esercizio che in generale rappresenta il concetto informatore del progetto e della costruzione. Basso numero di giri e bassa pressione media del ciclo, limitata sollecitazione dei varî organi e quindi possibile impiego di metalli comuni costituiscono perciò le caratteristiche abituali dei motori per impianti fissi, da cui derivano elevati pesi unitari (fino a 100 kg/CV), grande sicurezza di funzionamento e scarsa necessità di periodiche revisioni. Per diminuire le spese di esercizio si ricorre qualche volta a combustibili di limitato costo: per es. al gas povero (gas di gasogeno) nel caso di motori a carburazione, ed agli olî pesanti nel caso di motori ad autoaccensione (Diesel).

b) Motori marini (v. anche nave: Apparati Motori, in questa App.). - Nella maggior parte dei casi si tratta di motori ad autoaccensione (Diesel). Sono del tutto simili ai motori fissi con l'unica differenza di un minor peso per Cv e della possibilità di realizzare (influendo sulla distribuzione del motore) la marcia indietro indispensabile per la propulsione navale. Appunto per ottenere maggiore leggerezza (per es. 25 ÷ 30 kg/CV) e compattezza si ammettono pressioni medie un poco più elevate che nei motori fissi e maggiori sollecitazioni e si adottano, più frequentemente che negli impianti fissi, motori a due tempi ed a doppio effetto o sovralimentati.

Nelle motonavi italiane si sono raggiunte le maggiori potenze per asse (Augustus, fig. 6,13.000 CV/asse) e si sono già sperimentate in Italia e altrove unità ancora più importanti (es. motocilindro Fiat da 2000 CV 130 giri.

c) Motori di autoveicoli (fig. 7). - Nella maggior parte dei casi si tratta ancora oggi di motori a carburazione. La leggerezza è necessaria ben più che nei motori marini e, per semplicità, date le limitate potenze, la marcia indietro è ottenuta, più semplicemente che nei motori marini, mediante un organo intermedio (il cambio) iuserito tra il motore e le ruote. È appunto per ottenere maggiore leggerezza che si adottano numeri di giri, pressioni medie e sollecitazioni del materiale ben più elevati che nei casi precedenti. Si hanno così motori più leggeri (per es. 5 ÷ 10 kg/CV) ma anche molto più delicati e che richiedono più frequenti revisioni. La tendenza moderna è di impiegare, nei casi più importanti, anche per la trazione i motori ad autoaccensione che sono costruiti con numeri di giri eguali (fino a 3000 ÷ 4000) a quelli dei motori a carburazione.

d) Motori di aviazione (fig. 5). - Sono per lo più motori a carburazione. La leggerezza, sia del motore sia dei consumi, e la sicurezza di funzionamento rappresentano le caratteristiche fondamentali alle quali vanno subordinati tutti gli altri elementi: si impiegano quindi leghe speciali, particolari disposizioni costruttive ed elevati valori della pressione media del ciclo (anche maggiori di 10 kg/cmq) per ottenere la leggerezza (fino a 0,3 kg/CV), numero di giri non troppo alto (per es. 2000) per garantire la sicurezza di funzionamento, elevati rapporti di compressione (resi possibili dai combustibili con elevato numero di ottano) per raggiungere più bassi consumi.

Anche nel campo dei motori di aviazione si è verificata la tendenza ad impiegare i motori ad autoaccensione che si sono costruiti (Junkers) di peso unitario di poco superiore a quello dei motori a carburazione.

Sviluppi dei motori a combustione interna. - I progressi dei motori a combustione interna realizzati nell'ultimo decennio sono stati veramente notevoli, sia nei riguardi del consumo specifico di combustibile (si è giunti a 200 gr/CVh nei motori a carburazione ed a 150 gr/CVh nei motori ad autoaccensione), sia della potenza specifica (si è giunti a 0,3 kg/CV nei motori a carburazione ed a o,6 kg/CV nei motori ad autoaccensione).

È interessante osservare che tali notevoli risultati non sono dovuti ad alcun radicale perfezionamento dei motori la cui architettura non è certo cambiata in quest'ultimo ventennio, ma solo invece allo studio sistematico dei varî particolari, al miglioramento dei materiali impiegati per la loro costruzione e soprattutto al perfezionamento dei combustibili usati, i quali hanno adattato le loro caratteristiche alle effettive condizioni di impiego nei motori.

Nei motori a carburazione si è realizzato il notevole aumento della pressione media e del rendimento che giustifica i valori sopra riportati come effetto dell'aumento del rapporto di compressione, reso possibile dall'impiego di combustibili ad elevato numero di ottano (per es. passando da combustibili ad 85 NO a 150 NO il Motore Merlin, che nel 1936 sviluppava 1025 CV a 3000 giri, nel 1944 sviluppava 2030 CV allo stesso numero di giri), i quali hanno permesso l'aumento del rapporto di compressione senza che intervenisse il fenomeno della detonazione.

Nei motori ad autoaccensione si è potuta aumentare la potenza specifica (CV/kg), e quindi diminuire il peso per CV fino a rendere possibile l'applicazione di tale tipo di motore anche nell'aviazione, aumentando il numero di giri (che può essere tanto elevato quanto nei motori a carburazione) con l'adozione della iniezione meccanica del combustibile (senza aria compressa) e la diminuzione del ritardo all'accensione resa possibile dall'impiego di combustibili ad elevato numero di cetano (in alcuni casi anche maggiore di 100).

Orientamenti nell'evoluzione dei motori a combustione interna. - Non è facile prevedere quali potranno essere gli sviluppi dei motori a combustione interna nel prossimo futuro, tuttavia dai risultati sperimentali di avanguardia già resi noti nella letteratura specializzata, è possibile ricavare elementi per indicare alcune probabili direttive nel progresso della tecnica motoristica.

Nei motori a carburazione, dato il basso rapporto di compressione, si può aspirare e comprimere una miscela di combustibile ed aria e l'accensione deve quindi essere determinata per punto caldo (candela). Dalla possibilità di aspirare una miscela deriva, in generale, la possibilità di una mescolanza abbastanza omogenea del carburante e del combustibile e quindi la utilizzazione di tutta l'aria della cilindrata, ciò che giustifica l'elevato valore della potenza specifica, caratteristico di tale tipo di motore. Dalla necessità di accensione per punto caldo deriva la impossibilità di fare uso, in generale, di miscele povere, ciò che (congiuntamente al limitato rapporto di compressione) giustifica l'elevato valore del consumo specifico, caratteristico di tale tipo di motore.

Nei motori ad autoaccensione, per l'elevato rapporto di compressione, si deve aspirare e comprimere soltanto aria e l'accensione può quindi essere determinata (quando si inietta il combustibile) dalla elevata temperatura conseguente alla compressione. Dalla necessità di aspirare soltanto aria e di iniettare il combustibile all'atto dell'accensione deriva, in generale, la impossibilità di una omogenea mescolanza del comburente e del combustibile e quindi la impossibilità di utilizzazione di tutta l'aria della cilindrata, ciò che giustifica il limitato valore della potenza specifica, caratteristico di tale tipo di motore. Dalla possibilità di accensione per effetto di compressione deriva la possibilità di fare uso di miscele povere, ciò che (congiuntamente all'alto valore del rapporto di co npressione) giustifica il limitato valore del consumo specifico, caratteristico di tale tipo di motore.

Ciò premesso, esaminiamo separatamente gli elementi da cui dipendono il consumo specifico e la potenza specifica.

a) Consumo specifico. - Il rendimento totale di un motore è il prodotto dei tre rendimenti parziali: termico, specifico e meccanico. Il rendimento termico aumenta al crescere del rapporto di compressione, perché tutti i motori a combustione interna realizzano tendenzialmente il ciclo Beau de Rochas. Il rendimento specifico (che tiene conto delle circostanze per cui il ciclo reale differisce dal ciclo teorico) non dipende, in generale, dal rapporto di compressione. Il rendimento meccanico, essendo influenzato dai valori delle pressioni del fluido nell'interno del cilindro, diminuisce al crescere del rapporto di compressione.

In conseguenza il rendimento totale di un motore, al crescere del rapporto di compressione, dapprima aumenta e poi diminuisce raggiungendo il valore massimo per un rapporto di compressione che, per i motori come oggi si costruiscono, si aggira intorno a 10. Tale rapporto di compressione "ottimo" è maggiore di quelli impiegati nei motori a carburazione e minore di quelli impiegati nei motori ad autoaccensione. Nei motori a carburazione conviene quindi aumentare il rapporto di compressione e su tale indirizzo ha proceduto, come si è detto innanzi, la tecnica di questi ultimi venti anni, raggiungendo risultati notevoli. Si è dovuto perciò ricorrere all'impiego degli antidetonanti per ottenere combustibili a numeri di ottano sempre maggiori che consentissero di evitare il pericolo della detonazione. Evitata la detonazione non si è tuttavia potuto, in generale, raggiungere il rapporto di compressione ottimo, principalmente per difficoltà derivanti dal formarsi di punti caldi (per es. le candele), che avrebbero provocato la preaccensione impedendo un soddisfacente funzionamento del motore.

Nei motori ad autoaccensione conviene invece diminuire il rapporto di compressione e su tale indirizzo dovrà procedere la tecnica nei prossimi anni. Si dovrà perciò ricorrere all'impiego di predetonanti (i quali diminuiscono il ritardo di accensione) o di dispositivi equivalenti (p. e. l'iniezione pilota) per ottenere combustibili a numero di cetano sempre maggiori, che consentano di evitare il pericolo della detonazione. Evitata la detonazione, sarà possibile raggiungere il rapporto di compressione ottimo, non esistendo ovviamente alcun pericolo di preaccensione che impedisca, come nel caso precedente, il regolare funzionamento del motore.

Soltanto partendo dal motore ad autoaccensione sembra dunque possibile arrivare al rapporto di compressione ottimo cui corrisponde, il massimo valore del rendimento totale. Un siffatto motore differisce dai moderni motori a carburazione (nei quali l'introduzione del combustibile è fatta con polverizzatore montato sulla camera di combustione), dal punto di vista organico, soltanto per la mancanza del sistema di accensione (candele e magneti) e, dal punto di vista funzionale, per l'eccesso di aria e per il maggior rapporto di compressione. In conseguenza esso dovrà presentare un consumo specifico minore di quello dei motori a carburazione (per l'eccesso d'aria e per il maggior rapporto di compressione) e minore anche di quello degli attuali motori ad autoaccensione (per il minor rapporto di compressione).

b) Potenza specifica. - Premesso che per ridurre il consumo specifico conviene, come sopra detto, ricorrere ad un motore ad autoaccensione con basso rapporto di compressione, osserviamo come sia possibile in un tale motore aumentare la potenza specifica fino a valori molte volte più elevati di quelli oggi abituali.

È sufficiente a tale scopo aumentare la pressione di alimentazione e contemporaneamente ridurre ulteriormente il rapporto di compressione in modo da mantenere costante il valore della pressione massima del ciclo e quindi le dimensioni dei varî organi ed il peso del motore. Si otterrà così che, aumentando la pressione p1 di alimentazione da 1 a 2; 3; 4; 5 ata (atmosfere assolute), la pressione media e quindi la potenza specifica del motore risulterà aumentata da i a 1,85; 2,45; 3,20; 3,65, senza che, per tale sovralimentazione, risulti diminuito il rendimento totale del motore (come avverrebbe se si trattasse di motore a carburazione). Per tale sovralimentazione si dovrà disporre un gruppo ausiliario turbina-compressore che utilizzi i gas combusti i quali si scaricano dal motore a temperatura crescente al crescere di p1 e con contenuto termico sempre esuberante (pur tenendo conto del rendimento della turbina e del compressore) rispetto alla potenza necessaria per la sovralimentazione.

Sarà perciò possibile aumentare convenientemente la portata del compressore per diluire i gas di scarico del motore abbassandone la temperatura in misura sufficiente per non compromettere la durata delle palette della turbina e, quando il motore a stantuffo è a due tempi, l'aria in eccesso così ottenuta potrà essere impiegata come aria di lavaggio assicurando un più efficace raffreddamento delle pareti del cilindro.

Un siffatto apparato motore si riduce quindi ad un motore a stantuffo a due tempi con gruppo ausiliario turbina-compressore. Al crescere della pressione p1 di alimentazione il lavoro ottenibile per kg di fluido nel motore a stantuffo va diminuendo, mentre va aumentando il lavoro ottenibile per kg di fluido nella turbina fino a che (per es. per p1 = 6 ata nelle esperienze Sulzer) i due lavori si eguagliano: oltre tale valore della pressione p1 di alimentazione, la potenza della turbina risulta maggiore della potenza del motore a stantuffo.

Si può allora considerare la turbina come motore principale ed il motore a stantuffo come motore ausiliario avente il compito di azionare il compressore e l'apparato risulta in tal caso costituito di una turbina a gas con oruppo ausiliario motore a stantuffo-compressore. Tale gruppo ausiliario (che gli anglosassoni chiamano con frase espressiva Diesel boiler) assolve le funzioni che negli apparati a vapore sono disimpegnate dalla caldaia, di preparare cioè il fluido motore da inviare nella motrice.

La turbina a gas con gruppo ausiliario motore-compressore presenta un limite di potenza determinato dal numero dei Diesel-boiler che conviene impiegare e dalle dimensioni massime dei cilindri. Oltre tale limite bisoenerà rinunziare al motore Diesel ed azionare il compressore con una turbina a gas (e relativa camera di combustione): l'apparato si ridurrà ad un motore principale a turbina a gas, con un gruppo ausiliario turbina-compressore.

Motori elettrici.

L'alto grado di perfezione raggiunto già da molti anni dalla tecnica costruttiva dei motori elettrici (v. dinamoelettriche, macchine, XII, p. 874), sebbene non abbia consentito che in questo ultimo decennio si verificassero sostanziali rivolgimenti, non ha impedito alcune interessanti innovazioni che rendono l'attuale panorama dei motori elettrici notevolmente mutato rispetto a quello precedente. Vanno soprattutto menzionate le speciali serie di motori, previste e costruite con appropriate caratteristiche per far fronte alle particolari esigenze di talune applicazioni, e il largo impiego dei motori chiusi, che tendono sempre più a sostituire quelli aperti anche dove non è strettamente necessario; nel frattempo le più estese conoscenze tecniche accumulate e i perfezionamenti introdotti hanno determinato un'opera di revisione, chiarificazione e critica, che ha condotto a tralasciare alcune soluzioni e a preferirne altre apparse, anche per varie e mutate circostanze, più razionali.

Motori trifasi a induzione. - Il tipo con rotore in corto circuito, una volta limitato solo ai motori di piccola potenza, è andato sempre più estendendosi alle maggiori potenze ed attualmente se ne costruiscono anche per alcune migliaia di kW. Questo si verifica specialmente per i motori a 2 e 4 poli, che azionano turbosoffianti largamente impiegate nelle industrie chimiche e metallurgiche; ed infatti il minore costo d'installazione, la ridotta manutenzione e soprattutto il maggiore affidamento nei riguardi della continuità e sicurezza del servizio compensano largamente lo svantaggio dell'elevata corrente all'avviamento; svantaggio d'altronde relativo laddove la totale potenza installata è molte volte superiore a quella dei singoli motori in considerazione. D'altra parte la corrente di spunto si è potuta limitare, oltre che eseguendo l'avviamento a tensione ridotta, dimensionando opportunamente l'avvolgimento rotorico a gabbia semplice o doppia, in modo da addivenire ad un ragionevole compromesso tra la coppia e la corrente di spunto. A questo scopo la gabbia esterna dei motori a doppia gabbia viene più spesso eseguita in ottone anziché in rame; mentre nei motori a gabbia semplice si adottano per lo più sbarre alte e strette, per rendere massimo l'aumento della resistenza rotorica dovuta alle correnti parassite e la cui entità è massima allo spunto e diminuisce rapidamente man mano che il rotore accelera, fino a praticamente scomparire quando il rotore raggiunge la sua velocità di regime. Sono stati anche proposti motori in corto circuito a tripla gabbia, che però hanno incontrato scarso successo.

Un certo regresso si è invece notato nell'impiego dei motori a induzione ad alta polarità, oltre i 20 ÷ 24 poli, ai quali vengono sempre più preferiti i motori sincroni anche in quelle applicazioni che una volta erano dominio assoluto dei motori a induzione, come ad esempio l'azionamento dei laminatoî a velocità costante. Le ragioni di questo orientamento sono dovute alla maggiore delicatezza costruttiva dei motori ad induzione di grande diametro, al piccolo traferro (necessario per non peggiorare il già basso fattore di potenza) con le conseguenti possibilità di sfregamento tra statore e rotore e, talvolta, al maggior costo d'installazione. Inoltre l'installazione di un certo numero di motori sincroni, anche se previsti con fattore di potenza unitario, migliora il fattore di potenza medio dell'impianto.

Motori monofasi a induzione. - Questi motori, il cui impiego aveva subìto per lungo tempo un continuo regresso, hanno avuto in questi ultimi anni un'enorme diffusione nel campo delle piccole potenze, quali si richiedono per le applicazioni elettrodomestiche e principalmente per l'azionamento dei compressori dei frigoriferi. In America, dove questi apparecchi sono di uso comune, se ne costruiscono annualmente in numero di parecchi milioni. Nel tipo a condensatore, che è quello più comunemente adottato per la notevole coppia che esso è in grado di sviluppare all'avviamento, lo statore, oltre all'avvolgimento monofase di lavoro, porta un secondo avvolgimento, il cui asse è spostato di 90° elettrici rispetto al primo, in serie col quale è posto un condensatore elettrolitico, dimensionato in modo che allo spunto la corrente nei due avvolgimenti è pressoché in quadratura, così generando il campo rotante necessario per l'autoavviamento. Quando il motore ha raggiunto una velocità prossima a quella di regime, un apposito interruttore centrifugo provvede a staccare il circuito di avviamento, il cui avvolgimento e il cui condensatore sono previsti solo per inserzione temporanea. La costruzione di questi motori viene particolarmente curata affinché il relativo funzionamento sia assolutamente silenzioso; essi sono inoltre provvisti di uno speciale sostegno elastico per evitare di trasmettere vibrazioni moleste alle altre parti dell'apparecchio. La fig. 13 rappresenta un motore per frigoritero da 0,25 kW a 4 poli (Marelli).

Albero elettrico (Selsyn transmission). - Si considerino due motori trifasi ad induzione con statore e rotore rispettivamente avvolti per la stessa tensione. Gli statori siano derivati in parallelo da un'unica linea di alimentazione; ugualmente in parallelo siano collegati i rotori tra di loro, secondo lo schema rappresentato in fig. 10. Se i rotori sono in posizione angolare tale che le tensioni secondarie indotte siano esattamente in fase tra loro, nessuna corrente circola negli avvolgimenti rotorici. Spostando uno dei due rotori di un certo angolo, le tensioni secondarie, non essendo più in fase, dànno luogo ad una risultante e le correnti che in tal modo circolano nei rotori sviluppano una coppia che tende ad annullare le stesse correnti, imprimendo all'altro rotore quello spostamento necessario per riportare le tensioni secondarie esattamente in fase tra loro. In altri termini si sviluppa una vera e propria coppia sincronizzante e ogni spostamento angolare di uno dei due rotori viene accompagnato da un uguale spostamento angolare dell'altro rotore; è come se i due rotori fossero rigidamente collegati mediante un ipotetico albero, donde il nome di albero elettrico.

Questo principio, da tempo conosciuto, ha ricevuto in questi ultimi anni numerose e interessanti applicazioni, per il comando di gru a ponte, di rotative per giornali, ecc., dove si richiede di avere due o più rotori in sincronismo, sia durante l'avviamento sia in funzionamento normale, senza alcun legame meccanico tra loro. Ancora più numerose sono le applicazioni come indicatori di posizione o per comandi a distanza di vario tipo. Generalmente vi è un solo trasmettitore e uno o più ricevitori. L'alimentazione trifase degli statori dà una coppia sincronizzante notevole con rotore fermo o ruotante in direzione opposta al campo magnetico, ma che decresce rapidamente se la rotazione è nello stesso senso, fino a divenire nulla al sincronismo. Se inveee l'alimentazione è monofase (restando però sempre trifase il collegamento tra i rotori), la coppia, indipendentemente dal senso di rotazione, diminuisce con l'aumentare della velocità, ma in misura minore che con la alimentazione trifase e rotazione nello stesso senso del campo magnetico. Per questo motivo l'alimentazione monofase viene preferita per trasmettere a distanza comandi o indicazioni di posizione, per le quali la trasmissione del moto avviene nei due sensi, generalmente con spostamenti angolari di ampiezza limitata e comunque sempre a velocità notevolmente inferiore a quella di sincronismo. L'alimentazione trifase viene invece riservata alla trasmissione di potenza, nel qual caso per assicurare l'azione sincronizzante in funzionamento normale è necessario prevedere due motori per ogni singolo azionamento: precisamente uno per l'azionamento vero e proprio, e l'altro per la sincronizzazione. Il dimensionamento dei motori di sincronizzazione viene commisurato in modo che le coppie da essi sviluppate possano compensare i presunti scarti tra le coppie di azionamento, e il collegamento alla linea di alimentazione può essere eseguito in modo che il relativo campo magnetico giri in senso opposto a quello dei motori ai quali sono direttamente accoppiati, o anche nello stesso senso. In quest'ultimo caso è però necessario che la loro velocità sincrona sia sufficientemente superiore a quelle dei rispettivi motori di azionamento.

Motori a induzione sincroni e a isteresi. - Un comune motore a induzione trifase o monofase, con rotore a gabbia, ma con un certo numero di denti asportati in modo da formare altrettante sporgenze polari, uniformemente distribuite e uguali in numero alla polarità dell'avvolgimento di statore, per effetto della diversa riluttanza magnetica secondo le sporgenze rispetto a quella secondo le cavità dovute all'asportazione dei denti, può marciare in perfetto sincronismo sviluppando una sensibile coppia motrice.

Ugualmente se il rotore, anziché essere in comuni lamiere al silicio, è in acciaio magnetico con elevate perdite per isteresi, il motore sviluppa una coppia praticamente costante a tutte le velocità e se questa è superiore alla coppia resistente, il rotore, completamente liscio e senza gabbia, accelera automaticamente fino al sincronismo. Questi motori sincroni vengono rispettivamente chiamati motori a reazione e motori a isteresi e sono particolarmente interessanti per la loro semplicità. Dato però che essi comportano una sfavorevole utilizzazione dei materiali, il loro impiego è limitato ad azionamenti sincroni di potenze assai modeste.

Motori a corrente alternata a collettore. - Praticamente abbandonati sono i motori a induzione compensati per la correzione del fattore di potenza. Infatti il grande sviluppo preso dai condensatori statici permette di conseguire lo stesso scopo con minore spesa d'impianto e di esercizio e, quello che più conta, senza quelle complicazioni costruttive che rendevano assai più delicato e meno sicuro il funzionamento del motore.

Sempre a causa delle inerenti complicazioni costruttive, che si traducono nella necessità di una più accurata manutenzione e sorveglianza, nella minore sicurezza e tranquillità del servizio e spesso anche in un aumento del costo d'installazione, un notevole regresso si riscontra in generale nell'impiego di motori a corrente alternata a velocità variabile o di soluzioni comprendenti un normale motore a induzione con gruppi ausiliari per regolazione della velocità del tipo Scherbius, Kraemer, e similari. Per l'azionamento a velocità variabile la tendenza attuale sembra decisamente orientata verso i motori a corrente continua, in ciò favoriti dall'enorme sviluppo e diffusione dei raddrizzatori a vapore di mercurio (v. convertitore, in questa App.), che hanno reso la conversione della corrente alternata in corrente continua particolarmente conveniente.

Tra i motori a corrente alternata a collettore, l'unico per il quale non solo non si è notato alcun regresso, ma la cui diffusione è andata, specialmente in Europa, rapidamente crescendo, è il motore trifase a collettore in derivazione ad alimentazione rotorica, chiamato anche motore Schrage, dal nome dell'inventore. Con motori di questo tipo è possibile raggiungere un campo di regolazione della velocità da 1 a 8, con potenza resa praticamente proporzionale alle velocità. Questi motori vengono costruiti per potenze non superiori a qualche centinaio di kW e il principio di funzionamento risulta dallo schema rappresentato in fig. 11. Sul rotore, oltre all'avvolgimento primario alimentato da una linea trifase attraverso il collettore a tre anelli, vi è un secondo avvolgimento collegato a un collettore a lamelle come in un comune motore a corrente continua. Nello statore vi è invece l'avvolgimento secondario, ogni fase del quale fa capo a due file di spazzole che si spostano sul collettore in direzione opposta. Se con n0 si indica la velocità del campo magnetico rotante prodotto dall'avvolgimento primario e con n la velocità del rotore, il campo magnetico ruota nello spazio alla velocità di n0n. Se si indica poi con f la frequenza della linea di alimentazione e con p il numero delle coppie di poli, risulterà che f = n0 p; mentre la frequenza della tensione indotta nell'avvolgimento secondario risulterà sf, essendo s lo scorrimento dato da: s = (n0n)/n0.

Ma anche la frequenza della tensione che appare tra due file di spazzole che poggiano sul collettore risulta di sf e da qui nasce la possibilità di collegare gli estremi di ciascuna fase del secondario alle due file di spazzole che si spostano sul collettore in direzione opposta tra di loro. Allorché le due file di spazzole coincidono, la tensione tra di esse è ovviamente nulla, il secondario è chiuso in corto circuito e il motore si comporta come un normale motore a induzione. Spostando le due file di spazzole in un senso o nell'altro, alla tensione indotta nell'avvolgimento secondario si aggiunge o si sottrae la tensione indotta tra le spazzole, per compensare la quale il motore dovrà necessariamente girare ad una velocità corrispondentemente superiore o inferiore a quella relativa al funzionamento come semplice motore a induzione. La fig. 12 rappresenta un motore da 95-36 kW, velocità 710 ÷ 225 giri al primo, di costruzione Marelli, nel quale lo spostamento delle spazzole per la regolazione della velocità può essere effettuato sia sul posto mediante volantino, sia a distanza mediante motorino elettrico.

Motori antideflagranti. - Per fare fronte alle particolari esigenze delle industrie chimiche ed estrattive, nei cui stabilimenti e pozzi l'aria è spesso inquinata da gas che danno luogo a pericolose miscele esplosive, sono stati studiati motori di speciale costruzione, detti antideflagranti, per evitare che scintille elettriche occasionali possano sano provocare l'accensione dei gas, dando luogo a esplosioni. I motori antideflagranti sono più spesso a induzione, dato che questo tipo, per le sue intrinseche doti di semplicità, robustezza e assenza di collettore a lamelle, meglio degli altri si presta a conseguire i necessarî requisiti tecnici con un ragionevole aggravio economico.

Nei motori antideflagranti a sicurezza aumentata l'eventuale collettore ad anelli viene racchiuso in uno speciale involucro a prova di esplosione, generalmente in ghisa o acciaio fuso; mentre l'altra causa più comune di scintille dovute a possibili sfregamenti tra statore e rotore, viene allontanata aumentando convenientemente il traferro. Per il resto la costruzione dei motori antideflagranti a sicurezza aumentata non differisce da quella dei motori normali; ma la più moderna tendenza non sembra accontentarsi di questa soluzione e richiede maggiori garanzie, quali possono dare i motori antideflagranti a prova d'esplosione, di cui un esemplare è rappresentato in fig. 14. In questi motori tutta la parte esterna è costituita da materiale fuso ad alta resistenza meccanica, ulteriormente rinforzato da opportune nervature, e le superfici combacianti delle diverse parti sono largamente dimensionate e accuratamente lavorate, in modo da evitare che l'esplosione prodottasi nell'interno del motore, e alla quale il motore deve resistere, possa propagarsi all'esterno. Per ulteriore misura precauzionale, gli scudi e la scatola coprimorsetti vengono fissati alla carcassa mediante viti non passanti a testa triangolare, allogate in apposite nicchie circolari, e la cui rimozione si può fare solo mediante chiavi speciali custodite dal capo-servizio responsabile.

Per le grandi potenze, il tipo antideflagrante a prova d'esplosione darebbe luogo a diflìcoltà tecniche ed economiche difficilmente superabili. Si ricorre allora ai motori antideflagranti a lavaggio interno che consistono in motori chiusi muniti di bocche per l'entrata e l'uscita dell'aria di ventilazione, che viene prelevata dove essa non è inquinata da gas esplosivi e mantenuta ad una sufficiente sovrapressione rispetto all'ambiente, in modo da evitare che i gas esplosivi possano infiltrarsi nell'interno del motore. Poiché l'aria di ventilazione e lavaggio viene fornita da apposito ventilatore, è necessario che questo sia messo in moto prima di avviare il motore, la cui alimentazione dev'essere d'altra parte immediatamente interrotta se il ventilatore dovesse per una ragione qualsiasi fermarsi: tale interruzione si consegue provvedendo l'impianto di opportuni dispositivi di sicurezza.

Per i progressi nel campo dei motori a corrente continua v. metadinamo: Metamotore, in questa App.

Bibl.: M. Signorile, La caratteristica meccanica dei motori asincroni in corto circuito in relazione al diagramma di coppia resistente, in L'Elettrotecnica, 1943, p. 423; T. Brambilla, Funzionamento e applicazioni dei collegamenti di sincronizzazione tra motori asincroni - Alberi elettrici, in L'Elettrotecnica, 1943, p. 486; M. Melone, Macchine elettriche rotanti di costruzione antideflagrante, in L'Elettrotecnica, 1945, p. 137.

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