Motore

Enciclopedia Dantesca (1970)

motore

Paolo Mugnai

Il termine ha valore di " ciò che muove ", " che dà movimento ", ed è equivalente a ‛ movitore ' (v.); esso ricorre in senso tecnico, in riferimento al moto delle sfere celesti: in tal senso è usato prevalentemente in forma sostantivata a indicare le Intelligenze (v.) separate le quali la volgare gente chiamano Angeli (Cv II IV 2), in quanto preposte al moto dei cieli (IV 13, VI 1, XIII 5; Pd II 129, XIII 98, XXIX 44; Mn III IV 87; Quaestio 46). Tale valore viene ribadito anche negli unici due casi in cui il termine viene usato come aggettivo, a specificare appunto la funzione delle Intelligenze (Cv II V 18 vertù motrice; III VI 5 Intelligenze motrici).

Senso e valore pregnante ha il termine nella locuzione primo motore in quanto serve a indicare il ‛ primo ' della catena dei m. (Cv IV XXI 5, Pg XXV 70, Mn I IX 8, 9, 12 e 13, II II 10, Ep V 23, XIII 53), la cui esistenza, quiete e necessità era dimostrata da Aristotele (Metaph. XII 7-8) e che in D., coerentemente alla tradizione cristiana, viene a essere identificato immediatamente con Dio (mente primi motoris, qui Deus est, Mn II II 2; v. anche I IX 8; Ep XIII 53), quando venga considerato, oltre che per mezzo delle auctoritates, dalla ratio (cfr. Ep XIII 53).

Due problemi strettamente connessi riguardano i m.: in che modo cioè essi esplichino la loro azione e quale sia realmente la natura della loro funzione. I m. delle sfere celesti sono Intelligenze separate e il loro rapporto con le sfere è puramente intellettuale, non sensibile. Dice Averroè, commentando Aristotele (Metaph. XII t.c. 37): " Et dicit ‛ Principium autem est imaginatio per intellectum ', idest, principium autem motus existentis in corpore coelesti est imaginatio per intellectum. Et dicit hoc ad demonstrandum quod principium istius motus non est phantasia neque sensus, sed imaginatio per intellectum et desiderium, et quod hoc corpus movet in loco est ab imaginatione in actu ", e in tal modo contrasta la dottrina avicennistica delle sfere animate in quanto non è presupposto un principio animatore ‛ interno ' alla sfera ma un agente esterno che con essa ha un contatto virtuale (cfr. Cv II V 18). Le due tesi, meno distanti di quanto appare, vengono riavvicinate nella tradizione scolastica con il parallelismo m.-mosso, artefice-strumento: " Sicut nos videmus quod omne instrumentum movet in forma sui motoris, ita coelum compositum ex motore et moto, movet in forma intelligentiae moventis ipsum " (Alb. Magno Metaph. XI II 32); e ancora: " Et sicut omnia ista inferiora sunt organa supercaelestium corporum, sic omnia supercaelestia corpora sunt organa intelligentiarum moventium ea, quae possunt dici eorum motores appropriati et eorum animae " (Egidio Romano Sent. II XIV 3 2, dub. 2 later.). Sicché il rapporto intelligenza-cielo viene a essere equivalente a quello m.-mosso: " ad hoc autem, quod moveat, non oportet quod uniatur ei ut forma, sed per contactum virtutis, sicut motor unitur mobili " (Tommaso Sum. theol. I 70 3).

Dice D. (Pd II 129): Lo moto e la virtù d'i santi giri, / come dal fabbro l'arte del martello, / da' beati motor convien che spiri, terzina che ricalca l'espressione di Alberto Magno: " Hanc autem formam universi esse accipiunt sphaerae motae ab intelligentiis, per motum et operationem unam vel plures, et hoc modo quo accipit malleus formam artificis ferrarii ad inducendum in ferrum " (Coel. et mund. II III 14).

Tale nozione si esemplifica ancora con Alberto Magno: " dicendum est quod motores sphaerarum coelestium, licet moveant per modum naturae, eo quod movent uno modo, et quod motus ille est naturalis corpori coeli plusquam motus processivus conveniat corpori animato, tamen sunt separati, neque per esse, neque per diffinitionem dependentiam habentes ad corpora ipsa, sed comparantur ad ipsa sicut intellectus artificis comparatur ad corpus quod movetur instrumentaliter ad formam artis inducendam in materiam " (op. cit. I 2). Tale considerazione del rapporto m.-sfere come rapporto artefice-strumento permette anche l'assunzione della dottrina neoplatonico-arabizzante della funzione dei cieli come mezzi dell'emanazione dall'Uno.

L'identificazione m.-Intelligenze-angeli comporta il problema espresso in Pd XXIX 44 e anche la ragione il vede alquanto, / che non concederebbe che ' motori / sanza sua perfezion fosser cotanto, dove D. polemizza con la dottrina di s. Girolamo (Sup. Epist. ad Titum I 2), secondo cui gli angeli sarebbero stati creati molti secoli prima del mondo sensibile. Dopo aver fatto ricorso all'autorità della Scrittura, D. sostiene la tesi secondo ragione della creazione contemporanea di angeli e mondo sensibile, argomentando che, essendo alcuni angeli per essenza m., la non simultanea creazione del mondo sensibile avrebbe impedito loro per molto tempo di essere in atto, cioè di esplicare la propria perfezione. Secondo B. Nardi (D. e la cultura medioevale, Bari 1942, 237 ss.) questa dottrina dantesca sarebbe derivata da Averroè il quale afferma: " Cum enim posuerimus, quod nulla substantia abstracta est quae non moveat, quia tunc inveniretur in dispositione diminuta... unaquaeque illarum substantiarum est perfectio et finis motus " (Metaph. XII t.c. 48).