BROWNIANO, MOTO

Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)

BROWNIANO, MOTO

Gian Carlo Wick

. Osservando col microscopio o con l'ultramicroscopio particelle minutissime sospese in un liquido o in un gas (come, per esempio, i granuli di una soluzione colloidale) si constata che le particelle sono agitate da un moto disordinato e incessante, che vien detto browniano, da Robert Brown che l'osservò per la prima volta nel 1827. Intorno al 1870, dopoché s'era potuto stabilire che il moto browniano non era dovuto a cause accidentali (come lievissime vibrazioni esterne, piccole correnti di convezione nel liquido prodotte da differenze di temperatura, ecc.), ma che piuttosto doveva considerarsi come una proprietà generale della materia, parecchi ricercatori espressero l'opinione che questo fenomeno singolare fosse dovuto all'agitazione termica delle molecole del fluido in cui la particella è sospesa (C. Wiener, Delsaulx, J. Gouy). Ma solo in seguito ai lavori teorici (1905) di A. Einstein e M. v. Smoluchowski l'ipotesi poté venire sottoposta a un controllo quantitativo; grazie alle esperienze di J. Perrin il moto browniano è ora uno dei fondamenti della teoria molecolare della materia.

Secondo la teoria cinetica del calore, le molecole di un fluido sono in uno stato di continua e violenta agitazione; questa deve naturalmente trasmettersi anche a qualsiasi oggetto immerso nel liquido, cosicché un corpo di dimensioni sufficientemente piccole (in genere inferiori a 0,001 mm.) verrà sballottato violentemente come una piccola barca in un mare in burrasca, mentre corpi molto più grandi non subiranno un moto d'agitazione visibile. La fig. 1 dà un esempio del cammino percorso da una particella browniana, quale esso appare segnando la posizione della particella a intervalli uguali di tempo, per es., ogni dieci secondi.

Nel suo classico lavoro, Einstein ha sviluppato una serie di relazioni interessanti riguardanti questo movimento; dal punto di vista della meccanica statistica il moto di traslazione di una particella browniana non è essenzialmente diverso dal moto di una molecola in un gas; in entrambi i casi l'energia cinetica media di traslazione è uguale a 3/2 kT dove T è la temperatura assoluta e k è la costante di Boltzmann (v. gas, XVI, p. 410). Se le particelle di una soluzione colloidale hanno un peso specifico maggiore di quello del liquido in cui sono immerse, dovrebbero, per effetto del peso, accumularsi lentamente sul fondo del recipiente; ciò non avviene in realtà perché il moto browniano disordinato le riporta continuamente verso l'alto; questa è sostanzialmente la stessa spiegazione che si dà del perché le molecole di un gas non cadono tutte sul fondo del recipiente che le contiene. Tuttavia l'azione della gravità si fa sentire nel senso che le molecole tendono ad accumularsi verso il basso: si forma quindi una differenza di densità del gas tra l'alto e il basso del recipiente. Questa è dovuta al fatto che una molecola che parte dal fondo del recipiente con un'energia cinetica molto piccola non è in grado di salire molto in alto vincendo il proprio peso; in altre parole non tutte le molecole che partono dal fondo del recipiente sono in grado di salire fino alla cima di questo. La variazione di densità con l'altezza nell'atmosfera è un fatto ben noto, e la sua interpretazione dal punto di vista della teoria cinetica è appunto quella che abbiamo ora indicata. Se noi supponiamo di lanciare una molecola d'ossigeno verticalmente con un'energia cinetica uguale a kT, si può calcolare che essa salirebbe (se non subisse alcun urto) fino a un'altezza di circa 8 chilometri; questo è appunto un ragionevole valore medio per l'altezza dell'atmosfera. Se ora passiamo al caso della soluzione colloidale, avremo a che fare con particelle della stessa energia cinetica media e di massa enormemente maggiore, e quindi in grado di salire soltanto a un'altezza piccolissima. J. Perrin in Les Atomes (1913) dà una descrizione affascinante di varie esperienze in cui una soluzione colloidale veniva esaminata col microscopio studiando la distribuzione dei granuli in strati della soluzione situati a diversa altezza. Il modo più semplice di far questo consiste nel puntare il microscopio orizzontalmente. La distribuzione dei granuli che si osserva è all'incirca quella rappresentata nella fig. 2. Abbiamo così davanti agli occhi un'atmosfera in miniatura dell'altezza di alcuni centesimi di millimetro.

È chiaro che confrontando l'altezza di questa minuscola atmosfera con quella dell'atmosfera ordinaria, supposta per semplicità tutta alla stessa temperatura e composta solo di ossigeno, dev'essere possibile calcolare il rapporto della massa delle particelle browniane a quella delle molecole d'ossigeno; e poiché la massa delle particelle browniane può venire determinata direttamente in varî modi, abbiamo così un modo diretto di valutare le grandezze molecolari in valore assoluto, o, ciò che fa lo stesso, il numero di Avogadro che esprime il numero delle molecole contenute in una grammomolecola. Il Perrin ottenne così nel 1908 una delle prime determinazioni veramente soddisfacenti di questo numero, di cui il valore attualmente accettato è:

Il termine "moto browniano" viene usato anche in un senso più vasto. In primo luogo si può parlare, oltreché di un movimento browniano di traslazione, anche di un movimento browniano di rotazione nel caso delle particelle di una soluzione colloidale. Ma più in generale tutti i corpi molto piccoli e leggieri sono soggetti a un moto irregolare dovuto all'agitazione termica e che si può legittimamente chiamare browniano. Così uno specchio leggerissimo sospeso verticalmente a un filo di quarzo sottile esegue piccolissime oscillazioni irregolari intorno a un asse verticale, dovute all'irregolarità negli urti delle molecole del gas in cui lo specchio è sospeso contro lo specchio stesso. Questi movimenti possono venir messi in evidenza con gli stessi metodi ottici che si usano per osservare le rotazioni dello specchietto di un galvanometro. E del resto l'equipaggio di un galvanometro molto sensibile è soggetto esso stesso a un moto browniano della stessa natura, che costituisce un limite naturale alla sensibilità dello strumento.

Bibl.: J. Perrin, Les Atomes, Parigi 1913; A. Einstein, The Brownian Movement, Londra 1926.

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