MOSE

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1997)

MOSÈ

M. Nuzzo

Primo e più illustre profeta del popolo d'Israele, protagonista di vari libri biblici (Esodo, Numeri, Deuteronomio), M. incarna la figura dell'abile conduttore del suo popolo, dell'intelligente legislatore e soprattutto di colui che ha un rapporto privilegiato con la divinità, delle cui volontà è l'esecutore; per queste caratteristiche M. è una figura venerata nelle religioni ebraica, cristiana e islamica.La tradizione iconografica si sviluppò sin dalle origini sia in forma simbolica sia narrativa. La prima è caratteristica in particolare dell'arte funeraria, attraverso la scelta di episodichiave della vita di M.: nelle catacombe spesso ricorrono rappresentazioni del Miracolo della roccia, prefigurazione del battesimo (per es. Roma, catacombe di Priscilla); nei sarcofagi cristiani compare sovente l'episodio del Passaggio del mar Rosso, con valenza salvifica o battesimale (per es. Pisa, Camposanto, inv. nr. 77). Della forma narrativa la più antica testimonianza è rappresentata dal vasto ciclo del sec. 3° della sinagoga di Dura Europos, in Siria, con scene della Bibbia (Damasco, Mus. Nat.), che sarebbero alla base delle raffigurazioni veterotestamentarie cristiane (Weitzmann, Kessler, 1990). Tra queste ultime, le più antiche furono realizzate a Roma, sia all'interno dei perduti cicli nelle basiliche di S. Pietro in Vaticano e S. Paolo f.l.m. sia nei mosaici della navata di S. Maria Maggiore, dove alcuni episodi, come per es. la Disputa di M. fanciullo con i sapienti egiziani, non sono ispirati al testo biblico, ma a fonti posteriori.La grande fortuna che le rappresentazioni mosaiche conobbero nel corso del Medioevo appare in connessione con la prevalente concezione tipologica, che vide negli episodi del Vecchio Testamento una prefigurazione del Nuovo. Questa tendenza risulta evidente nell'aspetto di giovane imberbe assunto da M. a partire dalle prime raffigurazioni dell'arte cristiana, che sostituì la figura barbuta della tradizione giudaica e siro-palestinese, come si osserva per es. nel Pentateuco di Ashburnham (Parigi, BN, nouv.acq.lat. 2334, c. 76r) e nei cicli musivi di S. Maria Maggiore a Roma e di S. Vitale a Ravenna, relativamente agli episodi che illustrano le vicende dell'esodo del popolo ebraico verso la Terra Promessa, quando il profeta era già in età avanzata. Le caratteristiche di questa iconografia sono da considerarsi come l'assimilazione della figura di M. all'immagine di Cristo imberbe con la quale frequentemente viene posta in relazione. Nelle rappresentazioni della Consegna della Legge, in Oriente come in Occidente, la sostituzione delle tavole con il rotulo si spiega all'interno della tradizione tipologica paleocristiana, in cui M., salvatore del suo popolo e legislatore, viene rappresentato con il tipo di Cristo, il Salvatore che dà la nuova Legge rappresentata generalmente con un rotulo (St. Clair, 1984).Nella Bibbia di Moûtier-Grandval (Londra, BL, Add. Ms 10546, c. 25v), realizzata nel sec. 9° nell'abbazia di Saint-Martin di Tours, M. assume invece un aspetto assimilabile all'immagine di s. Paolo (St. Clair, 1987). Anche questa variante iconografica si situa all'interno della tradizione tipologica, proponendo una relazione tra le due figure basata sul comune privilegio della chiamata e sulla comune funzione di rivelare la Legge divina, M. agli Israeliti, Paolo ai Gentili.Nella chiesa del monastero di S. Caterina sul monte Sinai (sec. 6°), la raffigurazione nell'arco trionfale di M. nell'atto di sciogliersi i sandali e di ricevere la Legge è stata interpretata non solo in chiave topografica - la scena era collegata all'ubicazione del monastero sul luogo della consegna della Legge, in base alla narrazione biblica (Es. 19-20) -, ma anche in chiave tipologica, in relazione alla Trasfigurazione presente nel catino absidale, proponendo un legame tra la rivelazione di Dio a M. e quella di Cristo agli apostoli sul monte Tabor (Weitzmann, 1982). Un'osservazione analoga è stata fatta a proposito della croce di bronzo (sec. 6°) conservata all'interno dello stesso complesso, nella cappella dei Quaranta martiri, che presenta sui due bracci laterali la figura di M. rispettivamente nell'atto di salire sul monte e di togliersi i sandali, mentre nella parte alta della croce le mani di Dio recanti la Legge escono dal globo celeste stellato; la presenza di M. sulla croce espliciterebbe il legame tra l'apparizione divina a M. e l'apparizione di Cristo sulla Terra (Weitzmann, Ševčenko, 1963; Weitzmann, 1982). In entrambi i casi si riscontra una contaminazione tra l'episodio della chiamata di M. tramite il prodigio del roveto, caratterizzato dalla figura del profeta che si scioglie i calzari, e quello della consegna della Legge sul monte Sinai; l'assimilazione dei due eventi compare frequentemente sia nella produzione letteraria sia in quella artistica e trova un riscontro nell'Itinerarium Egeriae, che stabilisce sul monte Sinai il luogo del prodigio del roveto ardente, avvenuto invece, in base al testo biblico (Es. 3, 2), sul monte Oreb (St. Clair, 1984).Nella navata destra della chiesa di S. Maria Immacolata a Ceri (prov. Roma) sono state rinvenute alcune storie veterotestamentarie del sec. 12° (Cadei, 1982) in cui M. compare in quattro riquadri. Due scene raffigurano M. e Aronne davanti al Faraone: nel primo riquadro la presenza di due serpenti ne suggerisce l'identificazione con il miracolo delle verghe trasformate da M. e Aronne in serpenti davanti al Faraone (Es. 7, 9-10) - lo stesso episodio compare per es. nella porta lignea di S. Sabina a Roma, del sec. 5°, e nella Bibbia di Carlo il Calvo, dell'870 ca. (Roma, S. Paolo f.l.m., Bibl. dell'abbazia) -, mentre il secondo episodio sembra riferirsi alla piaga della grandine (Es. 9, 13); la terza scena è costituita da un'efficace rappresentazione del Faraone travolto dalle acque del mar Rosso dopo il miracoloso passaggio degli Israeliti; il riquadro più interessante, tuttavia, che precede i tre citati, contiene la doppia raffigurazione di M. ai lati di un roveto, al centro del quale campeggia Cristo. La figura a sinistra, in parte perduta, reca tra le mani una verga, mentre quella a destra, identificata da un'iscrizione come M., ha in mano un serpente. La scena può essere dunque identificata con la chiamata del profeta sull'Oreb attraverso il prodigio del roveto ardente (Es. 3, 2-4); in quell'occasione l'Eterno rivelò a M. il suo nome, gli affidò il compito di condurre il popolo d'Israele fuori dall'Egitto e si compì per la prima volta quel miracolo della verga trasformata in serpente che M. avrebbe dovuto ripetere davanti al Faraone per dimostrare la sua investitura divina.Nella scena del roveto, Jahvè, il dio invisibile, veniva prevalentemente rappresentato, fino al sec. 12° (Boespflug, 1992), attraverso una mano o, più raramente, un angelo, come per es. nella Topographia christiana di Cosma Indicopleuste, del sec. 9° (Roma, BAV, Vat. gr. 699); tuttavia questa soluzione si riscontra anche più tardi, per es. nella decorazione tardoduecentesca dell'abbazia di Grottaferrata (Matthiae, 1970; Andaloro, 1983), dove sono narrati alcuni episodi della vita di M. che integrano quelli di Ceri, per es. attraverso lo sdoppiamento del Miracolo del roveto ardente e del Miracolo della verga, secondo il comune prototipo delle basiliche romane. In Oriente è invece prevalente l'iconografia della Vergine all'interno del roveto, che, ardendo senza consumarsi, viene assunto dai commentatori come simbolo del parto verginale di Maria (Boespflug, 1992); questo tema, che compare nelle pitture del sec. 14° nel diaconico della chiesa di Gračanica, in Croazia (Réau, 1956), ebbe minore diffusione in Occidente. Nell'Evangeliario di Averbode, del sec. 12° (Liegi, Bibl. Univ., 363 C, c. 16v), la rappresentazione divina nel roveto è realizzata attraverso l'immagine di Dio-Cristo a mezzo busto con aureola crucisignata; la scena è posta in relazione con la raffigurazione, nella parte superiore della pagina, dell'episodio della rugiada che cade miracolosamente sul vello di Gedeone (Gdc. 6, 36-40), anch'essa considerata come prefigurazione del concepimento verginale di Cristo. L'immagine del Salvatore in un medaglione all'interno del roveto compare inoltre nel codice delle Omelie del monaco Giacomo, del secondo quarto del sec. 12° (Roma, BAV, Vat. gr. 1162, c. 54v); all'interno di questa tradizione iconografica può collocarsi la figura di Cristo nel roveto di Ceri, rappresentato però a figura intera.A causa del suo ruolo di legislatore e condottiero, nel corso del Medioevo M. è stato messo in relazione con figure storiche cui si voleva attribuire pari dignità. Nella perduta decorazione del transetto della cattedrale francese di Le Puy (dip. Haute-Loire), per es., alcuni episodi della vita di M. sono stati interpretati come allusioni alle gesta compiute dal vescovo Ademaro durante la prima crociata; anch'egli, infatti, aveva condotto i suoi seguaci verso la Terra Promessa, morendo prima del compimento dell'impresa e venendo pertanto descritto nell'elogio funebre come nuovo M. (Derbes, 1991).Storie di M. furono inoltre realizzate, insieme a episodi relativi a Giuseppe e a Sansone, tra il 1340 e il 1343, da Roberto d'Oderisio nell'edificio dell'od. chiesa di S. Maria Incoronata a Napoli, che all'epoca era sede del tribunale regio. La scelta iconografica si inserisce in un contesto laico e profano, in cui la figura di M. diviene il simbolo dell'origine della legge e della magistratura dei giudici, che, in base a un passo biblico (Es. 18, 12-27), M. avrebbe istituito (Bologna, 1969).Al di fuori del contesto della narrazione degli episodi veterotestamentari, M. compare nelle rappresentazioni della Trasfigurazione, insieme a Elia e a fianco di Cristo (Ravenna, S. Apollinare in Classe, sec. 6°; S. Caterina sul monte Sinai, mosaico absidale, sec. 6°; Roma, S. Prassede, sec. 9°), e in numerosi contesti come figura isolata inclusa nelle serie dei profeti (Sant'Angelo in Formis, sec. 11°; Cefalù, duomo, sec. 12°; Avignone, palazzo dei Papi, sala dell'Udienza, 1352).Tra il sec. 11° e il 14° in Occidente si diffuse l'uso di raffigurare M. con le corna, la cui origine è stata rintracciata da Mellinkoff (1970) in Inghilterra, dove compare per la prima volta in un manoscritto del sec. 11° (Londra, BL, Cott. Claud. B.IV). La genesi del tipo iconografico è da ricondursi a un'errata interpretazione della traduzione di Girolamo di un passo biblico (Es. 34, 29) che descrive il volto di M. disceso dal monte Sinai dopo la consegna della Legge con un termine interpretabile come 'corna' o come 'raggi di luce' e resa dal traduttore con l'aggettivo 'cornuto'. Nell'Oriente cristiano, infatti, dov'era diffusa la versione greca della Bibbia, e non la Vulgata, l'immagine di M. cornuto non si propagò. Resta però da spiegare la ragione per cui la versione di Girolamo della Bibbia, compilata alla fine del sec. 4°, si rifletta nella produzione artistica occidentale solo molti secoli più tardi. È probabile che in queste raffigurazioni di M. vada riconosciuta anche l'influenza dell'antico significato simbolico assunto da tale attributo nel mondo anglosassone e scandinavo, dov'era diffuso l'uso di ornare con corna gli elmi dei combattenti in segno di onore e di potenza; il motivo era peraltro usato anche nella tradizione antica ed ellenistica, come dimostrano le raffigurazioni di Alessandro Magno con le corna del dio Ammone, tradizione che poté anche influenzare la scelta del termine da parte di Girolamo. L'iconografia di M. con le corna è stata inoltre posta in relazione (Mellinkoff, 1970; 1986-1987) con la tipologia della mitra vescovile cornuta che appare dopo le prime raffigurazioni di M. e che riguarda soltanto la Chiesa latina. Conferma questa relazione la figura di M. nelle vesti di vescovo in un manoscritto del sec. 12° (Avranches, Bibl. Mun., 159, c. 5v), proveniente dalla Francia meridionale, in cui egli è raffigurato nell'atto di impartire i comandamenti agli Israeliti, simboleggiando le origini veterotestamentarie del sacerdozio.L'arte ebraica, condizionata, soprattutto a partire dal sec. 6°, dal divieto delle immagini, in particolare antropomorfe, codificato in seguito dal Talmūd - che lasciava però la possibilità della presenza di immagini dipinte all'interno delle sinagoghe -, ha realizzato un numero inferiore di raffigurazioni di Mosè. A eccezione della decorazione della sinagoga di Dura Europos, si trovano infatti raffigurazioni di scene dalla vita di M., soprattutto a partire dal sec. 13°, nelle illustrazioni dei manoscritti, in particolare nelle numerose Haggādāh, contenenti il testo dell'Esodo e debitrici di modelli iconografici cristiani, tra le quali si ricorda quella del sec. 14° conservata a Sarajevo (Zemaljski muz. Bosne i Hercegovine, c. 30r), realizzata in Spagna, e la Haggādāh d'Oro, del 1320 ca. (Londra, BL, Add. Ms 27210), proveniente anch'essa dalla Spagna, dove in quattro riquadri (c. 10v) sono illustrati con soluzioni fortemente goticheggianti il Prodigio del roveto ardente, il Viaggio di M. di ritorno in Egitto, il Miracolo della verga trasformata in serpente e M. con Aronne davanti al Faraone. Va infine ricordato il Pentateuco di Ratisbona, del 1300 ca. (Gerusalemme, Israel Mus., 180/52), realizzato in Baviera, dov'è raffigurato M. in una vivace rappresentazione a piena pagina (c. 154v), nell'atto di consegnare le tavole della Legge al popolo d'Israele che lo aspetta sotto la montagna infuocata.Nella religione islamica, infine, M. assunse un ruolo di particolare rilievo in quanto messaggero della Legge scritta e unico uomo ad avere parlato con Dio senza intermediari. A partire dal sec. 14°, con il fiorire in Persia dell'illustrazione di testi storici ed epici, si trovano raffigurati episodi della sua vita, per es. in due manoscritti del Jāmi῾ al-tawārīkh (Storia universale) di Rashīd al-Dīn (Londra, Khalili Coll., già Royal Asiatic Society, ar. 26; Edimburgo, Univ. Lib., ar. 20), entrambi realizzati entro i primi due decenni del sec. 14° nello scriptorium di Tabrīz.

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